Sentenza n. 6 del 1970
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SENTENZA N. 6

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZI'

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 26 e 27 del decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, che approva lo Statuto della Regione siciliana, promosso con ordinanza emessa il 9 maggio 1968 dal giudice istruttore del tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di Lentini Filippo, iscritta al n. 115 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968.

Visto l'atto d'intervento del Presidente della Regione siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 26 novembre 1969 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi gli avvocati Giuseppe Guarino e Giovanni Leone, per il Presidente della Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 9 maggio 1968 nel corso di un procedimento penale a carico di Lentini Filippo, il giudice istruttore presso il tribunale di Palermo ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale relativamente agli artt. 26 e 27 dello Statuto per la Regione siciliana per contrasto con l'art. 102, comma secondo, della Costituzione e con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

Il giudice a quo, premesso che nella specie é stata iniziata azione penale dal procuratore della Repubblica nei confronti di un ex assessore ai lavori pubblici della Regione siciliana per reati commessi nell'esercizio delle sue funzioni e richiamate le note vicende giudiziarie e parlamentari concernenti il problema del rapporto fra Corte costituzionale ed Alta Corte per la Regione siciliana, osserva che nella attuale situazione, caratterizzata dalla mancata integrazione del numero dei componenti di quest'ultima, viene a determinarsi una condizione di impunità di fatto per quei cittadini che godono della garanzia prevista dall'art. 26 dello Statuto siciliano, con una norma che é da ritenere di immediata applicazione e tuttora in vigore. D'altra parte - prosegue l'ordinanza - una interpretazione che ritenesse competente a giudicare dei reati in esame l'Autorità giudiziaria ordinaria involgerebbe sicuramente questioni di costituzionalità, la cui soluzione non può essere offerta che da una pronuncia della Corte costituzionale: più precisamente, la questione di legittimità costituzionale si porrebbe nel senso di ritenere non manifestamente infondato che l'Alta Corte, avendo perduto in forza della sentenza n. 38 del 1957 della Corte costituzionale il suo carattere di organo di giurisdizione costituzionale, non avrebbe, nel contempo e per la stessa ragione, potuto conservare la sua residua competenza di ordine penale, consistendo quest'ultima in una speciale garanzia per i membri del governo regionale che é da intendere in connessione essenziale proprio con quel carattere dell'Alta Corte stessa. Le norme impugnate si dovrebbero perciò considerare in contrasto non già con una singola disposizione, bensì con la ratio della Carta costituzionale; peraltro, se fosse necessario indicare comunque in modo specifico le disposizioni costituzionali che si ritengono violate, dovrebbero considerarsi tali l'art. 102, comma secondo, della Costituzione, che contiene il divieto di istituire giudici speciali, e la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, che, secondo la già ricordata sentenza n. 38 del 1957, ha convertito lo Statuto emanato con R. D.L. 15 maggio 1946, n. 455, con le modifiche di quelle parti in cui contrastava con la sopravvenuta Costituzione. Sotto il profilo della rilevanza il giudice a quo motiva, infine, che il procedimento penale di cui trattasi non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle accennate questioni di legittimità costituzionale.

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 14 settembre 1968, n. 235, risulta notificata anche al Presidente della Regione siciliana e comunicata al Presidente dell'Assemblea regionale, così come in essa disposto.

2. - Si é costituita in giudizio soltanto la Regione siciliana, con deduzioni depositate il 31 agosto 1968, nelle quali contesta anzitutto la proponibilità e la rilevanza della questione sollevata, assumendo che essa non ha per oggetto un problema di legittimità costituzionale, ma semplicemente di giurisdizione e di competenza, che rimarrebbe come tale pur sempre aperto e rimesso alla decisione del giudice a quo anche dopo un'eventuale pronuncia della Corte costituzionale, non potendo in alcun caso quest'ultima affermare una propria competenza in sostituzione di quella dell'Alta Corte. In secondo luogo, la difesa della Regione sostiene la infondatezza della tesi prospettata nell'ordinanza di rinvio, in quanto la competenza penale dell'Alta Corte non incide, a differenza delle altre attribuzioni ad essa originariamente assegnate, in una materia che rientri anche nella giurisdizione della Corte costituzionale, per cui, non sussistendo alcun pericolo di conflitto né di difformità di pronunzie fra le due Corti, non potrebbero invocarsi i motivi che furono posti a sostegno della già ricordata decisione n. 38 del 1957.

Quanto all'asserito contrasto tra gli artt. 26 e 27 dello Statuto siciliano ed il secondo comma dell'art. 102 della Costituzione, dovrebbe ritenersi che, secondo un costante indirizzo di giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, sino a quando non sarà attuata la VI disposizione transitoria della Costituzione, il principio della unità della giurisdizione operi soltanto nel senso di vietare l'istituzione di nuove giurisdizioni speciali e non comporti l'eliminazione di quelle esistenti: da ciò deriverebbe l'ulteriore corollario che, in mancanza di quel contrasto, la speciale giurisdizione penale dell'Alta Corte avrebbe ottenuto, per effetto della conversione dello Statuto, dignità anche formalmente costituzionale, con la conseguenza della inapplicabilità per l'avvenire nei suoi confronti della disposizione transitoria innanzi richiamata. Successive considerazioni della stessa difesa regionale tendono, infine, a dimostrare, nell'interpretazione dell'art. 25 della Costituzione, che in nessun caso il giudice ordinario potrebbe rappresentare il giudice naturale precostituito per legge, competente a giudicare dei reati commessi dai membri del governo regionale, per il solo fatto dell'attuale carenza di funzionamento dell'Alta Corte, in mancanza di un'apposità legge di revisione costituzionale.

Le conclusioni della Regione siciliana sono quindi volte ad ottenere una dichiarazione di inammissibilità, e comunque di infondatezza, della questione proposta. Con ulteriore memoria, depositata il 13 novembre 1969, la difesa della regione ha sviluppato gli argomenti e ribadito le richieste già formulate.

3. - All'udienza la stessa difesa ha insistito nelle deduzioni e nelle conclusioni in precedenza precisate, discutendo anche e particolarmente sul problema della ammissibilità della costituzione nel presente giudizio del Presidente della Regione siciliana.

 

Considerato in diritto

 

1. - Deve anzitutto prendersi in esame il problema dell'ammissibilità dell'intervento proposto dal Presidente della Regione siciliana nel presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale, che ha per oggetto un atto con forza di legge dello Stato (il D.L. 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2).

La Corte osserva che lo Statuto della Regione, anche se adottato con legge costituzionale dello Stato, come prescritto per le regioni ad autonomia speciale dall'art. 116 della Costituzione, o se contenuto in atto legislativo statale, così come originariamente é accaduto per lo Statuto della Regione siciliana, é pur sempre l'atto costitutivo sul quale direttamente si fondano le potestà legislative ed amministrative della Regione, la garanzia costituzionale prima ed essenziale della sua stessa autonomia. E pertanto, quando siano denunciate disposizioni contenute negli statuti speciali regionali, e limitatamente a tale ipotesi, deve ritenersi implicito nel principio risultante dal combinato disposto degli artt. 23 e 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che il Presidente della Regione sia legittimato a costituirsi dinanzi a questa Corte, così come é espressamente disposto per l'ipotesi in cui sia impugnata, invece, una legge regionale.

2. - La questione di legittimità costituzionale degli articoli 26 e 27 dello Statuto della Regione siciliana, per la parte relativa alla competenza penale dell'Alta Corte, viene prospettata " per contrasto non con una singola norma, bensì con la ratio della Carta costituzionale ", vale a dire con i principi che stanno a fondamento del sistema costituzionale complessivo; ed infatti nel dispositivo la censura é formulata in primo luogo, e con maggiore perspicuità, " in rapporto alla Costituzione della Repubblica ". L'ordinanza avverte espressamente che soltanto per ossequio formale alla lettera dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e ad evitare una pronuncia di inammissibilità della questione per incertezza assoluta sull'oggetto di essa, viene fatto poi specifico riferimento all'art. 102, secondo comma, della Costituzione, richiamato peraltro - così nella motivazione come nel dispositivo dell'ordinanza - in stretto collegamento con la legge costituzionale del 26 febbraio 1948, n. 2, interpretata dal giudice istruttore come avente costituzionalizzato lo Statuto " con le modifiche di quelle parti in cui contrastava con la Costituzione".

In conformità con la propria giurisprudenza (sentenze n. 48, n. 63 e n. 67 del 1961; n. 87 del 1963; n. 44 del 1964; n. 50 del 1967) la Corte ritiene che dall'ordinanza del giudice istruttore di Palermo risulti con sufficiente chiarezza l'oggetto della sollevata questione, essendo d'altronde agevolmente individuabili, attraverso l'esame dei motivi addotti, quali norme costituzionali, oltre quelle espressamente indicate, si assumono violate (artt. 3, 5, 112, 116 e 134 in relazione all'art. 96).

3. - Non può nemmeno dubitarsi della proponibilità della questione sotto il profilo della rilevanza, dal momento che l'ordinanza muove esplicitamente dall'affermazione che le disposizioni dello Statuto regionale che istituiscono la competenza penale dell'Alta Corte sono di immediata applicazione "ed ancora in vigore", pur non essendo state costituzionalizzate con la legge costituzionale del 1948. Ed é giurisprudenza costante di questa Corte che il giudizio di abrogazione é di competenza del giudice del processo principale, di guisa che, ove questi non ritenga che sia intervenuta abrogazione e prospetti l'asserito contrasto di disposizioni anteriori con norme costituzionali in termini di incostituzionalità, spetta alla esclusiva competenza della Corte giudicarne in questi stessi termini. Correttamente, dunque, stante la premessa sulla vigenza delle disposizioni dello Statuto relative alla competenza penale dell'Alta Corte, il giudice istruttore, richiesto dal Procuratore della Repubblica di procedere con il rito formale nei confronti di un ex assessore regionale per fatti commessi durante il periodo in cui era in funzione e con questa connessi, ha sollevato la questione di costituzionalità in oggetto, poiché dalla risoluzione di essa dipende se egli abbia competenza a procedere in materia che, a norma di quelle disposizioni, gli sarebbe invece sottratta.

4. - Nel merito, la questione é fondata. Giova richiamarsi anzitutto alla sentenza n. 38 del 1957, con la quale questa Corte ebbe a ritenere assorbite nella propria competenza a giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi, statali e regionali, nonché sui conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni, le competenze per l'innanzi esercitate sulle medesime materie, relativamente ai rapporti tra lo Stato e la Regione siciliana, dall'Alta Corte. Dato il modo in cui il problema si era posto in quella occasione, e cioè dovendo la Corte costituzionale giudicare incidentalmente sulla propria competenza, che era contestata dalla Regione, in un giudizio di legittimità costituzionale proposto in via di azione contro una legge della Regione siciliana, la sentenza n. 38 lasciò formalmente impregiudicato quanto concerne la competenza penale dell'Alta Corte: competenza che, é il caso di avvertire, non si era mai per il passato concretamente esplicata ed é persino dubbio che avrebbe potuto esplicarsi per la mancanza di qualsiasi norma di procedura, sia in ordine alla fase istruttoria e dell'accusa, sia in ordine alla fase del giudizio dibattimentale.

Ma é significativo che a quella decisione della Corte costituzionale, considerata nei principi che la informano e nelle sue logiche implicazioni, sia stato fatto autorevole riferimento dall'allora Presidente della Repubblica, nella lettera indirizzata il 3 aprile del 1957 al Presidente della Camera quale Presidente del Parlamento in seduta comune, con la quale veniva rappresentata l'opportunità di rinviare l'elezione - indetta per il giorno successivo - di un membro effettivo e di uno supplente dell'Alta Corte. Com'é noto, il suggerimento venne accolto, né mai più in seguito, fino ad oggi, il Parlamento ha proceduto, per quanto di sua competenza, ad integrare la composizione dell'Alta Corte, per rimetterla materialmente in grado di funzionare. Dal canto suo, l'Assemblea regionale siciliana una sola volta ancora dopo la sentenza n. 38, e precisamente il 20 dicembre del 1961, ha provveduto alla nomina di un giudice dell'Alta Corte, poscia deceduto senza che si procedesse alla sua sostituzione.

Senza voler dare alle circostanze testé rammentate un peso eccessivo, sta di fatto, comunque, che il comportamento delle forze politiche interessate rivela come sia stata generalmente avvertita l'impossibilità di considerare tuttora esistente ed operante nell'ordinamento un organo di giustizia costituzionale, qual'era l'Alta Corte, limitatamente ad una sola tra le sue competenze originarie, dopo che, per effetto della sentenza n. 38 del 1957 di questa Corte, tutte le altre erano venute a cessare.

5. - Bisogna insistere sul carattere di provvisorietà, a suo tempo posto in evidenza dalla sentenza n. 38 del 1957, che ebbe a caratterizzare sin dall'inizio l'istituzione dell'Alta Corte: introdotta, per far fronte a situazioni politiche particolari e contingenti, prima ancora che avessero luogo le elezioni dell'Assemblea costituente, e quando perciò tutto si ignorava circa l'assetto che allo Stato italiano avrebbero conferito l'esito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e la successiva opera dell'Assemblea costituente. Una tale provvisorietà risulta, d'altronde, dallo stesso testo del regio decreto legislativo del 15 maggio 1946, prescrivente, nel secondo comma del suo articolo unico, che lo Statuto della Regione siciliana, comprendente tra l'altro le disposizioni sull'Alta Corte, avrebbe dovuto essere presentato all'Assemblea costituente "per essere coordinato con la nuova costituzione dello Stato".

Senonché l'Assemblea si trovò a provvedere in materia soltanto durante il periodo successivo all'entrata in vigore della Costituzione, quando cioé, a norma della XVII disposizione finale e transitoria, le sue attribuzioni "prorogate" erano limitate a quelle così specificate nella stessa disposizione transitoria: deliberare "sulla legge per la elezione del Senato della Repubblica, sugli statuti regionali speciali e sulla legge per la stampa". Risulta dagli atti dell'Assemblea costituente che la "commissione dei diciotto" ebbe chiara consapevolezza del mutamento verificatosi con l'entrata in vigore della nuova Costituzione, essendo ormai l'Assemblea chiamata ad attuare l'art. 116 della Costituzione, cui univocamente si riferisce, per questa parte, la XVII disposizione transitoria, e pertanto a adottare uno statuto speciale per la Regione siciliana come per le altre Regioni indicate nello stesso art. 116, al fine di assicurare ad esse "forme e condizioni particolari di autonomia". Compito, sotto un certo aspetto più circoscritto, e sotto altro aspetto più largo, ma comunque sostanzialmente diverso da quello in un primo tempo prescritto dalla riferita formula dell'articolo unico del decreto legislativo del 1946. Fu soltanto per considerazioni di pratica e politica opportunità, ed anche per la ristrettezza del tempo, se l'Assemblea si orientò nel senso di prendere a base del lavoro cui si accingeva il testo dello Statuto allora in vigore; ed é noto che, essendosi manifestate gravi divergenze e protraendosi la discussione, si finì per approvare all'ultimo momento utile, e cioè il 31 gennaio del 1948, la legge costituzionale n. 2 del febbraio 1948, che, nel suo art. 1, genericamente assume lo statuto della Regione siciliana tra le leggi costituzionali dello Stato, "ai sensi é per gli effetti dell'art. 116 della Costituzione". Fermo restando, dunque, che l'Assemblea costituente nel procedere alla cosiddetta "costituzionalizzazione" dello statuto in regime di prorogatio, non avrebbe potuto oltrepassare i limiti derivanti dal combinato disposto della XVII disposizione transitoria e dell'art. 116 della Costituzione, una corretta interpretazione della legge costituzionale n. 2 del 1948 porta a ritenere, come già ebbe ad affermare questa Corte con la sentenza n. 38 del 1957, che non sono state munite di efficacia formaImente costituzionale le norme dello Statuto che, mentre non rientravano tra quelle dirette a realizzare "forme e condizioni particolari di autonomia", si ponevano in radicale contrasto con la Costituzione della Repubblica. Non é infatti immaginabile che nell'adottare, sia pure con rinvio a quello attualmente esistente, lo statuto speciale della Regione siciliana in ottemperanza all'art. 116 della Costituzione, si fosse invece dato vita ad una revisione tacita comunque vietata dalla XVII disposizione transitoria della Costituzione stessa, entrata in vigore da appena un mese.

6. - Ciò premesso, contrastano con la Costituzione, nel loro insieme, tutte le norme relative all'Alta Corte, perché in uno Stato unitario, anche se articolantesi in un largo pluralismo di autonomie (art. 5 della Costituzione), il principio della unità della giurisdizione costituzionale non può tollerare deroghe di sorta. E, come bene osservato nell'ordinanza di rimessione e come risulterà dalle considerazioni che seguono, la competenza a giudicare dei reati commessi dal presidente e dagli assessori regionali nell'esercizio delle loro funzioni era stata attribuita all'Alta Corte proprio in quanto organo di giurisdizione costituzionale, e non come ad un qualsiasi giudice speciale.

Lo confermano le disposizioni concernenti la messa in stato di accusa, demandata all'Assemblea regionale ed al commissario dello Stato presso la Regione: organo politico-legislativo, la prima, ed organo amministrativo alle dipendenze del Governo nazionale, il secondo. Si contravviene così anche al principio dell'art. 112 della Costituzione, rimettendosi il promuovimento dell'azione penale a deliberazioni di un'assemblea a composizione politica o a valutazioni più o meno discrezionali di un organo, quale il commissario dello Stato, la cui figura non é certo comparabile a quella del Pubblico ministero.

Specialità dell'accusa e specialità del giudice si integrano tra loro indissolubilmente, rispondendo a un disegno unitario, che ha come conseguenza la piena e totale sottrazione al regime processuale penale comune a tutti i cittadini, compresi gli assessori regionali delle altre regioni, di coloro che ricoprano o abbiano ricoperto un determinato ufficio in una singola e determinata regione, con palese violazione, oltre tutto, del principio di eguaglianza. Nelle sue linee generali, il sistema istituito dagli artt. 26 e 27 dello Statuto ricalca da vicino, ed anzi ha anticipato nel tempo, quello che la Costituzione riserva al Presidente della Repubblica nonché al Presidente del Consiglio ed ai ministri per quel che riguarda gli illeciti costituzionali di cui essi possano in ipotesi essere resi responsabili.

Ora, prescindendo da quanto riguarda il Capo dello Stato, in ordine al quale vengono in considerazione principi in parte diversi, un'attenta analisi della ragione che giustifica, nei confronti del Presidente del Consiglio e dei ministri, una così profonda deroga al diritto comune, dimostra come sia impossibile estenderla ai membri del Governo regionale siciliano.

Il Governo della Repubblica é organo costituzionale di indirizzo politico ed amministrativo, posto al vertice dell'intera organizzazione amministrativa dello Stato, legato dal rapporto fiduciario con le Assemblee legislative direttamente rappresentative del popolo, di fronte alle quali può quotidianamente esser chiamato a rispondere. Ed é proprio in ragione delle caratteristiche dei soggetti agenti, titolari di supremi uffici politici dello Stato, oltre che della natura dei reati ministeriali e delle loro possibili conseguenze sul sistema, che si é voluto derogare alle norme comuni, nel duplice intento di assicurare la più ampia tutela dell'ordinamento repubblicano e di garantire al tempo stesso la posizione e l'azione del Governo, oggettivamente considerato, prima ancora che le persone che di volta in volta lo compongono.

Sotto questo profilo, l'istituto risultante dagli artt. 96 e 134 della Costituzione presenta evidenti analogie con quello dell'autorizzazione a procedere nei confronti dei membri delle Camere, previsto dall'art. 68, secondo comma. Ma, come le Assemblee regionali non sono assimilabili puramente e semplicemente alle Assemblee parlamentari, così nemmeno gli organi di governo regionali sono assimilabili al Governo della Repubblica. Con i dovuti adattamenti, valgono, infatti, nei confronti dei membri del Governo regionale siciliano, le stesse argomentazioni con le quali l'Alta Corte per la Regione siciliana ebbe a dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 64 della legge regionale del 20 marzo 1951, n. 29, che estendeva ai deputati dell'Assemblea siciliana le immunità spettanti ai membri del Parlamento, e valgono egualmente le ulteriori considerazioni svolte da questa Corte nelle precedenti decisioni n. 66 del 1964 e n. 143 del 1968 (quest'ultima, in relazione al Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia): nelle quali, pur riconoscendosi che le Regioni sono enti dotati di autonomia politica, nell'ambito della Repubblica "una e indivisibile", si avvertiva peraltro come tale autonomia non sia da confondere con la sovranità, negandosi in conseguenza la piena equiparazione delle assemblee legislative regionali alle assemblee parlamentari.

7. - Né dicasi che la giurisdizione speciale dell'Alta Corte in sede penale, rientrando tra quelle di cui al secondo comma dell'art. 102 della Costituzione, sopravvivrebbe alla entrata in vigore del nuovo ordinamento costituzionale in forza della VI disposizione transitoria della Costituzione, nell'interpretazione costantemente affermatane dalla giurisprudenza della Corte.

É da rilevare, infatti, che la menzionata norma transitoria si limita ad escludere che giudici speciali, anteriormente istituiti, siano - sol perché tali - costituzionalmente illegittimi; ma non esclude che alcuni tra essi possano esserlo, se é quando le norme che li disciplinano contrastino con altre norme della Costituzione. E questa, per l'appunto, é l'ipotesi che si verifica quanto all'Alta Corte, come risulta dalle considerazioni che precedono. Le quali convincono, in primo luogo, che l'Alta Corte sarebbe un giudice doppiamente speciale, in ragione della materia devoluta alla sua competenza e in ragione delle persone, che ad essa sono sottoposte, individuate come sono in relazione ad uffici ricoperti nell'ambito della sola Regione siciliana e perciò limitatamente ad una parte del territorio nazionale. Ma soprattutto mettono in evidenza che l'Alta Corte é stata configurata quale giudice speciale costituzionale, avente carattere essenzialmente politico, come si ricava sia dalla specialità del procedimento per la messa in stato di accusa, sia dagli stessi criteri adottati per la composizione dell'organo, la struttura paritetica del quale non trova riscontro - di regola - neppure nei tribunali costituzionali degli Stati federali.

Né può sottacersi che l'ordinamento non prevede per i componenti dell'Alta Corte quelle garanzie di indipendenza, che, a norma dell'art. 108, ultima parte, della Costituzione, devono essere apprestate dalla legge nei confronti dei giudici delle giurisdizioni speciali: nel che sarebbe da ravvisare un ulteriore motivo di incostituzionalità.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 26 e 27 del decreto legislativo 15 maggio 1946, n 455, che approva lo Statuto della Regione siciliana.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 gennaio 1970.