Sentenza n. 143 del 1968
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SENTENZA N. 143

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, terzo comma, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 5 luglio 1965, n. 9, che approva il bilancio di previsione della Regione per l'esercizio finanziario 1965, promosso con ordinanza emessa il 15 luglio 1967 dalla Corte dei conti a sezioni riunite nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Friuli-Venezia Giulia, iscritta al n. 202 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell'11 novembre 1967 e nel Bollettino Ufficiale regionale n. 34 del 14 novembre 1967.

Visto l'atto d'intervento del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia;

udita nell'udienza pubblica del 4 dicembre 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

udito l'avv. Arturo Carlo Jemolo, per il Presidente della Regione.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del giudizio di parificazione del rendi-conto generale della Regione Friuli-Venezia Giulia per l'anno 1966, la Corte dei conti a sezioni riunite sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma terzo, della legge regionale n. 9 del 5 luglio 1965 sospendendo il "giudizio in corso" sui capitoli 1-6 tit. 1 del bilancio regionale.

Per l'art. 58 dello Statuto speciale Friuli-Venezia Giulia gli atti amministrativi della Regione sono sottoposti a un controllo di legittimità che deve essere svolto dalla Corte dei conti in conformità alle leggi dello Stato. Secondo l'ordinanza di rinvio, da queste leggi, e in particolare dall'art. 19 del T.U. 12 luglio 1934, n. 1214, sulla Corte dei conti, si ricava che al controllo é sottoposto l'atto terminale d'attuazione delle previsioni del bilancio, cioè quello con cui il pubblico danaro passa alla disponibilità di altri soggetti. Nel Friuli-Venezia Giulia i fondi per le spese del Consiglio al proprio Presidente. Su questo trasferimento interno la Corte dei conti esercita il suo controllo; ma i successivi singoli pagamenti (atti terminali) vengono fatti da quel Presidente, che ne porta il rendiconto solo al Consiglio regionale: così stabilisce l'art. 18, terzo comma, della citata legge regionale 1965 n. 9, che perciò, sottraendoli al controllo della Corte dei conti, contrasterebbe con l'art. 58 dello Statuto regionale; contrasto che, secondo l'ordinanza di rinvio, non si giustifica col richiamo alle leggi vigenti per il Parlamento nazionale, alla cui posizione d'autonomia non può avvicinarsi quella dei Consigli regionali (sentenza 1964 n. 66 della Corte costituzionale), tanto più che proprio questa Corte ha stabilito il principio inderogabile dell'assoggettamento delle regioni al controllo statale (sentenza 1966, n. 121).

Infine l'ordinanza osserva che la questione é rilevante poiché per effetto della norma denunciata mancano quegli elementi, sulle "spese ordinate e pagate", che costituiscono l'essenza del raffronto con le leggi del bilancio.

2. - Nell'atto e nella memoria depositati il 1 dicembre 1967 e il 5 ottobre 1968 la difesa regionale eccepisce la inammissibilità della questione, innanzi tutto perché il giudizio di parificazione svolto dalla Corte dei conti non avrebbe natura giurisdizionale. Benché questa Corte abbia deciso diversamente in due precedenti sentenze, la Regione sostiene che in quel giudizio non esistono né liti né decisioni a favore d'una parte; e neanche vi é luogo a cosa giudicata poiché si tratta d'una fase dell'iter attraverso cui si giunge all'approvazione del Parlamento che, essa sì, rende intangibile il rendiconto: e se l'art. 40 del R.D. 1934 n. 1214 esige "le formalità della giurisdizione contenziosa" é per dare solennità al procedimento, che, senza questa norma, si sarebbe svolto in forma diversa. In verità, secondo la difesa regionale, soltanto nelle materie ricordate nell'art. 103 della Costituzione, e non quando esercita il controllo successivo del bilancio riferendo direttamente alle Camere (art. 100), la Corte dei conti sarebbe organo giurisdizionale.

Inoltre - prosegue la difesa regionale - la questione di costituzionalità non poteva esser sollevata dalle sezioni riunite della Corte dei conti poiché proprio l'art. 58 dello Statuto prevede soltanto il "controllo", che é esercitato dalla delegazione avente sede a Venezia: perciò anche la parificazione (ammissibile nel Friuli-Venezia Giulia solo se rientra nel concetto di "controllo") dovrebbe essere svolta dallo stesso organo, secondo un principio di decentramento che si ricaverebbe dall'art. 125 della Costituzione (per le regioni a statuto normale) e dal D. L. 1948, n. 655, per la Sicilia (unica eccezione il Trentino-Alto Adige ma per effetto di norma espressa): é questo un problema di competenza del giudice a quo che la Corte costituzionale dovrebbe affrontare poiché si tratta della interpretazione, non di leggi ordinarie, ma di norma costituzionale.

Inoltre la difesa regionale osserva che il giudizio di parificazione, entro il quale si é sollevato l'incidente di costituzionalità, é ormai concluso e il rendiconto é stato già approvato, legittimamente, dal Consiglio: non si può più tornare al preteso giudice di rinvio (alla Corte dei conti) e perciò la questione sarebbe manifestamente e del tutto irrilevante. La rilevanza, se mai, sussisterebbe rispetto a un futuro rapporto amministrativo-contabile fra delegazione di Venezia e ufficio di presidenza del consiglio regionale, rapporto estraneo al procedimento di parificazione.

Quanto al merito, la questione si riduce a stabilire se occorra giustificare, mediante "pezze contabili" (ricevute), le spese relative al funzionamento del Consiglio regionale, cioè all'attività politico-legislativa del Consiglio (indennità del Presidente, dei Consiglieri, ecc.). Ne deriva che esse, rientrando nello svolgimento di questa attività, ne restano assorbite, come avviene, a parte la diversa posizione costituzionale dell'organo, per le spese inerenti alle funzioni delle Camere: cosicché non si tratterebbe di atti amministrativi, gli unici che l'art. 58 dello Statuto sottopone al controllo della Corte dei conti, e perciò la questione non sarebbe fondata. Tanto più che la norma denunciata non urta contro un principio di carattere assoluto, dato che la legge consente all'organo di controllo di limitare il riscontro a taluni rendiconti (art. 60 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440).

3. - Nella discussione orale la difesa della Regione ha insistito soprattutto sull'inapplicabilità della "parificazione" al Friuli-Venezia Giulia così come, in mancanza d'una legge che lo preveda, é inapplicabile alla Val d'Aosta e alle regioni a statuto ordinario: nato come atto preparatorio rispetto alla legge del bilancio statale, l'istituto si ricollega a tutto un sistema che é connesso soltanto alla funzione politica del Parlamento nazionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte dei conti a sezioni riunite, lungo il giudizio di parificazione del rendiconto della Regione Friuli- Venezia Giulia per il 1966 e in particolare dei capitoli 1- 6 (tit. I), ha denunciato l'art. 18, terzo comma, della legge regionale 5 luglio 1965, n. 9: la norma, sottraendo al controllo di legittimità della Corte dei conti gli atti di spesa del Presidente del Consiglio regionale relativi al funzionamento di quest'ultimo, violerebbe l'art. 58 dello Statuto, che invece sottopone a quel controllo tutti gli "atti amministrativi" della Regione.

La difesa regionale ha avanzato preliminarmente due eccezioni di inammissibilità (carattere non giurisdizionale, incompetenza delle sezioni riunite) che però devono essere respinte: infatti questa Corte ha già deciso che nel corso del procedimento di parificazione si possono proporre questioni di costituzionalità e non ha motivo di cambiare indirizzo (sent. n. 165 del 1963, n. 121 del 1966 e n. 142 del 1968); né può fermarsi ad esaminare, in un giudizio di legittimità costituzionale, se l'organo, che ha emesso l'ordinanza di rinvio, fosse competente a decidere sul merito (da ultimo sent. n. 111 del 1963 e n. 58 del 1964), cioè nella specie, sul rendiconto generale della Regione Friuli-Venezia Giulia.

Quanto poi alla rilevanza, posta in dubbio dalla difesa regionale, essa é invece sufficientemente motivata dalla Corte di rinvio; se ne desume che il procedimento di parificazione sui capitoli 1-6 del bilancio non si é concluso proprio perché non si erano potuti controllare, precedentemente e di volta in volta, gli atti di spesa del Presidente del Consiglio regionale e che, dopo un'eventuale pronuncia di incostituzionalità, il giudizio potrà essere riassunto e deciso, per l'appunto, previo esame di tali atti: situazione ben diversa da quella in cui il controllo preventivo degli atti in relazione alle leggi di spesa si era già esplicato pienamente ed esaurito allorché la questione di costituzionalità di tali leggi venne proposta, durante la parificazione del rendiconto generale (cit. sent. n. 142 del 1968).

2. - Nel merito la questione é infondata.

Il controllo della Corte dei conti, com'é noto, si esercita, allo scopo di assicurare il rispetto delle leggi, sull'azione del Governo e dei rami della pubblica amministrazione che dipendono da esso (art. 100 della Costituzione e T.U. 12 luglio 1934, n. 1214). Ne é esente l'attività di quegli organi, come il Capo dello Stato, il Parlamento e questa Corte, la cui posizione, ai vertici dell'ordinamento costituzionale, é di assoluta indipendenza: anche in materia di spese, poiché esse sono necessarie al funzionamento dell'organo, un riscontro esterno comprometterebbe il libero esercizio delle funzioni politico-legislative o di garanzia costituzionale che gli sono attribuite.

Perciò nell'art. 100 della Costituzione e nel T.U. delle leggi sulla Corte dei conti é chiaro che il controllo investe gli atti non in quanto siano amministrativi in senso sostanziale, ma per la loro provenienza dal Governo o da altri organi della pubblica amministrazione; tanto é vero che proprio per questa provenienza vi sono soggetti anche i decreti-legge e le leggi delegate e che gli altri decreti presidenziali vi sono sottoposti poiché "emanano" dai "Ministeri" (art. 17 T.U.), cioè dal Governo: insomma é la natura dell'organo, e non la natura dell'atto indipendentemente da quella, a legittimare il c.d. riscontro. Cosicché, se é discutibile la configurazione della Corte dei conti quale organo ausiliario "del Governo", non sembra dubbio che il suo controllo investa solo l'azione dell'esecutivo, della quale appunto é diretto a garantire la legalità: difatti l'art. 100 della Costituzione é posto entro il titolo III, dedicato al Governo, e il T.U. non conosce che i Ministri e le amministrazioni dipendenti (artt. 15, 16, 17, 21 e art. 1 legge 21 marzo 1953, n. 161). In particolare l'impiego di somme destinate ad uno dei tre organi costituzionali é soggetto a sindacato fino a quando sia atto del Governo; ma, appena esse siano giunte a disposizione dell'organo, gli ulteriori atti di spesa, comunque si concretino, sono atti interni di quest'ultimo e perciò sottratti al riscontro.

3. - Un'analoga situazione si produce, su un piano diverso ma sempre a livello costituzionale, nell'ambito delle Regioni a statuto speciale: ciascuna di esse ha organi di governo e, ben distinta, un'assemblea politico- legislativa. Nel contesto del nostro ordinamento, caratterizzato dalla pluralità dei poteri, la Regione si colloca come ente dotato di autonomia politica pur nell'unità dello Stato; autonomia che gli statuti in generale riconoscono ad essa quale entità diversa da questo, ma che si é tradotta in precise potestà attribuite alle assemblee legislative regionali da norme statutarie. Quanto poi, in particolare, al Consiglio del Friuli- Venezia Giulia, esso non solo é organo politico- legislativo ma, al pari di altre assemblee regionali (sent. n. 66 del 1964), non ha funzioni esecutive neanche di natura regolamentare (artt. 42 e 46 dello Statuto). Ne discende che, corpo indipendente e situato fuori dell'ordine amministrativo (v. anche art. 289, n. 2, del Codice di procedura penale modificato da legge 30 luglio 1957, n. 655), i suoi atti non sono sottoposti a riscontro esterno.

Non vi contraddice una precedente sentenza con cui questa Corte ha negato l'assimilazione delle assemblee legislative regionali al Parlamento nazionale e riconosciuto, tra l'altro, che le controversie relative ai loro dipendenti sono sottoposte alla giurisdizione statale (sent. n. 66 del 1964): infatti, con ciò si é inteso soprattutto rilevare come l'azione di queste assemblee, prive del potere di esprimere un indirizzo politico generale, soggiaccia al controllo di merito del Parlamento nazionale (rispetto al quale pertanto si pongono in una tale posizione che non consente l'estensione analogica di sue prerogative) e sia sottoposta a quel controllo giurisdizionale che, uniforme in tutto il territorio dello Stato, é garantito, nell'interesse dei singoli, dall'art. 24 della Costituzione. Con il che non si é fatta derivare la competenza del giudice esclusivamente dalla natura amministrativa degli atti, ma si é voluta soltanto riaffermare la validità del precetto costituzionale, per cui "tutti possono agire in giudizio", in un campo nel quale mancano norme e principi che, come sembrerebbe per il Parlamento, prevedano un diverso sistema di tutela; né si é esclusa, anzi si é riconosciuta l'indipendenza dell'assemblea regionale, posizione connaturata a precise attribuzioni politiche e legislative, sia pure circoscritte nell'ambito del territorio regionale, e perciò incompatibile col riscontro a cui é sottoposta, indipendentemente dalla difesa di diritti soggettivi o di interessi legittimi, la pubblica amministrazione.

Questo é il motivo per cui, secondo il D.L. 6 maggio 1948, n. 655 (art. 2 n. 1), il controllo della Corte dei conti si esercita in Sicilia solo sugli "atti del governo e dell'amministrazione regionale" e in Sardegna, come prescrive il D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (art. 23), sugli "atti della giunta e della amministrazione regionale"; dove ad "amministrazione regionale", data la posizione della frase nel contesto e i rilievi esposti sopra, non può darsi altro significato che quello, soggettivo, di organi od uffici dipendenti dal Governo della Regione: tanto é vero che il rifiuto di registrazione dà luogo eventualmente a ricorso, in virtù di quelle leggi, soltanto della Giunta. Cosicché lo stesso art. 58 dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia, invocato dall'ordinanza di rinvio, sottoponendo gli "atti amministrativi della regione" al sindacato di legittimità della Corte dei conti, non può che riferirsi agli atti del governo regionale: infatti, come vi si aggiunge, il controllo deve esercitarsi "in conformità delle leggi dello Stato che disciplinano le attribuzioni della Corte dei conti", vale a dire di quelle leggi (art. 100 della Costituzione e T.U.) che, a quanto si é premesso, non conoscono se non il riscontro degli atti del Governo.

Se ne deve concludere che le somme impegnate in bilancio per le spese di funzionamento del Consiglio regionale, appena pervenutegli, possono essere spese dal suo Presidente senza altro controllo che quello, successivo, del medesimo Consiglio.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione proposta, con ordinanza 14 luglio 1967 della Corte dei conti a sezioni riunite e in riferimento all'art. 58 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, sulla legittimità costituzionale dell'art. 18, terzo comma, della legge regionale 5 luglio 1965, n. 9, recante "Stato di previsione dell'entrata e della spesa della Regione Friuli- Venezia Giulia per l'esercizio finanziario 1965".

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE 

 

 

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1968.