Sentenza n. 100 del 2010

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SENTENZA N. 100

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Francesco               AMIRANTE                                       Presidente

-    Ugo                        DE SIERVO                                         Giudice

-    Paolo                      MADDALENA                                         ”

-    Alfio                      FINOCCHIARO                                       ”

-    Alfonso                  QUARANTA                                             ”

-    Franco                    GALLO                                                      ”

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Maria Rita              SAULLE                                                    ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                         ”

-    Giuseppe                FRIGO                                                       ”

-    Alessandro             CRISCUOLO                                            ”

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 2, e 7 della legge della Regione Campania 28 novembre 2008, n. 16 (Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 30 gennaio 2009, depositato in cancelleria il 3 febbraio 2009 ed iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;

udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato il 30 gennaio 2009 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 3 febbraio (ric. n. 9 del 2009), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 2, e 7 della legge della Regione Campania 28 novembre 2008, n. 16 (Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo), per violazione, nel complesso, degli articoli 3, primo comma, 51, 81, quarto comma, 97, primo e terzo comma, 117 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

1.1.— In via preliminare, il ricorrente illustra il contenuto delle due norme censurate, entrambe destinate ad operare nel settore del servizio sanitario.

L’art. 4, dopo aver previsto che le «consulenze in essere alla data di entrata in vigore della presente legge non sono ulteriormente rinnovabili né rinegoziabili» (comma 1), stabilisce (comma 2) che, proprio in previsione della loro scadenza, «l’Azienda sanitaria o ospedaliera» possa chiedere «all’assessorato regionale di verificare se fra le risorse umane presenti nell’organico del personale regionale siano comprese figure professionali compatibili con le esigenze dell’Azienda richiedente». L’assessorato, pertanto, può «incaricare detto personale dipendente di fornire la consulenza prevedendo la corresponsione delle remunerazioni, conformemente alle previsioni contrattuali vigenti, a carico dell’Azienda richiedente», ovvero, «laddove le professionalità richieste non siano reperibili in organico», autorizzare «l’Azienda alla stipula del contratto di consulenza».

Ai sensi, invece, dell’art. 7 è «fatto obbligo alle Aziende sanitarie locali e alle Aziende ospedaliere della Campania di bandire concorsi riservati per i lavoratori in servizio in modo continuativo da almeno tre anni presso strutture sanitarie private provvisoriamente accreditate, licenziati e posti in mobilità a seguito di provvedimento di revoca dell’accreditamento conseguente alla perdita dei requisiti previsti dalle vigenti disposizioni in materia».

1.2.— Tanto premesso, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri le due norme impugnate, «che prevedono rispettivamente l’affidamento incondizionato di nuove consulenze e l’obbligo delle Aziende sanitarie locali di indire concorsi riservati per l’assunzione di personale privato, comportano impegni di spesa che sono in contrasto con il contenuto dell’Accordo stipulato dal Presidente della Regione e dai Ministri della salute e dell’economia» ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), donde la loro illegittimità costituzionale.

1.2.1.— Difatti, ai sensi dell’art. 3, comma 6, del citato Accordo, intervenuto il 13 marzo 2007, tra i provvedimenti regionali di spesa e programmazione sanitaria, da sottoporre alla preventiva approvazione del Ministro della salute e del Ministro dell’economia e delle finanze, rientrano anche quelli concernenti le «consistenze del personale a tempo indeterminato, determinato nonché quelle relative a forme di lavoro flessibile, convenzioni e consulenze con riferimento ai fattori che hanno incidenza diretta ed indiretta su dette consistenze (assunzioni, cessazioni, riorganizzazione dei servizi, accorpamenti, esternalizzazioni, creazioni di nuovi enti, ecc)».

Nel novero di tali provvedimenti, pertanto, rientrano, secondo il ricorrente, anche «le misure oggetto delle disposizioni impugnate», le quali, tuttavia, sarebbero «state assunte in violazione dell’Accordo» summenzionato e con esso «del fondamentale principio di leale collaborazione», la cui portata generale non sarebbe limitata alla previsione contenuta nell’art. 120, secondo comma, Cost., come confermerebbe – tra le diverse pronunce della giurisprudenza costituzionale – la sentenza n. 310 del 2006.

Su tali basi, dunque, viene dedotto un primo profilo di illegittimità costituzionale, comune ad entrambe le norme censurate, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.

1.2.2.— Si assume, inoltre, che la Regione Campania sarebbe «venuta meno agli specifici vincoli, strumentali al conseguimento dell’equilibrio economico nel sistema sanitario, contenuti nel piano di rientro» di cui al già citato Accordo del 13 marzo 2007.

I predetti artt. 4 e 7, infatti, contrasterebbero con i principi volti al contenimento della spesa sanitaria – identificati quali principi fondamentali della materia, oggetto di potestà legislativa concorrente statale e regionale, “coordinamento della finanza pubblica” – «declinati» dall’art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), norma che attribuisce natura vincolante agli «interventi individuati nei programmi operativi di riorganizzazione, potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311».

Di qui, pertanto, la deduzione di un secondo profilo di illegittimità costituzionale – comune ad ambedue le norme impugnate – ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., per «violazione dei principi fondamentali, nella materia di legislazione concorrente, del “coordinamento della finanza pubblica”».

1.3.— Identica censura, sebbene sotto altro profilo, viene rivolta al solo art. 4, comma 2, della legge regionale della Campania qui in esame.

Si ipotizza che esso reintroduca «surrettiziamente la facoltà incondizionata delle Aziende sanitarie locali di affidare nuove consulenze o di rinnovare quelle in corso», ponendosi in contrasto con la previsione – anch’essa costituente, secondo il ricorrente, principio fondamentale della materia “coordinamento della finanza pubblica” – contenuta nell’art. 46 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133.

Tale articolo – prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri – ha subordinato a «puntuali presupposti legittimanti l’attività di affidamento di consulenze» (presupposti, nella specie, non rispettati, dipendendo l’espletamento della consulenza da «una mera richiesta dell’azienda interessata»), quali «la specificità dell’oggetto dell’incarico e la sua strumentalità rispetto alle esigenze dell’amministrazione conferente; l’impossibilità oggettiva di utilizzazione di risorse interne; la temporaneità della prestazione e la sua valutazione in termini di grado elevato di qualificazione; la possibilità di prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria solo in presenza dell’accertamento rigoroso di un’esperienza qualificata, maturata nel settore ove si presta attività di consulenza».

1.4.— Due censure specifiche sono, infine, rivolte anche nei confronti dell’art. 7 della legge della Regione Campania n. 16 del 2008.

Per un verso, si evidenzia che la norma – nel «bandire concorsi riservati ai lavoratori che abbiano prestato servizio in modo continuativo per almeno tre anni presso strutture sanitarie private provvisoriamente accreditate», già licenziati o posti in mobilità a seguito «di un provvedimento di revoca dell’accreditamento» – violerebbe gli artt. 3, primo comma, 51 e 97, primo e terzo comma, Cost.

Essa, infatti, contrasterebbe con quel principio del pubblico concorso che, sottolinea il ricorrente, secondo la giurisprudenza costituzionale «costituisce la regola per l’accesso all’impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, da rispettare al fine di assicurare la loro imparzialità ed efficienza» (è richiamata la sentenza n. 81 del 2006).

Per contro, in caso di concorsi “interni” – al quale sembra riconducibile, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, anche quello previsto dalla censurata disposizione, sebbene esso riservi la procedura concorsuale «ad una categoria di soggetti esterni» all’amministrazione – la regola del pubblico concorso «può dirsi rispettata solo quando le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie e irragionevoli forme di restrizione nell’ambito dei soggetti legittimati a parteciparvi» (come sarebbe avvenuto, viceversa, nel caso di specie). Difatti, il legislatore ben può prevedere «condizioni di accesso intese a consentire il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione», purché, però, non sia stabilita – «salvo circostanze del tutto eccezionali» – «la riserva integrale dei posti disponibili in favore del personale interno» (sentenza n. 205 del 2004).

Inoltre, la censurata disposizione, nel contemplare la «possibilità di svolgimento di concorsi riservati», non solo comporta «un impegno di spesa che non è in linea con gli obiettivi di rientro dal disavanzo derivanti dal più volte richiamato Accordo tra Governo e Regione», ma «implica inevitabilmente maggiori costi per il personale, privi di copertura finanziaria», donde l’ipotizzata violazione anche dell’art. 81, quarto comma, Cost.

2.— Si è costituita in giudizio la Regione Campania chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate.

2.1.— La Regione sottolinea, in primo luogo, la necessità di un’interpretazione sistematica delle norme censurate, dalla quale emergerebbe che la disciplina recata dalla legge regionale n. 16 del 2008 si è ispirata a «due linee direttive», e cioè, «da una parte, l’impegno per il contenimento e la razionalizzazione dei costi nel settore sanitario; dall’altra, la ricerca di un equilibrio complessivo dell’intervento rispetto a disposizioni che vanno ad incidere significativamente su situazioni di particolare complessità».

Sempre su di un piano generale, si rileva che gli interventi compiuti dalle impugnate disposizioni rientrano «nella sfera delle attribuzioni regionali, avendo ad oggetto norme che attengono all’organizzazione e al personale regionale ovvero di enti regionali», profili sui quali «l’accordo siglato con il Governo non incide». Il suo contenuto, difatti, consiste soltanto nella attribuzione alle Regioni interessate – tra le quali la Campania – di un ulteriore finanziamento statale, destinato al ripiano dei deficit nel settore sanitario, «subordinatamente alla verifica della effettiva attuazione del programma concordato».

Sotto questo profilo, quindi, le censure statali si paleserebbero inammissibili, oltre che infondate, «in quanto alcun vizio di costituzionalità emerge dalla comparazione dei contenuti legislativi regionali con quelli convenzionali, venendo in rilievo esclusivamente l’esigenza di verificare, sul piano attuativo, il ricorrere dei presupposti per l’ottenimento del beneficio» finanziario suddetto.

2.2.— Per quanto concerne, poi, la censura che investe l’art. 4, comma 2, della legge regionale impugnata, la Regione Campania ne assume l’infondatezza «sotto un duplice aspetto».

Reputa, in primo luogo, «fuorviante» la lettura della norma proposta dal ricorrente, secondo cui essa reintrodurrebbe «surrettiziamente la facoltà incondizionata delle Aziende sanitarie locali di affidare nuove consulenze o di rinnovare quelle in corso».

Per contro, il comma 1 dell’art. 4 stabilisce che «le consulenze in essere alla data di entrata in vigore della presente legge non sono ulteriormente rinnovabili né rinegoziabili».

Quanto, poi, alla «possibilità di affidare altre consulenze», la disposizione censurata sarebbe «assolutamente in linea con le indicazioni della disciplina legislativa statale» di cui all’art. 46 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, che in particolare subordina l’espletamento della consulenza all’«assenza delle professionalità nell’organico dell’Azienda e successivamente della Regione».

Solo in presenza di tale condizione, e ferme ovviamente restando, peraltro, «le regole generali valevoli per questi rapporti di lavoro», sarebbe possibile affidare nuove consulenze.

In secondo luogo, la Regione resistente deduce l’infondatezza della censura anche sotto un diverso profilo.

Si richiama quell’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, il legislatore statale «può solo introdurre limiti generali di spesa, ma non anche imporre alla Regione su quali voci di bilancio intervenire», giacché norme di questo secondo tipo «non costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l’autonomia finanziaria di spesa garantita dall’art. 119 Cost.» (è citata la sentenza n. 417 del 2005).

2.3.— In merito, infine, alla censura che investe l’art. 7, la Regione rileva che, sebbene tale disposizione abbia previsto «di riservare posti messi a concorso per determinate categorie», ciò non vuol dire «che tutti i posti banditi debbano essere riservati».

Difatti, ai sensi del comma 2 del medesimo art. 7, l’operazione de qua deve pur sempre compiersi «nei limiti delle disposizioni vigenti in materia», e dunque nel rispetto della «normativa di settore», ciò che «esclude i profili di illegittimità eccepiti dallo Stato».

Altrettanto sarebbe a dirsi per la dedotta violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., giacché – secondo la Regione – l’impugnato art. 7 «incide esclusivamente sulla “attribuibilità” dei posti messi a concorso», rinviando per il resto «alle disposizioni vigenti in materia» e, soprattutto, subordinando l’espletamento della procedura alla «previa disponibilità della dotazione organica» del personale.

3.— La Regione Campania, in data 19 gennaio 2010, ha depositato, presso la cancelleria della Corte, una memoria, insistendo perché le questioni proposte vengano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.

3.1.— Quanto, in particolare, alla censura – comune ad entrambe le norme impugnate – di violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, la resistente si sofferma sul contenuto dell’art. 3, comma 6, del già citato Accordo del 13 marzo 2007, a norma del quale i provvedimenti regionali di spesa e programmazione sanitaria sono sottoposti «a preventiva approvazione da parte del Ministro della salute e del Ministro dell’economia e delle finanze».

Orbene, tale previsione – ad avviso della resistente – non può essere interpretata nel senso di «immaginare che l’esercizio della potestà legislativa della Regione possa essere condizionata dalla “approvazione” del testo di legge da parte dello Stato e, addirittura, di un organo governativo».

Di qui, pertanto, la non fondatezza della censura formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri, giacché, a tacer d’altro, dovrebbe rilevarsi – sottolinea sempre la difesa regionale – che «in mancanza di disposizioni che consentano di attribuire rilevanza sul piano costituzionale ad eventuali “accordi normativi” diretti a determinare il contenuto di testi legislativi, non può trovare ingresso nel giudizio di costituzionalità la censura che si fonda sulla violazione del principio di leale collaborazione» (sono citate le sentenze n. 160 del 2009, n. 371 e n. 222 del 2008 e n. 401 del 2007).

3.2.—  Per il resto, la difesa regionale ribadisce le argomentazioni svolte a sostegno della reiezione del ricorso statale.

Considerato in diritto

1.— Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 2, e 7 della legge della Regione Campania 28 novembre 2008, n. 16 (Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo), per violazione, nel complesso, degli articoli 3, primo comma, 51, 81, quarto comma, 97, primo e terzo comma, 117 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

I due articoli sono impugnati in quanto prevedono, secondo il ricorrente, l’uno, la possibilità, per le Aziende sanitarie locali e per quelle ospedaliere, di disporre «l’affidamento incondizionato di nuove consulenze», l’altro, l’obbligo per tali enti «di indire concorsi riservati per l’assunzione di personale privato».

2.— Il Presidente del Consiglio – oltre a formulare due censure specifiche per ciascuna norma, ipotizzando che l’art. 4, comma 2, víoli l’art. 117, terzo comma, Cost., per il mancato rispetto di «principi fondamentali nella materia di legislazione concorrente del “coordinamento della finanza pubblica”» e che l’art. 7 víoli invece, gli artt. 3, primo comma, 51, 97, primo e terzo comma, nonché l’art. 81, quarto comma, Cost. – propone un duplice motivo di impugnazione comune ad entrambi gli articoli.

Si assume che essi violerebbero gli artt. 117 e 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione, comportando «impegni di spesa che sono in contrasto con il contenuto dell’Accordo stipulato il 13 marzo 2007 dal Presidente della Regione e dai Ministri della salute e dell’economia» per il rientro dal disavanzo nel settore sanitario, ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005).

In particolare, è dedotto che – ai sensi dell’art. 3, comma 6, del citato Accordo – sono da sottoporre alla preventiva approvazione del Ministro della salute e del Ministro dell’economia e delle finanze i provvedimenti regionali di spesa e programmazione sanitaria (ai quali sarebbero da ricondurre quelli oggetto delle norme impugnate) concernenti le «consistenze del personale a tempo indeterminato, determinato nonché quelle relative a forme di lavoro flessibile, convenzioni e consulenze con riferimento ai fattori che hanno incidenza diretta ed indiretta su dette consistenze (assunzioni, cessazioni, riorganizzazione dei servizi, accorpamenti, esternalizzazioni, creazioni di nuovi enti, ecc)».

Per altro verso, si assume la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per essere stato disatteso l’art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), che enuncerebbe – nell’attribuire natura vincolante agli «interventi individuati nei programmi operativi di riorganizzazione, potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311» – un principio fondamentale della materia di legislazione concorrente del “coordinamento della finanza pubblica”.

3.— Entrambe le censure – comuni, come si è precisato, ai due articoli impugnati – non sono fondate.

3.1.— Con la prima, il ricorrente deduce che – in ossequio al principio di leale collaborazione, e particolarmente in ottemperanza agli impegni assunti dalla Regione Campania in virtù del già citato Accordo – anche una legge regionale rientrerebbe tra quei provvedimenti da sottoporre, in base al disposto dell’art. 3, comma 6, del medesimo Accordo, alla preventiva approvazione ministeriale.

Al riguardo, tuttavia, è sufficiente richiamare il tradizionale «orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui l’esercizio della funzione legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione (ex plurimis, tra le più recenti, sentenze nn. 249, 232, 225, 107 e 88 del 2009)» (così, testualmente, la sentenza n. 284 del 2009; anche, da ultimo, la sentenza n. 16 del 2010). È, pertanto, da escludere che sia ipotizzabile una approvazione ministeriale della legge regionale in esame, essendo palese che l’approvazione prevista dall’Accordo si riferisce a provvedimenti amministrativi e non già legislativi che siano adottati dalla Regione.

3.2.— Per quanto concerne, poi, la seconda censura – quella di violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i «principi fondamentali, nella materia di legislazione concorrente, del “coordinamento della finanza pubblica”», in particolare desumibili dall’art. 1, comma 796, lettera b), della legge n. 296 del 2006 – è necessario diversificarne l’esame per ciascuno degli articoli impugnati.

3.2.1.— Quanto all’art. 4, comma 2, pur dovendosi preliminarmente ribadire, come si è accennato, che il principio di leale collaborazione non può trovare applicazione, in via generale, in relazione all’attività di produzione legislativa, deve nondimeno rilevarsi che, nella specie, una norma statale (art. 1, comma 796, lett. b della legge n. 296 del 2006) ha reso vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione «necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311», ivi compreso l’Accordo intercorso tra lo Stato e la Regione Campania.

Orbene, la norma dello Stato che assegna a tale Accordo carattere vincolante, per le parti tra le quali è intervenuto, può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica.

Tuttavia, nel caso di specie, tale principio non può ritenersi disatteso, giacché – per le ragioni che si illustreranno meglio più avanti – l’articolo 4, comma 2, della legge regionale in esame, non contemplando affatto la possibilità del ricorso a consulenze secondo condizioni meno rigorose di quelle previste dalla legislazione statale, non si pone in contrasto con quegli interventi «necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico» nel settore sanitario individuati nel già citato Accordo del 13 marzo 2007.

3.2.2.— La medesima censura non è fondata neppure in relazione all’art. 7 della legge regionale in esame.

Dirimente, in questo caso, è l’impossibilità di individuare nel “coordinamento della finanza pubblica” l’ambito materiale interessato dalla disciplina recata da detto articolo.

La giurisprudenza di questa Corte è pacifica, infatti, nel ritenere che «la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra nella competenza residuale delle Regioni di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione» (da ultimo, sentenza n. 95 del 2008, ma nello stesso senso già la sentenza n. 380 del 2004).

La circostanza che la norma regionale de qua investa un ambito materiale oggetto di potestà legislativa residuale della Regione comporta, pertanto, la non fondatezza della censura in esame.

4.— Non fondata, nei sensi di seguito precisati, è la censura che investe specificamente l’art. 4, comma 2, per asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Si ipotizza, infatti, che la disposizione impugnata sia in contrasto con la previsione – costituente, secondo il ricorrente, principio fondamentale della materia “coordinamento della finanza pubblica” – contenuta nell’art. 46 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133. Detto articolo, nel modificare il comma 6 dell’art. 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), subordina a «puntuali presupposti legittimanti l’attività di affidamento di consulenze» da parte di enti pubblici; presupposti che, nella specie, la norma regionale campana avrebbe disatteso.

Tale evenienza non ricorre, però, nel caso di specie.

Difatti, la norma censurata, correttamente interpretata, è da intendere nel senso che le sue statuizioni non contraddicono, ma anzi sostanzialmente si conformano alle indicazioni risultanti dalla disciplina legislativa statale prevista dal citato art. 46 del decreto-legge n. 112 del 2008.

In base a tale articolo, le amministrazioni pubbliche – per «esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio» – possono «conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria», soltanto in presenza di precisi «presupposti di legittimità». In particolare, è previsto che «l’oggetto della prestazione» – che «deve essere di natura temporanea e altamente qualificata» – non solo corrisponda «alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati», ma sia anche «coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente», stabilendosi, inoltre, la necessità che siano «preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione». A tali previsioni, infine, si aggiunge quella secondo cui il «ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati» costituisce «causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti».

Orbene, l’art. 4 della legge regionale in esame reca una disciplina compatibile con quella appena indicata, giacché è destinata a completarla dal momento che la presuppone e implicitamente ne recepisce il contenuto.

La norma regionale censurata stabilisce, innanzitutto, che le «consulenze in essere alla data di entrata in vigore della presente legge non sono ulteriormente rinnovabili né rinegoziabili» (comma 1).

Il successivo comma 2, pur consentendo in via di eccezione l’ulteriore ricorso alle consulenze, ne subordina l’ammissibilità alla preventiva verifica della carenza, tra le «risorse umane presenti nell’organico del personale regionale» (di tutto il personale regionale), di «figure professionali compatibili con le esigenze dell’Azienda richiedente»; ciò che persino amplia la previsione di cui alla lettera b) del citato art. 46, in base al quale «l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili» esclusivamente «al suo interno».

È poi da aggiungere che la stipulazione del contratto di consulenza è, in ogni caso, subordinata dal censurato comma 2 dell’art. 4 ad un provvedimento di autorizzazione del competente assessorato regionale.

Su tali basi, quindi, può condividersi il rilievo della resistente secondo cui «la norma regionale non deroga» alla disciplina statale, rendendola, anzi, «ancora più rigorosa», giacché prevede – in coerenza, del resto, con la finalità perseguita di «garantire il rispetto degli obblighi di contenimento della spesa e di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale previsti dal Piano di rientro» – requisiti che si aggiungono a quelli di cui al già citato art. 46 del decreto-legge n. 112 del 2008.

5.— È, invece, fondata la censura che investe – in riferimento agli artt. 3, primo comma, 51 e 97, primo e terzo comma, Cost. ed all’art. 81, quarto comma, Cost. – l’art. 7 della legge regionale in esame.

Infatti, sebbene in passato questa Corte abbia ritenuto ammissibili procedure integralmente riservate (così sentenze n. 228 del 1997, n. 477 del 1995 e ordinanza n. 517 del 2002), comunque sempre in considerazione della specificità delle fattispecie che di volta in volta venivano in rilievo (ed esigendo, inoltre, che le stesse fossero coerenti con il principio del buon andamento dell’amministrazione), la più recente giurisprudenza costituzionale ha sottolineato come sia necessario, affinché «sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall’art. 97 Cost.», che «l’area delle eccezioni» alla regola sancita dal suo primo comma sia «delimitata in modo rigoroso» (così la sentenza n. 363 del 2006; nonché, più di recente, la sentenza n. 215 del 2009).

In particolare, da ultimo, si è affermato che la «natura comparativa e aperta della procedura è (…) elemento essenziale del concorso pubblico», sicché «procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violano il “carattere pubblico” del concorso» (sentenza n. 293 del 2009).

Tali affermazioni, sebbene compiute con riferimento a procedure riservate a soggetti già appartenenti all’amministrazione, valgono anche quando – come nell’ipotesi in esame – la riserva integrale dei posti operi nei confronti di un limitato gruppo di soggetti estranei ad essa, giacché pure in questo caso risulta violata quella natura “aperta” della procedura, che costituisce «elemento essenziale del concorso pubblico».

Su tali basi, dunque, si deve pervenire all’accoglimento della censura di violazione degli artt. 3, primo comma, 51 e 97, primo e terzo comma, Cost.

Del pari, il censurato art. 7 della legge regionale in esame viola l’art. 81, quarto comma, Cost.

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è costante nel ritenere che «il legislatore regionale non può sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l’art. 81 Cost. si ispira» (ex multis, sentenza n. 359 del 2007), precisando che la copertura di nuove spese «deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri» (sentenza n. 213 del 2008).

Queste condizioni non risultano rispettate dalla norma impugnata, la quale – pur comportando maggiori costi per il personale – non reca alcuna copertura finanziaria, donde la sua illegittimità costituzionale anche sotto questo profilo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Campania 28 novembre 2008, n. 16 (Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo);

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della medesima legge della Regione Campania n. 16 del 2008, proposta – in riferimento all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione – dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della medesima legge della Regione Campania n. 16 del 2008, proposta – in riferimento all’articolo 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione – dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2010.