Sentenza n.144 del 1984

 

 

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SENTENZA N. 144

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 6, commi primo e secondo, del r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825 (Disposizioni relative al contratto d'impiego privato) e dell'art. 2 d.l.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303 (Conservazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 14 gennaio 1977 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Orsi Basilio c. S.p.A. Italcable, iscritta al n. 259 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 183 dell'anno 1977;

2) ordinanza emessa il 12 aprile 1977 dal Pretore di Genova nel procedimento civile di lavoro vertente tra Gentile Antonino e S.a.s. Archieco, iscritta al n. 265 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 183 dell'anno 1977;

3) ordinanza emessa il 9 novembre 1977 dal Pretore di Caltagirone nel procedimento civile di lavoro vertente tra Balata Giacomo c/S.p.A. Ceramiche di Caltagirone, iscritta al n. 601 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 67 dell'anno 1978;

4) ordinanza emessa il 26 aprile 1979 dal Pretore di Lodi sul ricorso proposto da Mirabelli Cesare c/ Congregazione di Muzza, iscritta al n. 908 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43 dell'anno 1980;

5) ordinanza emessa il 9 maggio 1980 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Felisari Armando c/ S.p.A. Esso Italiana, iscritta al n. 880 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 63 dell'anno 1981.

Visti gli atti di costituzione di Orsi Basilio, della Congregazione di Muzza, di Felisari Armando e della Società Esso nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 febbraio 1984 il Giudice relatore Ettore Gallo;

uditi gli avvocati Luciano Ventura per Orsi ed Enrico Biamonti per Felisari e l'avvocato dello Stato Benedetto Baccari per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Tutte le ordinanze sollevano questioni che si riferiscono al problema concernente la conservazione del posto di lavoro al dipendente chiamato alle armi; vanno, però, tenute distinte le due ordinanze (nn. 265 e 601/77) che investono la legittimità costituzionale dell'art. 2 d. legisl. C.p.S. 13 settembre 1946 n. 303, in quanto pacificamente concernono rapporti di lavoro recenti, sicuramente sorti e disciplinati da norme ordinarie tuttora vigenti, dalle residue tre (nn. 259/77; 908/79 e 880/80) che, riferendosi, invece, a rapporti sorti sotto il precedente ordinamento, hanno impugnato l'art. 6 primo comma r.d.l. 13 novembre 1924 n. 1825, conv. nella l. 18 marzo 1926 n. 562.

In effetti, poi, oltre alla ovvia diversità delle questioni inerenti alle norme impugnate, le tre ultime ordinanze coinvolgono altresì problemi di "efficacia" e di "applicazione" di leggi abrogate.

2. - Il primo gruppo é costituito dall'ord. 12 aprile 1977 del Pretore di Genova (n. 265/77 Reg. ord.) e dall'ord. 9 novembre 1977 del Pretore di Caltagirone (n. 601/77 Reg. ord.).

In ambo i casi il prestatore di lavoro era stato licenziato (l'uno nell'agosto 1975, l'altro nel maggio 1977) all'atto della chiamata alle armi per il servizio di leva; e ciò in quanto, pur appartenendo essi a classi dal 1924 in poi - come prescrive la norma impugnata - non avevano ancora superato il minimo di tre mesi di servizio, pure prescritto dal Decreto come condizione per il godimento del beneficio.

Le due ordinanze ravvisano contrasto di siffatta limitazione con il disposto degli artt. 52 e 3 Cost.. Quanto al primo, perché il chiaro precetto costituzionale non sembra ammettere deroghe di sorta al principio secondo cui il servizio militare "non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino". Quanto al secondo, perché una durata del servizio inferiore a tre mesi non é situazione tale da giustificare così grave disparità di trattamento.

In ambo i giudizi ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato.

Secondo l'Avvocatura, l'art. 52 dev'essere interpretato in modo da estendere il richiamo alla legge ordinaria anche per ogni altro effetto della prestazione del servizio militare, oltre ai limiti e ai modi della sua prestazione. Ben può, perciò, il legislatore disciplinare anche il "non - pregiudizio" alla posizione di lavoro del cittadino, attraverso scelte discrezionali variabili nel tempo.

Quanto poi al preteso contrasto coll'art. 3 Cost., obiettava l'Avvocatura che l'avere fissato in un tempo superiore ad almeno tre mesi di servizio il periodo minimo per conseguire il diritto alla conservazione del posto, rappresenta una scelta attentamente ponderata tra più alternative astrattamente configurabili: e si tratterebbe di scelta che, in definitiva, andrebbe a tutto vantaggio del lavoratore. D'altra parte, nessuna anzianità oppure tre mesi di anzianità non rappresentano un'identica posizione nell'azienda in fatto di esperienze vissute, ed é quindi giustificata la diversità di trattamento.

3. - Del secondo gruppo fanno parte le due ordinanze 14 gennaio 1977 (n. 259/77 Reg. ord.) e 9 maggio 1980 (n. 880/80 Reg. ord), ambo della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione nonché l'ord. 26 aprile 1979 del Pretore di Lodi, in funzione di Giudice del lavoro (n. 908/79 Reg. ord.).

Per la sostanziale identità delle motivazioni, le questioni sollevate dalle due ordinanze della Suprema Corte possono essere esaminate congiuntamente.

In ambo i casi, come del resto si é già accennato, si tratta di rapporti di lavoro sorti sotto il precedente ordinamento. Nel caso della prima ordinanza, il lavoratore, tale Basilio Orsi, era stato assunto il 1 ottobre 1926 e licenziato il 28 aprile 1927, al momento della chiamata alle armi per il servizio di leva: era stato, poi, riassunto dalla stessa Ditta (Italcable S.p.A.) al termine del servizio il 5 dicembre 1927 e vi era rimasto al lavoro fino alla quiescenza, raggiunta il 31 gennaio 1967. Nell'altro caso, il lavoratore, Armando Felisari, assunto il 13 novembre 1931, era stato licenziato 1'11 maggio 1937 per chiamata alle armi: ma poi la stessa Ditta (Esso Italiana S.p.A., che aveva frattanto assorbito precedenti Aziende) lo aveva riassunto al termine del servizio militare il 22 settembre 1938 mantenendolo fino alla definitiva cessazione del rapporto il 15 febbraio 1973.

Entrambi hanno incontrato la resistenza dei rispettivi datori di lavoro alla loro pretesa di ricevere l'indennità di fine rapporto commisurata agli anni di lavoro prestati fin dal momento della prima assunzione. Essi sostenevano, infatti, che non si dovesse tenere alcun conto del fatto che si era verificato un licenziamento in occasione della loro chiamata alle armi, in quanto la disposizione di legge che in allora lo aveva legittimato

(art. 6, primo comma, d.l. n. 1825 del 1924) era stata travolta dapprima dal d. legisl. C.p.S. 13 settembre 1946 n. 303 e poscia comunque sicuramente dall'art. 52, secondo comma, Cost..

Le ordinanze della Corte di Cassazione ritenevano rilevante e non infondata la questione di legittimità costituzionale del d.l. 1825/1924 art. 6, primo comma, con riferimento all'art. 52, secondo comma, Cost., tenendo anche conto della sent. n. 8/1963 di questa Corte che aveva chiarito doversi ritenere incluso nel concetto di "posizione di lavoro" anche il diritto all'indennità di anzianità. Secondo le dette ordinanze, pur dovendosi riconoscere perfettamente legittimo il licenziamento avvenuto in allora a causa della chiamata alle armi, l'operatività dell'art. 6, primo comma, del d.l. impugnato non si sarebbe, però, esaurita colla conclusione di quel primo rapporto. Dato, infatti, che il diritto all'indennità di anzianità si perfeziona soltanto al momento della definitiva estinzione del rapporto di lavoro subordinato, i due lavoratori non potevano esercitare, se non appunto in questo momento, la loro pretesa che, in forza del citato disposto costituzionale, i datori di lavoro avessero a corrispondere l'indennità in relazione ad un unico rapporto di lavoro a far epoca dalla prima assunzione.

Non si tratterebbe, perciò, ad avviso della Cassazione, di far perdere effetto alla risoluzione del rapporto avvenuta ipso iure in forza dell'art. 6, secondo comma, del decreto, ma piuttosto di constatare che tale norma ancor oggi impedisce, ai fini del computo dell'anzianità nelle specie in esame, di tener conto del periodo di assenza per servizio di leva. La posizione di lavoro del dipendente, garantita dall'art. 52, secondo comma, Cost., viene perciò a risentire ancor oggi degli effetti di detta norma che, in tal senso, appare tuttora operante e discriminante, e quindi contrastante col precetto costituzionale.

Con atto 3 giugno 1977 si costituiva in giudizio, in rappresentanza della parte Basilio Orsi, l'avv. Luciano Ventura il quale, nell'associarsi agli argomenti addotti dall'ordinanza di rimessione, poneva in luce un particolare profilo. E cioè che il decreto impugnato, assegnando col secondo e terzo comma dell'art. 6 un trattamento diverso e più favorevole per i "richiamati" alle armi rispetto ai "chiamati di leva", pone in essere una ingiustificata discriminazione.

É intervenuto nello stesso giudizio, e soltanto in questo (ord. 259/77), anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Questa sosteneva, al contrario, che il fatto della riassunzione da parte dello stesso datore di lavoro é occasionale, e determina, anzi, ingiustificata disparità di trattamento nei confronti di quei lavoratori che, trovandosi in situazione analoga, non possano far valere le stesse pretese. Vero é che il primo rapporto si é esaurito definitivamente e legittimamente molto prima che la Costituzioneentrasse in vigore, e non può essere richiamato in vita col pretesto che il secondo rapporto si é esaurito solo di recente e che, perciò, solo ora possono essere avanzate le conseguenti pretese. Chiede, quindi, l'Avvocatura che la sollevata questione sia dichiarata improponibile per assoluta irrilevanza nel giudizio.

Nell'altro giudizio (ord. 880/80) si costituivano soltanto le parti private: Armando Felisari, rappresentato e difeso dagli avv.ti Enrico Biamonti e Francesco Saverio Galeoni e la S.p.A. Esso Italiana cogli avv.ti Gino Mensi di Genova e Gian Paolo Zanchini di Roma. L'una e l'altra parte, oltre alle deduzioni in sede di costituzione, presentavano anche "memoria".

Il Felisari sosteneva che la norma dell'art. 6 del r.d.l. n. 1825 del 1924 conserva il suo contrasto colla Costituzione, e che la questione é, perciò, rilevante in quanto la Carta fondamentale é entrata in vigore in pendenza del rapporto di lavoro che si é concluso nel febbraio 1973: e ritiene che, dichiarata l'illegittimità dell'articolo di legge impugnato, debba applicarsi il d.l.C.p.S. 13 settembre 1946 n. 303 nell'interpretazione data da questa Corte colla sent. 16 febbraio 1963 n. 8.

Per il resto, ribadiva gli argomenti dell'ordinanza di rimessione.

La S.p.A. Esso Italiana opponeva, invece, che non é questione che riguardi l'applicazione di norma incostituzionale, ma bensì la verifica se la stessa avesse o non prodotto effetti definitivi ed irreversibili già prima che la Costituzione entrasse in vigore. Pretendere che il Felisari possa oggi esercitare i diritti concernenti la situazione definita significherebbe far rivivere ciò che é stato in allora chiuso in modo insuscettibile di modificazioni.

Né esatto - osservava la Esso, polemizzando con un rilievo dell'ordinanza - che, ciò opponendo, si sia sostanzialmente riconosciuto da parte degli stessi resistenti l'attualità nel giudizio odierno della norma impugnata. La Esso ha soltanto richiamato l'attenzione sul "fatto" dell'avvenuta effettiva e legittima estinzione del rapporto giuridico tra il Felisari e il primo datore di lavoro. Concludeva, pertanto, la parte resistente per l'irrilevanza della sollevata questione.

Tali argomenti venivano ribaditi nella memoria depositata il 15 febbraio 1984.

3.1. - La questione sollevata dal Pretore di Lodi coll'ord. 26 aprile 1979 n. 908 presenta qualche profilo particolare, pur attestandosi sull'impugnazione della stessa norma e sugli stessi problemi di fondo.

Tale Cesare Mirabelli, infatti, era stato assunto il 1 ottobre 1940 dalla Congregazione di Muzza, Consorzio di miglioramento fondiario, ed era stato licenziato di diritto e di fatto, come accerta il Pretore (e non fittiziamente come sosteneva il Mirabelli), il 24 agosto 1943 a seguito della sua chiamata alle armi, in base alla nota disposizione del r.d.l. 1825/1924 allora vigente. Il Mirabelli, però, rimase pochissimi giorni alle armi, in quanto si eclissò a seguito della situazione creatasi 1'8 settembre 1943. Secondo gli accertamenti del Pretore, la riassunzione avvenne l'1 maggio 1944 ed il rapporto si concluse definitivamente il 30 aprile 1977.

Il Pretore, sollevando questione identica a quella portata dalle ordinanze della Cassazione di cui s'é detto sopra, riconosce che il primo rapporto é da considerarsi definitivamente risolto, non potendo dispiegare su di esso alcun effetto né il successivo d.l. 303/1946, né l'art. 52, secondo comma, Cost.. Richiama, anzi il Pretore a questo proposito la sent. 29 luglio 1976 n. 194 di questa Corte (che la Cassazione ignora nelle sue ordinanze) proprio nel passo dove é stato deciso che sui rapporti interrotti anteriormente all'entrata in vigore del d.l. 3 settembre 1946 n. 303, da considerarsi, perciò, esauriti "non possono avere incidenza e forza retroattiva né la disposizione successiva del Decreto n. 303/46, che ha concesso ampio spazio alla tutela di conservazione del posto di lavoro ed al computo dell'indennità di anzianità, né la solenne dichiarazione dell'art. 52 Cost.". Ma il richiamo é espresso a fini polemici, giacché opina il Pretore che la sentenza di questa Corte non abbia tenuto conto della disparità di trattamento che viene per tal modo a determinarsi fra chi, alla fine del rapporto di lavoro, gode di un trattamento più favorevole rispetto a chi vede limitati i suoi diritti per il solo fatto di avere espletato il servizio militare anteriormente al 1946.

Secondo il Pretore, poi, non avrebbe pregio il rilievo concernente la già avvenuta corresponsione dell'indennità di anzianità al momento della chiusura di quel primo rapporto giacché, anche a prescindere dal computo del periodo trascorso alle armi, la misura dell'indennità, calcolata sulla base dell'ultimo stipendio, é certamente superiore a quella percepita all'epoca della prima risoluzione.

Ritiene, perciò, il rimettente che la questione debba essere soprattutto orientata in relazione all'art. 3 Cost., e che lo stesso art 52, secondo comma, vada letto alla luce dell'art. 36, primo comma Cost., in quanto soltanto dal combinato disposto delle due norme emergerebbe quell'aspetto della "posizione di lavoro", riferibile all'indennità di anzianità che, quale forma differita di retribuzione, deve risultare proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto. Ed é proprio dell'elemento "qualitativo" che il Pretore fa un punto di forza del suo argomentare, in quanto ritiene che il frazionamento della "posizione di lavoro" di chi é stato alle dipendenze dello stesso datore, non correlando per un certo periodo la liquidazione all'ultima qualifica e all'ultima retribuzione, si risolva in un patente contrasto col precetto costituzionale.

L'impugnazione della stessa norma, contemplata dalle ordinanze della Cassazione, é qui riferita, perciò, oltre che all'art. 52, secondo comma Cost., anche ai parametri di cui agli artt. 3 e 36 primo comma Cost..

Interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura, ribadendo l'impossibilità di far rivivere il rapporto estinto col pretesto che la pretesa diventa attuale soltanto ora colla cessazione del secondo rapporto, contestava anche il profilo di illegittimità riferito all'art. 3 Cost. L'uguaglianza sancita da quest'ultima norma non é - osserva l'Avvocatura - un egualitarismo assoluto di tutti i soggetti in qualunque situazione ma richiede la verifica delle situazioni di fatto in cui versano i vari soggetti.

E nella specie rileva proprio la differenziazione temporale nella formazione dei rapporti considerati dall'ordinamento, che ben giustifica il diverso trattamento.

Né vale obbiettare - secondo l'Avvocatura - quanto rileva il Pretore nell'ordinanza, secondo cui l'ultimo stipendio percepito dal Mirabelli nel secondo rapporto sarebbe certamente superiore a quello base liquidato alla chiusura del primo. Innanzitutto perché anche se fosse, la circostanza non potrebbe incidere sulla sostanza della questione, e poi perché in termini reali l'obbiezione é infondata. Ragguagliate ai corrispettivi valori, é vero, invece, il contrario: l'indennità percepita nel 1943 aveva valore sicuramente superiore a quella liquidabile nel 1977 per il periodo 1940-1943. Ché, anzi, se il lavoratore dovesse davvero percepirle entrambe conseguirebbe ingiusta locupletazione.

Chiedeva, perciò, l'Avvocatura che la sollevata questione venisse dichiarata irrilevante, o comunque infondata.

Anche la Congregazione di Muzza si costituiva in giudizio, rappresentata e difesa dagli avvocati Franco De Amicis di Milano e Giorgio Villa di Roma.

Nelle deduzioni i legali, concludendo nei sensi stessi dell'Avvocatura, sottolineavano, però, che il Pretore aveva insindacabilmente accertato in fatto che soltanto dal 24 agosto all'8 settembre il Mirabelli aveva prestato servizio militare. Per il periodo successivo, essendosi disciolte le FF.AA. dello Stato, egli non potrebbe comunque essere considerato in servizio militare, e non potrebbe, perciò, considerarsi coperto dalla tutela costituzionale, quand'anche questa fosse ritenuta estensibile a rapporti precedenti la sua entrata in vigore.

Infatti, dopo l'8 settembre, la posizione di lavoro del Mirabelli non subì i pregiudizi derivanti dal servizio di leva, ma bensì quelli dipendenti dai gravi avvenimenti bellici e politici che afflissero in quell'epoca il Paese.

Il Pretore avrebbe inoltre accertato - secondo quanto riferisce parte resistente - che per circa otto mesi le parti si accordarono nel senso che il Mirabelli forniva al consorzio il frutto di un suo lavoro autonomo, e soltanto coll'1 maggio 1944 si ebbe un nuovo contratto di lavoro subordinato.

Comunque, la Congregazione di Muzza si richiamava al contenuto della sent. 28 luglio 1976 n. 194 di questa Corte, che le obbiezioni del Pretore non avrebbero certo superata.

Considerato in diritto

1. - Nonostante il particolare profilo sotto cui le questioni vengono sollevate da ciascuno dei due gruppi di ordinanze, riferendosi comunque tutte al problema della conservazione del posto di lavoro al dipendente privato chiamato alle armi, possono essere riunite in unico giudizio.

2. - La questione sollevata dalle ordinanze 12 aprile 1977 del Pretore di Genova (n. 265/77 Reg. ord.) e 9 novembre 1977 del Pretore di Caltagirone (n. 601/77 Reg. ord.) é fondata.

In realtà la limitazione apposta dall'art. 2 d. legisl. C.p.S. 13 settembre 1946 n. 303 alla non pregiudicabilità della posizione di lavoro del cittadino, a causa della prestazione del servizio militare per chiamata alle armi, é incompatibile già colla disposizione di cui all'art. 3 Cost..

Premesso che correttamente i giudici remittenti hanno escluso che la limitazione potesse essere riferita soltanto ai lavoratori "rinviati" alla chiamata della classe 1924 (per le esatte ragioni letterali e logiche indicate nella motivazione), e osservato che non é rilevante il limite rappresentato dalla classe indicata dal decreto perché i lavoratori interessati alla sollevata questione appartengono entrambi a tale classe di leva, l'ulteriore condizione apposta dall'art. 2 del decreto determina ingiustificata disparità fra i giovani lavoratori che si vedono negato o riconosciuto il beneficio in relazione alla circostanza di avere o non superato i tre mesi di anzianità.

Non sembra, infatti, che questa discriminazione sia sufficientemente giustificata sul piano razionale. Secondo l'Avvocatura, il legislatore avrebbe inteso evitare che le aziende, preoccupate per i loro bilanci, finissero per escludere dalle assunzioni i giovani prossimi alla chiamata, in quanto avrebbero dovuto altrimenti sopportare due costi: quello del lavoratore da assumere in sostituzione del lavoratore alle armi, e quello della retribuzione differita che avrebbero dovuto, a suo tempo, corrispondere, mediante l'indennità di anzianità, al lavoratore militare anche per il tempo in cui il rapporto era rimasto sospeso.

Ma il ragionamento non convince. Il salario del lavoratore sostituto, infatti, equivale comunque a quello che avrebbe percepito il lavoratore chiamato alle armi, se fosse rimasto al lavoro. Tutto l'onere, pertanto, si riduce ad un mese di salario da corrispondere al lavoratore sostituto, quale indennità di fine lavoro al rientro dal servizio di leva del lavoratore militare: troppo poco per dare ragionevole giustificazione alla detta sperequazione. Né si può concordare sull'ulteriore argomento secondo cui il lavoratore che abbia superato di un giorno i tre mesi di anzianità abbia tali vissute esperienze nell'azienda da meritare un trattamento così privilegiato rispetto a colui che stia per raggiungere i tre mesi o abbia solo pochi giorni di anzianità.

Ma é particolarmente nei riguardi dell'art. 52, secondo comma, Cost. che la costituzionale illegittimità della disposizione in parola appare ancor più evidente.

In proposito, non può essere accolta l'opinione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui la riserva di legge, concessa nel primo inciso del detto comma alla delineazione dei limiti e dei modi entro cui é operativa l'obbligatorietà del servizio militare, sarebbe estensibile ad ogni altro effetto della prestazione dal servizio: e perciò anche a quelli del secondo inciso. Senonché quest'ultima disposizione é categorica proprio nel proclamare senza riserve che almeno gli effetti relativi alla posizione di lavoro del cittadino (e all'esercizio dei diritti politici) non possono assolutamente essere pregiudicati dall'adempimento di quel servizio. Se si ammettesse che anche queste situazioni sono rimesse alla discrezione del legislatore ordinario, facultato addirittura ad apporre limiti al completo godimento da parte del cittadino del diritto costituzionalmente garantito, il precetto ne uscirebbe diminuito nella sua portata ed esposto ad una sostanziale vanificazione.

Ciò che appunto si é verificato con la disposizione denunziata la quale, oltre a limitare l'operatività del precetto costituzionale ai lavoratori delle classi 1924 e successive (nonché a quelli la cui chiamata fosse stata comunque rinviata a quella della classe 1924), sottopone il godimento del diritto all'ulteriore condizione secondo cui, anteriormente alla chiamata, il lavoratore dev'essere stato alle dipendenze dello stesso imprenditore da oltre tre mesi.

L'illegittimità costituzionale della norma va pertanto dichiarata, in parte qua, in riferimento ad ambo i parametri indicati dalle ordinanze.

3. - Ben diversa é, invece, la conclusione in ordine alle residue questioni, sollevate dalle due ordinanze della Corte di Cassazione - Sezione lavoro - e da quella del Pretore di Lodi (nn. 259/77; 908/79 e 880/80 reg. ord.).

Nelle fattispecie ivi contemplate il primo rapporto di lavoro - come già si é rilevato - é sorto e si é esaurito sotto l'impero del precedente ordinamento e segnatamente del r.d.l. 13 novembre 1924 n. 1825, la cui disposizione dell'art. 6, primo comma, trovava poscia conferma nell'art. 2111 cod. civ.. Secondo tale legislazione, la chiamata alle armi per adempiere agli obblighi di leva comportava la risoluzione del contratto di lavoro privato.

I giudici remittenti riconoscono la definitiva risoluzione del primo rapporto sulla base della legislazione allora vigente, ma sostengono che l'operatività del r.d.l. 1825/1924 non si sarebbe esaurita nel periodo anteriore all'entrata in vigore della Costituzione: e ciò in quanto, essendo la definitiva cessazione del rapporto avvenuta invece successivamente ed in epoca recente, soltanto in quel momento - quando cioè, la Costituzione e le leggi più favorevoli erano ormai in vigore - il lavoratore poteva esercitare il diritto a pretendere il pagamento dell'indennità di anzianità, intesa come retribuzione differita, per l'intero periodo di servizio prestato alle dipendenze dello stesso imprenditore.

Non si tratterebbe, pertanto, secondo la Corte di Cassazione, di far perdere effetto alla risoluzione del rapporto incontestabilmente verificatasi prima dell'avvento della nuova legislazione, ma soltanto di constatare che tale norma impedirebbe tuttora il riferimento del computo dell'indennità all'intero rapporto di lavoro. Ma un siffatto ragionamento dà per dimostrato proprio ciò che é oggetto della dimostrazione.

Affermare, infatti che il lavoratore solo ora, al termine del rapporto di lavoro, é ammesso a rivendicare le spettanze relative all'indennità di anzianità dell'intero rapporto intercorso col medesimo imprenditore, presuppone appunto che si tratti di un unico rapporto. In realtà, il rapporto che si conclude in momento successivo all'entrata in vigore della Costituzione é soltanto quello instaurato al termine del servizio militare. L'altro, per riconoscimento delle stesse ordinanze di rimessione, si era concluso e definito al momento della chiamata alle armi, colla liquidazione, e coll'accettazione da parte del lavoratore, della relativa indennità di anzianità.

Prendere atto, sul piano conoscitivo, che un certo rapporto si é definitivamente concluso nella vigenza di tramontata legislazione non può significare far rivivere la legge abrogata. Se così fosse, d'altra parte, non ci sarebbe ragione per non attribuire lo stesso effetto al rapporto estinto, e bisognerebbe, perciò, allora riconoscere che, per tal modo, si farebbe rivivere anche il rapporto di lavoro concluso: il che le ordinanze di rimessione negano di voler fare.

Non é esatto, quindi, che sia quella lontana norma, non più in vigore, ad impedire al lavoratore il riconoscimento del suo buon diritto. In realtà, il problema va impostato e risolto secondo le indicazioni della sentenza 28 luglio 1976 n. 194 di questa Corte che le ordinanze della Cassazione nemmeno richiamano, ma da cui la Corte non trova ragioni per discostarsi.

In quella occasione, e in presenza di fattispecie assolutamente identica, in relazione alla quale la questione sollevata concerneva la stessa norma impugnata e si riferiva ugualmente all'art. 52, secondo comma, Cost. (oltre che all'art. 36, primo comma, Cost.), questa Corte così aveva deciso. Dato atto che, per effetto della risoluzione al momento della chiamata alle armi del dipendente, il primo rapporto doveva ritenersi definitivamente chiuso, come riconosceva la stessa ordinanza di rimessione, avvertiva la sentenza che "sul rapporto da considerarsi in tal modo esaurito non possono avere incidenza e forza retroattiva né la disposizione successiva del Decreto n. 303 del 1946, che ha concesso ampio spazio alla tutela di conservazione del posto di lavoro ed al computo dell'indennità di anzianità, né la solenne dichiarazione dell'art. 52 Cost."

Vero é che il Pretore di Lodi, il quale invece non ha ignorato la riportata decisione, ritiene di poterla tuttavia superare osservando che la motivazione della Corte, formalmente ineccepibile, non avrebbe però tenuto conto della disparità di trattamento che viene a verificarsi fra chi gode di indennità di anzianità senza soluzione di continuo fra i due periodi, per aver prestato servizio militare dopo il 1946, e chi invece si vede negata tale possibilità per avere adempiuto al servizio di leva in epoca precedente. Ma non rileva il Pretore innanzitutto che la Corte non avrebbe potuto espressamente esaminare siffatto profilo per la semplice ragione che il primo giudice (Pretore di Aosta) non aveva fatto alcun riferimento al parametro di cui all'art. 3 Cost., ma soltanto a quelli di cui agli artt. 52, secondo comma, e 36, primo comma, Cost..

Il Pretore di Lodi, invece, non soltanto chiama in causa effettivamente, assieme all'art. 52, l'art. 3 Cost., ma estende, a sua volta, il riferimento anche all'art. 36, primo comma, Cost., alla luce del quale - sostiene - dev'essere letto il principio di cui all'art. 52, secondo comma, Cost..

Ebbene, quanto all'art. 3 Cost., deve dirsi che non può essere negata la diversità di trattamento che viene a determinarsi fra chi ha intrattenuto il primo rapporto di lavoro sotto la vigenza del vecchio ordinamento, e chi invece ha iniziatola sua prima dipendenza sotto l'impero del d.l. n. 303/1946 e nella vigenza della Costituzione. Ma evidentemente ciò non basta, agli effetti dell'incompatibilità nei confronti del detto parametro, se non si dimostri che il diverso trattamento é privo di qualsiasi ragionevole giustificazione.

Al contrario, la stessa motivazione della sentenza n. 194/76 sopra riportata risponde implicitamente anche al possibile riferimento al principio di uguaglianza: infatti, mentre l'una situazione concerne un precedente rapporto concluso e definito, per reciproca intesa, con liquidazione e accettazione delle indennità, in legittima aderenza al diritto dell'epoca, l'altra riguarda un unico rapporto, rimasto soltanto "sospeso" ope legis durante la prestazione del servizio di leva.

Quanto, infine, all'art. 36, primo comma, Cost., questa Corte ha già implicitamente riconosciuto colla sent. 16 febbraio 1963 n. 8, più volte richiamata dalle ordinanze di rimessione, i riflessi che esso comporta sull'interpretazione dell'art. 52, secondo comma, Cost.: ed infatti ha chiarito che il concetto di "posizione di lavoro" é molto più ampio di quello concernente la sola tutela del posto di lavoro, e perciò deve ricomprendere anche il diritto alla indennità di anzianità.

E da escludersi, però, che - come invece sostiene il Pretore - tutto questo autorizzi a ritenere che si sia così introdotto un elemento "qualitativo" di computo dell'anzianità, nel senso che la liquidazione dovrebbe essere, perciò, "riferita al duraturo inserimento del lavoratore nell'organizzazione di lavoro indipendentemente da sopravvenute impossibilità della prestazione non imputabili al lavoratore stesso". Un tale assunto, infatti, che peraltro mostra un rilevante salto logico fra la premessa e l'illazione, é ad ogni modo resistito sempre dalla riportata motivazione della sent. n. 194/76 la quale ha appunto esaminato anche il profilo di cui all' art. 36 Cost.. Infatti, non si tratta di mere sopravvenute impossibilità della prestazione nel corso di un "duraturo inserimento del lavoratore nell'organizzazione", ma bensì, da una parte, di un precedente rapporto legittimamente definito e concluso in tutti i suoi effetti, indennità compresa e, dall'altra, di un rapporto nuovo, sorto in epoca successiva e protrattosi sotto la vigenza di un diverso ordinamento.

La questione sollevata dalle tre ordinanze riportate va, quindi, dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del d. legisl. C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, nella parte in cui dispone che i lavoratori "anteriormente alla chiamata alle armi, siano alle dipendenze dello stesso datore di lavoro da oltre tre mesi".

Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825, sollevata dalle ordinanze 14 gennaio 1977 (n. 259/77 Reg. ord.) e 9 maggio 1980 (n. 880/80 Reg. ord.) della Corte di Cassazione - Sezione Lavoro - in relazione all'art. 52, secondo comma, Cost., e dall'ordinanza 26 aprile 1979 (n. 908/79 Reg. ord.) del Pretore di Lodi, in relazione agli artt. 52, secondo comma, 3 e 36, primo comma, Cost..

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 16 maggio 1984.