Ordinanza n. 428 del 2006

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ORDINANZA N. 428

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                 BILE                          Presidente

-  Giovanni Maria                   FLICK                         Giudice

-  Francesco                            AMIRANTE                      “

-  Ugo                                     DE SIERVO                      “

-  Romano                              VACCARELLA                “

-  Paolo                                   MADDALENA                 “

-  Alfio                                   FINOCCHIARO               “

-  Franco                                 GALLO                             “

-  Luigi                                   MAZZELLA                     “

-  Gaetano                              SILVESTRI                       “

-  Sabino                                 CASSESE                          “

-  Maria Rita                           SAULLE                            “

-  Giuseppe                             TESAURO                         “

-  Paolo Maria                         NAPOLITANO                 “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), promosso con ordinanza del 4 ottobre 2005 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, nel giudizio vertente tra il Comune di Milano e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Milano, iscritta al n. 140 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visto l’atto di costituzione del Comune di Milano, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2006 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio tributario di appello – riguardante il ricorso proposto dal Comune di Milano avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso della ritenuta effettuata a titolo di imposta da vari istituti di credito, ai sensi dell’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sugli interessi maturati nel corso dell’anno 1996 sui depositi, titoli e conti correnti intestati all’AMSA - Azienda Municipalizzata per i Servizi Ambientali (all’epoca priva di personalità giuridica distinta da quella del Comune di Milano) –, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con ordinanza del 4 ottobre 2005, pervenuta alla Corte costituzionale il 20 aprile 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 76, 77, primo comma, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), recante la rubrica «Interpretazione autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale», nella parte in cui si applica al testo dell’art. 26, quarto comma, «ultimo periodo» (recte: terzo periodo), del d.P.R. n. 600 del 1973, anche nella formulazione anteriore alla sostituzione di detto art. 26 operata, con effetto dal 1° luglio 1998, dall’art. 12, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 (Riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi, a norma dell’art. 3, comma 160, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);

che, per il giudice rimettente, il citato art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente anteriormente al 1° luglio 1998 ed applicabile ratione temporis alla fattispecie di causa – nel prevedere l’applicazione, in sostituzione dell’ordinaria imposizione sul reddito delle persone giuridiche, della suddetta ritenuta sugli interessi e sui redditi di capitale «a titolo di acconto», nei confronti di quanti sono soggetti all’imposta ordinaria, nonché «a titolo d’imposta, nei confronti dei soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche ed in ogni altro caso» –, riguarderebbe soltanto i soggetti incisi e quelli esenti dall’IRPEG e non i soggetti esclusi dall’imposta;

che, sempre per il giudice a quo, tale interpretazione sarebbe l’unica possibile alla luce dei criteri e princípi dettati dalla legge di delegazione in base alla quale era stato emanato il predetto d.P.R. n. 600 del 1973, cioè dalla legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria);

che infatti, ad avviso della Commissione tributaria regionale, l’art. 10, secondo comma, numero 5, di tale legge di delegazione – disponendo l’applicazione della menzionata ritenuta nei confronti dei soggetti incisi od esenti dall’imposta e consentendo al legislatore delegato la previsione di «particolari ritenute» solo per redditi corrisposti a non residenti – imporrebbe di interpretare il citato art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 nel senso che la ritenuta a titolo d’imposta è applicata soltanto nei confronti dei «soggetti esenti» dall’IRPEG e di quelli non residenti («in ogni altro caso»), non anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta;

che, ad avviso del rimettente, tale interpretazione sarebbe confermata dal rilievo che, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1974 (data di entrata in vigore del citato d.P.R. n. 600 del 1973) ed il 31 dicembre 1990, la legislazione tributaria non prevedeva soggetti esclusi dall’IRPEG, ad eccezione dello Stato, in quanto sia l’art. 2, lettera c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche), sia, successivamente, l’art. 88 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), indicavano come non «soggetti all’imposta» esclusivamente gli organi e le amministrazioni dello Stato;

che infatti – sottolinea il giudice a quo – la non soggezione all’imposta è stata prevista per i Comuni (e per altri enti pubblici) soltanto a decorrere dal 1° gennaio 1991, a séguito della modifica apportata al suddetto art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986 dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403;

che, proprio in considerazione della indicata sopravvenuta esclusione dall’IRPEG dei Comuni e di altri enti, il legislatore – secondo il medesimo giudice – avrebbe delegato il Governo, con l’art. 3, comma 160, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, a rivedere la disciplina dell’imposta sui redditi di capitale, al fine di fornire una puntuale definizione delle singole fattispecie di reddito e di prevedere «norme di chiusura volte a ricomprendere ogni provento derivante dall’impiego di capitale»;

che, come afferma il rimettente, l’art. 12, comma 1, del decreto legislativo n. 461 del 1997, in vigore dal 1° luglio 1998, in attuazione di detta legge di delegazione, ha sostituito l’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, introducendo per la prima volta, con “norma di chiusura” («ed in ogni altro caso»), la ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi e sui redditi di capitale anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’IRPEG;

che pertanto, a parere della Commissione tributaria regionale, un problema interpretativo dell’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 – in ordine all’applicabilità della ritenuta a titolo d’imposta anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’IRPEG – si è posto solo a decorrere dal 1° luglio 1998, a séguito dell’entrata in vigore del menzionato art. 12, comma 1, del d. lgs. n. 461 del 1997 e della menzionata “norma di chiusura”;

che la Commissione tributaria osserva che, in riferimento al suddetto problema interpretativo ed in presenza di contrastanti soluzioni ermeneutiche fornite al riguardo dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa, il legislatore ha emanato il censurato art. 14 della legge n. 28 del 1999 (entrato in vigore il 9 marzo 1999), al fine di imporre una interpretazione autentica dell’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo all’epoca vigente, ed ha perciò statuito che quest’ultima disposizione, per quanto attiene all’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, «deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche»;

che – rileva ancora il rimettente – la costante giurisprudenza di legittimità, in contrasto con l’origine e la funzione di detta norma interpretativa, attribuisce a quest’ultima una efficacia retroattiva senza limiti temporali, ritenendola applicabile non soltanto al testo dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 vigente al 9 marzo 1999 (data di entrata in vigore della norma censurata), ma, con riguardo ai rapporti tributari ancora in corso, anche a quello vigente anteriormente al 1° luglio 1998;

che, invece, il giudice a quo riconosce la natura genuinamente interpretativa del denunciato art. 14 della legge n. 28 del 1999 e la sua legittimità costituzionale (quale accertata anche dalla Corte costituzionale con le ordinanze n. 174 del 2001 e n. 313 del 2002) solo in riferimento al testo del citato art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 vigente a decorrere dal 1° luglio 1998;

che il medesimo giudice nega, conseguentemente, la natura interpretativa dello stesso articolo 14, del quale afferma, invece, la natura innovativa e retroattiva, in riferimento al testo dell’art. 26 del d.P.R. n. 600, vigente nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1991 ed il 30 giugno 1998 ed applicabile nel giudizio principale;

che infatti, ad avviso della Commissione tributaria, la previsione, contenuta nella norma censurata, dell’obbligo di effettuare la ritenuta a titolo di imposta anche nei confronti dei soggetti «esclusi» dall’IRPEG, ivi compresi i Comuni, non rientrerebbe tra i significati attribuibili alla disposizione applicabile nel giudizio a quo;

che per il rimettente, alla stregua di tali premesse e con riguardo esclusivamente al periodo compreso tra il 1° gennaio 1991 ed il 30 giugno 1998, la norma denunciata si porrebbe in contrasto: a) con l’art. 3 Cost., per violazione dei princípi della ragionevolezza, dell’equità e del legittimo affidamento, perché attribuirebbe alla disposizione oggetto di «interpretazione autentica» un significato non compatibile con il testo normativo e pertanto, per effetto di tale sua efficacia innovativa e retroattiva, lederebbe i diritti già acquisiti dal contribuente, a suo tempo certo di essere escluso dall’imposta; b) con gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., perché interpreterebbe «capziosamente» l’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, attribuendogli un significato ed un contenuto del tutto estranei ai princípi e criteri direttivi posti dalla legge di delegazione dello stesso art. 26 (cioè dagli artt. 9, numero 3, e 10, secondo comma, numero 5, della legge n. 825 del 1971); c) con l’art. 23 Cost., perché, simulando una natura interpretativa e dissimulando l’effettivo intento di introdurre retroattivamente un nuovo prelievo, con effetti surrettiziamente abrogativi ex tunc dell’originaria disciplina della ritenuta a titolo di imposta, contravverrebbe alla fondamentale esigenza di certezza del diritto insita nell’evocato parametro e nel principio di irretroattività della legge, previsto, in generale, dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile e, specificamente per le norme tributarie, dall’art. 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente); d) con gli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., perché, pur qualificandosi come “norma interpretativa”, non sarebbe diretta a chiarire una questione giuridica, né a dirimere dubbi interpretativi e neppure rispetterebbe le funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario ed il principio costituzionale del diritto di difesa, ma sarebbe diretta solo ad indurre i giudici tributari a respingere le domande di rimborso delle ritenute a titolo di imposta sugli interessi, applicate nei confronti degli enti locali esclusi dall’IRPEG;

che, infine, la Commissione tributaria regionale afferma la rilevanza della sollevata questione, ribadendo che, nella specie, la ritenuta applicata a titolo imposta nei confronti dell’AMSA riguarda gli interessi maturati nell’anno 1996;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto la dichiarazione di infondatezza della sollevata questione, con riferimento a tutti i parametri evocati, perché la norma denunciata non è in contrasto: a) con gli artt. 3 e 23 Cost., in quanto ha natura interpretativa e non travalica i limiti della non arbitrarietà e della ragionevolezza, tenuto conto sia del contenzioso formatosi e dei contrasti interpretativi sorti successivamente all’entrata in vigore dell’art. 4 del decreto-legge n. 310 del 1990, sia del fatto che l’esclusione o l’esenzione da imposta non sono sintomo di mancanza di capacità contributiva, sia dell’assenza (proprio in relazione al predetto contenzioso) di un legittimo affidamento degli enti locali circa la non imponibilità dei predetti redditi da capitale ; b) con gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in quanto è stata posta con legge formale e non con decreto legislativo delegato; c) con gli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., in quanto la sua natura di norma interpretativa non contrasta né con il principio della soggezione dei giudici soltanto alla legge, né con l’autonomia e l’indipendenza della magistratura nell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie;

che si è costituito in giudizio il Comune di Milano, chiedendo l’accoglimento della sollevata questione e deducendo: a) che la modifica dell’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, apportata dall’art. 12, comma 1, del decreto legislativo n. 461 del 1997, ha effetto a decorrere dal 1° luglio 1998 e non ha, perciò, efficacia retroattiva; b) che la norma denunciata – in quanto ritenuta applicabile non solo alla predetta disposizione del citato art. 26 vigente alla data di entrata in vigore della legge interpretativa, ma anche a quella vigente anteriormente al 1° luglio 1998 – víola l’art. 3 Cost, perché esplica una irragionevole efficacia retroattiva all’infinito e perché, prevedendo la ritenuta d’imposta anche nei confronti di soggetti esclusi dall’IRPEG, non solo contraddice la scelta del legislatore di considerare quei soggetti privi di capacità contributiva, ma, in violazione delle piú elementari regole di affidamento, prescinde altresí da quel collegamento tra presupposto ed obbligo d’imposta richiesto dalla Corte costituzionale per la legittimità costituzionale delle norme retroattive di tassazione; c) che la portata innovativa della norma censurata, per il periodo anteriore al 1° luglio 1998, contrasta con l’autoqualificazione della norma stessa come di «interpretazione autentica» e víola, perciò, l’art. 23 Cost.; d) che il denunciato art. 14 della legge n. 28 del 1999 víola gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., perché è diretto ad “interpretare” una norma delegata (l’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973) in modo contrastante con i princípi e criteri direttivi posti dalla norma delegante (cioè dalla legge n. 825 del 1971), secondo i quali la ritenuta a titolo di imposta non può applicarsi ai soggetti esclusi dall’IRPEG, come i Comuni; e) che la norma denunciata víola anche gli artt. 3, 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., perché risulta emanata al fine non già di chiarire una questione giuridica o di dirimere dubbi interpretativi, ma solo di influenzare il giudizio dell’interprete sulle istanze di rimborso relative ad interessi maturati anteriormente al 1° luglio 1998 e di far cosí illegittimamente cancellare il correlativo onere gravante sullo Stato.

Considerato che la Commissione tributaria regionale della Lombardia dubita, in riferimento agli artt. 3, 23, 76, 77, primo comma, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, della legittimità dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), recante la rubrica «Interpretazione autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale»;

che, ad avviso del giudice rimettente, la norma denunciata – nel disporre che l’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), deve intendersi nel senso che la suddetta ritenuta sugli interessi e sui redditi di capitale si effettua «anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sui redditi delle persone giuridiche» – si porrebbe in contrasto con gli evocati parametri costituzionali, là dove pretende di “interpretare autenticamente” il testo dell’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del citato d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione anteriore alla sostituzione di tale testo operata, con effetto dal 1° luglio 1998, dall’art. 12, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461;

che, per la Commissione tributaria regionale, il terzo periodo del quarto comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente anteriormente al 1° luglio 1998, deve interpretarsi nel senso che l’indicata ritenuta a titolo di imposta si effettua solo nei confronti dei soggetti «esenti» dall’IRPEG e non nei confronti di quelli esclusi, come – sempre secondo la Commissione tributaria – dovrebbero considerarsi i Comuni a séguito della modifica apportata all’art. 88 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, con effetto dal 1° gennaio 1991, dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403, il quale li ha, per la prima volta, considerati «non soggetti all’imposta»;

che tale interpretazione sarebbe l’unica coerente con i princípi e criteri direttivi dettati dalla legge di delega della riforma tributaria 9 ottobre 1971, n. 825, i quali limitano l’applicazione della ritenuta a titolo di imposta ai «soggetti esenti» dall’IRPEG (art. 10, secondo comma, numero 5);

che, a parere del rimettente, la sostituzione del testo dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera del citato art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 461 del 1997, emanato in attuazione della legge di delegazione 23 dicembre 1996, n. 662, pur avendo lasciato pressoché immutata la lettera del terzo periodo del quarto comma dell’indicato art. 26, avrebbe tuttavia comportato un radicale mutamento normativo, perché avrebbe reso applicabile ai Comuni la ritenuta sui redditi di capitale a decorrere dal 1° luglio 1998, data dell’entrata in vigore di detta norma sostitutiva;

che infatti, ad avviso del giudice a quo, il nuovo testo dell’art. 26 va considerato come una delle «norme di chiusura» che, in forza della citata legge di delegazione n. 662 del 1996, il Governo ha emanato al fine di assoggettare per la prima volta ad IRPEG «ogni provento derivante dall’impiego di capitale» (art. 3, comma 160);

che pertanto, sempre per il giudice a quo, essendo questa la sopravvenuta finalità del terzo periodo del quarto comma del citato art. 26, l’applicazione della ritenuta a titolo di imposta anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’IRPEG, come i Comuni, sarebbe consentita, appunto, solo dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 461 del 1997, e cioè dal 1° luglio 1998;

che da tali premesse il rimettente deduce la natura non interpretativa, ma innovativa e retroattiva, del denunciato art. 14 della legge n. 28 del 1999, nella parte in cui questo è ritenuto applicabile al testo dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 vigente anteriormente al 1° luglio 1998 e, conseguentemente, assume che tale applicabilità – affermata con numerose pronunce dalla Corte di cassazione, tanto da costituire diritto vivente – violerebbe gli evocati parametri costituzionali, perché: a) lederebbe i diritti già acquisiti dal contribuente; b) si porrebbe in contrasto con i princípi e criteri direttivi fissati dalla originaria legge di delegazione, in base alla quale è stato emanato lo stesso art. 26, cioè con gli artt. 9, numero 3, e 10, secondo comma, numero 5, della legge n. 825 del 1971; c) contravverrebbe ai princípi di certezza del diritto e di irretroattività della legge; d) sarebbe diretta esclusivamente ad indurre i giudici tributari a respingere le domande di rimborso delle ritenute a titolo di imposta sugli interessi applicate nei confronti degli enti locali esclusi dall’IRPEG;

che la questione è manifestamente infondata;

che il rimettente muove dalla immotivata ed erronea premessa, comune a tutte le proposte censure, secondo cui gli enti pubblici, compresi i Comuni, che l’art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986 dichiara «non soggetti all’imposta» sul reddito delle persone giuridiche, sono da qualificare, univocamente e necessariamente, come soggetti esclusi dall’imposta e, pertanto, non possono essere annoverati tra i «soggetti esenti» dalla medesima imposta, per i quali il quarto comma, terzo periodo, dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo in vigore dal 29 marzo 1975 al 30 giugno 1998, dispone l’applicazione della ritenuta a titolo di imposta («Nei confronti dei soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche e in ogni altro caso le ritenute sono applicate a titolo di imposta»);

che, invece, la circostanza che il citato art. 88, come modificato dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 310 del 1990, abbia dichiarato tali enti «non soggetti all’imposta», con decorrenza dal 1° gennaio 1991, non comporta che essi debbano ritenersi esclusi dall’imposta;

che, al riguardo, il giudice rimettente avrebbe dovuto considerare che i Comuni, fino al 31 dicembre 1990, erano soggetti passivi dell’IRPEG, ai sensi dell’art. 87, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 917 del 1986, e che soltanto dal 1° gennaio 1991 sono stati considerati non piú soggetti all’imposta per effetto del menzionato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 310 del 1990;

che pertanto, in base alla definizione di “esenzione” già accolta da questa Corte – secondo cui l’esenzione tributaria concreta «una ipotesi di agevolazione concessa a soggetti che ordinariamente sarebbero sottoposti all’obbligazione tributaria» e che non lo sono solo in quanto sussistono specifiche ragioni agevolative fondate su valori componibili con il principio di capacità contributiva –, il giudice a quo avrebbe dovuto ritenere non implausibile che il vigente art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986 si possa interpretare nel senso che i Comuni, a decorrere dall’anno 1991, sono «soggetti esenti» e non esclusi dall’imposta (ordinanze n. 174 del 2001 e n. 313 del 2002, le quali, proprio con riguardo a fattispecie in cui i redditi erano stati percepiti in data successiva al 1° gennaio 1991 ed anteriore al 1° luglio 1998, hanno altresí individuato nell’intento agevolativo perseguito dal legislatore la ratio della non imponibilità dei redditi di capitale percepiti dai Comuni);

che, per quanto sopra detto, il giudice rimettente erra nel negare che tra le interpretazioni del testo del quarto comma, terzo periodo, dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 vigente anteriormente al 1° luglio 1998 vi può essere quella secondo cui la suddetta ritenuta è applicabile nei confronti dei Comuni in quanto soggetti «esenti» dall’IRPEG e, di conseguenza, erra anche nell’affermare che solo il nuovo testo di tale disposizione può essere inteso nel senso che la ritenuta a titolo di imposta è ad essi applicabile;

che, dati i contrasti interpretativi sorti in ordine alla qualificazione dei Comuni, successivamente al 1° gennaio 1991, come soggetti esenti o esclusi dall’IRPEG, la censurata norma risolve detti contrasti, chiarendo, con interpretazione autentica, che tali enti – siano essi considerati esenti od esclusi dall’imposta –  vanno ricompresi tra quelli, «non soggetti all’imposta», nei cui confronti è applicabile la suddetta ritenuta;

che l’errore in cui è incorso il rimettente nel negare la natura interpretativa della norma denunciata è sufficiente per dichiarare la manifesta infondatezza della sollevata questione;

che, dunque, la denunciata norma di interpretazione autentica: a) quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., non lede alcun affidamento dei contribuenti, data l’obiettiva incertezza dell’interpretazione del quarto comma, terzo periodo, dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973; b) quanto alla dedotta violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., non si pone in contrasto con tali parametri, sia perché, essendo contenuta in una legge ordinaria e non in un decreto delegato del Governo, non può costituire attuazione di una legge di delegazione, sia perché, oltretutto, si limita ad imporre «»– come già osservato – l’applicazione di una delle possibili varianti di senso plausibilmente attribuibili alla formulazione letterale della citata legge di delegazione e del correlativo decreto delegato di attuazione (legge n. 825 del 1971; d.P.R. n. 600 del 1973); c) quanto alla dedotta violazione del principio di irretroattività della legge, con riferimento all’art. 23 Cost., non è illegittima, perché non sussiste alcun principio di irretroattività della legge tributaria fondato sull’evocato parametro, né hanno rango costituzionale – come piú volte affermato da questa Corte – l’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile e l’art. 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (ex plurimis, sentenza n. 376 del 1995, ordinanza n. 216 del 2004); d) quanto, infine, alla dedotta violazione degli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., non interferisce sull’esercizio della funzione giudiziaria, perché pone una disciplina generale ed astratta sull’interpretazione di una norma e, quindi, si colloca su un piano diverso da quello dell’applicazione giudiziale delle norme a singole fattispecie e perché, comunque, l’incidenza di una norma interpretativa sui giudizi in corso è fenomeno fisiologico (sentenze n. 376 del 2004 e n. 26 del 2003) e non vietato dai parametri evocati (ex plurimis, sentenza n. 229 del 1999).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 76, 77, primo comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2006.