Sentenza n. 21 del 1978
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SENTENZA N.21

ANNO 1978

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA  CORTE  COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata il 7 luglio 1977 dall'Assemblea regionale siciliana recante "Norme sullo stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione regionale", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Sicilia, notificato il 15 luglio 1977, depositato in cancelleria il 22 successivo ed iscritto al n. 18 del registro ricorsi 1977.

Visto l'atto di costituzione della Regione Sicilia;

udito nell'udienza pubblica del 20 dicembre 1977 il Giudice relatore Leopoldo Elia;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'avv. Salvatore Villari, per la Regione.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Commissario dello Stato per la Regione siciliana impugnava con ricorso in data 15 luglio 1977, notificato lo stesso giorno, la legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta pomeridiana del 7 luglio 1977 contenente norme sullo stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione regionale. Tale legge, prevedendo aumenti nello stipendio, nella pensione e negli assegni vitalizi, avrebbe accresciuto ulteriormente ed oltre ogni ragionevole limite il divario rispetto al personale dello Stato, con ciò violando il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) ed il principio di proporzionalità fra lavoro e trattamento retributivo (art. 36 Cost.).

Osservava infatti il ricorrente che la Regione ha concesso un aumento di lire 23.000 mensili al personale che da essa dipende ed ulteriori agevolazioni nel computo di servizi in precedenza prestati su retribuzioni già di gran lunga superiori a quelle del corrispondente personale dello Stato ed indicava alcuni esempi di diverso livello retributivo (il consigliere dell'amministrazione statale gode di uno stipendio annuo di lire 4.292.124, mentre il dirigente regionale - grado iniziale della carriera direttiva - percepisce uno stipendio annuo di lire 5.423.244; il direttore di sezione statale percepisce, dopo cinque anni di anzianità, uno stipendio annuo di lire 5.342.118, mentre il dirigente regionale con eguale anzianità di servizio percepisce uno stipendio annuo di lire 7.009.392, etc.).

Osservava inoltre che l'aumento di lire 23.000 mensili al personale regionale in stato di quiescenza accresceva il divario rispetto all'analogo trattamento del personale statale: il primo gode infatti di un assegno superiore al 100% dell'ultima retribuzione dopo 35 anni di servizio, mentre il secondo di un assegno pari al 94,40 % dell'ultima retribuzione dopo 40 anni di servizio.

Vero é che alla Regione siciliana é riconosciuta in materia di stato giuridico ed economico dei propri impiegati e funzionari una competenza legislativa primaria (art. 14, lett. q, dello Statuto regionale); ma ciò non permette - ad avviso del ricorrente - di ritenere che la Regione possa riservare ad libitum ai propri dipendenti un trattamento di gran lunga sovrastante la piattaforma retributiva riservata al personale dello Stato. Il perseguimento di una perequazione retributiva di tutti i dipendenti pubblici, a parità di qualifiche ed a prescindere dall'amministrazione di appartenenza, sarebbe infatti uno dei principi fondamentali affermati dalla più recente legislazione statale (artt. 25 e 35 legge n. 70 del 1975; art. 9 legge n. 382 del 1975).

La normativa impugnata conterrebbe ulteriori e più specifici vizi di costituzionalità. L'art. 3, innanzi tutto, stabilendo nel primo comma che non si applica, con decorrenza dal 1 gennaio 1976, al personale regionale di ruolo la riduzione di anzianità prevista dai primi tre periodi dell'art. 75, secondo comma, legge regionale siciliana n. 7 del 1971 e dall'art. 5 legge regionale siciliana n. 34 del 1974 e stabilendo nel terzo comma che tale riduzione non si applica al personale transitato in qualifiche superiori in virtù di provvedimento avente efficacia anteriore al 1 gennaio 1976, con decorrenza dal giorno precedente la data del provvedimento, introdurrebbe una differenza normativa del tutto carente di giustificazione e, dunque, violerebbe il principio di eguaglianza; la norma medesima violerebbe anche i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione perseguendo un obiettivo di soddisfacimento degli interessi individuali di determinati funzionari e non un fine di utilità generale.

L'art. 4 della legge impugnata poi, nel riconoscere il servizio prestato ai sensi dell'art. 4 legge regionale 14 aprile 1967, n. 47 e della legge regionale 25 luglio 1969, n. 25 ed il servizio prestato a qualsiasi titolo presso uffici centrali e periferici dell'amministrazione regionale ma non il servizio prestato presso amministrazioni statali, creerebbe una irragionevole differenza normativa e, dunque, violerebbe sotto questo ulteriore profilo il principio di eguaglianza.

2. - Si costituiva la Regione chiedendo il rigetto del ricorso. Assumeva essere in conferenti le norme invocate da controparte, dato che la legge n. 70 del 1975 espressamente farebbe salva la competenza primaria delle regioni in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale e la legge n. 382 del 1975 sarebbe applicabile unicamente alle regioni a statuto ordinario.

Solo obliterando il senso della competenza esclusiva riconosciuta in materia alla Regione siciliana e dimenticando l'entità delle sperequazioni retributive contenute nella stessa normativa statale, così come recenti inchieste sulla c.d. "giungla retributiva" avrebbero dimostrato, si potrebbe concludere per l'incostituzionalità della legge impugnata.

La legge n. 7 del 1971 avrebbe d'altra parte così profondamente ristrutturato secondo criteri nuovi l'ordinamento del personale regionale da rendere impossibile un raffronto con le posizioni del personale statale.

L'aumento di lire 23.000 mensili per il personale della Regione troverebbe poi esatta corrispondenza nell'aumento di lire 25.000 disposto con D.P.R. 16 aprile 1977, n. 116, per il personale dello Stato.

Il migliore trattamento riservato a chi ha conseguito promozione anteriormente al 1 gennaio 1976 dall'art. 3, terzo comma, della legge regionale sarebbe solo apparente: tale norma infatti avrebbe l'unico effetto di rimuovere restrizioni apportate da leggi anteriori, consentendo con efficacia retroattiva l'integrale utilizzazione del servizio già prestato. La indicata incidenza della norma escluderebbe anche un contrasto con l'art. 97 della Costituzione.

Neppure sussisterebbe il lamentato contrasto dell'art. 4 della legge regionale con il principio di eguaglianza: diverse infatti sarebbero le situazioni di coloro che hanno prestato servizio presso lo Stato e di coloro che hanno prestato servizio alle dipendenze della Regione, essendo solo l'attività di questi ultimi diretta al soddisfacimento dei fini istituzionali dell'ente che eroga i compensi.

3. - La Regione siciliana con successiva memoria, entrambe le parti nella discussione orale ribadivano e sviluppavano le rispettive tesi.

 

Considerato in diritto

 

La questione di maggior rilievo sottoposta al giudizio di legittimità costituzionale di questa Corte riguarda l'intera legge regionale siciliana approvata il 7 luglio 1977 recante "Norme sullo stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione regionale", per il motivo che essa, direttamente ed indirettamente, stabilisce aumenti degli stipendi, pensioni ed assegni vitalizi dei dipendenti della regione, e così accresce il divario tra il trattamento economico di questo personale ed i corrispondenti compensi di quello dello Stato, in violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione.

La questione non é fondata.

Come é noto, in corrispondenza della diversa disciplina normativa che regola la materia per le regioni a statuto speciale e per quelle a statuto ordinario, si é sviluppata una giurisprudenza di questa Corte, la quale ha tenuto ben conto di tali differenze, con particolare riguardo alla regione siciliana (si vedano per le regioni del primo tipo sentt. n. 47 del 1959, n. 124 del 1968, nn. 19 e 77 del 1970 e 112 del 1973; per le altre n. 8 del 1967 e nn. 40 e 147 del 1972).

Nella presente fattispecie l'art. 14 lett. q) dello Statuto speciale non consente, in concreto, di accogliere l'impugnativa del Commissario dello Stato. Mentre, di per sé considerata, la norma dell'art. 14, lett. q), non impedirebbe di procedere ad un raffronto tra la disciplina della regione siciliana in tema di retribuzione dei suoi dipendenti ed un principio dell'ordinamento giuridico dello Stato od una norma fondamentale delle riforme economico-sociali della Repubblica. Va da sé che non possa trovare applicazione in questo caso l'ultima parte dell'art. 67 della legge n. 62 del 1953, in cui si vieta alle regioni a statuto ordinario di disporre un trattamento economico più favorevole di quello spettante al personale statale. D'altra parte l'ovvio principio della perequazione retributiva dei dipendenti pubblici, quale risulta dal combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost., non é munito nel nostro ordinamento dei necessari presidi normativi, né é possibile ravvisare l'esistenza di essi in disposizioni legislative pur sempre parziali (come gli artt. 26 e 35 della legge 20 marzo 1975, n. 70, che escludono espressamente dalla loro disciplina i dipendenti degli enti pubblici sottoposti al controllo o alla vigilanza delle regioni dotate di competenza legislativa primaria nella materia; o come l'art. 9 della legge 22 luglio 1975, n. 382, che concerne il trattamento economico di attività dei dipendenti civili dello Stato, con notevoli esclusioni, nonché dei dipendenti delle aziende autonome statali). Del resto, una recente inchiesta parlamentare ha messo in luce una serie assai significativa di disparità nel trattamento economico dei pubblici dipendenti.

In altre parole non esiste una disciplina statale generale in tema di retribuzioni del pubblico impiego, da cui possa trarsi un limite che sia in grado di operare nei confronti della competenza legislativa primaria delle regioni a statuto speciale; sia poi che il limite debba essere configurato come principio dell'ordinamento dello Stato o come grande riforma economico-sociale. Pertanto la situazione normativa sottoposta all'esame di questa Corte é ben diversa da quella che si presenta per la disciplina della indennità integrativa speciale, recentemente regolata dal d.l. n. 12 del 1977 (convertito, con modifiche, in legge 31 marzo 1977, n. 91).

Non vale dunque richiamarsi agli artt. 3 e 36 della Costituzione (nonché all'art. 97 di questa), perché queste disposizioni, a parte la possibilità di essere derogate dalla normativa regionale (si veda il n. 8 della motivazione della sent. n. 47 del 1959), non sono in grado, di per sé, di surrogare i termini concreti di riferimento enucleabili da una desiderabile disciplina statale in subiecta materia.

Questa Corte non può non auspicare che con i mezzi consentiti dal nostro ordinamento si giunga al più presto ad una determinazione dei livelli massimi di trattamento non superabili da alcuna legge regionale o provinciale. E ciò nel quadro di una disciplina generale che presuppone evidentemente la possibilità di definire una corrispondenza abbastanza precisa tra qualifiche, mansioni e trattamenti economici. In questo modo si realizzerebbe, nel rispetto delle autonomie regionali e provinciali, quel contenuto essenziale di eguaglianza (in relazione agli artt. 3 e 36 Cost.) che é richiesto dall'assetto unitario della Repubblica e dal principio del buon andamento della pubblica amministrazione.

Quanto alle violazioni dell'art. 3 Cost., eccepite a proposito dell'art. 3 della legge siciliana per disparità di trattamento prodotte all'interno della stessa categoria degli impiegati regionali, esse non risultano dimostrate e pertanto le relative questioni non possono essere accolte. In effetti le nuove norme tendono a riequilibrare situazioni analoghe trattate diversamente per il succedersi di alcune leggi non coordinate tra loro.

Al contrario é fondata l'eccezione di legittimità rivolta contro l'art. 4 della legge, giacché non é dato scorgere alcun plausibile motivo, che giustifichi la esclusione dal beneficio previsto nello stesso articolo di coloro che abbiano in precedenza prestato servizio presso l'amministrazione statale od altri enti pubblici diversi dalla regione (inquadrati nei ruoli istituiti con legge regionale 23 marzo 1971, n. 7, e successive aggiunte e modifiche, od ai sensi dell'art. 4 della legge regionale 14 aprile 1967, n. 47, e successive modifiche, ai sensi della legge 6 marzo 1968, n. 219, e della legge regionale 25 luglio 1969, n. 25).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge approvata dall'assemblea regionale siciliana in data 7 luglio 1977, recante "Norme sullo stato giuridico ed economico del personale dell'Amministrazione regionale";

dichiara non fondate le questioni di costituzionalità sollevate contro le altre disposizioni della stessa legge con il ricorso indicato in epigrafe per violazione degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1978.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE 

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1978.