SENTENZA N. 173
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Antonio
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale
dell'art. 3, comma tredicesimo, della legge 29 maggio 1982 n. 297 (Disciplina
del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica); dell'art.
19 della legge 23 aprile 1981 n. 155 (Adeguamento delle strutture e delle
procedure per la liquidazione urgente delle pensioni e per i trattamenti di
disoccupazione e misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica);
dell'art. 27, commi terzo e quarto, della legge 3 giugno 1975 n. 160 (Norme per
il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla
dinamica salariale); degli artt. 14, sesto comma, e 19 della legge 30 aprile
1969 n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici
e norme in materia di sicurezza sociale) e successive modificazioni; dell'art.
5, quarto comma, del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488
(Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione
generale obbligatoria) e delle tabelle A e B allegate al r.d.l. 14 aprile 1939
n. 636 e successive modificazioni, promossi con ordinanze emesse il 3 aprile
1979 dal Pretore di Palermo, il 18 aprile 1979 dal Pretore di Milano, il 12
febbraio 1980 dal Pretore di Brescia, il 2 luglio 1980 dal Pretore di Voghera,
il 13 luglio 1981 ed il 24 giugno 1981 dal Pretore di Milano (n. 2 ordd.), l'11 dicembre 1981 dalla Corte di cassazione, il 20
febbraio 1982 dal Pretore di Modena, il 28 aprile 1983 dal Tribunale di
Pescara, il 18 febbraio 1983 dal Pretore di Torino, il 26 ottobre 1984 dal
Pretore di Udine, il 23 aprile 1985 dal Pretore di Cagliari, iscritte
rispettivamente ai nn. 431 e 569 del registro
ordinanze 1979, ai nn. 317 e 724
del registro ordinanze 1980, ai nn. 187, 188, 604 e 882 del registro ordinanze 1982, al n. 557 del
registro ordinanze 1983, ai nn. 819 e 1375 del
registro ordinanze 1984, al n. 499 del registro ordinanze 1985 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 203,
265 del 1979, 180,338 del 1980, 248 del 1982,46,128 e 342 del 1983,307 del
1984,107 bis e 293 bis del 1985; Visti gli atti di costituzione di Galeotti Ettore, di Garagnani
Augusto ed altri, di Nolli Adelio ed altri, di Bernuzzi Pietro, di Roncaglia
Germano, di Ciattoni Francesco ed altri e
dell'I.N.P.S. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 marzo 1986 il
Giudice relatore Francesco Greco;
uditi gli avv.ti Matteo Dell'Olio per Galeotti, Nolli,
Tagliagambe, Lopes Perera, Senti Radivoj; Walter e
Marco Prosperetti per Pelli; Pasquale Vario per l'I.N.P.S.; l'Avvocato dello Stato Nicola Bronzini
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con dodici ordinanze emesse da diversi giudici ordinari in
altrettanti procedimenti promossi da pensionati iscritti al regime
dell'assicurazione generale obbligatoria al fine di ottenere l'accertamento del
proprio diritto ad una pensione, di vecchiaia o di anzianità,
ragguagliata all'intero importo della retribuzione percepita in costanza del
rapporto di lavoro, é stata sollevata la questione di legittimità
costituzionale del divieto, vigente in quel regime, di prendere in
considerazione, per la quantificazione del trattamento pensionistico liquidato
con il sistema cosiddetto retributivo, le quote di retribuzione eccedenti un
determinato limite massimo.
La questione viene variamente prospettata, ma
tutti i giudici remittenti ne hanno ritenuto in re
ipsa la rilevanza, in ragione del contenuto della pretesa azionata davanti a
loro, dopo essere stata respinta dall'istituto assicuratore, che aveva motivato
il provvedimento negativo invocando appunto il suddetto divieto.
1.1 - Il Pretore di Palermo (ordinanza emessa il 3 aprile 1979; R.O. n. 431/79), individuata la norma di previsione
nell'art. 27 della legge 3 giugno 1975 n. 160, ne prospetta il possibile
contrasto con l'art. 3 Cost., osservando che essa
riserva un trattamento irrazionalmente deteriore ai pensionati soggetti al
menzionato regime assicurativo generale rispetto ad altri, iscritti a fondi
speciali di previdenza gestiti dall'I.N.P.S., quali,
in particolare, quelli per i telefonici e per gli elettrici.
Invero, pur essendo la pensione soggetta, nell'un regime, come negli
altri, a norme che seguono analoghi schemi, anche in punto di
adeguamento alla dinamica salariale, soltanto per la prima categoria di
pensionati e non per la seconda é preclusa la possibilità di valutare come
utili, a fini pensionistici, le quote di retribuzione eccedenti un prefissato
limite massimo, sicché difettano sufficienti ragioni giustificative di tale
disparità di trattamento.
1.2 - Il Pretore di Milano (ordinanza emessa il 18 aprile 1979; R.O. n. 569/79), oltre il citato art. 27 della legge n.
160/75 (e particolarmente, il terzo comma) censura anche altre norme anteriori
dal cui coacervo emerge la predeterminazione del massimale di retribuzione
pensionabile e cioé l'art. 14, comma sesto, della
legge 30 aprile 1969 n.
Premesso che, alla stregua di tale normativa, non possono essere prese in
considerazione, al fine della liquidazione della pensione di vecchiaia in forma
"retributiva", le quote di retribuzione eccedenti
il limite massimo della penultima classe tabellare
aumentato del cinque per cento; che, a detto fine, va fatto riferimento alla
tabella vigente alla data di decorrenza della pensione; e che la tabella
contenuta nel d.P.R. n. 488 del 1968, fino all'epoca
di causa, non era stata più aggiornata, il giudice a quo
ipotizza il contrasto della normativa stessa con i menzionati parametri
di riferimento:
a) quanto all'art. 3 Cost.: perché l'esclusione
di una cospicua parte della retribuzione dal calcolo della pensione discrimina,
da un lato, arbitrariamente gli assicurati soggetti al regime generale rispetto
agli iscritti a fondi speciali, come già rilevato dal Pretore di Palermo con
l'ordinanza di cui sopra; e, dall'altro lato, crea una disparità di trattamento
anche soltanto nell'ambito dei primi, distinguendo gli uni dagli altri
esclusivamente sulla base di qualità personali e sociali;
b) quanto all'art. 36 Cost.: perché il diritto
del lavoratore ad un equo trattamento economico va inteso in senso ampio;
dovendosi, invero, secondo l'insegnamento di questa Corte (sentt.
nn. 176 e 24/75) configurare la pensione come
retribuzione differita, la suddetta esclusione compromette il necessario
rapporto di proporzionalità che, attraverso la retribuzione, deve legare anche
la pensione alla qualità e quantità del lavoro prestato;
c) quanto all'art. 38 Cost.: perché il diritto
del lavoratore di vedersi garantiti, per il caso di vecchiaia, mezzi adeguati
alle sue esigenze di vita, non può risultare avulso dalla considerazione dei
livelli retributivi conseguiti nel corso della attività lavorativa;
d) quanto, infine, all'art. 53 Cost.: perché la
non utilizzazione, a favore del pensionato, dei contributi effettivamente
versati sulle quote di retribuzione eccedenti il massimale pensionabile si
risolve in un prelievo fiscale senza che sia assicurata alcuna proporzionalità
del medesimo con la capacità contributiva dei soggetti interessati.
1.3. - La medesima questione, in termini del tutto identici a quelli testé riferiti, é stata ulteriormente sollevata dai Pretori
di Brescia (12 febbraio 1980; R.O. n. 317/80) che
però, come oggetto della censura, menziona, in aggiunta alle citate norme,
anche la tabella B allegata al r.d.l. n. 636/39, come successivamente
modificata; di Voghera (2 luglio 1980; R.O. n. 724/80); dallo stesso Pretore di Milano con altre due ordinanze
emesse rispettivamente il 13 luglio 1981 (R.O. n.
187/ 82; estensiva, a sua volta, della censura alla citata tabella B e
contenente, inoltre, sebbene sempre in riferimento ai
medesimi parametri costituzionali, l'indicazione di un sopravvenuto vizio di
illegittimità della normativa impugnata, riconoscibile nella mancata previsione
di meccanismi di adeguamento del massimale alla dinamica salariale) ed il 24
giugno 1981 (R.O. n. 188/82); dal
Tribunale di Pescara (28 aprile 1983; R.O. n. 557/83); dai Pretori di Torino (con ordinanza emessa il 18 febbraio
1983 - R.O. n. 819/84 - ,
anch'essa contenente l'aggiuntivo riferimento alla ripetuta tabella B) e di
Cagliari (23 aprile 1985; R.O. n. 499/85) il quale
ultimo, tuttavia, pur motivando la propria censura con considerazioni che non
si discostano da quelle svolte dagli altri giudici remittenti,
la riferisce all'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155 che ha elevato a
lire 18.500.000 il massimale di retribuzione pensionabile e che é individuato
come applicabile nel giudizio a quo in considerazione della decorrenza
(successiva al 31 dicembre 1980) della pensione di anzianità
la cui riliquidazione si pretende dall'assicurato.
1.4. -
Premesso che, ai fini della tutela costituzionale, la pensione di anzianità - sulla cui quantificazione verteva il giudizio
a quo - può equipararsi a quella di vecchiaia,
a) non esiste un principio costituzionale che imponga al legislatore
ordinario di garantire il pensionamento dell'intera retribuzione, talché questo
può discrezionalmente fissare un qualsiasi rapporto fra l'entità della
retribuzione stessa e quella della pensione liquidata con il sistema
retributivo, purché il conseguente trattamento previdenziale rimanga adeguato
alle esigenze di vita dell'assicurato;
b) la vigenza di discipline diversificate
impedisce ogni utile raffronto - per verificare il rispetto del principio
costituzionale di uguaglianza - fra la posizione dei pensionati soggetti al
regime assicurativo generale e quella degli iscritti a regimi speciali, nei
quali non é previsto un massimale di retribuzione pensionabile;
c) la circostanza che l'assicurato non ottiene alcun beneficio dai
contributi afferenti alla parte di retribuzione non pensionabile non implica
violazione dell'art. 53 Cost., ma si giustifica col
principio di mutualità che é a fondamento del sistema assicurativo;
d) nondimeno, il divieto di considerare come utili, a fini pensionistici,
le quote di retribuzione eccedenti il massimale
risulta in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. perché:
1) la mancata previsione di un meccanismo di indicizzazione
di detto massimale, in presenza delle rilevanti proporzioni assunte dalla
svalutazione monetaria, ha determinato il progressivo allontanamento dai
presupposti di fatto sui quali si fondava l'iniziale valutazione di congruità
della tabella allegata al d.P.R. n. 488/68, con il
sostanziale effetto di annullare, per vaste categorie di pensionati, il valore
della correlazione, a quell'epoca esistente, fra retribuzione e pensione;
2) donde anche l'ulteriore conseguenza
dell'appiattimento dei trattamenti pensionistici, nel rapporto fra minimi e
massimi, e dell'accorpamento, ad un unico livello, di fasce retributive e di
anzianità contributive profondamente diverse, con correlativa disparità di
trattamento fra pensionati, a seconda della data di decorrenza della pensione.
1.5. - La questione di legittimità costituzionale delle norme che fissano
il massimale di retribuzione pensionabile viene
sollevata anche dal Pretore di Modena (ordinanza emessa il 20 settembre 1982; R.O. n. 882/82) per ragioni analoghe nella sostanza a
quelle fin qui esaminate, ma prospettate in termini più articolati e con
precisazioni particolari. La censura é, in via generale,
riferita all'art. 5, quarto comma, del d.P.R. 27
aprile 1968 n. 488; all'art. 14, quinto comma, della legge 30 aprile 1969 n.
153, nel testo sostituito dall'art. 26 della legge 3 giugno 1975 n. 160;
all'art. 27, commi terzo e quarto, della stessa legge 3 giugno 1975 n. 160,
individuate come norme applicabili al caso di specie e ritenute in contrasto
con gli artt. 3,36,38 e 53 Cost., per la parte
in cui escludevano, fino al 31 dicembre 1980, la rilevanza, ai fini della
liquidazione dei trattamenti pensionistici col sistema retributivo o secondo
quello contributivo, delle retribuzioni o dei contributi ad esse afferenti, per
la parte che fosse superiore alla penultima classe retributiva, maggiorata del
5%, fissata con l'art. 4 del d.P.R. n. 488/68 e risultante
dalle tabelle A e B allegate allo stesso provvedimento
legislativo.
Ai già ricordati profili di contrasto di tale normativa con i parametri
costituzionali testé richiamati e cioé
alle ragioni di illegittimità già fatte proprie dagli altri giudici con le
esposte ordinanze, il Pretore di Modena aggiunge anche, per quanto concerne la
dedotta violazione dell'art. 3 Cost. il profilo della disparità di trattamento
esistente fra pensionati soggetti al regime assicurativo generale I.V.S. e la generalità dei pubblici dipendenti il cui
trattamento di quiescenza é commisurato all'ultima retribuzione, senza
predeterminazione di alcun massimale.
In merito ai motivi di contrasto con l'art. 53 Cost. precisa, poi, che
rispetto ad essi non assume rilievo determinante il
principio di solidarietà sociale o di mutualità. Questo può trovare attuazione reperendo le necessarie risorse finanziarie o attraverso lo
strumento del prelievo fiscale, ma, in tal caso rispettando l'ugualmente
fondamentale principio di proporzionalità del carico tributario alle capacità
contributive di ciascuno, non già nel modo surrettizio che caratterizza la
privazione, in danno del lavoratore, dei benefici connessi alla contribuzione
effettuata relativamente alle quote di retribuzione eccedenti il massimale;
ovvero adeguando opportunamente il minimale contributivo alle esigenze degli
istituti assicurativi erogatori delle prestazioni, ma senza impedire ad alcuno
il godimento dei frutti dei contributi effettivamente versati.
Ulteriori precisazioni sono fornite anche con
riguardo alla assunta violazione dell'art. 38 Cost., osservandosi che le
esigenze vitali garantite da tali norme non sono solo quelle minime attinenti
alla mera (ancorché dignitosa) sussistenza ma anche quelle più ampie, correlate
alla posizione sociale ed economica conquistata da ciascuno con il proprio
lavoro.
Prospetta, infine, il Pretore la possibilità che
all'eventuale accoglimento dell'eccezione sollevata principaliter
nei termini di cui sopra faccia seguito, ex art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87,
la declaratoria di illegittimità costituzionale del sesto comma dell'art. 14
della legge 30 aprile 1969 n. 153, nella sua formulazione originaria, che aveva
stabilito limitativamente la misura della
retribuzione pensionabile fino all'entrata in vigore della legge n. 160/75,
nonché dell'art. 19 della più recente legge 23 aprile 1981 n. 155 che, pur
avendo elevato a lire 18.500.000 la misura del massimale, ha, tuttavia,
ribadito la limitata rilevanza della retribuzione pensionabile.
In via subordinata, per l'ipotesi del mancato accoglimento dell'eccezione
principale, il giudice a quo solleva l'ulteriore
questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 30 aprile 1969
n. 153, nella parte in cui non prevede la perequazione automatica della
retribuzione pensionabile massima, pari alla penultima classe retributiva di
cui alle tabelle A e B allegate al d.P.R. 27 aprile
1968 n. 488, maggiorata del 5 %; nonché degli artt. 5, quarto comma, del d.P.R. n.488/68; 14, sesto comma,
della legge 30 aprile 1969 n. 153 nel testo originario e quinto comma dello
stesso art. 14 nel testo novellato dalla legge 3 giugno 1975 n. 160; 27, commi
terzo e quarto, della medesima legge n. 160/75, nella parte in cui disponevano
che non fosse presa in considerazione, agli effetti della liquidazione delle
pensioni, la retribuzione o la contribuzione ad essa
afferente, che fosse eccedente quella indicata come la retribuzione
pensionabile massima e non escludevano, invece, agli stessi effetti, soltanto
la retribuzione superiore al limite risultante dalla perequazione automatica
annuale di quella che era la retribuzione pensionabile dell'anno precedente.
Nel merito di tale questione subordinata, il giudice a quo rileva che, mutatis mutandis, i profili di illegittimità costituzionali possano individuarsi con
riferimento ai medesimi parametri indicati a proposito di quella principale e
con affermazione di analoghe considerazioni.
Per gli aspetti specifici osserva, inoltre, che la mancata previsione di
meccanismi perequativi idonei a conservare nel tempo il valore reale del
massimale pensionabile originariamente fissato ha prodotto un grave pregiudizio
per i titolari di redditi di lavoro più elevati i quali
hanno visto crescere sempre di più la parte del loro trattamento economico
utilizzabile a fini pensionistici. Ne é derivata, con
conseguente appiattimento verso il basso dei trattamenti pensionistici in
rapporto all'entità di quelli retributivi, una mortificazione della
professionalità dei lavoratori più alacri e capaci e cioé
di un bene costituzionalmente garantito, per quanto concerne il diritto ad una
retribuzione congrua sia immediata (art. 36 Cost.) che differita (art. 38 Cost.).
Inoltre, i profili di disparità di trattamento, di cui é, per se stessa,
fonte la predeterminazione di un massimale di retribuzione pensionabile, sono
stati aggravati dall'evolversi della legislazione in materia. Lo stesso
legislatore ha riconosciuto la necessità di adeguamento
di quel massimale, prima elevandolo con l'art. 19 della legge n. 155/81 e poi
prevedendone l'indicizzazione (art. 3, comma tredicesimo, della legge 29 maggio
1982 n. 297) con le modalità stabilite per la perequazione automatica delle
prestazioni a carico del fondo pensioni per i lavoratori dipendenti. Le norme sopravvenute
operano però rispettivamente ed esclusivamente a favore dei pensionati con
trattamento decorrente dall'1 gennaio 1981 e dall'1 gennaio 1983, sicché, lungi
dal risultare riparatrici di anteatte
discriminazioni, ulteriormente creano, fra pensionati pur appartenenti alla
medesima categoria, disparità di trattamento in ragione del solo fatto della
decorrenza del trattamento pensionistico.
La rilevanza di tale questione é prospettata osservando che la
declaratoria di illegittimità, nei sensi di cui sopra,
delle norme impugnate implicherebbe la possibilità di accoglimento della
domanda introduttiva del giudizio a quo, sia pur non attraverso l'eliminazione
del limite retributivo fissato nel 1968 ed ancora vigente alla data di
liquidazione della pensione oggetto di tale domanda (1 maggio 1980), bensì per
effetto della progressiva elevazione del medesimo, operabile con i citati
meccanismi perequativi a decorrere dall'1 gennaio 1970, vale a dire dalla
stessa data di applicazione della perequazione automatica delle pensioni
prevista dall'art. 19 della legge n. 153/69.
All'accoglimento di tale eccezione subordinata,
potrebbe, ad avviso del giudice a quo, accompagnarsi la declaratoria di
illegittimità costituzionale conseguenziale dell'art.
19 della legge 23 aprile 1981 n.
1.6 - Infine, il Pretore di Udine (con ordinanza
emessa il 26 ottobre 1984; R.O. n. 1375/84), in
considerazione della normativa applicabile alla data di decorrenza della pensione la cui riliquidazione
costituisce oggetto del giudizio a quo, censura:
a) l'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155, nella parte in cui non
adegua alla svalutazione monetaria per l'anno 1982 il massimale di retribuzione
pensionabile fissato in lire 18.500.000. Precisa che detta disposizione viola
gli artt.:
1) 3 Cost.: in quanto accomuna in un medesimo
trattamento pensionati le cui posizioni si diversificano a cagione della
intervenuta diminuzione del potere di acquisto della moneta;
2) 38 Cost.: in quanto tale diminuzione altera il
rapporto pensione retribuzione originariamente concepito come idoneo a
salvaguardare esigenze utili del pensionato;
b) Ìart. 3, tredicesimo
comma, della legge 29 maggio 1982 n. 297. Precisa al riguardo che la
norma:
1) nella parte in cui limita al periodo successivo all'1
gennaio
2) nella parte in cui non ancora all'adeguamento del massimale, avvenuto
in virtù di tale indicizzazione, le pensioni in
godimento al momento dell'adeguamento stesso, viola:
2. - Tutte le sopra menzionate ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate,
nell'ordine, con
3. - Nei giudizi susseguenti alle ordinanze sopra menzionate si é
costituito l'I.N.P.S.. É
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite
dell'Avvocatura dello Stato, fatta eccezione per il giudizio introdotto con
l'ordinanza del Pretore di Cagliari (R.O. n. 499/85).
Infine, nei giudizi promossi dai Pretori di Palermo (R.O. n. 431/79), di Milano (R.O.
n. 569/79), di Voghera (R.O. n. 724/80), di Modena (R.O. n. 882/82) e dal Tribunale di
Pescara (R.O. n. 557/83) si sono costituite le
parti attrici dei procedimenti a quibus.
3.1 - I vari atti depositati dalla difesa di queste ultime
sostanzialmente recepiscono, a fini adesivi, le
argomentazioni svolte dai giudici remittenti,
sottolineandone l'una o l'altra. In particolare si insiste
sui profili discriminatori della censurata normativa nei rapporti fra
pensionati soggetti al regime assicurativo generale e pensionati iscritti a
Fondi speciali e non solamente a quelli per i telefonici e gli elettrici, espressamente
menzionati dal Pretore di Palermo come termine di riferimento, ma anche a
quelli per i daziari (artt. 9 e 10 legge 24 maggio 1976 n.
370), per gli esattoriali (artt. 13 e 23 legge
2 aprile 1958 n. 377), per i gasisti (artt. 9 e 17 legge
6 dicembre 1971 n. 1084), per gli autoferrotramvieri
(artt. 5 e 17 legge 29 ottobre 1971 n. 889), per la
gente dell'aria (artt. 13 e 24 legge 13 luglio 1965 n.
859, modif. dall'art. 1 della legge 30 luglio 1973 n. 484), per i marittimi,
ivi compresi quelli appartenenti alla gestione speciale della Cassa Marinara
(artt. 5, 15, 16 e artt. 61, 65, 66 legge 27 luglio
1967 n. 658).
Ugualmente si lamenta che la previsione di un massimale di retribuzione
pensionabile discrimina anche fra i soli pensionati del regime generale, dando
luogo ad un trattamento legislativo diseguale in ragione unicamente della
maggiore o minore lucratività del lavoro subordinato
e, quindi, di condizioni personali e sociali; si sottolinea
il progressivo aggravamento delle suddette diseguaglianze,
dovuto alla concomitanza della svalutazione monetaria e della mancata
previsione di meccanismi di indicizzazione del medesimo fino all'entrata in
vigore della legge n. 297/82; si insiste sui principi allermati
da questa Corte con le sentenze nn. 24 e 176/75 per
desumerne la necessità che il trattamento pensionistico, in quanto retribuzione
differita, obbedisca alla regola della congruità posta dall'art. 36 Cost. e
che, conseguentemente, il criterio della sufficienza del trattamento stesso, ai
sensi dell'art. 38 Cost., sia applicato senza
prescindere dall'integrale considerazione dell'entità della retribuzione
conseguita nel corso dell'età lavorativa; si ribadisce che la non utilizzazione
dei contributi versati sulle quote di retribuzione eccedenti il massimale
costituisce un'illegittima forma di prelievo fiscale.
3.2 - L'Avvocatura dello Stato insiste per la declaratoria di infondatezza della questione. Osserva che questa,
preliminarmente, deve essere ridotta al solo problema della conformità o non
della disciplina del massimale di retribuzione
pensionabile agli artt. 3 e 38 Cost., apparendo del
tutto inconferente il richiamo agli artt. 36 e 53
Cost.: al primo, perché rispetto ad esso l'art. 38
assume il valore di disposizione speciale "il cui esame assorbe quello dei
profili sia dell'art. 35 sia dell'art. 36" (Corte Cost. nn. 10/70 e 128/73); al secondo
perché la circostanza del versamento di contributi assicurativi su di una parte
della retribuzione non utilizzata per la quantificazione del trattamento pensionistico
non involge alcun problema di imposizione fiscale e del rispetto del principio
di uguaglianza contributiva, ma trova fondamento nel diverso principio di
solidarietà sociale, posto a fondamento del sistema assicurativo generale.
Si rileva poi che il diverso trattamento riservato, in materia di
massimale pensionabile, ai pensionati iscritti al "regime generale
previdenziale" rispetto a quelli iscritti a "regimi speciali"
sostitutivi o integrativi del primo appare ragionevolmente giustificato dalla
diversità ravvisabile fra l'uno e gli altri: questi caratterizzati dal
collegamento del trattamento all'entità dei contributi versati; quello, invece
distinto dal fine, di interesse generale, di
assicurare ad ogni cittadino bisognoso (per età, invalidità ecc...) i mezzi
necessari per il godimento effettivo dei suoi diritti civili e politici e
perciò necessariamente fondato sul già cennato
principio di solidarietà e necessitante del rilevante apporto finanziario dello
Stato.
In esso, la previsione di un limite massimo di
retribuzione pensionabile é direttamente correlabile, alla stregua di tali
finalità, con quella concernente l'erogazione di un trattamento minimo, in un
contesto di equilibri indispensabili per il conseguimento delle finalità
stesse.
E come per la determinazione dell'ammontare minimo si
é ritenuto (sent. n. 263/76) che le relative
valutazioni sono rimesse all'incensurabile discrezionalità del legislatore il
quale, se é tenuto a salvaguardare le esigenze vitali dei cittadini, non può
neanche prescindere dalla considerazione di effettive disponibilìtà
finanziarie; così va ritenuto anche che per la determinazione dell'ammontare
massimo, dovendosi ravvisare nella sola osservanza di questo criterio di
ragionevole equilibrio fra soddisfazione di aspettative degli interessi ed
entità dei mezzi a ciò destinabili, un limite alla suddetta discrezionalità.
Resta invece ininfluente che il massimale risulti più
o meno prossimo all'entità della retribuzione effettiva o che sia salvaguardato
dalla svalutazione monetaria attraverso opportuni meccanismi di indicizzazione:
una volta fatte salve quelle finalità di interesse generale che permeano
l'intero sistema assicurativo generale, la stessa osservanza di un criterio di
progressivo miglioramento dei trattamenti appartiene alla sfera delle
valutazioni discrezionali del legislatore che mostra, peraltro, di non esservi
insensibile, come é reso palese dalle pur recenti disposizioni in tema di
aumento e di perequazione automatica del massimale.
3.3 - Considerazioni non dissimili svolge anche
l'I.N.P.S., nei suoi atti difensivi, per sostenere
l'infondatezza della questione.
A tal fine, si fa, in particolare, osservare che anche
Con più specifico riguardo al problema del congelamento del così detto
"tetto pensionabile" - sollevato, invece, anche dalla Corte di
cassazione - si sottolinea, poi, il rilievo da
attribuire all'introduzione, con l'art. 10 della legge n. 160/ 75, del
meccanismo perequativo automatico differenziato: questo risulta più favorevole
proprio per le pensioni di importo superiore ai trattamenti minimi per le quali
é stato previsto un doppio incremento (in misura percentuale ed in misura
fissa) tale da garantire non solo la costante adeguatezza ai bisogni essenziali
della vita ma anche un più stretto nesso di relazione e proporzionalità con la
retribuzione e la contribuzione da cui quei trattamenti derivano, pur nel
contemperamento di tale esigenza con l'obiettivo primario del finanziamento
delle gestioni previdenziali mediante un sacrificio parziale delle categorie di
pensionati a reddito retributivo più elevato. A questo mezzo di
adeguamento delle pensioni di importo più elevato non può, dunque, non
riconoscersi anche la funzione di un coerente strumento di raccordo fra la
normativa contenente la determinazione fissa del massimale e quella che, al
fine di un progressivo miglioramento dei trattamenti, ha dapprima previsto
l'aumento del massimale stesso e poi la sua indicizzazione, posto che, medio tempore, anche ai percettori di retribuzioni più elevate si
é consentito di conservare, nei limiti della compatibilità generale, lo stesso
tenore di vita.
Più in generale, si osserva che la previsione di un massimale di
retribuzione pensionabile ha anche la necessaria funzione di evitare che sul
sistema previdenziale generale - per vasta parte legato al pubblico
finanziamento - si ripercuotano gli effetti distorti di discriminazioni
retributive, non sempre giustificabili, fra i vari settori della vita
lavorativa; la rimozione del massimale determinerebbe conseguenze ingiustamente
espropriative per la generalità dei lavoratori
poiché, essendo dimostrato che, quando nell'ambito di una medesima gestione
previdenziale coesistono fasce di trattamento di importo
molto differenziato, le pensioni più elevate assorbono per il proprio
finanziamento una quota di contribuzione proporzionalmente più elevata, si
verificherebbe un fenomeno di mutualità alla rovescia, in cui i lavoratori con
retribuzione mediobassa finanziano i trattamenti
pensionistici dei lavoratori con remunerazioni più elevate.
Si ribadisce che, in un sistema composito a
finanziamento significativamente pubblico, il contributo assicurativo del
singolo non soddisfa esclusivamente un interesse personale del soggetto
lavoratore e che la possibilità di assicurare a quest'ultimo, dopo il
pensionamento, un livello di vita pari a quello garantitogli dal reddito di
lavoro costituisce soltanto un traguardo ottimale di cui i tempi ed i modi sono
lasciati alla discrezionale valutazione del legislatore (Corte Cost. nn. 26/80; 146 e 213/72; 119/81 ecc.).
Nell'imminenza dell'udienza sono state presentate memorie.
Le parti private dei giudizi di cui alle ordinanze dei Pretori di Palermo
e di Milano hanno rilevato che la perequazione automatica delle pensioni non ha
eliminato la disparità di trattamento derivante, per i pensionati assicurati
secondo il regime ordinario, dalla mancata previsione dei meccanismi di indicizzazione del massimale di retribuzione pensionabile
e che detta disparità é stata aggravata dalla norma che ha aumentato il
massimale con effetto dall'1 gennaio 1981 discriminando così i pensionati che
hanno avuto la pensione con decorrenza anteriore; hanno ribadito che sussiste
disparità tra essi, dirigenti di aziende commerciali, ed i dirigenti di aziende
industriali, i liberi professionisti, gli avvocati, i procuratori, gli
ingegneri e gli architetti, nonché i pubblici dipendenti e gli iscritti alle
gestioni speciali dell'I.N.P.S.; ed, inoltre, che
essi hanno subìto la maggiore falcidia del massimale
avendo retribuzioni più elevate di quelle degli altri lavoratori il cui
sacrificio ha trovato compenso nella stabilità di cui essi godevano, a
differenza dei deducenti. Hanno insistito sulla opportunità di un ricorso allo strumento tributario
anziché al principio solidaristico, mentre affermano
che, per l'adeguamento della pensione alle esigenze di vita ai sensi dell'art.
38 Cost., si deve tener conto anche della condizione sociale ed economica
conseguita durante la vita lavorativa.
Ed, infine, hanno sottolineato che la rilevanza,
ai fini della determinazione della pensione, dei trattamenti retributivi
raggiunti durante il rapporto di lavoro, é stata già riconosciuta da questa
Corte con sentenza n. 302/83.
La difesa delle parti private dei giudizi promossi dai Pretori di
Voghera, di Modena e dal Tribunale di Pescara ha ribadito
che sussiste disparità di trattamento con i pensionati assicurati con regimi
speciali; che la discrezionalità del legislatore in materia previdenziale non
può essere esercitata in maniera che risulti impedita la realizzazione dei
mezzi adeguati di cui all'art. 38 Cost.; il che avviene con la censurata
disciplina del massimale di retribuzione pensionabile; che é mancata la previsione
di meccanismi di indicizzazione del massimale pensionabile.
La difesa degli assicurati Ciattoni e Pelli,
parti private del giudizio promosso dal Tribunale di Pescara, ha insistito
sulla loro situazione di maggiori sacrificati quali dirigenti di aziende commerciali; sull'appiattimento operato nei loro
confronti, simile ad una imposizione fiscale; sulla mancanza di adeguati
meccanismi di indicizzazione del massimale e sulla omessa considerazione
dell'intera retribuzione nella fase di determinazione della base pensionabile
(richiamo alla sent. n. 302/83).
L'I.N.P.S., dopo avere
richiamato la peculiarità del rapporto assicurativo previdenziale delle
gestioni speciali (peculiari posizioni giuridiche del rapporto di lavoro,
entità dei contributi, autofinanziamento delle gestioni stesse in una visione
di mutualità di gruppo 0 categoriale - sentt. nn. 144/84; 28/ 84;
44/85), ha rilevato che il regime assicurativo generale non é fondato su un
sistema di capitalizzazione pura (proporzionalità tra contribuzione e trattamento)
ma corretto per esigenze di solidarietà generale; che tra queste correzioni vi
é l'operatività del Fondo sociale a totale carico dello Stato in base al quale
lo Stato eroga a suo carico le prime 12.000 lire di pensione per 13 mensilità,
poi si aggiungono i trattamenti minimi e le relative integrazioni dovute in presenza di contribuzioni minime e l'accreditamento di
contribuzioni figurative; che in questi vantaggi si rinvengono le
giustificazioni della fissazione di un tetto retributivo utile a pensione e la
destinazione della contribuzione in eccedenza a sopperire alle necessità del
funzionamento globale del sistema; che trattasi di conseguenze della inapplicazione delle logiche privatistiche
e della necessità di assicurare finalità generali che trascendono gli interessi
dei singoli (sent. n. 19/86).
Ha ribadito che il congelamento del tetto
pensionabile dal maggio 1968 al dicembre 1980 é dovuto a necessità finanziarie
generali della collettività nazionale in quanto nello stesso periodo sono stati
introdotti miglioramenti delle pensioni elevate dal 65 al 74% e poi all'80%; ai
nuovi più favorevoli criteri di determinazione della pensione; all'introduzione
della perequazione automatica; all'aumento delle pensioni contributive;
all'aumento dei trattamenti minimi. Onde la necessità finanziaria del concorso
delle categorie di pensionati del regime generale economicamente più dotate in
uno spirito solidaristico, non escludendosi, però,
una successiva possibilità, nel quadro delle
compatibilità generali, del progressivo aumento anche del massimale di
retribuzione pensionabile (leggi nn. 155/81; 297/82; 140/85).
Considerato in diritto
1. - Le questioni proposte con le dodici ordinanze in esame possono
essere decise con un'unica sentenza perché strettamente connesse.
2. - Il Pretore di Palermo (R.O. n. 431/79)
dubita della legittimità costituzionale dell'art. 27, legge 3 giugno 1975 n. 160
nella parte in cui prevede limiti di retribuzione pensionabile.
Ha premesso che, a suo parere, era manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale per violazione:
a) dell'art. 36 Cost., in quanto nessuna norma
costituzionale garantisce la proporzionalità tra la pensione di vecchiaia e la
retribuzione precedente e perché ai trattamenti previdenziali non possono
estendersi i princìpi portati dall'art. 36 Cost. i
quali, invece, sono validi per l'indennità e per i trattamenti di quiescenza,
siccome forme di retribuzione differita;
b) dell'art. 38 Cost. in quanto, nel corso del tempo, il limite massimo
della pensione si collega alla dinamica salariale;
c) dell'art. 53 Cost. in quanto i contributi non utilizzati ai fini della
liquidazione della pensione concorrono ad alimentare il sistema complessivo
delle assicurazioni gestite dall'I.N.P.S. secondo un criterio di mutualità
conforme al detto articolo;
d) dell'art. 3 Cost. per il profilo della disparità di trattamento tra
lavoratori a seconda che percepiscano retribuzioni inferiori o superiori al
limite stabilito dalla norma denunciata, perché la differenza di regime é
giustificata dalla diversità delle condizioni economiche degli uni e degli
altri; tra lavoratori che godono da tempo della pensione di vecchiaia e
lavoratori che iniziano a percepirla da oggi in un ammontare base inferiore
all'importo raggiunto dai primi per effetto del collegamento con la dinamica salariale in quanto tale situazione equivale ad un
progressivo abbassamento del limite massimo di retribuzione pensionabile
disposto dal legislatore con la salvezza dei diritti quesiti secondo un
apprezzamento politico costituzionalmente legittimo perché non risulta violato
il limite massimo dell'adeguatezza della pensione alle esigenze di vita del
lavoratore.
Ha, invece, ritenuto la non manifesta infondatezza per la violazione
dell'art. 3 Cost. perché risulterebbe sancita una
disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti, per i quali vige il
suddetto limite, ed altre categorie di lavoratori dipendenti da privati o da
enti pubblici economici (per es. gli addetti ai pubblici servizi di telefonia
in concessione, dipendenti E.N.E.L. e di altre aziende elettriche in genere)
per i quali non é previsto alcun tetto pensionabile.
3. - I Pretori di Milano (R.O. nn. 569/79 e 188/82), di Voghera (R.O.
n. 724/80), il Tribunale di Pescara (R.O. n. 557/83)
censurano, oltre l'art. 27, terzo comma, della detta legge n. 160 del 1975,
anche l'art. 14, sesto comma, legge n. 153/69 e l'art. 5 del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488 e la tabella A allegata al r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 e successive
modificazioni.
I Pretori di Milano (R.O. n. 187/82), di
Brescia (R.O. n. 317/80), di Torino (R.O. n. 819/84) impugnano, oltre le suddette norme, anche
la tabella B allegata al r.d.l. n. 636 del
5. - Il Pretore di Cagliari, trattandosi nel giudizio a quo di pensione
successiva all'1 gennaio
6. - Tutti i giudici a quo hanno rilevato la violazione dell'art. 3 Cost.
per l'irrazionale disparità di trattamento effettuata solo per diverse
condizioni personali o sociali all'interno della stessa categoria di
pensionati, soggetti al regime dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché tra questi ultimi e gli iscritti ai fondi speciali
I.N.P.S. ed i dipendenti pubblici per i quali non vige alcun massimale di
retribuzione pensionabile.
Hanno inoltre rilevato, con la sola eccezione del Pretore di Palermo, la
violazione:
a) dell'art. 36 Cost. in quanto, sussistendo il diritto del lavoratore ad
un equo trattamento da intendersi in senso ampio ed essendo la pensione
configurabile come retribuzione differita, risulta
compromesso il rapporto di proporzionalità con la quantità e qualità del lavoro
prestato;
b) dell'art. 38, secondo comma, Cost. in quanto
il diritto del lavoratore alla garanzia dei mezzi adeguati alle esigenze di
vita per il caso di vecchiaia risulta avulso dalla considerazione del livello
retributivo conseguito nel corso dell'attività lavorativa;
c) dell'art. 53 Cost. in quanto la non utilizzazione,
a favore del pensionato, dei contributi da lui versati sulle quote di
retribuzione eccedenti il massimale pensionabile si risolve in un prelievo
fiscale senza che sia assicurata alcuna proporzionalità tra il medesimo e la
capacità contributiva degli interessati.
7.1. - Il Pretore di Modena (R.O. n. 882/82) ha impugnato l'art. 5 del d.P.R.
27 aprile 1968 n. 488; l'art. 14, quinto comma, legge 30 aprile 1969 n. 153 nel
testo sostituito con l'art. 26 della legge 3 giugno 1975 n. 160; l'art. 27,
commi terzo e quarto, della stessa legge 3 giugno 1975 n. 160, norme tutte che
fissano limiti alla retribuzione pensionabile.
Ha aggiunto che la stessa Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 27
della legge 11 marzo 1953 n. 87, potrebbe dichiarare di ufficio
la illegittimità costituzionale dell'art. 14, sesto comma, legge 30 aprile 1969
n. 153 nel testo originario, che, fino all'entrata in vigore della legge n. 160
del
Ha prospettato la violazione:
a) dell'art. 3 Cost. per la disparità di trattamento che si verifica in ogni caso per la maggiore o minore lucratività del lavoro subordinato prestato e, quindi, per
condizioni personali e sociali, tra gli iscritti all'assicurazione generale
obbligatoria rispetto agli iscritti ai fondi speciali di previdenza ed ai
pubblici dipendenti per i quali non vige alcun tetto pensionabile; tra gli
iscritti all'assicurazione generale obbligatoria che hanno una pensione
commisurata alla massima retribuzione media triennale percepita in misura pari
o inferiore al limite ed altri iscritti che subiscono l'esclusione di una parte
della retribuzione dal calcolo del trattamento pensionistico che ad essi
compete;
b) dell'art. 36 Cost. in quanto la pensionabilità
di una parte soltanto della retribuzione fa venir meno il rapporto
proporzionale con la quantità e qualità del lavoro prestato che, invece,
dovrebbe mantenersi trattandosi di retribuzione differita (Corte Cost., sentt. nn.
24/75 e 176/75);
c) dell'art. 38, secondo comma, Cost. in quanto non risultano
tutelate le esigenze di vita del pensionato le quali ineriscono alla posizione
sociale ed economica che ciascuno ha raggiunto con il proprio lavoro, onde la
necessità che la pensione sia rapportata all'intero ammontare dei contributi
versati ed a tutta la retribuzione raggiunta affinché sia mantenuto un tenore
di vita adeguato a quello raggiunto nel periodo di attività lavorativa;
d) dell'art. 53 Cost. perché l'adempimento dei doveri di solidarietà
sociale deve avvenire mediante il prelievo fiscale proporzionato alla capacità
contributiva, mentre il lavoratore per il quale non vengono
conteggiati tutti i contributi versati é costretto a subìre,
oltre al pagamento delle imposte sui redditi di lavoro, un prelievo fiscale
aggiuntivo eccedente quello giustificato dal collegamento dell'imposizione
tributaria con la capacità contributiva del soggetto; la discrezionalità del
legislatore non può giustificare la violazione del principio costituzionale; il
principio mutualistico e la solidarietà a favore dei lavoratori meno meritevoli
o meno fortunati devono trovare attuazione mediante la fissazione del cd.
minimale contributivo via via aggiornato e la
determinazione anche progressiva dei contributi dovuti dalla generalità degli
assicurati e non invece gravare solo su una parte di essi mediante la
inutilizzazione dei contributi versati e la privazione della pensione ad essi
corrispondente.
7.2 - Lo stesso Pretore, in via subordinata al mancato riconoscimento
della fondatezza della suddetta questione, ha ritenuto di dover sollevare di ufficio la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 19 legge n. 153/69 per il mancato adeguamento automatico dell'importo
massimo di retribuzione pensionabile da prendersi a base dell'ammontare
iniziale delle pensioni il quale ha comportato un grave pregiudizio per i
redditi di lavoro più elevati che hanno subìto la
perdita del rilievo della remunerazione da essi conseguita nonostante il
versamento dei contributi.
Ha rilevato che il conseguente appiattimento verso il basso dei
trattamenti pensionistici, ha comportato la mortificazione della
professionalità dei lavoratori più capaci e qualificati; che, invece, un
meccanismo di adeguamento automatico della
retribuzione massima pensionabile al minore valore della moneta, come quello
adottato nel 1969 per le pensioni, avrebbe mantenuto l'uguaglianza tra i
lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria; che la situazione
non é stata sanata dall'art. 3, tredicesimo comma, della legge n. 297 del 1982
perché esso ha disposto, solo a partire dall'1 gennaio
8. - Il Pretore di Udine (R.O.
n. 1375/84) ha censurato l'art. 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155 nella
parte in cui non prevede l'adeguamento alla svalutazione monetaria per l'anno
1982 del massimale di retribuzione pensionabile fissato in lire 18.500.000 per
violazione:
a) dell'art. 3 Cost. in quanto risultano
accomunati in un medesimo trattamento pensionati con posizioni diversificate
per l'intervenuta diminuzione del potere di acquisto della moneta;
b) dell'art. 38 Cost. in quanto siffatta diminuzione altera il rapporto
pensione/retribuzione originariamente concepito come idoneo a salvaguardare
esigenze utili del pensionato.
Ha impugnato poi l'art. 3, tredicesimo comma, della legge 29 maggio 1982
n. 297 nella parte in cui limita al periodo successivo all'1 gennaio
a) dell'art. 38 Cost. in quanto la diminuzione altera il rapporto
retribuzione/pensione originariamente concepito come idoneo a salvaguardare le
esigenze del pensionato;
b) dell'art. 3 Cost. in quanto la mancata previsione dell'adeguamento
discrimina, ai fini pensionistici, fra lavoratori che possono vantare identici
livelli retributivi rispetto ai quali non opera egualmente la decurtazione
conseguente all'applicazione del massimale.
9. -
Ha premesso che non esiste un principio costituzionale che imponga di
garantire il pensionamento dell'intera retribuzione al legislatore ordinario il quale, invece, é libero di fissare il rapporto tra
pensione e retribuzione purché la pensione sia adeguata alle esigenze di vita
dell'assicurato; che non può essere effettuato alcun raffronto tra pensionati
secondo il regime ordinario e pensionati secondo regimi speciali; che la
mancanza dei benefici derivanti dai contributi afferenti alla parte di
retribuzione non pensionabile non implica violazione dell'art. 53 Cost. ma
trova giustificazione nel principio di solidarietà.
Ha ritenuto, invece, che la mancata considerazione da parte della norma
censurata, ai fini pensionistici, delle quote di retribuzione eccedenti il
massimale contrasta con gli artt. 3 e 38 Cost. in
quanto la mancata previsione di un meccanismo di indicizzazione
del detto massimale ed il progressivo allontanamento dai presupposti di fatto
sui quali si fondava la valutazione di congruità effettuata dalla tabella
allegata al d.P.R. n. 488 del 1968, per effetto della
svalutazione monetaria ha causato, per vaste categorie di pensionati,
l'annullamento del valore della correlazione, esistente all'epoca del
pensionamento, tra retribuzione e pensione; l'appiattimento dei trattamenti
pensionistici nel rapporto tra massimi e minimi; l'accorpamento ad un unico
livello di fasce retributive e di anzianità
contributive profondamente diverse con correlativa disparità di trattamento fra
pensionati secondo la data di decorrenza della pensione.
10. - Le questioni sollevate non sono fondate; anzitutto quelle sub 1,
2,3,4,5,7.1, per le quali il dubbio di illegittimità
costituzionale ha per oggetto le norme che hanno fissato, direttamente o
indirettamente, il massimale retributivo pensionabile (il cd. "tetto
pensionabile"), in riferimento alla penultima
classe della tabella in vigore all'atto del pensionamento con un aumento del 5%
(art. 5 d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488; art. 14 legge
30 aprile 1969 n. 153 e artt. 26 e 27 legge 3 giugno
1975 n. 160, che pure ha corretto il meccanismo di determinazione della
retribuzione con utilizzazione della media aritmetica delle retribuzioni
corrispondenti a tre gruppi che hanno fornito le retribuzioni più elevate).
Non sussiste la denunciata disparità di trattamento della categoria cui appartengono i ricorrenti (ex dirigenti di aziende di
commercio), cioé dei pensionati già dipendenti da
imprenditori privati, soggetti al regime generale ordinario di assicurazione e
previdenza, né rispetto ai dipendenti di enti pubblici economici o dello Stato,
per i quali non vi é limite all'ammontare della retribuzione pensionabile né
rispetto ad appartenenti ad altre categorie di lavoratori subordinati
dipendenti per cui vigono gestioni speciali o fondi speciali.
All'uopo si é precisato che i dirigenti di aziende
industriali hanno tetti più ragionevoli (lire 17.641.000 per il 1974; lire
21.677.000 per il 1978; lire 29.900.000 per il 1981), riferentisi
insieme alla retribuzione pensionabile ed alla retribuzione imponibile (art. 2,
lett. a, legge n. 914/53 e successive modificazioni); che sussiste un tetto
pensionabile più elevato per gli avvocati ed i procuratori (artt. 2 e 10 legge n. 576 del 1980); per i dottori commercialisti (artt.
2 e 10 legge n. 21 del 1986) con parallela riduzione delle aliquote
contributive pensionistiche; che per i dipendenti statali, parastatali, di enti locali, per gli appartenenti a gestioni speciali,
non é previsto un tetto pensionabile, mentre altre categorie godono anche di
stabilità d'impiego.
Ora, per quanto riguarda gli impiegati dello Stato, pur sussistendo la
tendenza ad una parificazione del loro rapporto di impiego
o di lavoro con quello privato, permangono tuttora aspetti di differenziazione
che giustificano la diversità dei rispettivi regimi previdenziali.
Il rapporto di lavoro delle altre categorie ha anch'esso peculiarità che giustificano le particolarità previdenziali, per es. per
l'entità delle contribuzioni, per l'autofinanziamento delle rispettive gestioni
in una visione di mutualità di gruppo o categoriale
(Corte Cost., sentt. nn. 28 e 144 del 1984; ord. n. 44/85).
Una spiccata diversità sussiste tra i regimi speciali ed il regime
ordinario generale, essendo gli uni collegati all'entità dei contributi versati
e l'altro contraddistinto dal criterio della solidarietà sociale e dall'apporto
finanziario dello Stato, dalla cumulabilità della
pensione con la retribuzione, dalla riliquidazione
della pensione in forma retributiva, dalla concessione di supplementi per
l'attività prestata successivamente al pensionamento,
dall'esistenza di pensioni minime, delle pensioni sociali, delle pensioni di
invalidità, dalla differenziazione di contribuzioni derivante dalla diversità
dei rapporti (lavoratori subordinati di varie categorie: commercio, industria,
agricoltura, lavoratori autonomi, commercianti, artigiani ecc.).
Per quanto allo stato sussiste la tendenza ad attuare una
omogeneizzazione del regime previdenziale ed una parificazione delle
categorie, la realizzazione definitiva e completa di essa é affidata alla
discrezionalità del legislatore trattandosi di scelte di politica sociale ed
economica.
La differenziazione dei trattamenti trova, ora, un'adeguata e non
irrazionale giustificazione specie nella diversità delle masse retributive e
contributive e nei ragionevoli motivi oggettivi e soggettivi innanzi
indicati.
Sulla dedotta violazione degli articoli 36 e 38 Cost. conseguente alla
mancanza di proporzione con la qualità e quantità di lavoro, da richiedersi
anche per la pensione in quanto retribuzione differita, ed alla mancata
assicurazione della tutela delle esigenze di vita dei pensionati, attesa la non
rispondenza della pensione alla retribuzione ed al tenore di vita conseguito durante
l'attività lavorativa, questa Corte ribadisce (sentt. nn. 26/80 e 349/85) che
dai suddetti articoli deriva una particolare protezione del lavoratore nel
senso che il suo trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione
percepita in costanza del rapporto di lavoro, del quale lo stato di
pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali, deve essere
proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e deve, in ogni caso,
assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di
vita per una esistenza libera e dignitosa; che la
proporzionalità e l'adeguatezza devono sussistere non solo al momento del
collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurati anche nel prosieguo, in
relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta.
L'attuazione dei surrichiamati principi non
comporta, però, la necessaria ed integrale coincidenza tra la pensione e
l'ultima retribuzione, né un costante adeguamento al mutevole potere di acquisto della moneta, specie per effetto della
svalutazione monetaria, ma sussiste una sfera di discrezionalità riservata al
legislatore per l'attuazione graduale dei detti precetti.
Per quanto riguarda più specificamente l'art. 38
Cost., questa Corte ha già ritenuto che detta norma assorbe, per alcuni
profili, sia l'art. 35 Cost. che l'art. 36 Cost., che esprimono un criterio
generale di adeguatezza e di sufficienza della retribuzione in genere (Corte
Cost., sent. n. 213 del 1972).
Tanto premesso, va affermato anzitutto che le esigenze di vita che il
costituente ha inteso assicurare non devono essere identificate esclusivamente
con riferimento a singoli casi concreti, cioé secondo
criteri soggettivi e contingenti ma secondo valutazioni
generali ed oggettive.
Va ribadito, poi, che mezzi adeguati alle
esigenze di vita da assicurare non sono solo quelli che soddisfano i bisogni
elementari e vitali ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze
relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al
reddito ed alla posizione sociale raggiunta in seno alla categoria di
appartenenza per effetto dell'attività lavorativa svolta, con conseguente
possibile determinazione di prestazioni previdenziali quantitativamente
diversificate.
Ma anche la valutazione delle dette esigenze e la predisposizione dei
mezzi idonei sono affidate alla discrezionalità del legislatore cui compete la
scelta relativa al tempo ed alle modalità di
attuazione.
All'uopo il legislatore ha considerato la massa contributiva del reddito
fruito ed accumulato durante la vita lavorativa, assoggettato a contribuzione,
e la massa retributiva, le effettive disponibilità finanziarie delle diverse
gestioni e le esigenze del graduale sviluppo del sistema previdenziale anche
nell'interesse delle categorie meno ricche e meno fortunate e pur bisognevoli
di tutela adeguata ed, infine, le coperture del bilancio statale sul quale ha
fatto ricadere l'onere di integrare e ripianare il deficit degli enti
previdenziali.
Sicché può ritenersi che il legislatore, entro i confini della
ragionevolezza, ha il potere di fissare discrezionalmente le misure ed i limiti
anche in maniera differenziata per le diverse
categorie rapportandoli al concreto momento storico ed economico; di
determinare in concreto l'ammontare delle prestazioni e la variazione delle
stesse sulla base di un contemperamento delle esigenze di tutti i lavoratori,
che ne sono i beneficiari, e delle disponibilità finanziarie.
Sulla denunciata violazione dell'art. 53 Cost. per la riscontrata
mancanza di utilizzazione, ai fini pensionistici,
della parte di contribuzione eccedente il limite pensionabile, questa Corte,
nel ritenere infondata la questione, rileva anzitutto la non pertinenza del
richiamo a detto precetto costituzionale in quanto, come più volte affermato
(da ultimo sent.
n. 349 del 1985), quella contributiva
previdenziale non é una imposizione tributaria vera e propria, di carattere
generale, ma una prestazione patrimoniale diretta a contribuire esclusivamente
agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori.
Al prelievo in materia previdenziale (contributi) corrisponde un rapporto
che si riconduce alla logica assicurativa, in cui, a fronte delle prestazioni
effettuate, esistono controprestazioni.
Inoltre, il detto prelievo é anche giustificato dal
principio generale secondo cui il costo di un fattore della produzione deve
essere posto a carico del settore produttivo in cui opera per evidenti ragioni
di corretto funzionamento di mercato (cfr. sent. n. 23/68).
Rileva, poi,
Si sa che il primo é caratterizzato dalla divisione del rischio tra coloro che sono ad esso esposti e dalla conseguente riferibilità ad essi dei fini e degli oneri previdenziali
conseguenti alla stessa divisione, nonché dalla proporzionalità tra contributi
e prestazioni previdenziali private.
L'altro sistema, che, peraltro, fa perno sugli artt. 2 e 38 Cost., invece, é caratterizzato dalla riferibilità
dei fini e degli oneri previdenziali ai princìpi
della solidarietà secondo il modello della sicurezza sociale, sia pure operanti
all'interno di ciascuna categoria di lavoratori, nonché dalla irrilevanza della
proporzione tra contributi e prestazioni.
Le prestazioni sono considerate lo strumento per l'attuazione dei fini della
previdenza in rapporto allo stato di bisogno ed alle
esigenze di vita dell'assicurato nel senso innanzi specificato.
I contributi sono i mezzi finanziari della previdenza sociale e sono
prelevati in parte dai datori di lavoro e dagli stessi lavoratori delle diverse
categorie appunto per assicurare a tutti le prestazioni.
Il sistema, informato - si ribadisce - al
modello della sicurezza sociale ed ai princìpi della
solidarietà operanti nei confronti dei membri della collettività (sentt. nn. 132 e 133 del 1984),
abbraccia tutte le manifestazioni della mutualità ed attua un principio di
collaborazione per l'apprestamento dei mezzi di
prevenzione e di difesa contro i rischi protetti (dell'invalidità, della
vecchiaia, degli infortuni).
Il contributo non va a vantaggio del singolo che lo versa, ma di tutti i
lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicché i
lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni
a favore delle categorie con redditi più bassi (sent. n. 146/72).
Risulta superata la concezione più tradizionale
della tutela previdenziale secondo la quale la pensione é il mero corrispettivo
dei contributi versati dal lavoratore o per il lavoratore, sicché questi
avrebbe sempre il diritto di percepirla nella misura corrispondente ai
contributi versati.
L'adempimento dell'obbligo contributivo corrisponde alla soddisfazione di
un interesse diverso e superiore a quello egoistico del singolo soggetto
protetto e la realizzazione della tutela previdenziale
corrisponde al perseguimento dell'interesse pubblico e, cioé,
di tutta la collettività.
Tuttavia rimane innegabile che, per quanto i contributi servano per finalità che trascendono gli interessi di coloro
che li versano ed abbiano carattere generale, essi danno sempre vita al diritto
del lavoratore di conseguire le corrispondenti prestazioni previdenziali il che
vuole significare che il legislatore, in ogni caso, non può violare il
principio di proporzionalità che sorregge il sistema pensionistico e non tenere
conto effettivamente delle contribuzioni dei prestatori di opera i quali non
possono essere privati totalmente delle prestazioni.
In altri termini, il detto principio di proporzionalità deve essere
inteso ragionevolmente nel senso, cioé, che il legislatore
non può negare del tutto le prestazioni né ridurle ad
un minimo assoluto ma deve assicurare, in ogni caso, le esigenze di vita del
lavoratore.
Sembra opportuno anche rilevare che la legge 4 aprile 1952 n. 218, la
quale ha commisurato le pensioni alle contribuzioni, ha istituito anche i
trattamenti minimi pensionistici spettanti ai lavoratori a fronte di esigue contribuzioni (artt. 2 e 10),
ed, inoltre, il fondo per l'adeguamento delle pensioni per finanziare le
pensioni minime (d.P.R. n. 488/68, legge n.
153 del 30 aprile 1969) con contributi sui salari; quest'ultimo poi é stato
soppresso e si é istituito il fondo sociale (art. 2 legge 21 luglio 1965 n.
903) alimentato dai contributi dei lavoratori e poi dall'1
gennaio 1976 (art. 31 legge n. 160/75) a totale carico dello Stato con pensione
base a favore di tutti i lavoratori.
Né va trascurato di sottolineare che accanto ai
trattamenti minimi via via integrati, vi sono anche
le pensioni sociali, le pensioni di invalidità, mentre le pensioni di alcune
categorie di lavoratori, specie degli autonomi, hanno di contro solo una minima
contribuzione.
Si sono immessi via via nell'apparato
previdenziale gruppi di lavoratori che non erano in grado di far valere un
congruo numero di anni di contribuzione mentre
concorrevano, a parità di obblighi, nella mutualità obbligatoria e, quindi,
nella solidarietà previdenziale realizzata dai lavoratori che vantavano una
maggior anzianità assicurativa e contributiva, provvedendo in gran parte o in
tutto da soli all'autofinanziamento (legge n. 1047/57 per i coltivatori
diretti; legge n. 463/59 per gli artigiani; legge n. 613/66 per i
commercianti).
Comunque, a parte siffatte sfumature, il sistema
di sicurezza sociale instaurato, non si é curato del solo interesse privato ma
si é posto l'obiettivo di realizzare l'interesse pubblico generale,
storicamente individuato non più alla stregua dell'ammontare delle
contribuzioni versate ma dal rilievo attribuito alle istanze di politica
sociale, quella cioé di garantire una maggiore
giustizia sociale attraverso una più equa ridistribuzione
del reddito all'interno del sistema pensionistico.
Il sistema ha abbandonato la logica chiusa della mutualità corporativa e
la conseguente forma giuridica privatistica della
copertura assicurativa ed ha mirato e mira ad allargare sempre di più l'area
dei soggetti protetti.
Non trova, quindi, piena protezione l'interesse privato alla
conservazione del reddito e del livello retributivo raggiunto in servizio.
Né vale obbiettare che si sarebbe dovuto
separare l'assistenza dalla previdenza e fare ricorso al prelievo fiscale
piuttosto che al sistema parziale del prelievo contributivo a favore, in
genere, della collettività.
Trattasi di scelte di politica sociale ed economica
fatte dal legislatore e non assolutamente arbitrarie.
Il legislatore, fra un sistema di solidarietà fondato esclusivamente
sulla contribuzione offerta dal lavoratore dipendente (lavoratori attivi) ed un
sistema di tipo fiscale alimentato da tutta la collettività dotata di capacità reddituale, ha optato per un
sistema misto o intermedio.
Da una parte ha allargato i confini interni della solidarietà
previdenziale mutualistica, snaturandola in una solidarietà tra settori dotati
di differente e non comparabile capacità contributiva e dall'altro ha effettuato una manovra fiscale disponendo lo sgravio
(fiscale) di una parte dei contributi previdenziali sopportati dalla produzione
(cd. fiscalizzazione degli oneri sociali). Ha anche allargato il sistema di
finanziamento passando al bilancio statale una parte dei costi conseguenti alla erogazione delle prestazioni e alla loro perequazione
automatica attingendo dal prelievo fiscale ottenuto non con una imposta o tassa
ad hoc di natura tipica ma con l'afflusso proveniente dalla imposizione diretta
ed indiretta sulla generalità dei cittadini.
L'integrazione finanziaria del sistema pensionistico é
derivata dall'intervento diretto dello Stato senza che si determinasse un
aumento delle entrate proprie dell'apparato previdenziale.
Il sistema delle assicurazioni generali ordinarie,
però, si é trovato nella necessità di chiedere un più forte aiuto alle
categorie più ricche sforzando ancora di più la solidarietà intersettoriale
mentre la situazione é andata aggravandosi con l'invecchiamento della popolazione
e il mutato rapporto con la popolazione attiva che porta al prolungamento dei
rapporti pensionistici.
D'altra parte si é avuto un aumento delle retribuzioni
per sanare gli effetti dannosi dell'aumento del costo della vita per effetto
della svalutazione monetaria e si é dato un più adeguato compenso della
professionalità.
Di contro, per contenere il fenomeno inflattivo e instaurare un decorso deflattivo,
si é instaurata una politica di contenimento della spesa pubblica e, per
la realizzazione di una maggiore stabilizzazione economica, si é imposto un
risanamento delle gestioni previdenziali per una loro maggiore autogestione.
E questi motivi economici, in definitiva, hanno
suggerito l'imposizione del tetto pensionistico.
In tale situazione rimane sempre oggetto di una scelta di
politica economico - sociale e, quindi, resta affidato alla discrezione
del legislatore il ricorso al prelievo fiscale anziché al prelievo
contributivo. In altri termini, si tratta di stabilire se convenga una più
netta separazione tra assistenza e previdenza con il conseguente inquadramento
nella prima della pensione sociale, dei trattamenti minimi, delle loro
perequazioni ed integrazioni, delle integrazioni pensionistiche a favore di
lavoratori con esigue contribuzioni ed il loro finanziamento a carico dello
Stato con imposizioni fiscali a carico di tutti i cittadini, compresi i
lavoratori, lasciando che la previdenza si autofinanzi
con un impianto contributivo ed un costante apporto retribuzione - pensione; o
se, invece, possa essere preferibile assicurare al lavoratore una pensione
adeguata corrispondente ai contributi versati e rendere, nel
contempo, possibile il ricorso ed altre forme integrative.
Le scelte, comunque, spettano al legislatore, sia
pure con l'auspicio di una sollecita elaborazione di norme adeguate in materia
di proporzione tra contributi, retribuzione e pensione.
11. - Non sono nemmeno fondate le questioni della mancata perequazione ed
indicizzazione del massimale pensionistico o della mancata previsione di altri idonei meccanismi di indicizzazione; del mancato
adeguamento alla svalutazione monetaria per l'anno 1982, del nuovo massimale
pensionabile di cui all'art. 19 legge n. 155/81 e della limitazione, al periodo
successivo all'1 gennaio 1983, della indicizzazione del massimale di
retribuzione pensionabile e dell'ingiustificata esclusione di alcune pensioni;
dell'adeguamento del massimale secondo l'anno di decorrenza con il conseguente
sospetto di illegittimità costituzionale degli artt. 19 legge
n. 153/69; 19 legge n. 155/81; 3, tredicesimo comma, legge n. 297/82; per i
profili di riferimento (artt. 3,36,38 e 53 Cost.
Si sono rilevati l'appiattimento dei trattamenti pensionistici rispetto a
quelli retributivi che ha accomunato situazioni
profondamente diverse tra loro; l'aggravamento della disparità di trattamento
originata dalla predeterminazione di un massimale pensionistico per la non
retroattività delle norme sancenti l'aumento del massimale e la sua
perequazione ed indicizzazione (art. 3 Cost.); la compressione verso il basso
del valore del massimale originariamente concepito come idoneo a salvaguardare
le esigenze vitali di coloro che avevano conseguito determinati livelli
retributivi; la conseguente mortificazione della professionalità dei lavoratori
più capaci da garantirsi, invece, con una più congrua retribuzione sia
immediata che differita (artt. 36 e 38 Cost.); l'aggravamento della disparità
di trattamento tra pensionati aventi identici livelli retributivi decurtati, ai
fini pensionistici, in misura maggiore o minore a seconda
della data di decorrenza della pensione.
Dall'1 gennaio 1969 all'1 gennaio 1976 sono intervenute
variazioni nella percentuale massima di commisurazione della pensione alla
retribuzione del 65% per le pensioni aventi decorrenza successiva al 30 aprile
1968; del 74% per le pensioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1968;
dell'80% per le pensioni liquidate dopo il 31 dicembre 1975 (art. 11, commi
primo e secondo, legge n. 153/69).
Con l'art. 19 legge n. 153/69, sono stati presi in considerazione gli
effetti dell'inflazione disponendo la rivalutazione annuale delle pensioni in relazione all'indice di incremento del costo della vita.
Siccome detto meccanismo si era rivelato
inadeguato, la legge n. 160 del
Per le prime si é disposta la perequazione al
costo della vita sulla base di quanto avveniva per i salari (cd. scala mobile;
aumento in percentuale dell'aumento del costo della vita calcolato dall'lstat ai fini della scala mobile dei lavoratori
dell'industria).
Per le altre é stato previsto un duplice
criterio e cioé: un aumento in quota fissa
commisurato ai punti di contingenza e un aumento percentuale pari alla
differenza tra la percentuale di variazione del costo della vita.
E le relative norme sono state ritenute
costituzionalmente legittime (sentt. n. 349/85 e n. 12/86).
Si é poi introdotto prima la semestralizzazione
della perequazione automatica (legge 29 febbraio 1980 n. 33 di conversione del
d.l. 30 dicembre 1979 n. 663), poi (art. 23 legge 30 marzo 1981 n. 119)
la quadrimestralizzazione della scala mobile e infine
la trimestralizzazione dall'1 gennaio 1983, (art. 3
legge 29 luglio 1982 n. 297) con beneficio delle pensioni superiori al minimo
in base al numero dei punti di contingenza maturati per il periodo precedente
calcolando il valore del punto in lire 1.910.
É stato, però, escluso il ricalcolo
degli aumenti semestrali, quadrimestrali e trimestrali della quota di
perequazione (art. 14 bis, quarto comma, legge n. 33/80; art. 23, quinto comma,
legge n. 119/81; art. 3, quinto comma, legge n. 297/82).
Ai fini dell'aumento non si é tenuto conto dell'anno
precedente la decorrenza della pensione perché lo scopo della legge é stato
quello di integrare il valore delle retribuzioni percepite negli anni più
lontani rispetto a quello di decorrenza della pensione anche perché, in quell'anno,
erano avvenuti aumenti ordinari della retribuzione.
Nella liquidazione delle pensioni si é data rilevanza anche al
coefficiente stabilito nella misura di due punti annuali in
relazione all'anzianità contributiva.
Il legislatore ha operato con gradualità, secondo scelte di politica
sociale ed economica e secondo le necessità economiche
del bilancio.
Ha cercato di evitare tensioni sociali in momenti di grave crisi
economica.
Ha incrementato di più le pensioni sociali e quelle minime; meno quelle
più elevate.
Ha contenuto la diminuzione della redditività delle pensioni in
dimensioni accettabili sia quantitative che temporali
sostituendo a quello vigente sistemi più rispondenti alle esigenze vitali dei
pensionati e, successivamente, ha provveduto a compensare, sia pure in parte,
il mancato incremento patrimoniale verificatosi nei periodi di vigenza delle
norme più restrittive che poi ha modificato, sostituendole, a seconda che si
verificavano miglioramenti della situazione economica (per es. la legge n.
730/83 ha abolito dall'1 gennaio 1984 il sistema del 1975; la legge 15 aprile
1985 n.
Le discipline più restrittive sono durate solo alcuni anni, sicché, anche
per questo carattere contingente e temporaneo, si é portati ad escludere la
fondatezza delle censure (sent. n. 349/85).
La cristallizzazione del tetto pensionabile rientra nelle finalità
sociali perseguite, nel risanamento e ripianamento
delle gestioni previdenziali a rilevante connotazione di solidarietà sociale,
nella visione unitaria di politica economica generale che il legislatore valuta
e gradua nell'esercizio insindacabile della sua discrezionalità; trova
compensazione nei miglioramenti apportati ai trattamenti pensionistici e nella utilizzazione per questi solo delle retribuzioni degli
anni più prossimi al pensionamento e, quindi, più elevate.
Per quanto riguarda più specificamente la
definizione della sfera temporale di applicazione della disciplina dell'aumento
e della indicizzazione del tetto pensionabile, questa Corte ha già ritenuto che
non sussiste sconfinamento dal ragionevole uso della discrezione legislativa
nel senso che i trattamenti esclusi restano, dal canto loro, assoggettati ad un
sistema perequativo meno utile.
La gradualità delle riforme e delle discipline previdenziali, anche
migliorative, giustifica questa diversa decorrenza;
esse non si compiono uno actu e sempre nello stesso
momento; ma esigono la dilazione nel tempo e la progressività temporale.
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi (ordd.
nn. 431/79; 569/79; 317/80; 724/
80; 187/82; 188/82; 604/82; 882/82; 557/83; 819/84; 1375/84; 449/85); dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5,
quarto comma, del d.P.R. 27 aprile 1968 n. 488 e delle
tabelle A e B allegate al r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636
e successive modificazioni; 14, sesto comma, nel testo originario e quinto
comma, nel testo sostituito dall'art. 26 della legge 3 giugno 1975 n. 160 e 19
della legge 30 aprile 1969 n. 153; 27, commi terzo e quarto, della legge 3
giugno 1975 n. 160; 19 della legge 23 aprile 1981 n. 155; 3, tredicesimo comma,
della legge 29 maggio 1982 n. 297, sollevate in riferimento agli artt. 3,36,38 e 53 Cost. dalla Corte di Cassazione, dal Tribunale di
Pescara e dai Pretori di Palermo, Milano, Brescia, Voghera, Torino, Cagliari,
Modena ed Udine, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1986.
Livio PALADIN - Antonio
Depositata in cancelleria il 7 luglio 1986.