Sentenza n. 78 del 1963

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 78

 

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

 

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

 

Prof. Antonino PAPALDO

 

Prof. Nicola JAEGER

 

Prof. Giovanni CASSANDRO

 

Prof. Biagio PETROCELLI

 

Dott. Antonio MANCA

 

Prof. Aldo SANDULLI

 

Prof. Giuseppe BRANCA

 

Prof. Michele FRAGALI

 

Prof. Costantino MORTATI

 

Prof. Giuseppe CHIARELLI

 

Dott. Giuseppe VERZÌ

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, primo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 21 febbraio 1962 dal Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra Tedeschi Gherardo e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 134 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 215 del 25 agosto 1962.

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Tedeschi Gherardo e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;

 

udita nell'udienza pubblica del 3 aprile 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

 

uditi l'avv. Franco Agostini, per Tedeschi Gherardo, e l'avv. Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale.

 


Ritenuto in fatto:

 

 

1. - Con atto di citazione del 24 maggio 1961 Tedeschi Gherardo convenne l'Istituto nazionale della previdenza sociale avanti al Tribunale di Reggio Emilia chiedendo, fra l'altro, il riconoscimento, ai fini del conseguimento della pensione per invalidità, del proprio diritto a godere della contribuzione figurativa di cui agli artt. 56, primo comma, lett. a, n. 2, del R.D. 4 ottobre 1935, n. 1827, e 4, quarto comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218, essendo egli stato assistito, per periodi diversi successivi al 1955, dall'I. N. A. I. L., per malattia, e dall'I. N. P. S. stesso, per tubercolosi, con degenza sanatoriale e post-sanatoriale.

 

Tanto il Tedeschi chiedeva, previa sospensione del giudizio e rimessione degli atti alla Corte costituzionale, per la risoluzione della questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dell'art. 10, primo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, secondo cui è escluso il godimento della contribuzione figurativa per i periodi di cui all'art. 56, lett. a, nn. 1 e 2, del citato R.D. n. 1827 del 1935, ed all'art. 4, commi primo e quarto, della citata legge n. 218 del 1952, nel caso in cui, durante i periodi stessi, continui a sussistere l'obbligo dell'assicurazione per l'invalidità e vecchiaia o dell'iscrizione nelle forme di previdenza sostitutiva o ad altro trattamento di previdenza che comporti l'esclusione dalla assicurazione obbligatoria suddetta. l'I.N.P.S., infatti, aveva invocato tali restrizioni nel respingere, in sede amministrativa, la domanda di concessione della pensione a suo tempo avanzata da esso Tedeschi, iscritto dal 1 giugno 1951 alla Cassa pensioni dipendenti enti locali, quale dipendente del Comune di Reggio Emilia.

 

Con ordinanza del 21 febbraio 1962 il Tribunale, in accoglimento della richiesta del Tedeschi, sospendeva il giudizio e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di legittimità come sopra sollevata, ritenendola non manifestamente infondata.

 

2. - Nell'ordinanza il Tribunale afferma che, ai sensi dell'art. 37 della legge di delegazione 4 aprile 1952, n. 218, in forza della quale venne emanato il decreto presidenziale 26 aprile 1957, n. 818, concernente norme di attuazione e di coordinamento della detta legge, fu attribuito al Governo il potere di emanare, "in conformità dei principi e criteri direttivi" cui si informava la legge delega stessa, le relative norme transitorie, di attuazione e di coordinamento, nonché la facoltà di raccogliere in testo unico le disposizioni regolanti la materia. Ciò premesso - prosegue l'ordinanza - la limitazione contenuta nell'art. 10, primo comma, del D.P.R. n. 818 del 1957, oltre a non potersi considerare dettata in via transitoria o di attuazione della legge delega, non potrebbe neppure ritenersi norma di coordinamento nel senso ivi previsto.

 

Infatti la legge n. 218 del 1952, regolando con l'art. 4 per la prima volta l'accreditamento dei contributi figurativi per i periodi di degenza in regime sanatoriale e post-sanatoriale, si sarebbe limitata ad aggiungere i periodi stessi a quelli che già potevano dar luogo a contribuzione figurativa a norma dell'art. 56, nn. 1 e 2, del R.D. n. 1827 del 1935, senza subordinare il godimento di quel diritto alla condizione limitativa introdotta invece dalla norma impugnata, e senza comunque enunciare criteri o principi restrittivi al riguardo, del resto estranei anche alla precedente regolamentazione della materia dei contributi figurativi.

 

Onde - conclude l'ordinanza - il legislatore delegato, nel porre la restrizione suddetta, avrebbe violato i limiti del potere concesso gli con la norma di delegazione, e pertanto la disposizione impugnata sarebbe illegittima per contrasto con l'art. 76 della Costituzione.

 

L'ordinanza, notificata il 23 maggio 1962 e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 215 del 25 agosto 1962.

 

3. - Avanti alla Corte costituzionale si è costituito il Tedeschi, rappresentato e difeso dagli avvocati Vezio Crisafulli e Franco Agostini, i quali hanno depositato le proprie deduzioni nella cancelleria della Corte il 13 settembre 1962.

 

La difesa del Tedeschi, nel condividere i rilievi contenuti nell'ordinanza di rinvio, insiste sulla novità della condizione limitativa introdotta dall'art. 10, primo comma, del D.P.R. n. 818 del 1957, e sul contrasto che ne deriverebbe con la legge di delega e con la precedente disciplina della materia, e conclude chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata.

 

4. - Si è altresì costituito 1' I.N.P.S., rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Aureli, Mario Pizzicannella, Guido Nardone e Pierino Pierini, i quali hanno depositato le deduzioni nella cancelleria della Corte il 21 luglio 1962.

 

La difesa dell'Istituto osserva che, contrariamente a quanto ex adverso si assume, dal testo stesso dell'ultimo comma dell'articolo 56 del ripetuto R.D. n. 1827 del 1935 sarebbe dato desumere la conferma della esistenza del principio generale secondo cui, essendo i contributi figurativi intesi allo scopo di impedire che taluni eventi - malattie, servizio militare, puerperio, infortuni sul lavoro, disoccupazione - possano ripercuotersi dannosamente sulla continuità del rapporto previdenziale, il diritto di goderne andrebbe appunto subordinato alla mancanza di effettiva copertura contributiva dei periodi corrispondenti. Infatti la citata norma, disponendo testualmente che "per detti periodi scoperti di assicurazione l'Istituto computerà come versato a favore degli assicurati il contributo settimanale calcolato sulla media dei contributi effettivamente versati", chiarirebbe la ratio legis, informata al criterio restrittivo di utilizzazione dei contributi figurativi sopra enunciato, e confermerebbe, con il riferimento alla misura media dei contributi versati, che quei determinati eventi sono presi in considerazione non come pure e semplici condizioni per l'acquisto del diritto alla contribuzione figurativa, ma perché hanno prodotto un' interruzione dell'obbligo di contribuire, in relazione alla quale il legislatore intese garantire al lavoratore la posizione assicurativa in corso, ponendo a carico dell'Istituto la corrispondente contribuzione.

 

La norma impugnata, pertanto, tenderebbe unicamente a rendere conforme alla ratio dell'istituzione l'acquisizione del beneficio della contribuzione figurativa che, per gli scopi cui è destinata, non avrebbe ragione di venire aggiunta alla tutela effettiva cui il lavoratore abbia, per altro verso, diritto. Di conseguenza, ben potrebbe considerarsi come norma di coordinamento, rientrante nella previsione dell'art. 37 della legge delega n. 218 del 1952.

 

La difesa dell'Istituto conclude, quindi, chiedendo che si dichiari infondata la sollevata questione.

 

5. - La difesa del Tedeschi ha depositato nei termini una memoria illustrativa, con cui ribadisce le argomentazioni già esposte, e afferma, in sostanza, che la legge delega n. 218 del 1952 regola compiutamente il diritto alla pensione per invalidità e vecchiaia, e che, in particolare, i criteri per l'utilizzazione dei periodi di contribuzione figurativa sono posti chiaramente ed armonicamente dalla stessa legge delega (art. 4) e dal R.D. 4 ottobre 1935, n. 1827 (art. 56), il che sarebbe anche dato desumere dalle sentenze della Corte costituzionale n. 2 del 1961 e n. 4 del 1963, con le quali sono stati rispettivamente dichiarati incostituzionali il secondo comma dell'art. 10 del D.P.R. n. 818 del 1957, secondo cui il riconoscimento dei contributi figurativi era condizionato ad un minimo contributivo, ed il secondo comma dell'art. 12 dello stesso decreto, che pure subordinava allo stesso requisito i contributi figurativi per i periodi di gravidanza e puerperio, ai fini dell'indennità di disoccupazione.

 

Passando poi a confutare le argomentazioni avversarie, la difesa del Tedeschi afferma che la espressione dell'art. 56 del R.D. n. 1827 del 1935, secondo cui il computo dei contributi figurativi riflette "periodi scoperti di assicurazione", non solo non gioverebbe alla tesi sostenuta dalla difesa dell'I.N.P.S., ma offrirebbe argomenti in senso contrario. Infatti - si afferma nella memoria - la citata espressione è riferita unicamente all'assicurazione invalidità e vecchiaia, che è appunto l'oggetto esclusivo della disciplina di quelle norme, ed alla quale indubbiamente si riferisce anche la espressione iniziale del citato art. 56, che pone la condizione generale dell'avvenuto "inizio dell'assicurazione" per il computo dei contributi figurativi. Ciò posto se ne dovrebbe dedurre l'esistenza di una completa disciplina della contribuzione figurativa in materia di assicurazione per l'invalidità e vecchiaia, ispirata al principio secondo cui i contributi figurativi sono destinati a coprire i "periodi scoperti" dell'assicurazione stessa, mentre il legislatore non avrebbe in alcun modo considerato le altre forme di previdenza sostitutive o esclusive di quella.

 

Ed essendo d'altra parte pacifica l'autonomia delle varie forme di assicurazioni sociali, ognuna disciplinata nel proprio ambito da particolari disposizioni di legge non estensibili da un' assicurazione all'altra, come avrebbero posto in evidenza le sentenze n. 35 del 1960 e n. 28 del 1961 della Corte costituzionale, e come sarebbe anche confermato da alcuni esempi di espressa disciplina dei diritti spettanti allo stesso lavoratore per diverse forme previdenziali (art. 2, secondo comma, legge 12 agosto 1962, n. 1338; art. 72 del R.D. n. 1827 del 1935), dovrebbe concludersi che la norma impugnata avrebbe ecceduto i limiti della delega di cui all'art. 37 della legge n. 218 del 1952, nel punto in cui esclude l'accredito dei contributi figurativi per il caso di iscrizione dell'interessato "alle forme di previdenza sostitutive o ad altro trattamento di previdenza che comporti la esclusione dell'assicurazione obbligatoria".

 

Date le sopra esposte premesse, concernenti la esistenza di una completa regolamentazione della materia ed i criteri cui è ispirata, non si potrebbe ravvisare nella specie - così conclude la difesa del Tedeschi - quella necessità di eliminare disarmonie o colmare lacune cui era subordinata la facoltà, concessa al legislatore delegato dall'art. 37 della legge n. 218 del 1952, di emanare norme di coordinamento della vigente legislazione in materia di assicurazioni sociali con la legge delega stessa.

 


Considerato in diritto:

 

 

1. - Ritiene la Corte che la proposta questione di legittimità costituzionale non sia fondata.

 

La disposizione impugnata (primo comma dell'art. 10 del decreto legislativo delegato 26 aprile 1957, n. 818) stabilisce che i periodi di tempo che possono dar luogo ai cosiddetti contributi figurativi, di cui all'art. 56 del decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, e all'art. 4 della legge 4 aprile 1952, n. 218, "sono riconosciuti come periodi di contribuzione ai fini del diritto alla pensione e della misura di essa, sempreché per detti periodi non continui a sussistere in favore dell'assicurato l'obbligo dell'assicurazione per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti, ovvero dell'iscrizione alle forme di previdenza sostitutive o ad altro trattamento di previdenza che comporti l'esclusione dalla assicurazione obbligatoria predetta".

 

Escluso che questa disposizione possa ritenersi norma di attuazione della legge delega 4 aprile 1952, n. 218, per la mancanza in quest' ultima di disposizioni cui, in tal senso, sia riferibile, ed escluso, come è evidente, che si tratti di una norma transitoria, sembra che ben possa parlarsi di norma di coordinamento, non eccedente i limiti tracciati all'attività legislativa delegata al Governo con l'art. 37 della citata legge n. 218 del 1952.

 

2. - Per suffragare quest' assunto giova richiamarsi al concetto fondamentale, che ispira la legislazione previdenziale in materia di assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia, secondo cui la pensione è destinata a garantire al lavoratore il soddisfacimento dei bisogni vitali al verificarsi di quegli eventi che ne riducano o ne annullino la capacità di guadagno. Questa Corte, con la sentenza n. 34 del 24 maggio 1960, ha esplicitamente riconosciuto che la pensione di invalidità e vecchiaia è legata allo stato di bisogno del lavoratore, tanto che la misura della corresponsione, in vari casi, è suscettibile di mutamento proprio in funzione dello stato di bisogno (caratteristico, ad esempio, il caso inverso, di riduzione cioè della pensione, sancito dall'art. 12 della legge delega, di cui si discute, 4 aprile 1952, n. 218, per i titolari di pensione che prestino la loro opera alle dipendenze di altri).

 

In questo concetto che, come in seguito si vedrà, domina tutta la legislazione in materia di previdenza sociale, anteriore e successiva alla richiamata legge delega n. 218 del 1952 e al decreto legislativo delegato n. 818 del 1957, deve inserirsi il beneficio dei contributi figurativi. Questi operano una vera e propria fictio iuris: vengono, cioè, computati, ai fini assicurativi, determinati periodi durante i quali, a causa di eventi meritevoli di speciale considerazione, e comunque non imputabili al lavoratore o al datore di lavoro, sia venuta meno la possibilità di versare i contributi. La ratio della provvidenza sta nell'intento di impedire che, a causa della sospensione nella corresponsione effettiva delle prestazioni assicurative, derivino conseguenze negative in relazione alla maturazione del diritto alla pensione e alla misura di essa, e che, conseguentemente, restino frustrati gli obbiettivi economico-sociali ai quali tende tutto il sistema delle assicurazioni obbligatorie contro la invalidità e la vecchiaia. A conferma di ciò sta la considerazione che gli eventi assunti a base del diritto alla contribuzione figurativa attengono tutti a situazioni straordinarie o patologiche della vita del lavoratore, quali il servizio militare, le malattie di una certa durata, la gravidanza e il puerperio, la disoccupazione, il cui particolare rilievo le rende degne di speciale tutela.

 

Deriva logicamente, e ciò non può non aver rilevanza sul terreno giuridico, che la concessione dei contributi figurativi, intesa, come si è detto, ad eliminare le conseguenze dannose dei fatti accennati riguardo alla realizzazione della più completa difesa sociale contro l'invalidità e la vecchiaia, non ha ragione di permanere qualora i soggetti che ne dovrebbero beneficiare si trovino ad avere già assicurato un trattamento previdenziale, uguale a quello dell'assicurazione obbligatoria in questione, che li pone al coperto dalle conseguenze della diminuita o cessata capacità di guadagno, garantendo un minimo vitale.

 

3. - Questo sistema è confermato, come innanzi si accennava, da tutta la legislazione in materia, precedente e successiva alle citate leggi, di delegazione e delegata. Basta ricordare le principali disposizioni.

 

L'art. 38 del regolamento 28 agosto 1924, n. 1422, emanato per l'esecuzione del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3184, stabiliva che non erano computati utili per la pensione i periodi di malattia in cui l'assicurato continuava a ricevere lo stipendio e durante i quali perciò, a norma dell'art. 24 dello stesso decreto, permaneva l'obbligo del versamento dei contributi. Questa disposizione è chiaramente ispirata al concetto che, una volta assicurato il trattamento previdenziale in forza del permanere dell'obbligo del versamento, veniva meno l'esigenza di computare il periodo di malattia ai fini previdenziali sancita dall'art. 6 del citato R.D. 30 dicembre 1923, che appunto stabiliva che i periodi di malattia non eccedenti i dodici mesi dovevano computarsi "utili agli effetti del diritto alla pensione e della determinazione della misura di questa, ancorché non sia versato alcun contributo".

 

L'art. 56, ultimo comma, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, lascia poi agevolmente desumere, dalla sua dizione, che fu mantenuta anche allora la medesima concezione della natura e degli scopi dei contributi figurativi. Dopo l'elencazione dei periodi in relazione ai quali è prevista la contribuzione figurativa, vi si legge infatti: "per detti periodi scoperti di assicurazione l'Istituto computerà come versato a favore degli assicurati il contributo settimanale calcolato sulla media dei contributi effettivamente versati". La lettera della legge denunzia qui, chiaramente, la sua ratio, che è appunto quella di apprestare un rimedio a favore dei lavoratori contro i danni che potrebbero loro derivare dall'essere determinati periodi della loro vita lavorativa "scoperti" dalle relative forme di assicurazione previste dalle norme in vigore.

 

Una chiara riaffermazione del detto criterio si rinviene altresì nel disposto dell'art. 136 dello stesso R.D.L. n. 1827 del 1935, che prevede espressamente l'esclusione del godimento dei contributi figurativi in relazione a quei periodi durante i quali gli assicurati in servizio militare "siano stati comandati o messi a disposizione presso stabilimenti ausiliari". Infatti, secondo il D.L.Luog. 29 aprile 1917, n. 670, agli operai addetti a tali stabilimenti era estesa, obbligatoriamente, l'iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e vecchiaia degli operai, onde appare evidente il motivo dell'esclusione dal beneficio, da ricercarsi appunto nel possesso di una posizione assicurativa da parte dei militari addetti agli stabilimenti, che garantiva loro il minimo vitale, e rendeva quindi superfluo il funzionamento a loro favore del meccanismo dei contributi figurativi.

 

D'altra parte la stessa legge delega di cui si discute, 4 aprile 1952, n. 218, dettò, con l'art. 4, norme concernenti la contribuzione figurativa che rendevano opportuna la codificazione dei principi generali in materia, e con l'art. 10, disponendo l'unificazione nella pensione degli assegni ed indennità speciali disposti nel corso degli anni a favore dei pensionati, e l'esclusione della garanzia del minimo della pensione per coloro che comunque percepiscono più pensioni a carico dell'assicurazione obbligatoria invalidità e vecchiaia o delle forme sostitutive della stessa qualora per effetto del cumulo venissero a conseguire un beneficio mensile superiore al minimo garantito, rivela come anche il legislatore del 1952 abbia considerato finalità precipua dell'assicurazione per l'invalidità e vecchiaia l'apprestamento di un minimo vitale a favore del lavoratore di ridotta o cessata capacità di guadagno.

 

L'esaminata natura sussidiaria dei contributi figurativi per l'assicurazione contro l'invalidità e vecchiaia riemerge infine, inequivocabilmente, nella disposizione contenuta nell'art. 10 della legge 20 febbraio 1958, n. 55 - successiva, quindi, alla legge delega e a quella delegata - secondo cui il godimento del beneficio della contribuzione stessa, esteso dalla legge anche ai periodi di servizio militare prestato nella seconda guerra mondiale, è escluso per coloro che, in relazione al periodo considerato, risultano comunque assicurati per l'invalidità e la vecchiaia o possono in altro modo godere di un trattamento di quiescenza a carico dello Stato o di altri enti pubblici.

 

4. - Ulteriore conferma della esattezza del concetto fondamentale ispiratore della legislazione previdenziale in materia di invalidità e vecchiaia, secondo cui la relativa pensione è destinata a garantire al lavoratore il soddisfacimento di un minimo di bisogni vitali al verificarsi di determinati eventi che ne annullano o ne riducono la capacità di guadagno, è dato trarre dalla recente legge 12 agosto 1962, n. 1338, concernente miglioramenti dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

 

Questa legge, infatti, apporta (artt. 2 e 8) una modificazione al quinto comma dell'art. 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218, nel senso che esclude dalla garanzia del minimo di pensione (rivalutato con l'art. 1 in base al coefficiente 72), qualora ricorra il caso del cumulo delle pensioni e ne risulti al pensionato un beneficio mensile superiore al minimo stabilito, oltre alle categorie di pensionati già elencate ("coloro che comunque percepiscano più pensioni a carico dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, o di altre forme sostitutive di detta assicurazione"), anche i titolari di pensioni a carico di forme previdenziali "che hanno dato titolo a esclusione o esonero dell'assicurazione stessa".

 

Con ciò, infatti, si ribadisce il suddetto principio della legislazione previdenziale, consentendo che le prestazioni pensionistiche siano inferiori al minimo anche in casi che non erano espressamente previsti nella legislazione precedente come ostativi al godimento della garanzia dei minimi di pensione.

 

5. - Se quello che si è ricordato è lo stato della legislazione sul punto in controversia, occorre ulteriormente vedere se la norma impugnata, poteva o meno essere inserita fra le disposizioni del decreto delegato n. 818 del 1957, quale norma generale regolatrice della materia dei contributi figurativi, in base alla delega di cui all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218. Il che appunto è quanto nega la difesa del Tedeschi, la quale sostiene che non è possibile rinvenire nella legge delega disposizioni che escludano il computo dei contributi figurativi nel caso di iscrizione dell'interessato a forme previdenziali sostitutive od esclusive dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia, mentre esisterebbe una completa regolamentazione della materia negli artt. 56 del R.D. n. 1827 del 1935 e 4 della legge n. 218 del 1952. Si rifà poi ad alcune sentenze di questa Corte le quali avrebbero riconosciuto autonomia alle varie forme di assicurazioni sociali.

 

Quest' ultimo richiamo - della cui esattezza è peraltro lecito dubitare - nulla comprova ai fini della questione in controversia. In quelle sentenze la Corte si pronunciò in occasione di rapporti inerenti all'ambito di singole forme di assicurazioni sociali: nel caso in esame si tratta, invece, di una norma che ben potrebbe dirsi di collegamento, fra forme di assicurazioni similari, e bisogna giudicare su di un punto che riguarda rapporti reciproci di queste forme assicurative. Rispetto al qual punto è da notare peraltro che, se la stessa difesa del Tedeschi ammette l'esclusione della contribuzione figurativa per i periodi in cui continua a sussistere l'obbligo dell'assicurazione invalidità e vecchiaia, è nella logica delle cose - e se ne deve trarre la conseguenza giuridica - ritenere che altrettanto deve farsi nei casi in cui continua l'obbligo di iscrizione alle forme similari di previdenza.

 

Ora, sulla estensione e i limiti nell'uso della delega legislativa, si è più volte pronunciata la Corte costituzionale, sia in generale che, particolarmente, nei riguardi della delega contenuta nell'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218. Ha rilevato la Corte, appunto sull'uso della facoltà di coordinamento, che "il coordinamento delle leggi, sia in sede legislativa che in sede giurisdizionale, è diretto a conseguire un armonico sviluppo dell'ordinamento giuridico, in modo che le singole norme non siano considerate isolate e chiuse in se stesse, ma siano invece sempre interpretate nei loro riflessi e nelle loro ripercussioni con le altre e come parti di un sistema organico in continuo divenire, nel quale bisogna fare ogni sforzo per eliminare le discordanze, le disarmonie, le discrepanze e le lacune" (sentenza n. 10 del 19 gennaio 1957). E con sentenza del 24 maggio 1960, n. 34, esaminando specificamente la formula della delegazione conferita col più volte citato art. 37 della legge del 1952, ne rilevava la duplicità di direzione quando osservava: "la singolarità di tal delega consiste anche nel fatto che una duplice direzione è ad essa assegnata: poiché la stessa legge delega ha una vasta parte contenente numerose norme sulle assicurazioni sociali, le norme del decreto delegato dovevano essere conformi ai principi posti da quelle norme; inoltre dovevano risultare informate ad un coordinamento fra le norme vigenti sulle assicurazioni sociali e quelle della legge delega".

 

Non si può perciò imputare al legislatore delegato di aver posto, in sede di coordinamento, nel primo comma dell'art. 10 del decreto legislativo delegato 26 aprile 1957, n. 818, al principio del capo secondo del titolo I, che tratta appunto dei contributi figurativi, una norma generale la quale, lungi dal costituire una innovazione restrittiva nel regime della computabilità dei periodi di contribuzione figurativa, rappresenta la espressione legislativa di un criterio derivante dai principi che dominano la intera materia.

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara non fondata la questione proposta, con l'ordinanza del 21 febbraio 1962 del Tribunale di Reggio Emilia, sulla legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818, in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 1963.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria l’8 giugno 1963.