Ordinanza n. 41 del 2008

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ORDINANZA N. 41

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco BILE                                   Presidente

-  Giovanni Maria FLICK           Giudice

-  Francesco AMIRANTE                  “

-  Ugo DE SIERVO                           “

-  Paolo MADDALENA                     “

-  Alfio FINOCCHIARO                  “

-  Alfonso QUARANTA                   “

-  Franco GALLO                           “

-  Luigi MAZZELLA                       “

-  Gaetano SILVESTRI                   “

-  Sabino CASSESE                       “

-  Maria Rita SAULLE                    “

-  Giuseppe TESAURO                  “

-  Paolo Maria NAPOLITANO       “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, promossi con ordinanza depositata il 30 agosto 2006 dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, nel giudizio vertente tra il Comune di Ladispoli e la s.r.l. Valcannuta 1990, e con ordinanza depositata il 16  marzo 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, nel giudizio vertente tra la s.r.l. Ecuba ed il Comune di Castell’Arquato, rispettivamente iscritte al n. 313 ed al n. 613 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 e n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 2008 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello avente ad oggetto la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva rigettato il ricorso proposto da una società a responsabilità limitata avverso due avvisi di liquidazione e accertamento in rettifica dell’ICI relativa agli anni 1993 e 1994, la Commissione tributaria regionale del Lazio, con ordinanza pronunciata il 17 gennaio 2006 e depositata il 30 agosto 2006 (r.o. n. 313 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 53 e 3 della Costituzione, «nonché» ai principi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;

che, secondo quanto premesso in punto di fatto dal giudice rimettente: a) con gli avvisi impugnati, il Comune di Ladispoli aveva rettificato, ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), il valore di «alcuni terreni agricoli» della suddetta società, stimandoli in base al loro valore venale in comune commercio, invece che in base alle rendite agricole risultanti dal catasto; b) i terreni erano inseriti in una zona (“M2”) qualificata come edificabile dal piano regolatore generale, ma per la quale non erano rilasciabili permessi di costruire, perché non assistita da strumenti urbanistici attuativi del piano generale; c) la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva rigettato il ricorso proposto dalla società avverso la menzionata rettifica di valore ed aveva affermato nella sua decisione che la ricorrente non aveva dimostrato la dedotta inedificabilità dei terreni; d) con l’appello proposto, la medesima società aveva ribadito, deducendolo quale motivo di gravame, che i terreni non erano edificabili;

che, secondo quanto premesso in punto di diritto dal medesimo giudice rimettente: a) in forza dell’originaria formulazione dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), per «area fabbricabile», ai fini dell’ICI, «si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità»; b) sull’interpretazione di detta disposizione era insorto un contrasto giurisprudenziale circa l’assoggettabilità all’ICI come “fabbricabili” delle aree che, pur essendo considerate “utilizzabili a scopo edificatorio” dal piano regolatore generale, non sono effettivamente suscettibili di edificazione a causa della mancata approvazione dei necessari piani attuativi ovvero dell’esistenza di misure di salvaguardia adottate dal Comune; c) le due denunciate disposizioni di legge – introdotte dal legislatore, nelle more del giudizio di appello, proprio al fine di dirimere detto contrasto giurisprudenziale – hanno natura di interpretazione autentica del citato art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992 e, pertanto, hanno efficacia retroattiva; d) la piú recente delle due citate disposizioni interpretative ha comportato «l’abrogazione implicita» della prima, stabilendo – con norma ritenuta dal rimettente di «identico significato» rispetto a quella abrogata – che un’area è da considerare fabbricabile, ai fini dell’ICI (oltre che ai fini delle imposte sui redditi e di registro), «se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, il giudice a quo afferma che il censurato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, nell’equiparare ai fini fiscali, quanto alla potenzialità edificatoria, un’area qualificata come “edificabile” dal piano regolatore generale, ma per la quale non è concedibile il permesso di costruire, ad un’area per la quale detto permesso è, invece, concedibile, víola: a) l’art. 3 Cost., perché irragionevolmente sottopone al medesimo trattamento fiscale situazioni che l’ordinamento giuridico considera diverse ai fini dell’edificabilità; b) l’art. 53 Cost., perché «prescinde dalla capacità contributiva reale che è necessariamente mediata dalle norme imperative relative allo ius aedificandi»; c) i «principi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione», perché il legislatore, ai soli fini fiscali, sovrappone alla concreta inedificabilità dell’area la qualifica di “area fabbricabile”, con ciò assumendo un «atteggiamento sicuramente vessatorio, proprio di regimi ben diversi dalla democrazia»;

che, in ordine alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo afferma che la natura interpretativa e, quindi, la valenza retroattiva delle disposizioni denunciate le rende applicabili anche ai periodi d’imposta oggetto del giudizio principale, con conseguente necessità di rigettare l’appello nel caso in cui esse non venissero dichiarate costituzionalmente illegittime;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate, perché: a) le censurate disposizioni – come già sottolineato dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 25506 del 2006, con cui è stato composto il contrasto giurisprudenziale menzionato dal rimettente – hanno delineato un coerente e razionale sistema normativo introducendo nell’ordinamento la ragionevole distinzione tra finalità fiscali (per le quali rileva l’effettivo maggior valore di mercato acquisito da un terreno agricolo a séguito della qualifica di “area edificabile” attribuitagli dal piano regolatore, anche se privo di strumenti attuativi) e finalità urbanistiche (per le quali rileva, invece, l’effettiva possibilità di edificare, secondo il corretto uso del territorio urbano, indipendentemente dal valore del terreno); b) la valutazione come terreno agricolo, ai fini fiscali, di un’area qualificata come edificabile da un piano regolatore generale privo di strumenti attuativi creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla valutazione in base al valore venale di un’area qualificata come edificabile da uno strumento attuativo, in quanto in entrambi i casi il valore di mercato del bene è superiore a quello risultante dalle rendite catastali agricole;

che, nel corso di un giudizio di primo grado nel quale una società a responsabilità limitata aveva impugnato due avvisi di accertamento dell’ICI relativi agli anni 2003 e 2004, emessi dal Comune di Castell’Arquato, la Commissione tributaria provinciale di Piacenza, con ordinanza pronunciata e depositata il 16 marzo 2007 (r.o. n. 613 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, nonché al principio di affidamento dei cittadini nella certezza giuridica – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992, quale interpretato dagli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 248 del 2005, e 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006;

che, secondo quanto premesso in punto di fatto dal giudice rimettente, gli avvisi impugnati riguardano «aree in concreto edificabili solo a seguito dell’approvazione di strumenti attuativi (piano particolareggiato e piano comunale)»;

che, secondo quanto premesso in punto diritto dal medesimo giudice rimettente: a) l’originaria formulazione dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992 stabiliva che, ai fini dell’ICI, «per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità»; b) ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 37 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), testo A, ai soli fini della determinazione dell’indennità di esproprio di un’area edificabile o legittimamente edificata, si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione; c) in base al combinato disposto delle citate disposizioni non potevano, pertanto, qualificarsi “edificabili”, ai fini dell’ICI, le aree qualificate come edificabili soltanto in forza di uno strumento urbanistico generale ancora non approvato od attuato; d) i censurati artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, e 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, hanno, però, successivamente stabilito, con norme considerate di natura interpretativa dalle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza n. 25506 del 2006), che, ai fini dell’ICI, è considerata edificabile ogni area che sia classificata come tale dallo strumento urbanistico generale, anche se manchi la pianificazione attuativa o, addirittura, se detto strumento urbanistico generale sia stato solo adottato;

che, quanto alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, il giudice a quo afferma che le disposizioni censurate violano gli evocati parametri costituzionali sotto i tre seguenti profili;

che in primo luogo, ad avviso del rimettente, i censurati artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005 e 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, nell’intento di fornire – ai fini dell’applicazione dell’ICI – l’interpretazione autentica della nozione di area fabbricabile di cui all’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992, attribuiscono alla disposizione interpretata (in violazione dei princípi sia di «ragionevolezza, non contraddittorietà e logicità» sanciti dall’art. 3 Cost., sia dell’affidamento dei cittadini nella certezza giuridica) significati incompatibili con quelli desumibili dal suo testo originario, il quale, richiamando i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, esclude che un’area possa essere qualificata come edificabile in forza di uno strumento urbanistico generale ancora in itinere o in mancanza dei necessari piani attuativi;

che in secondo luogo, per il medesimo rimettente, le norme denunciate, qualificando “edificabili” (ai soli fini fiscali) aree in relazione alle quali non è possibile ottenere il permesso di costruire, creano una ingiustificata disparità di trattamento tra proprietari di aree egualmente inedificabili (in violazione dell’art. 3 Cost.) e non fanno gravare l’ICI su un «sintomo» di ricchezza o di capacità economica (in violazione dell’art. 53 Cost.); e ciò sia perché la vendita di un’area non ancora in concreto edificabile è normalmente condizionata alla futura effettiva edificabilità del suolo, cosí che l’aspettativa di tale edificabilità non si traduce in alcun vantaggio economico immediato per il proprietario, sia perché, comunque, l’art. 59, comma 1, lettera f), del citato d.lgs. n. 504 del 1992 lascia all’iniziativa sporadica, e comunque non doverosa, dei Comuni la previsione del rimborso dell’ICI pagata per le aree successivamente divenute inedificabili, cosí che tale rimborso è «foriero di disparità di trattamento tra proprietari egualmente colpiti dall’impossibilità di edificare concretamente, a seconda del comune di appartenenza e delle situazioni»;

che in terzo luogo, per il giudice a quo, le norme censurate, con riguardo ai suoli per i quali non è possibile ottenere il permesso di edificare, discriminerebbero irragionevolmente (in violazione dell’art. 3 Cost.) le aree qualificate come edificabili da piani urbanistici ancora in itinere o comunque privi di attuazione, perché solo per tale tipo di aree l’imponibile dell’ICI viene commisurato al valore venale, pur essendo previsto dalla legge, in caso di esproprio, un indennizzo calcolato in base alla natura agricola del terreno.

che infine, in ordine alla rilevanza, la Commissione tributaria provinciale di Piacenza afferma che le questioni sono rilevanti, perché in giudizio si controverte sulla debenza dell’ICI relativamente ad aree che sarebbero in concreto edificabili solo a séguito dell’approvazione di strumenti attuativi del piano regolatore generale;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto anche in questo giudizio di legittimità costituzionale, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;

che, in particolare, la difesa erariale eccepisce l’inammissibilità delle questioni sia per la mancata descrizione della fattispecie sia perché, comunque, il denunciato art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 248 del 2005, anche ove avesse natura innovativa – come affermato dal rimettente – e non interpretativa, si applicherebbe quantomeno dalla data della sua entrata in vigore e, quindi, anteriormente alla data di inizio del giudizio a quo («iniziato […] il 3 marzo 2006»);

che la medesima difesa erariale afferma, nel merito, che le questioni sono infondate, sia perché le denunciate disposizioni intervenute nel 2005 e nel 2006 hanno natura autenticamente interpretativa, in quanto rendono obbligatorio uno dei significati già attribuibile alle disposizioni interpretate; sia perché non è dubbio che uno strumento urbanistico in itinere conferisce al terreno da esso qualificato come edificabile un valore ben superiore a quello precedente e comunque correttamente valutabile sul mercato, fermo restando – nel caso di successivo «ritiro del piano» attributivo della qualifica di area fabbricabile – l’eventuale rimborso dell’imposta pagata.

Considerato che la Commissione tributaria regionale del Lazio – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, «nonché» ai princípi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione – e la Commissione tributaria provinciale di Piacenza – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, nonché al principio di affidamento dei cittadini nella certezza giuridica – dubitano della legittimità degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;

che i giudici rimettenti muovono dalla comune premessa che le disposizioni censurate – nello stabilire che un’area è da considerare fabbricabile, ai fini dell’ICI (oltre che ai fini delle imposte sui redditi e di registro), «se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo» – sono dotate di efficacia retroattiva ed incidono, pertanto, sulla precedente definizione di area fabbricabile rilevante ai fini dell’ICI e contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in forza del quale «per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità»;

che, ad avviso dei giudici a quibus, le suddette disposizioni censurate violano gli evocati parametri costituzionali, perché: a) in contrasto con i princípi di «ragionevolezza, non contraddittorietà e logicità» di cui all’art. 3 Cost. e di affidamento dei cittadini nella certezza giuridica, attribuiscono al citato art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992 un significato incompatibile con quello desumibile dal testo di detto articolo, il quale, richiamando i criteri previsti per la determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità – indicati dai commi 3 e 4 dell’art. 37 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), testo A – esclude che un’area agricola possa essere qualificata come edificabile in forza di uno strumento urbanistico generale ancora in itinere o privo dei necessari piani attuativi (questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza); b) in contrasto con l’art. 3 Cost., da un lato, irragionevolmente equiparano situazioni del tutto diverse sotto il profilo dell’edificabilità, assimilando a suoli edificabili aree agricole per le quali non è possibile ottenere il permesso di costruire (questione sollevata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio), e dall’altro, altrettanto irragionevolmente, stabiliscono che, diversamente dagli altri terreni agricoli, soltanto le aree definite come edificabili da piani urbanistici non ancora approvati o attuati sono soggette ad una doppia valutazione: in base al valore venale, ai fini del pagamento dell’ICI, e in base al reddito dominicale catastale, ai fini del calcolo dell’indennizzo espropriativo (questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza); c) in contrasto con l’art. 53 Cost., qualificano “edificabili”, ai fini fiscali, aree in relazione alle quali non è possibile ottenere il permesso di costruire, con la conseguenza che, con riferimento a tali aree, l’ICI prescinde dalla capacità contributiva reale, in quanto non grava su un effettivo «sintomo» di ricchezza o di capacità economica del contribuente (questione sollevata da entrambi i rimettenti);

che, in ragione dell’identità delle norme denunciate e della parziale coincidenza delle censure proposte, i giudizi di legittimità costituzionale debbono essere riuniti per essere congiuntamente decisi;

che le questioni sono in parte manifestamente inammissibili ed in parte manifestamente infondate;

che, in via preliminare, vanno dichiarate manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni concernenti l’art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 248 del 2005, perché di tale disposizione i rimettenti, in base alla stessa prospettazione delle loro censure, non debbono fare applicazione nei giudizi a quibus;

che, infatti, l’art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, in forza dell’efficacia retroattiva riconosciutagli da entrambe le ordinanze di rimessione, ha sostituito con effetto ex tunc, abrogandola, la disciplina dettata dal citato art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, con la conseguenza (tra l’altro espressamente ammessa dalla Commissione tributaria regionale del Lazio) che detto art. 36, comma 2, è l’unica disposizione, delle due denunciate, a trovare applicazione nei giudizi principali;

che la difesa erariale ha eccepito l’inammissibilità, per la mancata descrizione della fattispecie, delle questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza con riguardo al menzionato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006;

che tale eccezione deve essere respinta, perché, contrariamente a quanto affermato dall’Avvocatura generale dello Stato, il suddetto rimettente ha descritto in modo sufficiente la fattispecie sottoposta al suo esame, avendo egli precisato che gli avvisi impugnati nel giudizio principale riguardano «aree in concreto edificabili solo a seguito dell’approvazione di strumenti attuativi (piano particolareggiato e piano comunale)» ed avendo quindi data per presupposta, nella specie, l’inedificabilità del suolo per la mancanza di detti strumenti attuativi;

che, nel merito, le questioni sollevate dai rimettenti con riguardo al menzionato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006 debbono essere dichiarate manifestamente infondate;

che, al riguardo, va preliminarmente osservato che, diversamente da quanto dedotto dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, la disposizione censurata costituisce interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992, perché attribuisce alla disposizione interpretata un significato compatibile con la sua formulazione letterale;

che, in particolare, detta disposizione prevede testualmente che, per «area fabbricabile» ai fini dell’ICI, deve intendersi l’area utilizzabile a scopo edificatorio «in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero», alternativamente, «in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità»;

che la disgiunzione «ovvero» consente di annoverare tra le possibili interpretazioni dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992 anche quella secondo cui il richiamo ai criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità si riferisce esclusivamente all’utilizzabilità edificatoria dell’area «in base alle possibilità effettive di edificazione»;

che pertanto, secondo tale interpretazione, la nozione di area fabbricabile «in base agli strumenti urbanistici», ai fini dell’ICI, non è influenzata dal disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 37 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), testo A, per i quali – ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio di un’area edificabile o legittimamente edificata – «si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione» (comma 3) e «non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata» (comma 4);

che, alla stregua delle indicate premesse ermeneutiche, il testo dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992 può essere interpretato nel senso che, ai fini dell’ICI, si considera fabbricabile anche l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, ancorché questo non sia stato approvato dalla regione o non siano stati adottati i necessari strumenti attuativi del medesimo;

che la suddetta interpretazione è stata successivamente imposta dal censurato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, il quale ha fatto venir meno l’obiettiva incertezza sul significato dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992;

che a tale conclusione non osta il disposto del comma 2 dell’art. 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti dei contribuenti), secondo cui «L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica»;

che la disposizione denunciata, infatti, in quanto dotata della stessa forza della legge n. 212 del 2000 (che non ha valore superiore a quello della legge ordinaria, come sottolineato da questa Corte con le ordinanze n. 180 del 2007, n. 428 del 2006 e n. 216 del 2004), è idonea ad abrogare implicitamente quest’ultima e, conseguentemente, ad introdurre nell’ordinamento una valida norma di interpretazione autentica, ancorché priva di una espressa autoqualificazione in tal senso;

che dalla riscontrata natura di interpretazione autentica propria della disposizione censurata – natura non riconosciuta dal giudice rimettente, ma ammessa dal diritto vivente (in particolare, dalla sentenza n. 25506 del 2006 delle sezioni unite della Corte di cassazione) – deriva l’insussistenza della dedotta violazione dei princípi di ragionevolezza e di affidamento dei cittadini nella certezza giuridica, in quanto la norma denunciata si limita ad attribuire alla disposizione interpretata uno dei significati già ricompresi nell’area semantica della disposizione stessa e, pertanto, sotto tale profilo, non può ritenersi irragionevole (ex plurimis, sentenze n. 400 e n. 234 del 2007; n. 274, n. 135 e n. 39 del 2006; n. 291 del 2003; n. 374 del 2002);

che, quanto alle altre censure concernenti il citato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, è del tutto ragionevole che il legislatore: a) attribuisca alla nozione di “area edificabile” significati diversi a seconda del settore normativo in cui detta nozione deve operare e, pertanto, distingua tra normativa fiscale, per la quale rileva la corretta determinazione del valore imponibile del suolo, e normativa urbanistica, per la quale invece rileva l’effettiva possibilità di edificare, secondo il corretto uso del territorio, indipendentemente dal valore venale del suolo; b) muova dal presupposto fattuale che un’area in relazione alla quale non è ancora ottenibile il permesso di costruire, ma che tuttavia è qualificata come “edificabile” da uno strumento urbanistico generale non approvato o attuato, ha un valore venale tendenzialmente diverso da quello di un terreno agricolo privo di tale qualificazione; c) conseguentemente distingua, ai fini della determinazione dell’imponibile dell’ICI, le aree qualificate edificabili in base a strumenti urbanistici non approvati o non attuati (e, quindi, in concreto non ancora edificabili), per le quali applica il criterio del valore venale, dalle aree agricole prive di detta qualificazione, per le quali applica il diverso criterio della valutazione basata sulle rendite catastali;

che, infatti, la potenzialità edificatoria dell’area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 Cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante; e ciò indipendentemente dalla eventualità che, nei contratti di compravendita, il compratore, in considerazione dei motivi dell’acquisto, si cauteli condizionando il negozio alla concreta edificabilità del suolo, trattandosi di una ipotetica circostanza di mero fatto, come tale irrilevante nel giudizio di legittimità costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 155 del 2005; ordinanze n. 173 del 2003; n. 481 e n. 311 del 2002);

che, inoltre, il criterio del valore venale non comporta affatto – come, invece, sembrano ritenere i rimettenti – una valutazione fissa ed astratta del bene, ma consente di attribuire al terreno (già qualificato come edificabile dallo strumento urbanistico generale) il suo valore di mercato, adeguando la valutazione alle specifiche condizioni di fatto del bene e, quindi, anche alle piú o meno rilevanti probabilità di rendere attuali le potenzialità edificatorie dell’area;

che, del resto, la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione (con la citata sentenza n. 25506 del 2006, menzionata, seppur criticamente, dagli stessi rimettenti) si è già espressa nello stesso senso, affermando che l’edificabilità di un terreno in base al solo piano regolatore, anche se privo di strumenti attuativi, è sufficiente, di norma, a far lievitare il valore di mercato di detto terreno e che è, pertanto, ragionevole che la normativa censurata consideri “edificabile”, ai fini della determinazione dell’imponibile, un’area che, invece, è considerata in concreto ancora non edificabile dalla normativa urbanistica;

che pertanto i giudici a quibus errano – ai fini della determinazione dell’imponibile dell’ICI – sia nel distinguere le aree edificabili in concreto da quelle edificabili in astratto (cioè considerate edificabili da strumenti urbanistici non approvati o non attuati), sia nell’equiparare queste ultime alle altre aree agricole; e ciò perché – sempre ai fini fiscali – l’astratta edificabilità del suolo giustifica di per sé, come già osservato, la valutazione del terreno secondo il suo valore venale e differenzia radicalmente tale tipo di suoli da quelli agricoli non edificabili;

che, dunque, non sussistono le dedotte violazioni dei princípi di capacità contributiva, di ragionevolezza e di uguaglianza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, sollevate dalla Commissione tributaria regionale del Lazio – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, «nonché» ai princípi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione – e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, nonché al principio di affidamento dei cittadini nella certezza giuridica – con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sollevate dalla Commissione tributaria regionale del Lazio – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, «nonché» ai princípi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione – e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, nonché al principio di affidamento dei cittadini nella certezza giuridica – con le ordinanze indicate in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2008.