Sentenza n.12 del 1986

 

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SENTENZA N. 12

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, terzo comma, 9 e 10 della legge 3 giugno 1975, n. 160 (" Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale "); art. 18, primo comma, legge 21 dicembre 1978, n. 843; art. 14, quarto comma, del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito in legge 29 febbraio 1980, n. 33, promossi con ordinanze emesse il 22 settembre 1978 dal Pretore di Novara, il 28 ottobre 1980 dal Pretore di Modena, il 25 settembre 1981 dal Pretore di Modena, il 12 ottobre 1982 dal Pretore di Trento, il 16 ottobre 1982 dal Pretore di Ferrara, il 25 marzo 1983 dal Tribunale di Lucca, il 16 settembre 1983 dal Pretore di Modena, il 1 dicembre 1983 dal Pretore di Genova, il 26 marzo 1984 dal Pretore di Modena, iscritte rispettivamente al n. 593 del registro ordinanze 1978; al n. 881 del registro ordinanze 1980; al n. 779 del registro ordinanze 1981; al n. 827 del registro ordinanze 1982; ai nn. 84, 436 e 976 del registro ordinanze 1983 e ai nn. 213 e 886 del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 del 1979, n. 63 del 1981, n. 75 del 1982, nn. 121, 184 e 301 del 1983, nn. 95 e 224 del 1984 e n. 7 bis del 1985.

Visti gli atti di costituzione dell'INPS, di Messori Otello e Badiali Giovannina, di Vaccari Claudio e di Lugli Anita, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

uditi nell'udienza pubblica del 5 novembre 1985 i Giudici relatori Antonio La Pergola e Francesco Greco;

uditi l'avvocato Pasquale Vario per l'INPS e l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 22 settembre 1978, il Pretore di Novara solleva questione di costituzionalità dell'art. 1, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160 (recante " Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale"), in relazione all'art. 3 della Costituzione. Il giudice a quo ritiene che la norma censurata, nella parte in cui esclude le pensioni inferiori al trattamento minimo dall'aumento fisso mensile di 13.000 lire, contrasti con il principio costituzionale di eguaglianza. L'esclusione in discorso sarebbe del tutto ingiustificato.

Le argomentazioni dell'INPS resistente nel processo principale, secondo le quali la differenza dovuta alla maggiorazione é pressoché interamente assorbita dall'aumento percentuale previsto per tutte le pensioni, non basterebbero, poi, ad incrinare il fondamento della questione, dal momento che, anche ad accoglierle, rimarrebbe pur sempre un irragionevole disparità del denunciato trattamento normativo.

2. - Con ordinanza emessa il 28 ottobre 1980, il Pretore di Modena ha sollevato questione di legittimità costituzionale, a) dell'art. 10, primo comma, della legge n. 160/75, nella parte in cui esclude dall'aumento ivi previsto le pensioni non superiori al trattamento minimo; b) dello stesso art. 10, terzo comma, in quanto rinvia al censurato disposto del primo comma; e) infine del quinto comma dell'art. 10, nella parte in cui esclude dalla disciplina dei commi precedenti le pensioni inferiori al trattamento minimo, con il risultato che a queste ultime pensioni si applicherebbe il criterio, ritenuto meno favorevole per i beneficiari del trattamento pensionistico, che sancisce l'art. 19 della legge 30 aprile 1969, n. 153.

Gli attori nei giudizi principali sono titolari di pensioni le quali eccedevano in origine il trattamento minimale e poi, ne sono scese al di sotto, perché l'importo minimo delle pensioni é stato via via aumentato, in forza di successive disposizioni di legge. Avanti al Pretore essi lamentano che nei loro confronti non si applichino le previsioni dell'art. 10 della legge n. 160 del 1975: più precisamente, che la specie sia sottratta all'applicazione del nuovo criterio misto di perequazione introdotto dall'art. 10 della legge n. 160, ed invece assoggettata, sulla base del quinto comma dello stesso art. 10, al criterio già fissato nell'art. 19 della legge n. 153 del 1969.

Il più complesso sistema di perequazione, di cui all'art. 10, osserva il giudice a quo, garantisce alla generalità dei pensionati (salvo che ai più bisognosi) una quota aggiuntiva, che si collega con gli scatti dei punti di contingenza. Anche ai pensionati é Così attribuito quanto occorre per le elementari esigenze della vita.

Viceversa, l'aver mantenuto il sistema previsto dalla legge n. 153 del 1969 per le pensioni, si dice, pari o inferiori al minimo, comporterebbe che i relativi titolari soggiacciano ad un trattamento deteriore, tanto più grave, quanto minore é l'importo della pensione. Tale disparità di disciplina non appare giustificata né in relazione all'entità dei contributi versati, della quale il congegno dell'aumento fisso, qual é posto nell'art. 10, non tiene infatti conto, né sulla base di altri razionali criteri. La normativa censurata offenderebbe altresl' il precetto dell'art. 38 Cost., il quale impone che ai lavoratori siano garantiti, nella vecchiaia, i mezzi indispensabili alle loro esigenze di vita. La maggiorazione dalla quale vengono esclusi proprio e soltanto i titolari delle pensioni inferiori al minimo (e cioé l'aumento fisso connesso con gli scatti della contingenza) servirebbe al recupero del potere di acquisto della pensione, assicurando a chi ne fruisce " la conservazione di una capacità economica reale minima adeguata alle necessità personali e familiari ".

D'altra parte, l'eventuale integrazione al minimo della pensione inferiore risulta nella realtà solo sussidiaria ed eventuale e comunque, sempre ad avviso del giudice a quo, il relativo adeguamento alle variazioni del valore della moneta, avviene - anche là, dove esso abbia effettivamente operato - secondo criteri meno favorevoli rispetto a quello previsto nell'art. 10 per le pensioni di più elevato ammontare.

2.1 - Si costituiscono nel presente giudizio i ricorrenti davanti al Pretore.

La loro difesa sostiene la fondatezza delle questioni sollevate. Non sussisterebbero diversità di condizioni né soggettive, né oggettive, che giustifichino le differenze di trattamento imposte dal legislatore.

Tutte le forme di tutela previdenziale tendono, viene inoltre dedotto, a conseguire gli obiettivi del secondo comma dell'art. 38 Cost., che si connettono con l'attuazione del principio di eguaglianza in conformità del secondo comma dell'art. 3 della Costituzione. Di fronte alla identità degli obiettivi che il legislatore si deve prefiggere, le disparità del regime in esame risulterebbero ingiustificato, con la conseguente lesione degli invocati precetti costituzionali.

2.2 - Nel presente giudizio si costituisce anche l'INPS.

Nell'atto di costituzione, si rileva che la legge n. 160 del 1975 ha modificato la previgente disciplina del fenomeno nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria: l'art. 19 della legge n. 153 del 1969 continua ad esser previsto con riguardo alle pensioni supplementari ed a quelle inferiori o pari al minimo; l'art. 9 legge n. 160 collega il trattamento pensionistico con la dinamica salariale dell'industria, mentre per le pensioni superiori é stabilito un meccanismo misto: un aumento percentuale sull'ammontare della pensione, e un aumento in cifra fissa derivante dagli scatti dei punti di contingenza durante il periodo preso in considerazione. Pertanto, la disciplina censurata opera diversamente in relazione all'importo della pensione, secondo che esso superi, oppur no, il minimo fissato dalla legge.

La difesa dell'Istituto previdenziale osserva quindi che l'art. 19 legge n. 153 assicura la conservazione nel tempo del valore originario della pensione, garantendo un recupero proporzionale alle variazioni dell'indice del costo della vita.

L'art. 9 della legge n. 160, sia pure attraverso un meccanismo distinto dal precedente, configura una " dinamica pensionistica superiore a quella dell'art. 19 ". L'art. 10 della legge n. 160, introduce, dal canto suo, un distinto meccanismo di perequazione automatica, più favorevole per le pensioni inferiori ai 5 milioni annui, ma svantaggioso per le pensioni di maggior importo.

Le pensioni superiori al minimo sono erogate in funzione di una maggiore anzianità e/o del versamento di più elevato contributo. Malgrado ciò, la dinamica prevista per tali pensioni dall'art. 10 della legge n. 160 corrisponde ad una parabola che ha il suo vertice nei trattamenti pensionistici di 400 mila lire mensili, per poi discendere; la logica del criterio prescelto si adatta quindi alle pensioni superiori al minimo non a quelle di importo fisso e fatte coincidenti con il trattamento minimo.

In definitiva - conclude la difesa dell'INPS - il problema sta nell'accertare se l'introduzione di un regime differenziato di perequazione in rapporto al livello delle pensioni rientri, oppur no, nella discrezionalità del legislatore; se cioé sia stato rispettato il dettato dell'art. 38 Cost. con riferimento alle pensioni minime o se per contro tutte le prestazioni vadano assoggettate allo stesso meccanismo di recupero del valore reale.

Per la soluzione dei quesiti Così configurati la difesa si rimette al giudizio della Corte.

2.3 - Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato. Il sistema della legge n. 160, deduce l'Avvocatura, va visto nel suo complesso. Dal sistema delle disposizioni ivi contenute risulta che per le pensioni allora inferiori a lire 100.000 é stato previsto un aumento pari a 13.000 lire mensili, comprensivo dello scatto di scala mobile. Ne é conseguito un aumento decrescente, a partire dai trattamenti minimi e fino alle pensioni al di sotto di 100.000 lire. A parte ciò, é stato disposto un adeguamento ancorato al costo della vita.

Quest'ultima forma di maggiorazione - rileva ancora l'Avvocatura dello Stato - era stata introdotta, per la prima volta, con l'art. 19 della legge n. 153 del 1969, la quale però non prevedeva l'aggancio con la dinamica salariale, sancito invece nella legge n. 160 nell'art. 9, con riguardo alle pensioni di importo minimo, mentre nei confronti delle pensioni superiori al minimo, é previsto il seguente altro regime: l'aumento fisso di cui al terzo comma dell'art. 10 e quello variabile proporzionale, che si eroga in base al primo comma dello stesso articolo. Tale disciplina assicura un certo grado di proporzionalità fra pensioni e retribuzioni dei lavoratori in attività.

L'Avvocatura passa poi ad illustrare un esempio di calcolo relativo all'adeguamento in base all'aumento misto ed a quello previsto invece dall'art. 9: il sistema misto in relazione all'ipotesi sottoposta all'attenzione della Corte, nella quale figurano pensioni di vario importo, fermo restando che il costo della vita é pari al 18,5 % mentre si registra un aumento del 21 %, sarebbe meno favorevole per i redditi superiori alle 90.000 lire, più vantaggioso per i redditi inferiori.

Di qui l'esigenza fatta valere dal Pretore di Modena di rivalutare in base appunto al criterio misto le pensioni più modeste. Senonché le tesi del giudice a quo sembrano contrastare, secondo l'Avvocatura, con tre dati del sistema vigente: l'aumento " massiccio " delle pensioni inferiori a 100.000 lire, la diversità di tecniche di perequazione automatica, l'attuale (all'epoca dell'intervento - marzo 1981) livello delle pensioni.

Nella materia di cui si controverte, sono state adottate formule di diverso tipo, dirette tuttavia al medesimo scopo.

Rilevatosi insufficiente il criterio fissato dall'art. 19 legge n. 153/69, il legislatore si é orientato verso un'altra soluzione, idonea a difendere il potere di acquisto contro il continuo ed inevitabile deterioramento (del valore reale delle pensioni). La scelta non risulta irrazionale.

Con riguardo alle pensioni minime, oltre al loro incremento del 30%, dal primo gennaio di ogni anno si stabilisce il loro aumento percentuale collegato all'aumento dei salari operai dell'industria ed in base all'indice ISTAT.

Con il sistema dell'art. 10 il legislatore ha poi inteso evitare da un lato che le pensioni più elevate lievitassero eccessivamente, dall'altro, in conformità del criterio di collegare retribuzione e trattamento pensionistico, che il reale potere di acquisto delle erogazioni non fosse integrato in modo da determinare l'appiattimento fra le pensioni minime e trattamenti di maggior importo. Posto ciò, il sistema misto non poteva essere applicato alle pensioni minime, nei confronti delle quali non vi é alcuna esigenza perequativa. D'altra parte, se il sistema previsto dall'art. 9 legge n. 160 può in relazione a certe fasce di pensioni condurre a trattamenti lievemente inferiori rispetto a quelli risultanti dal sistema misto previsto dall'art. 10, ciò consegue a scelte tecnico-politiche del legislatore, non censurabili, come tali, dalla Corte. In ogni caso, la normativa in questione non ha trascurato i trattamenti minimi, giacché ne ha previsto, prima dell'entrata in vigore del congegno di rivalutazione, l'aumento di oltre il 30%.

Per tutti i suddetti motivi non sussisterebbe il preteso contrasto della normativa censurata con l'art. 3 Cost..

Quanto poi alla pretesa violazione dell'art. 38 Cost. il leggero divario che sussisteva (e non più sussistente già all'epoca dell'intervento) per gli aumenti dei trattamenti minimi, in ordine all'applicazione dei due differenti criteri, é dipeso esclusivamente dalla diversa tecnica di rivalutazione, e dunque, anche qui, da una scelta che sfugge al sindacato di questo Collegio. La questione va pertanto risolta con il verificare se il trattamento minimo delle pensioni, sulla base dell'art. 9 della legge n. 160, e all'epoca in cui l'ordinanza di rinvio é stata emessa, fosse tale da non soddisfare le esigenze elementari della vita. La normativa censurata non dispone altro, se non aumenti di tale trattamento: se le norme che di queste detertninano l'ammontare sono indenni da censura, altrettanto deve dirsi delle disposizioni in esame. In proposito - ricorda l'Avvocatura - alla luce della giurisprudenza della Corte la determinazione dei trattamenti minimi di pensione é affidata alla discrezionalità del legislatore che dovrà tener conto delle risorse destinabili al finanziamento delle pensioni, compatibilmente con il livello del reddito nazionale.

Infine, quanto alla particolare questione sollevata dal Pretore di Modena nei confronti del quinto comma dell'art. 10, viene rilevato che dal testo dell'ordinanza sembra risultare che i ricorrenti fruissero di pensioni già integrate al minimo e non, dunque, come si assume dal giudice a quo, sub-minimali. Di qui l'apparente irrilevanza della questione, com'é posta alla Corte. In ogni caso, l'esclusione del congegno perequativo sarebbe giustificata per il fatto che i titolari delle suddette pensioni sono già titolari di altra pensione.

Con riguardo poi alle pensioni con decorrenza compresa nell'ambito dell'anno anteriore a quello dal quale ha effetto l'aumento, l'esclusione dalla perequazione si spiega per la considerazione che le pensioni di nuova costituzione beneficiano per l'anno successivo alla loro liquidazione delle ultime retribuzioni, prese a base del calcolo relativo.

3. - Con ordinanze emesse rispettivamente il 12 ottobre 1982 e il 25 marzo 1983 il Pretore di Trento ed il Tribunale di Lucca sollevano identica questione di costituzionalità.

Le fattispecie sono analoghe alla precedente. Il Pretore e il Tribunale non adducono a sostegno delle proprie tesi nuove argomentazioni.

Anche in questi giudizi si costituisce l'INPS, la cui difesa non adduce nuovi rilievi per l'infondatezza delle questioni, salvo che sul punto seguente: quando l'inflazione ha assunto dimensioni allarmanti, il legislatore ha disposto con l'art. 16 legge n. 843/78 " che la disciplina della perequazione delle pensioni del Fondo lavoratori di cui agli artt. 9 e 10 legge 3 giugno 1975, n. 160, si applica a decorrere dal 1 gennaio successivo a quello di decorrenza della pensione ".

Successivamente, però, sempre ad avviso della difesa dell'INPS, con l'art. 2, terzo comma, legge 30 dicembre 1980, n. 895, é stato stabilito che anche per le pensioni originariamente superiori e divenute poi pari o inferiori al minimo, continui ad applicarsi la perequazione automatica prevista per le pensioni superiori.

Con ciò, conclude la difesa dell'INPS, si vede come il legislatore abbia, nella sua discrezionalità adattato, compatibilmente con i mezzi a disposizione, il momento per intervenire al fine di temperare gli effetti dell'inflazione sulle pensioni.

Anche in questi giudizi interviene il Presidente del Consiglio. L'Avvocatura fa rinvio alle deduzioni già esposte.

4. - Con ordinanza emessa il 16 ottobre 1982 dal Pretore di Ferrara, viene sollevata la questione di costituzionalità degli artt. 9 e 10 legge n. 160/75 (sempre in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.) nella parte in cui escludono dagli aumenti previsti nell'art. 10 le pensioni che non siano superiori ai trattamenti minimi.

Nella sostanza quindi la questione é identica a quella sollevata in precedenza.

Sia l'INPS nel proprio atto di costituzione, sia l'Avvocatura nell'atto di intervento per conto del Presidente del Consiglio, non adducono nuove argomentazioni.

5. - Con nuova ordinanza emessa il 16 settembre 1983, il Pretore di Modena sempre in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., ha sollevato questione di costituzionalità avente ad oggetto, oltre che i commi primo, terzo e quinto dell'art. 10 della legge n. 160/75, anche a) il primo comma dell'art. 18 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, in quanto ha dichiarato applicabili per l'anno 1979 alle pensioni inferiori al minimo il solo aumento di cui all'art. 10, primo comma, legge n. 160, e non anche l'aumento di cui al terzo comma del suddetto articolo; b) il quarto comma dell'art. 14 del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, come convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, nella parte in cui ha dichiarato applicabile, a partire dal 1 gennaio 1980 alle pensioni inferiori al minimo, ancora solo l'aumento percentuale di cui al primo comma dell'art. 10 e non anche quello previsto dal terzo comma.

Nella sostanza, dunque, il Pretore osserva che, in luogo dell'aumento calcolato sulla base dell'art. 19 della legge n. 153/69, sia stato disposto, rispettivamente per il 1979 e a decorrere dal gennaio 1980, per le pensioni inferiori al minimo, il solo aumento in percentuale stabilito dal primo comma dell'art. 10 legge n. 160, e non anche quello fisso di cui al terzo comma dello stesso articolo.

L'INPS, costituitosi anche nel presente giudizio, deduce dal canto suo che il Pretore sarebbe incorso in equivoco: infatti, quando una pensione da superiore diviene inferiore al minimo, essa viene immediatamente integrata fino all'importo della pensione minima e pertanto ricondotta al sistema di perequazione di cui all'art. 9 legge n. 160 e non già, come ritenuto dal Pretore, quello di cui all'art. 19 legge n. 153, rimasto in vita per le pensioni supplementari e per quelle inferiori al minimo, le quali, a seguito di varie sentenze di questa Corte, sussistono ora in numero ridottissimo. Pertanto spetta alla Corte verificare se, Così atteggiandosi lo stato della normativa, sussista la lamentata violazione degli artt. 3 e 38 Cost..

Interviene anche nel presente giudizio il Presidente del Consiglio. L'Avvocatura non insiste sulle argomentazioni svolte in precedenza.

In prossimità dell'udienza, la difesa delle parti private costituitesi nel giudizio di costituzionalità introdotto con la prima delle due ordinanze emesse dal Pretore di Modena presenta una memoria aggiuntiva. Con riferimento alla pretesa violazione dell'art. 38 Cost., si rileva in detto scritto difensivo che la norma costituzionale invocata, secondo la pregressa giurisprudenza della Corte, concerne l'adeguamento dei mezzi previdenziali " alle esigenze di vita dell'infortunato " (e nel nostro caso, sostiene la difesa di parte privata, per analogia, del titolare di pensione di vecchiaia) "piuttosto che le modalità necessarie a conseguirli, a meno che esse siano tali da compromettere il conseguimento ".

6. - Con ordinanza emessa il 28 settembre 1981, sempre il Pretore di Modena ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 19, primo comma, della legge n. 153 del 1969, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui esclude dall'aumento ivi previsto le pensioni aventi decorrenza nel corso dell'anno anteriore a quello in cui l'aumento dovrebbe avere effetto. Secondo il giudice a quo, l'inapplicabilità della perequazione automatica per l'intero primo anno successivo a quello iniziale non comporta solo la perdita di quella annualità, ma determina un deterioramento della prestazione previdenziale per effetto del suo mancato adeguamento al potere di acquisto della moneta. L'iniquità della, norma in oggetto sarebbe dimostrata dal fatto che il legislatore ha provveduto ad eliminarla ma solo per il futuro, con l'art. 16, secondo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843.

La pensione del ricorrente é divenuta inferiore a trattamento minimo, proprio per effetto della norma censurata. Il giudice a quo, pone dunque, in via subordinata, per l'ipotesi che questa Corte dichiari non fondata la suddetta questione, l'altra questione di legittimità, sollevata nei giudizi di cui si é in precedenza riferito, che ha per oggetto il primo, terzo e quinto comma dell'art. 10 della legge n. 160 del 1975, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost..

Si sono costituiti nel presente giudizio la parte privata ricorrente davanti al Pretore e l'INPS; ha inoltre spiegato intervento il Presidente del Consiglio per tramite dell'Avvocatura dello Stato.

La difesa di parte privata, con argomentazioni analoghe a quelle del Pretore rimettente, ha sostenuto la fondatezza delle questioni sollevate.

La difesa dell'INPS, viceversa, a sostegno dell'infondatezza delle questioni, con riguardo alla censura dell'art. 19, osserva che la ratio della mancata perequazione delle pensioni nell'anno successivo a quello della loro decorrenza va individuata nel fatto che l'assicurazione comune e sue gestioni speciali sono improntate al principio della solidarietà e non a quello dell'autofinanziamento; sicché ne deriva la necessità di contemperare le esigenze delle categorie da proteggere con quelle dell'erario. In tale ottica, anche il collegamento delle pensioni al costo della vita va considerato come un obiettivo ottimale che va perseguito senza tuttavia dimenticare le esigenze della collettività. Pertanto si comprende, a giudizio della difesa dell'INPS, come il legislatore abbia favorito i titolari di pensioni con decorrenza più remota, falcidiate maggiormente dall'inflazione. Si comprende, inoltre, come, essendo mutato il punto di equilibrio fra le suddette contrapposte esigenze, siano state dettate successivamente disposizioni tendenti a perseguire in modo più incisivo il richiamato obiettivo ottimale.

Con riguardo, poi, alla questione subordinata la difesa dell'INPS non adduce nuove argomentazioni rispetto a quelle relative ai giudizi di cui si é in precedenza riferito.

L'Avvocatura dello Stato, con riguardo alla questione sollevata in via principale, rileva che la sua infondatezza si desume dalla considerazione che la ratio della norma censurata va individuata nel collegamento tra la pensione di nuova costituzione e l'ultima retribuzione utilizzata come base di calcolo per la sua liquidazione.

Con riferimento alla questione subordinata neanche l'Avvocatura adduce nuove argomentazioni.

7. - Infine, il Pretore di Genova, con ordinanza del 1 dicembre 1983, e di nuovo il Pretore di Modena, con ordinanza del 26 marzo 1984, sollevano la questione di costituzionalità dell'art. 10, quinto comma, della legge n. 160/75, che detta, in parte qua, disposizione identica a quella contenuta nell'art. 19, primo comma, della legge n. 153/69. La censura é posta, anche in questo caso, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., con argomentazioni analoghe a quelle già descritte.

Considerato in diritto

1. - Le questioni di cui questo Collegio é investito sono state sollevate dal Tribunale di Lucca e dai Pretori di Ferrara, Modena, Novara e Trento, nel corso di vari procedimenti, che vestono tutti sulla liquidazione di trattamenti pensionistici a carico dell'INPS. Forma oggetto di censura, per asserita violazione degli artt. 3 e 38 Cost., la disciplina dettata in talune disposizioni della legge 3 giugno 1975, n. 160 (" Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale "), ed in altra successiva normativa. com'é di seguito precisato. I giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe sollevano questioni identiche o connesse. Essi sono quindi riuniti e definiti con unica decisione.

1. - Il Pretore di Novara (r.o. 593 /78) denuncia l'art. 1, terzo comma, della citata legge n. 160/75. Tale disposizione esclude le pensioni di importo inferiore al trattamento minimo dalla maggiorazione prevista nel secondo comma della stessa legge, ai sensi del quale l'importo mensile delle pensioni a carico del fondo pensioni dei lavoratori dipendenti, comprese fra L. 42.950 e L. 100.000, al netto degli assegni familiari, é aumentato di L. 13.000. La norma censurata offenderebbe l'art. 3 Cost. per avere ingiustificatamente discriminato le pensioni di importo inferiore al trattamento minimo dalle altre, che vengono maggiorate. La circostanza che l'aumento anzidetto é stato in larga misura assorbito dalla maggiorazione del 13%, stabilita, in forza di successive previsioni legislative, per adeguare al costo della vita tutti indistintamente i trattamenti pensionistici. non incide, precisa il giudice a quo, sui termini della questione: la quale viene ugualmente a delinearsi, per la parte non assorbita da quest'altro aumento, che lascerebbe sussistere la lamentata discriminazione ai danni delle pensioni di importo inferiore al minimo.

1.2 - Altra questione é prospettata dal Pretore di Modena (r.o. 881/80), il quale censura, in relazione all'art. 3, primo comma, e all'art. 38, secondo comma, Cost., le seguenti disposizioni, contenute nell'art. 10 della stessa legge n. 160/75: il primo comma, nella parte in cui manca di estendere l'aumento ivi previsto alle pensioni " che non siano superiori ai trattamenti minimi "; il terzo comma, in quanto rinvia, e statuisce in conformità, alle previsioni del primo comma; il quarto comma, perché esclude dal miglioramento dei trattamenti pensionistici, qual é contemplato nel medesimo articolo, le pensioni di importo inferiore al minimo e le assoggetta, invece, al regime dell'art. 19 della legge 30 aprile l969, n. 153 (" Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale "). Le pensioni di cui si tratta nel giudizio di merito (pensioni di vecchiaia, erogate dall'INPS e a carico del fondo per i lavoratori dipendenti) eccedevano in origine l'importo minimo, ma ne sono poi scese al di sotto, essendo, per via della loro decorrenza temporale, rimaste escluse dalla perequazione automatica, com'é congegnata dal citato art. 19, primo comma, della legge n. 153. Quest'ultima legge regola l'adeguamento delle pensioni diversamente, secondo che il relativo ammontare sia da un canto superiore, dall'altro pari o inferiore al minimo. Riguardo alle pensioni superiori al minimo, é prevista, rispettivamente al primo e al terzo comma dell'art. 10, l'erogazione di un duplice aumento: uno in percentuale, pari " alla differenza fra la dinamica delle retribuzioni degli operai dell'industria e l'andamento del costo della vita ", ed un altro in misura fissa, connesso con i punti di contingenza per i lavoratori dell'industria nei quattro trimestri, che corrono dal diciassettesimo al sesto mese anteriore a quello da cui opera la prevista maggiorazione. Ad avviso del giudice a quo, il regime testé descritto non trova applicazione nella causa di merito, perché concerne esclusivamente le pensioni, il cui importo risulta superiore al minimo del trattamento omogeneo (della stessa categoria e a carico del medesimo fondo), nel momento della liquidazione, e non, come accade nel caso sottoposto al suo esame, della decorrenza iniziale. Il caso di specie, si soggiunge, ricade invece nell'ambito dell'art. 19 della legge n. 153 del 1969, ovvero, in quanto si tratti di pensioni integrate al minimo, dell'art. 9 della legge n. 160. Rispetto all'una e all'altra di tali disposizioni, il criterio dell'art. 10 consentirebbe, comunque, una più compiuta ed efficace difesa del potere di acquisto della pensione, grazie soprattutto all'aumento in cifra fissa, correlata ai punti di contingenza, che acquista maggior rilievo, in relazione ai bisogni primari dell'individuo e del suo nucleo familiare, proprio quando l'erogazione é di importo modesto. Il sistema di perequazione automatica, di cui si chiede l'estensione alla specie, costituirebbe anzi una disciplina ormai generalmente accolta nelle forme di previdenza per i lavoratori dipendenti, sia nel settore pubblico, sia in quello privato. Il legislatore avrebbe allora discriminato i titolari di pensioni pari o inferiori al minimo, dettando esclusivamente nei loro confronti disposizioni diverse e meno favorevoli rispetto al regime comune, di cui fruiscono i titolari di pensioni di più elevato ammontare. Tale scelta, secondo il giudice rimettente, é irrazionale e non può, infatti, giustificarsi nemmeno in relazione all'entità dei contributi versati, dalla quale l'art. 10 prescinderebbe, sotto i profili dedotti nella censura. Cosi si prospetta la lesione non solo del principio costituzionale di eguaglianza, ma anche del precetto dell'art. 38, secondo comma, Cost., in cui é consacrato il diritto del lavoratore, in vecchiaia, a mezzi adeguati per le insopprimibili necessità personali e familiari.

1.3 - Va aggiunto che, sostanzialmente negli stessi termini, la questione é sollevata anche dal Tribunale di Lucca (r.o. 436/83) - il quale indica come norma di raffronto solo l'art. 3 della Costituzione - e dal Pretore di Trento (r.o. 827/82). Il Pretore di Ferrara denuncia, poi, (r.o. 84/83) gli artt. 9 e 10 della legge n. 160/75 assumendo che la lesione degli invocati parametri costituzionali discende dal combinato disposto delle anzidette due statuizioni. Per quanto concerne, in particolare, l'offesa dell'art. 3 Cost., essa sussisterebbe anche sotto questo riflesso: la norma posta nella legge n. 160/75 per escludere dalla perequazione automatica le pensioni decorrenti dall'anno anteriore all'aumento (art. 10, quinto comma, della legge n. 160/75) é stata successivamente abrogata (art. 16 legge 21 dicembre 1978, n. 843), per modo che, si assume, i relativi beneficiari sono andati soggetti ad ulteriore - ed irrazionale - disparità di trattamento, secondo che la pensione sia stata liquidata dopo l'entrata in vigore della legge del 1978, ovvero prima.

1.4 - Ancora il Pretore di Modena censura, con l'altra ordinanza (r.o. 976/83), sempre in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., insieme con le disposizioni della legge n. 160/75, oggetto della questione richiamata sub 1.2, altre norme, rilevanti per la definizione del giudizio di merito: le quali ultime, intervenute più di recente per regolare l'adeguamento delle pensioni, avrebbero esse pure, nel rispettivo ambito di vigenza temporale, configurato una ingiustificato discriminazione a sfavore dei trattamenti inferiori al minimo.

Così formulata, la questione investe, precisamente, l'art. 18, primo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843, perché " ha dichiarato applicabile per l'anno 1979 alle pensioni inferiori al trattamento minimo il solo aumento in percentuale di cui al primo comma dell'art. 10 legge n. 160/75 e non anche l'aumento in misura fissa previsto dal terzo comma dello stesso art. 10, in luogo del diverso e meno favorevole criterio di perequazione previsto dall'art. 19 della legge n. 153/69 "; nonché l'art. 14, quarto comma, del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, che fa operare la contestata previsione dell'art. 18, primo comma, legge n. 843/78, dal 1 gennaio 1980.

La violazione degli invocati parametri é sostanzialmente argomentata in base alle considerazioni sopra viste. Si assume peraltro che le norme qui denunziate abbiano, per il fatto di non prevedere una perequazione ragguagliata al costo della vita, aggravato il già " deteriore trattamento " disposto dal legislatore del 1976 per i titolari delle pensioni inferiori al minimo.

1.5 - Con ordinanza del 25 settembre 1981 (r.o. 779/81) il Pretore di Modena ha sollevato, in via principale, la questione di costituzionalità dell'art. 19, primo comma, della legge n. 153/69, nella parte in cui vieta la perequazione automatica delle pensioni relativamente al primo anno successivo a quello di liquidazione.

Gli artt. 3 e 38 Cost. sarebbero lesi per avere il legislatore sancito nei confronti di alcuni pensionati la perdita di aumenti ad altri concessi, soltanto sulla base della diversa decorrenza dei rispettivi trattamenti, mentre per tutti ugualmente si verifica il pregiudizio della svalutazione monetaria; e perché la mancata difesa del potere d'acquisto delle pensioni, anche per un limitato lasso di tempo, può determinare, specie nel caso di trattamenti minimi o di poco superiori, l'inidoneità del relativo reddito a sopperire alle esigenze vitali del pensionato.

In via subordinata é, poi, sollevata l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 10, legge n. 160/75, nella parte in cui (commi primo, terzo e quinto) esclude dall'applicazione del nuovo meccanismo perequativo, con tale legge introdotto, le pensioni inferiori al minimo. Anche qui i parametri invocati sono gli artt. 3 e 38 Cost., per la disparità di trattamento che la norma produrrebbe in danno di titolari di pensioni inferiori al minimo e per la conseguente insufficienza dei redditi dei medesimi.

1.6 - La questione di costituzionalità concernente il divieto della perequazione delle pensioni nel primo anno successivo a quello della loro decorrenza é stata sollevata, ancora dal Pretore di Genova, con ordinanza del 1 dicembre 1983 (r.o. 213/84), e dallo stesso Pretore di Modena con ordinanza del 26 marzo 1984 (r.o. 886/84), censurandosi, però, a tal fine l'art. 10, quinto comma, della legge n. 160/75 che detta, in parte qua, disposizione identica a quella di cui all'art. 19, primo comma, legge n. 153/69.

Le norme invocate sono sempre gli artt. 3 e 38 Cost., per le ragioni suddette.

2. - La questione sollevata dal Pretore di Novara (v. sopra n. 1.1) non é fondata. Il censurato art. 1 della legge n. 160 del 1975 prevede, al secondo comma, una maggiorazione nella misura di L. 13.000 delle pensioni gravanti sui fondi indicati nel primo comma. Questa disposizione non é diretta a discriminare fra i trattamenti pensionistici inferiori al minimo e tutti quelli di importo superiore. Il suddetto aumento é limitato a quella sola fascia di pensioni, il cui ammontare, al netto degli assegni familiari, risulta compreso fra le lire 42.950 e le lire 100.000. É vero che dalla maggiorazione in parola sono escluse, in forza dell'espressa previsione del terzo comma, le pensioni inferiori al minimo. Ma la limitazione introdotta per questa via nell'ambito di applicazione della norma denunziata non é irrazionale, né lede altrimenti l'art. 3 Cost.. Scopo della disciplina in esame é quello di salvaguardare, di fronte al crescente costo della vita, la capacità di acquisto dell'erogazione previdenziale. L'organo legislativo lo ha perseguito secondo criteri di gradualità e compatibilità con le risorse disponibili, senza per questo offendere la norma di raffronto. L'importo dei trattamenti inferiori al minimo - va, infatti, subito precisato - é, anch'esso, sotto vario riguardo preso in considerazione da apposite norme, che di esso dispongono l'adeguamento, in modo da tutelarne, tendenzialmente, il valore reale. Nel contesto della legislazione in cui si colloca la disposizione oggetto del presente giudizio figura, per vero, il meccanismo di perequazione automatica istituito con l'art. 19 della legge 30 aprile 1969, n. 153, che si applica alle pensioni inferiori al minimo (cfr. il primo e il penultimo comma di detto articolo): il cui ammontare é pertanto aumentato, a partire dal 1 gennaio di ciascun anno, in misura percentuale pari all'aumento percentuale del costo della vita, calcolato dall'Istituto centrale di Statistica ai fini della scala mobile della retribuzione dei lavoratori dell'industria. Insieme al progressivo e costante aumento derivante dalla previsione testé richiamata, occorre, inoltre, ricordare l'altro congegno perequativo, che consiste nell'integrare al minimo le pensioni di importo inferiore. L'integrazione al minimo viene ora ad operare, in forza delle pronunzie rese da questo Collegio (sentenze nn. 230/74; 236/76; 34/81; 102/82; 314/85) per ogni caso in cui essa era stata in origine preclusa dal divieto posto in via generale nell'art. 2, secondo comma, lett. a, della legge 12 agosto 1962, n. 1338; divieto successivamente derogato, in relazione a singole ipotesi di trattamento pensionistico, da previsioni, di cui la Corte ha via via esteso l'ambito, in conformità del principio costituzionale di eguaglianza. Una volta integrata al minimo, la pensione é a sua volta rivalutata, nello stesso sistema della legge n. 160/75, mediante il collegamento del relativo importo con le retribuzioni degli operai dell'industria, qual é congegnato nell'art. 9. Del resto, ai sensi dell'art. 1, primo comma, della legge n. 160, l'ammontare mensile della pensione minima, che prima era di lire 42.950, é elevata a lire 55.950: il che significa che esso viene accresciuto nella stessa misura, (oltre che con pari decorrenza temporale), delle pensioni ammesse in virtù del secondo comma a fruire della maggiorazione di lire 13.000. Nessuna consistenza ha, quindi, la censura avanzata nella specie riguardo al terzo comma dell'art. 1. L'esclusione dei trattamenti inferiori al minimo dall'aumento in tale articolo contemplato non é certo priva di giustificazione.

3. - Analogo ordine di rilievi depone per l'infondatezza delle questioni che riguardano la mancata estensione, alle pensioni pari od inferiori al minimo, del sistema di perequazione previsto nell'art. 10 della legge n. 160 per le pensioni di più elevato ammontare. Le censure in esame concordano nell'imputare la lesione degli invocati precetti costituzionali soprattutto al disposto del terzo comma dell'art. 10, in cui risiederebbe il nucleo essenziale della perequazione, per via dell'aumento fisso in ragione dei punti di contingenza, che si assume indebitamente negato ai titolari delle pensioni dedotte in controversia nelle cause di merito.

Ora, la Corte ha ultimamente avvertito (cfr. sent. n. 349/ 85), proprio in ordine ai trattamenti pensionistici qui considerati, come il principio di eguaglianza presupponga che le situazioni messe a confronto siano identiche o almeno omogenee. Nel caso in esame, però, sussiste un'intrinseca eterogeneità, Così sotto il profilo sociale come sotto quello strettamente economico delle due categorie di soggetti, costituite dai titolari, da un lato delle pensioni pari (o inferiori) al minimo, dall'altro delle pensioni di maggior importo: ciò con il necessario risultato che un'autonoma ed apposita disciplina di perequazione per ciascuna delle due categorie non può considerarsi irrazionale. La pronunzia testé ricordata consente, allora, di affermare che il legislatore non era costituzionalmente vincolato ad adottare il sistema dell'art. 10 indifferentemente per le pensioni di qualsiasi importo. Nelle ordinanze di rinvio vien dedotto che il criterio adottato in tale articolo, e in particolare l'erogazione della quota aggiuntiva prevista nel terzo comma, avrebbe assicurato maggiori vantaggi ai percettori di pensioni, che fruiscono, invece, dei congegni di rivalutazione stabiliti, secondo i casi, nell'art. 9 della legge n. 160 del 1975 o nell'art. 19 della legge n. 153 del 1969.

Ammesso pure che quest'assunto sia corretto, quel che rileva, ai fini del presente giudizio, é che il criterio discretivo accolto dal legislatore per perequare i trattamenti pensionistici di diverso ammontare non dà luogo ad irragionevoli od arbitrarie disparità di regime. La finalità ispiratrice di tutta la normativa in discorso - quella, come si diceva, di salvaguardare il valore delle erogazioni previdenziali - non é contraddetta, ma coerentemente attuata, dalla disciplina che regge il caso di specie. La quota fissata in rapporto ai punti di contingenza é corrisposta in aggiunta all'aumento percentuale, riferito alle variazioni del salario reale a norma del primo comma dell'art. 10, per ragioni che, ad avviso della Corte, non vanno censurate. Così statuendo il legislatore ha, infatti, inteso di contenere la lievitazione dei trattamenti superiori al minimo, che sarebbe conseguita alla scelta di un criterio perequativo imperniato esclusivamente su di un aumento proporzionale all'importo della pensione. D'altra parte, il criterio di perequazione mista, come esso qui si configura, serve, nel suo complesso, se non a prevenire, almeno a correggere l'appiattimento verso il basso di tutti i trattamenti pensionistici e per questo verso la disposizione denunciata risponde all'esigenza, fuor di dubbio lecita e razionale, che l'importo della pensione sia rivalutato tenendo conto della corrispondente retribuzione del dipendente in costanza del rapporto di lavoro o di impiego. Non vi é, quindi, alcun profilo, sotto il quale la disciplina in esame integra i prospettati estremi di incostituzionalità.

4. - Le considerazioni sopra svolte valgono altresl' ad escludere la fondatezza delle questioni che investono l'art. 18, primo comma, della legge n. 843 del 1978 nonché l'art. 14 del d.l. n. 663 del 1979 (v. sopra n. 1.4) sull'assunto, anche qui, che l'una e l'altra norma abbiano - ciascuna nella propria cerchia di efficacia temporale - indebitamente discriminato fra le pensioni di importo superiore al minimo e quelle di ammontare inferiore, prevedendo per le seconde il solo aumento percentuale disposto nel primo comma dell'art. 10 e lasciando invece fermo, con riguardo alle prime, il criterio composito di perequazione, quale risulta dal primo e dal terzo comma dello stesso art. 10.

5. - Giustificate, del pari, diversamente da come si assume nelle ordinanze del Pretore di Modena (v. sopra n. 1.5, 6) e di Genova (v. sopra n. 1.6), devono ritenersi le disposisizioni del primo comma dell'art. 19 della legge n. 153 del 1969, e quelle analoghe del quinto comma dell'art. 10 della legge n. 160 del 1975, le quali stabiliscono, come sopra si é detto, il tertnine iniziale di efficacia del regime di perequazione, disciplinato in altri commi dei suddetti due articoli. La definizione della sfera temporale di applicazione della disciplina in esame non sconfina dal ragionevole uso della discrezionalità legislativa: nemmeno sotto il riflesso - é appena il caso di aggiungere, dopo le osservazioni già esposte - che i trattamenti pensionistici esclusi dall'anzidetta disciplina restano dal canto loro assoggettati ad altro sistema perequativo. Risultano Così destituite di fondamento entrambe le questioni poste l'una in via principale, l'altra in subordine, dal Pretore di Modena, con il provvedimento di rimessione iscritto nel reg. ord. con il n. 779/81 (v. sopra n. 1.5).

6. - Esclusa la violazione del principio di eguaglianza, la Corte ritiene di dover pervenire ad identico risultato anche per quanto riguarda l'altra norma invocata in giudizio, che é l'art. 38 del testo fondamentale (v. sopra n. 1 e n. 1.2, 3, 4, 5 e 6). Il censurato regime é stato posto nell'esercizio di scelte discrezionali che tale ultima statuizione, secondo la costante giurisprudenza della Corte, demanda all'organo legislativo, chiamato ad adempiere i precetti costituzionali in tema di previdenza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Novara (r.o. 593/78);

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 10, primo, terzo e quinto comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160, sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale di Lucca (r.o. 436/83), e agli artt. 3 e 38 Cost., dai Pretori di Modena (r.o. 881/80 e 976/83) e di Trento (r.o. 827/82);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, quinto comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160, come sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dai Pretori di Modena (r.o. 779/1981) e di Genova (r.o. 213 e 886/1984);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 della legge 3 giugno 1975, n. 160, come sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dal Pretore di Ferrara (r.o. 84/83);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, primo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843 e 14, quarto comma, d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dal Pretore di Modena (r.o. 976/83);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dal Pretore di Modena (r.o. 779/81).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1986.

 

Livio PALADIN - Oronzo REALE - Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 28 gennaio 1986.