Sentenza n. 238 del 2004

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SENTENZA N. 238

ANNO 2004

 

Commento alla decisione di

I. Renzo Dickmann, La Corte costituzionale ed il ''potere estero'' delle Regioni e delle Province autonome (note a Corte cost., 18 luglio 2004, n. 238, e 22 luglio 2004, n. 258) (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)

 

II. Matteo Barbero, La Corte costituzionale interviene sulla legge “La Loggia” (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo         ZAGREBELSKY                                          Presidente

- Valerio           ONIDA                                                            Giudice

- Carlo              MEZZANOTTE                                                    ”

- Fernanda       CONTRI                                                                ”

- Guido            NEPPI MODONA                                                ”

- Piero Alberto CAPOTOSTI                                                         ”

- Annibale        MARINI                                                                ”

- Franco           BILE                                                                      ”

- Giovanni Maria FLICK                                                               ”

- Francesco      AMIRANTE                                                         ”

- Ugo               DE SIERVO                                                         ”

- Romano         VACCARELLA                                                   ”

- Paolo             MADDALENA                                                    ”

- Alfio              FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso         QUARANTA                                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, 2, 3 e 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), promossi con ricorsi della Provincia autonoma di Bolzano e della Regione Sardegna notificati il 2 e il 5 agosto 2003, depositati in cancelleria il 6 e il 7 successivi ed iscritti ai numeri 59 e 61 del registro ricorsi 2003.

Udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 2004 il giudice relatore Valerio Onida;

uditi gli avvocati Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano, Sergio Panunzio per la Regione Sardegna e l’avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 2 agosto 2003 e depositato il 6 agosto 2003 la Provincia autonoma di Bolzano, nell’impugnare numerose disposizioni della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), ha sollevato in via principale, fra l’altro,  questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 1, 2, 3 e 5, di tale legge, in riferimento agli articoli 117, terzo e nono comma, della Costituzione, e agli articoli 8, 9, 10 e 16 dello statuto speciale e relative norme di attuazione (reg. ric. n. 59 del 2003).

A propria volta la Regione Sardegna, con ricorso di analogo tenore, notificato il 5 agosto 2003 e depositato il 7 agosto 2003, ha impugnato la medesima norma, in riferimento all’articolo 117, terzo e nono comma, della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ed in riferimento agli articoli 3, 4, 5 e 6 dello statuto speciale e relative norme di attuazione (reg. ric. n. 61 del 2003).

La disposizione impugnata costituisce attuazione dell’articolo 117, quinto e nono comma, della Costituzione, in ordine alla “attività internazionale” delle Regioni e delle Province autonome.

Il primo comma dell’articolo 6, in particolare, disciplina, in relazione all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, la procedura di attuazione ed esecuzione, da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, degli accordi internazionali ratificati, disponendo che, nelle materie di propria competenza legislativa, esse vi provvedano direttamente, dandone preventiva comunicazione al Ministero degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali.

Questi ultimi, nei successivi trenta giorni, “possono formulare criteri e osservazioni”: in caso di inadempienza, trova applicazione il potere sostitutivo attribuito dall’articolo 120 della Costituzione, secondo le modalità di attuazione definite dall’articolo 8, commi 1, 4 e 5, della stessa legge n. 131 del 2003, “in quanto compatibili”.

Il secondo comma della norma impugnata ha per oggetto, in relazione all’articolo 117, nono comma, della Costituzione, le intese che le Regioni possono concludere con enti territoriali interni ad altro Stato, nei campi di propria competenza legislativa, in quanto “dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale”.

In tale materia, si prevede che Regioni e Province autonome debbano, prima della firma dell’intesa, darne comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali, e al Ministero degli affari esteri, che possono far pervenire “osservazioni” proprie e dei Ministeri competenti entro trenta giorni, decorsi i quali si può sottoscrivere l’intesa.

Nell’esercizio di tale attività la Regione e la Provincia autonoma non possono “esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato” e “assumere impegni dai quali derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato” o che “ledano gli interessi” di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato.

Il terzo comma dell’articolo 6 disciplina, in relazione all’articolo 117, nono comma, della Costituzione, gli accordi che le Regioni possono concludere con Stati esteri, nelle materie di propria competenza legislativa.

La norma impugnata delimita il campo di siffatti accordi a quelli “esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore”, agli “accordi di natura tecnico-amministrativa” e agli “accordi di natura programmatica finalizzati a favorire” lo “sviluppo economico, sociale e culturale”, ciò “nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana, nonché, nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dei principi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato”.

Si prevede, in particolare, che la Regione e la Provincia autonoma debbano tempestivamente informare della trattativa la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali e il Ministero degli affari esteri, che a propria volta ne rendono edotti i Ministeri competenti.

Il Ministero degli affari esteri può indicare principi e criteri da seguire nella conduzione dei negoziati, cui collaborano, qualora si svolgano all’estero, le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari, previa intesa con l’ente.

Prima della sottoscrizione dell’accordo esso è trasmesso dalla Regione e dalla Provincia autonoma al Ministero degli affari esteri, che, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali, ne accerta la “opportunità politica” e la “legittimità” e conferisce “i pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna” del 23 maggio 1969, resa esecutiva con la legge 12 febbraio 1974, n. 112, a pena di nullità dell’accordo.

Infine, il comma 5 della norma impugnata, in riferimento a tutte le attività internazionali descritte dai commi 1, 2 e 3, consente al Ministro degli affari esteri di rappresentare alla Regione o alla Provincia interessata “questioni di opportunità […] derivanti dalle scelte e dagli indirizzi di politica estera dello Stato”.

In caso di dissenso, il Ministro, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali, può chiedere che la questione sia portata  all’esame del Consiglio dei ministri, che, con l’intervento del Presidente della Giunta regionale o provinciale, delibera in merito.

Le ricorrenti, dopo avere riassunto il contenuto della disposizione censurata, osservano che essa è senz’altro applicabile alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, in forza dell’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, espressamente richiamato dall’articolo 11 della legge impugnata: benché, “di massima”, la riforma della Parte II del Titolo V della Costituzione non concerna tali enti, tuttavia essa si estende loro per le parti in cui si prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite, sicché le norme di attuazione contenute nella legge n. 131 del 2003 si renderebbero applicabili in base al medesimo criterio.

Inoltre, la norma impugnata si applica per espressa previsione alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome.

Le ricorrenti ravvisano un primo profilo di incostituzionalità della norma impugnata nel fatto che essa “pretende […] di dettare una disciplina specifica, compiuta ed analitica, sul tema dei rapporti internazionali delle regioni”, in contrasto con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, secondo il quale nella materia concernente i rapporti internazionali delle Regioni spetta allo Stato la determinazione dei soli principi fondamentali: tale precetto costituzionale sarebbe infatti estensibile, in base ad una “lettura sistematica”, alla legge statale prevista dall’articolo 117, nono comma, per disciplinare i casi e le forme degli accordi regionali con Stati e delle intese regionali con enti territoriali interni ad altro Stato.

Ove si ritenesse, invece, che il comma nono dell’articolo 117 abbia un contenuto derogatorio rispetto a quanto previsto dal comma terzo della medesima norma costituzionale, sarebbe necessario contenere siffatta deroga nei limiti di una “stretta interpretazione”.

Sulla base di un tale approccio, la disciplina statale di dettaglio non potrebbe riguardare altro che i casi e le forme degli accordi e delle intese e non potrebbe, invece, “creare strumenti di ingerenza statale nel merito di essi”.

Secondo le ricorrenti, viceversa, l’articolo 6 darebbe vita ad una serie di istituti idonei ad incidere sul merito dell’accordo e dell’intesa, ed in ultimo volti ad eliminare sostanzialmente il potere decisionale della Regione, giungendo così a privare l’articolo 117, comma nono, della Costituzione di ogni “portata innovativa”.

In particolare, a tale rilievo presterebbero il fianco le previsioni concernenti la possibilità per il Ministero degli affari esteri di dettare principi e criteri direttivi in ordine alla conduzione dei negoziati (comma 3); il coinvolgimento dello Stato nei negoziati che si svolgono all’estero, tramite le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari (comma 3); la necessità che il Ministero degli affari esteri accerti preventivamente l’opportunità politica e la legittimità dell’accordo (comma 3); la facoltà attribuita al Consiglio dei ministri di decidere in via esclusiva sulla “opportunità politica” dell’attività internazionale delle Regioni, in qualsiasi momento, “e, dunque, anche successivamente alla […] stipula” di un accordo (comma 5).

Tali previsioni non troverebbero giustificazione in casi, come quelli disciplinati dall’articolo 6 in punto di accordi regionali, in cui “non vengono in rilievo scelte fondamentali di politica estera” (che, del resto, sono riservate allo Stato, ex articolo 117, secondo comma, lettera a, della Costituzione).

Analoghe censure possono essere mosse, concludono le ricorrenti, nei confronti del comma 3 dell’articolo 6, nella parte in cui subordina la stipula dell’accordo ad un previo conferimento del potere di sottoscrizione da parte del Ministro degli affari esteri, a pena di nullità.

Il rinvio alle norme del diritto internazionale in tema di attribuzione del potere di firma sarebbe infatti incongruo, poiché gli articoli 1, 3 e 7 della Convenzione di Vienna in tema di poteri del sottoscrittore atterrebbero ai soli trattati tra Stati, mentre, nel caso di specie, non solo non ricorrerebbe tale requisito, ma gli accordi delle Regioni non sarebbero idonei a vincolare lo Stato, “non rientrando tali accordi tra quelli in grado di costituire un limite alla legislazione interna ex articolo 117, primo comma, della Costituzione, che possono essere soltanto i trattati ratificati ex articolo 80 della Costituzione, in quanto solo questi ultimi possono comportare ‘modificazioni di leggi’ e, dunque, a fortiori vincoli al legislatore futuro”.

La norma impugnata sarebbe perciò, in tale parte, “del tutto priva di significato” e varrebbe a realizzare soltanto “un ulteriore meccanismo di ingerenza dello Stato nel merito degli accordi stipulati dagli enti territoriali”.

2.– Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi, con atti di analogo tenore.

Lo Stato ritiene che la disposizione impugnata costituisca puntuale attuazione dell’articolo 117, quinto e nono comma, della Costituzione, con riferimento alla disciplina di “procedure, casi e forme” dell’attività internazionale di Regioni e Province autonome.

In tale ambito rientrerebbero la possibilità di dettare principi e criteri direttivi da osservarsi nel corso dei negoziati, la collaborazione a questi ultimi delle rappresentanze diplomatiche, l’accertamento della opportunità politica dell’accordo da parte del Ministero degli affari esteri, ed inoltre la “clausola di chiusura sul dissenso”, che concernerebbe i soli accordi con Stati esteri (e non le intese con enti territoriali interni), “in cui quindi vengono in considerazione scelte politiche rilevanti”, attinenti alla materia della “politica estera” affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’articolo 117, comma secondo, lettera b, della Costituzione.

Quanto al conferimento del potere di firma dell’accordo, esso costituirebbe una “forma” prevista dall’articolo 3 della Convenzione di Vienna e necessaria per rendere tale atto vincolante per lo Stato “agli effetti del comma primo dell’articolo 117 della Costituzione” e dell’articolo 1 della legge n. 131 del 2003, fermo restando, infatti, che la responsabilità in ordine all’accordo ricade, “sul piano internazionale”, sullo Stato stesso.

La norma impugnata, per tali ragioni, prevederebbe “adempimenti” ispirati a “correttezza e ragionevolezza”.

Considerato in diritto

1.– I ricorsi, proposti rispettivamente dalla Provincia autonoma di Bolzano (reg. ric. n. 59 del 2003) e dalla Regione Sardegna (reg. ric. n. 61 del 2003), sollevano, fra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, 2, 3 e 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

Tale articolo (rubricato “Attuazione dell’articolo 117, quinto e nono comma, della Costituzione sull’attività internazionale delle Regioni”) statuisce nel comma 1 che “le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, provvedono direttamente all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali ratificati, dandone preventiva comunicazione al Ministero degli affari esteri e alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali, i quali, nei successivi trenta giorni dal relativo ricevimento, possono formulare criteri e osservazioni. In caso di inadempienza, ferma restando la responsabilità delle Regioni verso lo Stato, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 8, commi 1, 4 e 5” [vale a dire le disposizioni in tema di esercizio da parte del Governo del potere sostitutivo di cui all’art. 120 della Costituzione], “in quanto compatibili”.

Il successivo comma 2 disciplina le intese delle Regioni e delle Province autonome con enti territoriali sub-statali di altri paesi. Esso prevede che “le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, possono concludere, con enti territoriali interni ad altro Stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale, dandone comunicazione prima della firma” al Dipartimento per gli affari regionali e al Ministero degli affari esteri, “ai fini delle eventuali osservazioni di questi ultimi e dei Ministeri competenti, da far pervenire a cura del Dipartimento medesimo entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali le Regioni e le Province autonome possono sottoscrivere l’intesa”. E aggiunge che “con gli atti relativi alle attività sopra indicate, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano non possono esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato, né possono assumere impegni dai quali derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato o che ledano gli interessi” di Comuni, Province, Città metropolitane o di altre Regioni.

Il comma 3 disciplina gli accordi delle Regioni (cui sempre sono accomunate le Province autonome di Trento e di Bolzano) con altri Stati, conclusi “nelle materie di propria competenza legislativa”. Si può trattare di “accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore”; di “accordi di natura tecnico-amministrativa”; di “accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale”, che possono essere conclusi “nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana”, nonché, nelle materie di competenza legislativa concorrente, nel rispetto “dei principi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato” (primo periodo). In tema di procedura il comma 3 stabilisce che la Regione dà tempestiva comunicazione delle trattative al Ministero degli affari esteri e al Dipartimento per gli affari regionali, che ne informano a loro volta gli altri Ministeri competenti (secondo periodo). Il Ministero degli affari esteri “può indicare principi e criteri da seguire nella conduzione dei negoziati; qualora questi ultimi si svolgano all’estero, le competenti rappresentanze diplomatiche e i competenti uffici consolari italiani, previa intesa con la Regione o con la Provincia autonoma, collaborano alla conduzione delle trattative” (terzo periodo). Infine si prevede che la Regione, prima di sottoscrivere l’accordo, comunica il relativo progetto al Ministero degli affari esteri, il quale, sentito il Dipartimento per gli affari regionali, ed “accertata l’opportunità politica e la legittimità dell’accordo, ai sensi del presente comma, conferisce i pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969, ratificata ai sensi della legge 12 febbraio 1974, n. 112” (quarto periodo). E’ stabilito infine che “gli accordi sottoscritti in assenza del conferimento di pieni poteri sono nulli” (quinto periodo).

A sua volta il comma 5 dello stesso articolo 6 prevede che il Ministro degli affari esteri “può, in qualsiasi momento, rappresentare alla Regione o alla Provincia autonoma interessata questioni di opportunità inerenti alle attività di cui ai commi da 1 a 3 e derivanti dalle scelte e dagli indirizzi di politica estera dello Stato” e, in caso di dissenso, sentito il Dipartimento per gli affari regionali, “chiedere che la questione sia portata in Consiglio dei ministri che, con l’intervento del Presidente della Giunta regionale o provinciale interessato, delibera sulla questione”.

Le ricorrenti, con argomentazioni identiche, sostengono, in primo luogo, che dette disposizioni sono lesive della competenza delle Regioni e delle Province autonome in quanto detterebbero una disciplina “specifica, compiuta ed analitica”, invece di limitarsi a dettare norme di principio, come avrebbero dovuto fare, attenendo esse alla materia, di competenza concorrente, dei “rapporti internazionali delle Regioni”, limite questo che riguarderebbe anche le leggi statali chiamate, ai sensi del nono comma dell’art. 117 della Costituzione, a disciplinare i “casi” e le “forme” degli accordi delle Regioni con altri Stati e delle loro intese con enti territoriali interni ad essi.

In secondo luogo le ricorrenti sostengono che, anche a voler accedere alla diversa interpretazione secondo cui tali ultime leggi statali costituiscano esercizio di una competenza integralmente riservata allo Stato, la disciplina statale non potrebbe riguardare altro che i “casi” e le “forme” degli accordi e delle intese, mentre l’impugnato art. 6 andrebbe oltre, non limitandosi ad individuare i tipi di accordi che le Regioni possono concludere con altri Stati e a fissare regole procedurali, ma prevedendo poteri di ingerenza nel merito da parte dello Stato suscettibili di eliminare sostanzialmente il potere di decisione regionale. In particolare, realizzerebbero tale ingerenza la previsione del potere ministeriale di dettare principi e criteri direttivi da seguire nella conduzione dei negoziati; l’imposizione della collaborazione con le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari quando le trattative si svolgano all’estero; la previsione di un accertamento preventivo dell’opportunità politica e della legittimità dell’accordo (comma 3); la previsione del potere ministeriale di rappresentare “in qualsiasi momento” alla Regione o alla Provincia autonoma interessata questioni di opportunità e di devolvere in caso di dissenso la decisione al Consiglio dei ministri (comma 5); nonché la previsione del necessario conferimento di pieni poteri da parte del Ministro degli esteri, a pena di nullità dell’accordo (comma 3), poiché si tratterebbe di un istituto riguardante i soli trattati fra Stati, mentre gli accordi delle Regioni non sarebbero tali, non vincolerebbero lo Stato ma solo la Regione stipulante, e non costituirebbero limite alla legislazione interna ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione.

2.– La presente pronunzia riguarda il solo art. 6 della legge n. 131 del 2003, impugnato dalle ricorrenti insieme ad altre disposizioni della stessa legge, il cui esame resta riservato a separate decisioni.

3.– I due giudizi, avendo lo stesso oggetto, devono essere riuniti, limitatamente a ciò che concerne l’oggetto della presente decisione, per essere decisi con unica pronunzia.

4.– La questione sollevata dalla Regione Sardegna è inammissibile.

Infatti la delibera della Giunta regionale di impugnazione della legge n. 131 del 2003 riguarda genericamente, nel dispositivo, le “parti” di essa “che comprimono illegittimamente l’autonomia concessa alla Regione dallo Statuto, dalle relative norme di attuazione, nonché dall’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3”; e le premesse della delibera, atte ad integrarne e precisarne la portata, dopo avere genericamente affermato che la legge “contiene norme lesive dell’autonomia attribuita alla Regione”, affermano che “tra le altre norme, vengono in particolare considerazione” l’articolo 1, comma 4; l’art. 5, comma 1; l’art. 8, comma 1, riguardo ai quali si specificano le relative censure, mentre non si fa alcuna menzione dell’art. 6.

Manca pertanto una valida delibera di impugnazione che riguardi l’art. 6 della legge, non potendosi, per altro verso, dare ingresso ad una impugnativa, priva di oggetto sufficientemente specificato, che investa l’intera legge o disposizioni di essa non indicate espressamente (cfr. sentenza n. 43 del 2004), quando tale legge rechi disposizioni plurime e non omogenee.

5.– La questione sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano è infondata nei termini di seguito precisati.

Questa Corte, già prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione recata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, si era pronunciata in ordine alla ammissibilità e ai limiti di un’attività regionale avente rilievo internazionale. In particolare, nella sentenza n. 179 del 1987, essa aveva ribadito l’esclusiva competenza statale in ordine ai rapporti internazionali, ammettendo però deroghe introdotte dal legislatore ordinario, quali quella derivante dalla previsione delle “attività promozionali” all’estero delle Regioni legate da nesso strumentale con le materie di competenza regionale, e precedute da intesa con lo Stato, e quelle connesse alla previsione di accordi di cooperazione transfrontaliera; aveva altresì ammesso la legittimità delle cosiddette “attività di mero rilievo internazionale delle Regioni”, attraverso le quali esse non sottoscrivono veri e propri accordi, ma si limitano a prevedere scambi di informazioni, approfondimento di conoscenze in materie di comune interesse, o l’enunciazione di analoghi intenti di armonizzazione unilaterale delle condotte rispettive di Regioni e di enti afferenti ad altri Stati, senza incidere sulla politica estera dello Stato; aveva affermato la necessità, in ogni caso, del previo assenso del Governo in modo che lo Stato potesse controllare la conformità delle attività regionali agli indirizzi di politica internazionale.

Sulla base di questi principi, dichiarati applicabili anche alle Regioni a statuto speciale, là dove i rispettivi statuti nulla dispongano (cfr. sentenze n. 179 del 1987, n. 564 e n. 924 del 1988, n. 343 del 1996, n. 428 del 1997), la Corte ha ripetutamente statuito in ordine alla legittimità, ai limiti e alle modalità delle attività di rilievo internazionale delle Regioni, anche in relazione al principio di leale cooperazione, in particolare affermando la sindacabilità degli atti statali di diniego dell’assenso ad attività regionali (cfr. sentenze n. 737 del 1988, n. 472 del 1992, n. 204 del 1993).

6.– Il nuovo articolo 117 della Costituzione detta una espressa disciplina delle attività internazionali delle Regioni. Da un lato esso riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della “politica estera e rapporti internazionali dello Stato” (secondo comma, lettera a), e attribuisce alla competenza concorrente quella dei “rapporti internazionali […] delle Regioni” (terzo comma); dall’altro lato, esplicitamente prevede che “nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato” (nono comma). Inoltre prevede che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, “provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali […], nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza” (quinto comma).

E’ da notare che quest’ultima disposizione si applica anche alle Regioni speciali (come è fatto chiaro dal riferimento testuale alle Province autonome): più in generale, nel silenzio degli statuti, e tenendo conto che l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 impone di riconoscere alle Regioni speciali ogni forma di maggiore autonomia che il nuovo Titolo V attribuisca alle Regioni ordinarie, deve ritenersi che valgano anche nei confronti delle autonomie speciali i principi e le regole, che esplicitamente consentono attività internazionali delle Regioni, risultanti dal nuovo art. 117, confermandosi, per questo aspetto, la soluzione già seguita nella ricordata giurisprudenza anteriore alla riforma.

Quanto al merito del problema, le nuove disposizioni costituzionali non si discostano dalle linee fondamentali già enunciate in passato da questa Corte: riserva allo Stato della competenza sulla politica estera; ammissione di un’attività internazionale delle Regioni; subordinazione di questa alla possibilità effettiva di un controllo statale sulle iniziative regionali, al fine di evitare contrasti con le linee della politica estera nazionale.

La novità che discende dal mutato quadro normativo è essenzialmente il riconoscimento a livello costituzionale di un “potere estero” delle Regioni, cioè della potestà, nell’ambito delle proprie competenze, di stipulare, oltre ad intese con enti omologhi di altri Stati, anche veri e propri accordi con altri Stati, sia pure nei casi e nelle forme determinati da leggi statali (art. 117, nono comma). Tale potere estero deve peraltro essere coordinato con l’esclusiva competenza statale in tema di politica estera, donde la competenza statale a determinare i “casi” e a disciplinare “le forme” di questa attività regionale, così da salvaguardare gli interessi unitari che trovano espressione nella politica estera nazionale. Le Regioni, nell’esercizio della potestà loro riconosciuta, non operano dunque come “delegate” dello Stato, bensì come soggetti autonomi che interloquiscono direttamente con gli Stati esteri, ma sempre nel quadro di garanzia e di coordinamento apprestato dai poteri dello Stato.

7.– Alla luce dei principi ora enunciati, le disposizioni impugnate della legge n. 131 del 2003 si rivelano immuni dalle censure mosse dalla ricorrente.

Non può essere condivisa, in primo luogo, la tesi secondo cui esse conterrebbero una normativa di dettaglio, mentre lo Stato dovrebbe limitarsi, in questa materia, a stabilire principi fondamentali, nell’esercizio della competenza concorrente in tema di rapporti internazionali delle Regioni.

In realtà il nuovo art. 117 demanda allo Stato il compito di stabilire le “norme di procedura” che le Regioni debbono rispettare nel provvedere all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali, e di disciplinare le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza (quinto comma); nonché il compito di disciplinare i “casi” e le “forme” della conclusione di accordi delle Regioni con altri Stati e di intese con enti territoriali di altri Stati (nono comma). Le disposizioni dell’art. 6, commi 1, 2 e 3, della legge n. 131 del 2003 sono dettate in attuazione di questi compiti.

Il comma 1, invero, dando corpo alla disciplina testualmente prevista dall’art. 117, quinto comma, stabilisce la procedura di informazione preventiva da parte delle Regioni e di formulazione da parte del Governo nazionale di criteri e osservazioni, ai fini dell’attività regionale di attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali in vigore, e prevede, con rinvio all’art. 8, le modalità di esercizio del potere sostitutivo.

Il comma 2 disciplina, ai sensi dell’art. 117, nono comma, della Costituzione, i casi in cui le Regioni possono concludere intese con enti territoriali interni di altri Stati, e le procedure (le forme) intese a consentire la necessaria preventiva verifica statale. Anche i vincoli di contenuto enunciati nel periodo finale del comma – divieto per le Regioni di esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato e di assumere impegni da cui derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato o che ledano gli interessi di altri enti territoriali – costituiscono in definitiva una specificazione in negativo dei limiti in cui è consentito alle Regioni concludere intese con omologhi enti stranieri.

A sua volta il comma 3 disciplina “casi” e “forme” della conclusione di accordi fra le Regioni e altri Stati, secondo la previsione dell’art. 117, nono comma.

Infine il comma 5 non fa che riprendere con una sorta di clausola generale il contenuto fondamentale del principio per cui lo Stato deve poter intervenire a salvaguardia degli interessi della politica estera, prevedendo anzi la garanzia, in caso di dissenso, dell’intervento del massimo organo del Governo, il Consiglio dei ministri, con la partecipazione del Presidente della Giunta regionale o provinciale interessato.

Si tratta dunque di disposizioni che, in ogni caso, non eccedono l’ambito dei compiti attribuiti allo Stato in questa materia dall’art. 117 della Costituzione.

8.– Nemmeno è fondata la tesi subordinata della ricorrente, secondo cui le disposizioni impugnate introdurrebbero regole e istituti suscettibili di dar luogo ad indebite ingerenze di merito dello Stato nelle decisioni delle Regioni in questa materia, così ledendone l’autonomia.

Le norme in questione devono essere intese in relazione ai principi sopra ricordati, emergenti dall’art. 117 della Costituzione, e in conformità ad essi. Ciò vale, anzitutto, per le procedure disciplinate dall’art. 6, commi 1 e 2. I “criteri” e le “osservazioni” che l’organo governativo è abilitato a formulare rispetto alle iniziative e alle attività regionali ai fini dell’esecuzione degli accordi internazionali e alla stipulazione di intese con enti territoriali interni ad altri Stati sono sempre e soltanto relativi alle esigenze di salvaguardia delle linee della politica estera nazionale e di corretta esecuzione degli obblighi di cui lo Stato è responsabile nell’ordinamento internazionale; né potrebbero travalicare in strumenti di ingerenza immotivata nelle autonome scelte delle Regioni (cfr. sentenze n. 179 del 1987 e n. 737 del 1988).

Analoghe considerazioni valgono anche quanto alla disciplina contenuta nel comma 3 dell’impugnato art. 6, in tema di accordi delle Regioni con altri Stati. La stessa ricorrente non contesta né le limitazioni che la disposizione apporta alle tipologie di accordi stipulabili e dunque ai “casi” in cui tali accordi possono essere conclusi, né le regole relative all’obbligo di tempestiva comunicazione al Governo delle trattative, e alla pubblicità degli accordi stipulati (prevista, quest’ultima, dal comma 4 dell’art. 6, non impugnato). Sostiene invece che rappresentino strumenti di indebita ingerenza statale, anzitutto, la possibilità per il Ministero degli affari esteri di “indicare principi e criteri da seguire nella conduzione dei negoziati”, l’imposizione della collaborazione delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari per i negoziati all’estero, e la necessità di un accertamento preventivo da parte del Ministero degli affari esteri della “opportunità politica” e della “legittimità” dell’accordo.

Ma, in primo luogo, i “principi e criteri” da seguire nella conduzione dei negoziati, di cui è parola nel terzo periodo del comma 3, al pari dei “criteri e osservazioni” cui si riferisce il comma 1, non vanno intesi come direttive vincolanti in positivo quanto al contenuto degli accordi, bensì solo come espressione delle esigenze di salvaguardia degli indirizzi della politica estera, e dunque come specificazione del vincolo generale nascente a carico della Regione dalla riserva allo Stato della competenza a formulare e sviluppare tali indirizzi, e dal conseguente divieto di pregiudicarli con attività e atti di essi lesivi.

Quanto alla collaborazione degli uffici diplomatici e consolari, si tratta in realtà di una possibilità di supporto tecnico, il cui utilizzo resta subordinato, come precisa la norma, alla previa intesa con la Regione o con la Provincia autonoma, e dunque non comporta alcuna lesione all’autonomia di questa.

Quanto infine all’accertamento preventivo di legittimità e di opportunità dell’accordo, mentre il riferimento alla legittimità attiene principalmente alla verifica del rispetto dei limiti posti al “potere estero” delle Regioni, nonché delle procedure e degli obblighi di informazione, il riferimento alla opportunità va letto alla luce di quanto previsto in via generale dal comma 5, ove si precisa che le “questioni di opportunità” che il Governo può sollevare sono quelle “derivanti dalle scelte e dagli indirizzi di politica estera dello Stato”.

Tale potere di accertamento del Governo non legittima dunque alcuna ingerenza nelle scelte di opportunità e di merito attinenti all’esplicazione dell’autonomia della Regione. Il Governo può legittimamente opporsi alla conclusione di un accordo da parte di una Regione, contenuto nei limiti stabiliti dall’art. 117, nono comma, della Costituzione, solo quando ritenga che esso pregiudichi gli indirizzi e gli interessi attinenti alla politica estera dello Stato; sul piano procedurale le Regioni godono della garanzia derivante dalla competenza del massimo organo del Governo, il Consiglio dei ministri, a decidere in via definitiva, mentre l’eventuale uso arbitrario di tale potere resta pur sempre suscettibile di sindacato nella sede dell’eventuale conflitto di attribuzioni.

9.– Analoghe considerazioni valgono a consentire ed imporre una lettura costituzionalmente conforme della previsione secondo cui la stipulazione degli accordi deve essere preceduta, a pena di nullità degli accordi medesimi, dal conferimento da parte del Ministero degli affari esteri dei “pieni poteri di firma”. Si tratta di un istituto derivante dal diritto internazionale, in particolare disciplinato dall’art. 7 della Convenzione sul diritto dei trattati adottata a Vienna il 23 maggio 1969, resa esecutiva in Italia con la legge 12 febbraio 1974, n. 112 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sul diritto dei trattati, adottata a Vienna il 23 maggio 1969), ai cui sensi “un individuo viene considerato il rappresentante di uno Stato per l’adozione o l’autenticazione del testo di un trattato o per esprimere il consenso dello Stato ad essere vincolato da un trattato” vuoi “quando presenti i pieni poteri del caso”, vuoi “quando risulti dalla pratica degli Stati interessati o da altre circostanze che detti Stati avevano l’intenzione di considerare tale individuo come rappresentante dello Stato a tali fini”; sono poi considerati rappresentanti dello Stato a cui appartengono, in virtù delle loro funzioni, e senza dover presentare i pieni poteri, i titolari di cariche nominate nel comma 2 del medesimo art. 7 della Convenzione (Capi di Stato e di Governo, Ministri degli esteri, rappresentanti accreditati ad una conferenza internazionale, ecc.).

L’istituto ha il fine di dare certezza riguardo al fatto che il consenso prestato o la firma apposta al trattato siano realmente idonei a impegnare lo Stato nell’ordinamento internazionale, provenendo da chi ha i poteri rappresentativi a ciò necessari.

La ricorrente sostiene che gli accordi stipulati dalle Regioni con altri Stati non sono “trattati” fra Stati, e come tali non vincolano lo Stato ma solo l’ente stipulante. Tale tesi non può essere condivisa. L’autonomia di diritto interno (costituzionale) in base alla quale le Regioni possono concludere gli accordi si esercita pur sempre nel quadro di un ordinamento in cui lo Stato centrale, titolare esclusivo della politica estera, è responsabile sul piano del diritto internazionale degli accordi e delle relative conseguenze, e quindi ha il potere-dovere di controllare la conformità di detti accordi agli indirizzi della politica estera nazionale. Ciò comporta l’esigenza di adottare formalità intese a dare certezza, sul piano internazionale, circa la legittimazione di chi esprime la volontà di stipulare l’accordo e circa l’esistenza, secondo il diritto interno, del “potere estero” di cui l’accordo è espressione.

Poiché però, come si è detto, secondo il diritto interno la Regione opera in base a poteri propri, e non come “delegata” dello Stato, una volta che sia attuato il procedimento di verifica preventiva circa il rispetto dei limiti e delle procedure prescritte il Ministero degli affari esteri è tenuto a conferire i pieni poteri all’organo regionale competente per la stipulazione, e non potrebbe discrezionalmente negarli. Si tratta dunque, in sostanza, di un adempimento formale vincolato in relazione all’esito della predetta verifica.

10.– E’ pure infondata, infine, la censura che la ricorrente muove in relazione alla possibilità, riconosciuta al Governo dal comma 5 dell’impugnato art. 6, di rappresentare in qualunque momento (dunque, arguisce la ricorrente, anche dopo la stipulazione dell’accordo) “questioni di opportunità” e, in caso di dissenso, di provocare una delibera del Consiglio dei ministri.

Tale clausola non fa che ribadire in termini generali ciò che già risulta dai principi e dalle procedure di cui ai commi 1, 2 e 3 in ordine alla stipulazione di intese e accordi e all’esecuzione e attuazione di obblighi internazionali. Le “questioni di opportunità” attengono, come è espressamente previsto, alle esigenze di rispetto degli indirizzi della politica estera; ed esse potranno essere sollevate, volta a volta, in relazione ad accordi o intese ancora da sottoscrivere, ai sensi dei commi 2 e 3, ovvero successivamente in relazione a problemi di attuazione, ai sensi del comma 1. E’ escluso comunque che tale possibilità consenta al Governo di esercitare un indebito controllo di merito sulle autonome scelte regionali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

riservata a separate pronunzie la decisione delle restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 5 giugno 2003, n. 131, sollevate con i ricorsi in epigrafe,

a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 1, 2, 3 e 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) sollevata, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, in relazione all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ed in riferimento agli articoli 3, 4, 5 e 6 dello statuto speciale per la Sardegna di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e alle relative norme di attuazione, dalla Regione Sardegna con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 61 del 2003);

b) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 1, 2, 3 e 5, della predetta legge n. 131 del 2003 sollevata, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, agli articoli 8, 9, 10 e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e alle relative norme di attuazione, dalla Provincia autonoma di Bolzano con il ricorso in epigrafe (r. ric. n. 59 del 2003).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8  luglio 2004.

F.to:

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2004.