Sentenza n.72 del 1985

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SENTENZA N. 72

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge del Consiglio regionale della Lombardia riapprovata il 13 marzo 1980, recante "proroga del termine di cui all'art. 57 della legge regionale 6 ottobre 1979, n. 54", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 4 aprile 1980, depositato in cancelleria il 14 successivo ed iscritto al n. 9 del registro ricorsi 1980.

Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell'udienza pubblica del 29 gennaio 1985 il Giudice relatore Francesco Greco;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con legge 6 ottobre 1979, n. 54, la Regione Lombardia, in attuazione dell'accordo relativo al contratto nazionale di lavoro per il personale delle regioni a statuto ordinario (intervenuto, per il periodo 1 gennaio 1976-31 dicembre 1978, tra dette regioni e le organizzazioni sindacali dei dipendenti), disciplinava lo stato giuridico e il trattamento economico dei propri dipendenti. Con l'art. 50 stabiliva le modalità di determinazione del compenso per il lavoro straordinario e con l'art. 57 prevedeva la conservazione fino al 31 dicembre 1979 dei trattamenti in atto, che eventualmente fossero risultati più favorevoli rispetto a quelli conseguenti all'applicazione di dette modalità.

Il 3 gennaio 1980, la stessa Regione approvava una nuova legge ad unico articolo, con la quale prorogava al 31 dicembre 1980 il termine fissato con l'art. 57 della citata legge n. 54 del 1979.

Questo ultimo provvedimento veniva rinviato ex art. 127 Cost. dal governo, osservandosi che lo stesso appariva in conflitto con il generale principio, desumibile dalla legislazione statale, della salvaguardia delle esigenze di perequazione "in ordine allo stato giuridico ed al trattamento economico dei dipendenti regionali, recepito anche nel contratto unico nazionale" specificandosi anche che quest'ultimo non consentiva proroghe, oltre il termine del 31 dicembre 1979, per l'applicazione delle precedenti, più favorevoli, aliquote per la determinazione del compenso per lavoro straordinario, goduto dal personale delle regioni.

Il Consiglio regionale, però, nella seduta del 13 marzo 1980, con la maggioranza prescritta dall'art. 127 Cost., approvava di nuovo la legge.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ne proponeva impugnazione davanti a questa Corte costituzionale, con ricorso in data 1 aprile 1980, notificato il 4 aprile 1980, chiedendone la declaratoria di illegittimità per violazione degli artt. 3, 36, 97, 117 e 119 Cost..

L'autorità ricorrente rilevava che la norma denunciata aveva anzitutto violato l'intento di "perequare" le retribuzioni del personale dipendente dalle regioni a statuto ordinario e le retribuzioni dei dipendenti dello Stato, in considerazione della sostanziale identità di prestazioni richieste all'uno come all'altro e dei problemi di compatibilità posti dalla situazione del pubblico bilancio in generale, perseguito dal primo contratto unico stipulato in sede nazionale con l'intervento oltre che dei rappresentanti delle regioni e delle associazioni sindacali, anche del Governo.

In particolare deduceva che la disciplina del lavoro straordinario e della determinazione del relativo compenso, definita con l'accordo nazionale e puntualmente recepita nell'art. 50 della legge regionale n. 54 del 1979, corrispondeva a quella stabilita, per il personale dello Stato, con il D.P.R. 22 luglio 1977 n. 422, sicché la legge regionale 13 marzo 1980, n. 374, alterando tale simmetria, determinava, in primo luogo, in violazione dell'art. 3 Cost., una disparità di trattamento fra i dipendenti dello Stato e quelli della Regione Lombardia, nonché fra questi ed i dipendenti delle altre regioni a statuto ordinario le quali avevano rispettato la disciplina pattizia.

Inoltre, detta norma violava gli artt. 97 e 36 della Costituzione in quanto le esigenze di perequazione retributiva, affermatesi con riferimento all'intera area dell'impiego pubblico, che necessariamente richiedono che il trattamento economico del personale delle regioni non sia più favorevole di quello fatto al personale dello Stato (sent. C. Cost. n. 40 del 1972), costituivano precipua attuazione dei canoni della buona amministrazione, da osservarsi generalmente nell'organizzazione degli uffici pubblici; e, per altro verso, erano pienamente coerenti con il principio di proporzionalità della retribuzione alla qualità e quantità del lavoro, fissato dall'art. 36 Cost..

Ad avviso del ricorrente, la legge denunciata, violando uno dei principi fondamentali della legislazione statale quale é quello della perequazione, peraltro sancito dalla Costituzione, e l'art. 67 della legge n. 62 del 1953, violava altresì il principale limite posto dall'art. 117 Cost. alla competenza normativa delle regioni a statuto ordinario in materia di ordinamento degli uffici regionali (sent. Corte Cost. n. 21 e n. 45 del 1978).

Aggiungeva infine il ricorrente che risultava violato anche l'art. 119 Cost., che sancisce il principio del coordinamento della finanza regionale con quella statale e con quella degli enti locali in quanto, alle trattative, che poi avevano portato all'accordo contrattuale dei dipendenti delle regioni, aveva partecipato il rappresentante del Governo, oltre ai rappresentanti delle regioni a statuto ordinario, per cui doveva ritenersi l'omogeneità delle situazioni disciplinate e la irrilevanza di fronte ad essa, della reciproca autonomia soggettiva delle singole regioni.

La Regione Lombardia depositava tardivamente un proprio atto di costituzione.

Alla udienza pubblica il ricorrente ribadiva le argomentazioni esposte nel ricorso.

 

Considerato in diritto

 

Con il ricorso di cui in narrativa, il Governo della Repubblica ha impugnato, in via diretta, la legge approvata dal Consiglio regionale della Lombardia il 3 gennaio 1980 e riapprovata, dopo il rinvio del Governo, il 13 marzo dello stesso anno.

La impugnativa del Governo é determinata dalla constatazione che la detta legge proroga, per la seconda volta, i trattamenti erogati al personale dipendente per lavoro straordinario, più favorevoli rispetto a quelli previsti dall'accordo relativo al contratto nazionale di lavoro per il personale delle regioni a statuto ordinario e limitati, per la detta pattuizione, al 31 dicembre 1979. E ne assume l' illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 36, 97, 117, 119 Cost..

Passando all'esame dei motivi dell' impugnazione, sembra alla Corte di dover accertare se essi corrispondano ai motivi dedotti dallo stesso ricorrente in sede di richiesta di riesame della legge regionale di cui trattasi, anche al fine di determinare gli esatti termini delle questioni da decidere.

Con costante giurisprudenza, questa Corte (sent. n. 8 del 1967, n. 147 del 1972, n. 123 del 1975, n. 132 del 1975, n. 92 del 1976, n. 127 del 1976, n. 212 del 1976, n. 107 del 1983) ha affermato l'unitarietà del procedimento previsto dall'art 127 Cost. per l'impugnativa delle leggi regionali viziate d’incostituzionalità e l’impossibilità di distinguere in esso, come due fasi autonome, il rinvio al Consiglio regionale per il riesame della legge e l’eventuale impugnativa di questa dinanzi alla Corte per vizio d’incostituzionalità. L'atto motivato del Consiglio dei ministri di rinvio al Consiglio regionale, per riesame della legge regionale per vizi di legittimità costituzionale, rileva anche per l'eventuale ricorso alla Corte per illegittimità costituzionale come predeterminazione da parte del Governo delle linee essenziali di quest'ultimo e del conseguente giudizio di legittimità. Onde sussiste l'esigenza che il Consiglio regionale, già dalla fase di rinvio, sia posto nella condizione di conoscere i vizi di legittimità del suo provvedimento legislativo, riscontrati dal Governo al fine di esaminarli ed eliminarli nella successiva, eventuale rielaborazione e riapprovazione della legge. Sicché sono inammissibili il ricorso o i motivi che non presentino la necessaria corrispondenza tra le censure in esso svolte ed il motivo o i motivi del precedente rinvio.

É altresì principio costantemente affermato quello secondo cui la necessaria rilevata corrispondenza tra i motivi del rinvio ed i motivi del ricorso possa considerarsi soddisfatta da una sintetica esposizione ed enunciazione delle ragioni del ricorso nell'atto di rinvio, sempre però che dal confronto risulti quanto meno un’omogeneità ed identità di contenuti dei due atti, una corrispondenza di genere a specie.

Così, invero, si é ritenuto che non si possa esigere che il testo del rinvio menzioni puntualmente ed integralmente le disposizioni costituzionali o statutarie sulle quali poi si fonda il ricorso; e si é riconosciuta alla Corte la possibilità di integrare le lacune o le inesattezze delle deduzioni quando ne risulti però indubbio il contenuto (sent. n. 127/76).

Nella fattispecie, col telegramma che ha disposto il rinvio per riesame, é dedotto solo il contrasto della legge con il principio di perequazione vigente nella legislazione in ordine al trattamento economico dei dipendenti regionali, recepito anche nel contratto unico nazionale, che non consentirebbe proroghe dei più favorevoli compensi per lavoro straordinario goduti in atto, oltre il termine del 31 dicembre 1979. Non risultano assolutamente dedotte, nemmeno in forma sintetica e concisa, né la violazione degli artt. 3 e 36 Cost., per la verificata disparità di trattamento in tema di compenso per lavoro straordinario tra dipendenti della Regione Lombardia e dipendenti di altre regioni a statuto ordinario che non hanno prorogato il trattamento di miglior favore, nonché tra i dipendenti della detta regione ed i dipendenti statali, né la violazione del principio della equa proporzione tra retribuzione e qualità e quantità di lavoro, assicurata dall'intervenuto accordo nazionale.

Non sono state nemmeno dedotte la violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) che il ricorrente, peraltro, collega alla violazione dei principi di cui al precedente motivo; né la violazione dell'art. 119 Cost. per il contrasto, verificatosi per effetto della disposta protrazione del trattamento di miglior favore, con il principio del coordinamento della finanza pubblica, assicurato dai procedimenti di formazione delle norme relative al trattamento economico dei dipendenti pubblici.

Pertanto, i suddetti motivi non possono formare oggetto del successivo giudizio d’impugnativa alla stregua dei surrichiamati principi, anche secondo la loro più lata interpretazione.

Non resta quindi che esaminare la dedotta violazione del principio generale, cui sarebbe improntata la legislazione, della perequazione del trattamento dei dipendenti pubblici regionali e statali di cui all'art. 117, primo comma, Cost..

Detta violazione, in sostanza, si fa discendere dall’inosservanza dell'accordo nazionale intervenuto tra i rappresentanti delle regioni a statuto ordinario e le associazioni sindacali di categoria, con l'intervento del rappresentante del Governo.

E va, all'uopo, rilevato anzitutto che il ricorrente non ha esibito il testo del richiamato accordo nazionale, sicché non risultano certi l’intervenuta partecipazione anche del rappresentante della Regione Lombardia alla stipulazione dell'accordo, gli esatti termini ed il contenuto dell'accordo, onde non é nemmeno possibile determinare la valenza dell’intervenuta partecipazione del rappresentante del Governo.

Inoltre, per quanto riguarda il merito, come già affermato da questa Corte (sent. n. 290 del 1984 e n. 219 del 1984), stante l'autonomia delle regioni in materia di ordinamento degli uffici e la correlata riserva di legge di cui all'art. 117, primo comma, Cost., spetta, in ogni caso, alle leggi regionali non la pura e semplice riproduzione dell'accordo sindacale ma il suo adeguamento, quando sia necessario, alla peculiarità del funzionamento degli uffici ed alla disponibilità del bilancio regionale.

Anche per quanto riguarda più specificamente il dedotto contrasto con i principi vigenti della legislazione, rivolti al soddisfacimento delle esigenze perequative in ordine al trattamento economico dei dipendenti regionali, recepite nell'accordo per il contratto unico nazionale dei dipendenti delle regioni a statuto ordinario, il riferimento ai surrichiamati principi é del tutto generico e si risolve unicamente nella denuncia della pretesa illegittimità della legge impugnata perché introduce una deroga al trattamento previsto dal menzionato accordo nazionale con la disposta proroga per un anno del trattamento di maggior favore, ossia dell'erogazione del maggior compenso per il lavoro straordinario dei dipendenti della Regione Lombardia rispetto a quello sancito nel menzionato accordo.

E la pretesa violazione delle esigenze perequative per il personale della regione si risolve sempre nella violazione dell'accordo nazionale in quanto queste esigenze, sebbene affermatesi nella legislazione regionale, in concreto sono pur sempre quelle recepite nel contratto nazionale.

Nessun altro riferimento più specifico é dato desumere dalla nota di rinvio. Sicché il Consiglio regionale, in sede di riesame di nuova deliberazione del disegno di legge, occupandosi esclusivamente del contenuto della detta nota, ha giustamente ritenuto prevalente l'autonomia regionale anche in questo specifico settore.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara:

a) inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del disegno di legge della Regione Lombardia approvato il 3 gennaio 1980 e riapprovato il 13 marzo dello stesso anno, sollevate, con il ricorso indicato in epigrafe, dal Governo della Repubblica, in riferimento agli artt. 3, 36, 97 e 119 Cost.;

b) non fondate le questioni di legittimità costituzionale dello stesso disegno di legge di cui sub a) in relazione all'art. 117, primo comma, Cost..

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1985.

Leopoldo ELIA - Francesco GRECO

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1985.