Sentenza n. 150 del 2022

SENTENZA N. 150

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), promosso dal Consiglio di Stato, sezione terza, nel procedimento vertente tra Manutencoop società cooperativa e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e altri, con ordinanza del 20 ottobre 2020, iscritta al n. 70 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti l’atto di costituzione di Manutencoop società cooperativa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2022 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Maria Alessandra Sandulli e Fabio Francario per Manutencoop società cooperativa e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 maggio 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 20 ottobre 2020 (r.o. n. 70 del 2021), il Consiglio di Stato, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 45 e 76 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), nella parte in cui prevede che «[p]er l’esercizio delle attività di cui all’art. 20 [somministrazione di lavoro], oltre ai requisiti di cui al comma 1, è richiesta: ... e) nel caso di cooperative di produzione e lavoro, oltre ai requisiti indicati al comma 1 e nel presente comma 2, la presenza […], come socio sovventore, almeno [di] un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 59 [Nuove norme in materia di società cooperative], e successive modificazioni».

2.– Il giudice rimettente espone che, con ricorso proposto davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Manutencoop – società cooperativa a mutualità prevalente, che si occupa di somministrazione di lavoro in favore di società, enti e associazioni – ha impugnato le note del 12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, con cui l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), deputata alla tenuta dell’Albo istituito presso il Ministero del lavoro al quale devono essere iscritte le agenzie per il lavoro, l’ha formalmente invitata a regolarizzare la propria posizione, rispristinando la presenza del socio sovventore, venuta meno a seguito del recesso di Coopfond spa comunicato l’11 dicembre 2019.

A fondamento del gravame, la società ricorrente ha dedotto l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 276 del 2003, per violazione degli artt. 3, 41 e 45 Cost.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, Manutencoop ha impugnato, anche per difetto di motivazione, la nota del 12 febbraio 2020, con cui ANPAL ha sospeso la sua autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione di lavoro, precisando che, trascorsi sessanta giorni, avrebbe adottato «il provvedimento di revoca dell’autorizzazione a tempo indeterminato e di contestuale cancellazione dalla sezione I di albo informatico delle agenzie per il lavoro».

Con la sentenza dell’11 maggio 2020, n. 4936 il TAR Lazio ha respinto i ricorsi e, avverso questa pronuncia, la società ricorrente ha proposto appello davanti all’odierno rimettente, deducendo le medesime censure sollevate in primo grado.

Il giudice rimettente riferisce che, prima dell’«udienza camerale del 2 luglio 2020, fissata per la discussione dell’istanza cautelare, la società ricorrente, onde scongiurare qualsiasi rischio d’interruzione dell’attività, ha acquisito nella propria compagine sociale un fondo mutualistico diverso da Coopfond, pur precisando di non voler prestare alcuna acquiescenza ai provvedimenti impugnati e di conservare integro l’interesse al loro annullamento».

Alla luce di ciò, ANPAL, con il provvedimento direttoriale 1° luglio 2020, n. 80, ha revocato la sospensione impugnata con i motivi aggiunti, «rispristinando l’autorizzazione a tempo indeterminato all’esercizio dell’attività di somministrazione» in favore di Manutencoop, con la conseguenza che, con l’ordinanza n. 3977 del 2020, è stata respinta, per assenza di periculum in mora, l’istanza cautelare.

3.– Il Consiglio di Stato ha esaminato, preliminarmente, l’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalle parti resistenti costituitesi in giudizio, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e ANPAL.

Ad avviso del giudice rimettente, questa eccezione sarebbe infondata perché il provvedimento di revoca è «meramente conseguente alla scelta di Manutencoop di acquisire nella propria compagine sociale un fondo mutualistico diverso da Coopfond, onde scongiurare, nelle more del giudizio, qualsiasi possibilità di rischio d’interruzione dell’attività». Tuttavia, Manutencoop ha più volte motivato la propria scelta «come opzione di carattere meramente prudenziale e provvisoria, non interpretabile come atto di acquiescenza alle posizioni di Anpal», bensì imposta dalla citata nota del 12 febbraio 2020.

Nonostante questa nota sia stata revocata, peraltro, «l’impugnativa conserva un sostrato oggettivo nelle intimazioni del 12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, rispetto alle quali permane l’interesse della ricorrente alla definizione di un diverso assetto regolatorio della materia e del quadro dei principi normativi».

Sarebbe configurabile, «sia pure a parti invertite, una situazione analoga a quella in cui, disposta la sospensione cautelare degli effetti di un provvedimento, l’amministrazione vi si adegui mediante l’adozione di un atto consequenziale al contenuto dell’ordinanza cautelare». In entrambi i casi, «non può aversi improcedibilità del ricorso, né cessazione della materia del contendere, giacché l’adozione non spontanea dell’atto ha una rilevanza solo provvisoria, valida in attesa che la sentenza di merito accerti se le determinazioni impugnate siano o meno legittime».

Per effetto dell’atto di revoca del 1° luglio 2020, è invece improcedibile la censura di carenza di motivazione dedotta con il ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento revocato.

Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 276 del 2003 sarebbero, pertanto, rilevanti perché la norma in esame costituisce l’esclusivo fondamento degli atti impugnati, con la conseguenza che la sua fondatezza comporterebbe l’accoglimento dei ricorsi, principale e per motivi aggiunti.

4.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente – premessa una ricostruzione del quadro normativo di riferimento – ritiene non praticabile, a causa del «tenore precettivo chiaro ed univoco» del testo normativo, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 276 del 2003, «che giunga a ravvisare in capo alle cooperative di produzione e lavoro la sussistenza di una mera facoltà, e non già di un vero e proprio obbligo di assicurare comunque, nella propria compagine la presenza di un fondo mutualistico come socio sovventore».

5.– Ad avviso del Consiglio di Stato, la norma censurata – nell’imporre, contrariamente alle disposizioni della legge n. 59 del 1992, richiamate come «norme interposte nel giudizio di costituzionalità», l’obbligo e non la facoltà di «assumere una forma che preveda la necessaria compresenza di soci cooperatori e soci sovventori» – violerebbe, in primo luogo, l’art. 45 Cost.

L’assetto costitutivo imposto alle cooperative, infatti, non sarebbe compatibile con lo spirito mutualistico, in quanto implica «la presenza di una figura (quella del socio sovventore) rispondente ad una logica antitetica a quella del socio cooperatore», la cui partecipazione nella società ha la «finalità di conseguire beni e servizi (socio consumatore), ovvero occasioni di lavoro (socio lavoratore) a condizioni più favorevoli di quelle vigenti nel libero mercato».

Ad avviso del giudice rimettente, «la forzatura nel modello generale della struttura societaria cooperativa», introdotta dalla norma censurata, non sarebbe giustificabile neppure «alla luce delle finalità di realizzazione degli scopi della c.d. “mutualità esterna” o “di sistema” introiettate nel sistema dalla legge del 1992», per sviluppare e migliorare il sistema cooperativo generale. Infatti, questi scopi sono realizzabili con diverse modalità alternative, essendo previsto ad esempio che le cooperative non aderenti ad associazioni riconosciute, o aderenti ad associazioni che non abbiano costituito un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, possano effettuare versamenti in favore del fondo appositamente costituito presso il Ministero del lavoro.

In questo quadro, la trasformazione dell’originaria facoltà, prevista dalla legge n. 59 del 1992, della società cooperativa di ricorrere alla figura del socio sovventore per acquisire risorse finanziarie da parte di terzi mossi da una finalità lucrativa, in un obbligo, per effetto della norma censurata, «costituisce un irragionevole irrigidimento della disciplina di settore, in quanto travalicante il limite cruciale della ragionevolezza e della ponderata funzionalità agli intenti perseguiti dal legislatore».

Infine, la necessaria compresenza di soci cooperatori e sovventori implicherebbe «una alterazione delle regole della concorrenza e del mercato, in quanto rende cogente una forma necessaria per l’esercizio dell’impresa cooperativa in materia di somministrazione e intermediazione [di] lavoro, anche laddove i requisiti economico-finanziari richiesti per l’iscrizione all’albo risultino diversamente soddisfatti dalla società cooperativa».

Peraltro, la norma censurata, «oltre ad imporre la presenza del fondo mutualistico nella compagine sociale», obbligherebbe la società cooperativa «ad aderire alle associazioni nazionali di rappresentanza e tutela del movimento cooperativo, dalle quali i fondi mutualistici promanano». Questi, infatti, subordinano la partecipazione alla previa adesione, da parte della società cooperativa, all’organismo associativo nazionale che li ha istituiti. Di conseguenza, ad una cooperativa sarebbe preclusa l’attività di intermediazione, se «non presenta un socio sovventore che sia fondo mutualistico e se non aderisce previamente ad uno degli organismi associativi nazionali esistenti», come accaduto nel caso di specie.

6.– Le questioni sarebbero non manifestamente infondate anche con riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto «l’imposizione alle sole società cooperative dedite alla intermediazione di lavoro, in aggiunta alle garanzie generalmente richieste a tutti gli altri operatori, della condizione aggiuntiva della necessaria partecipazione di un fondo mutualistico nella compagine sociale, appare frutto di una scelta priva di motivate ragioni ed implicante una altrettanto immotivata restrizione della libertà d’iniziativa economica».

Non sarebbe ragionevole che, nello specifico settore dell’intermediazione di lavoro, «solo la partecipazione di un fondo mutualistico garantirebbe, oltre ad una qualificata garanzia di solidità finanziaria, la rispondenza della cooperativa alle finalità di mutualità e, dunque, la prevenzione di forme abusive di esercizio dell’attività». Ciò in quanto gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 276 del 2003 già prevedono, oltre a una serie di requisiti giuridici e finanziari, un sistema di vigilanza ministeriale permanente sugli operatori nel campo dell’intermediazione di lavoro e un sistema autorizzatorio «che passa attraverso una fase di autorizzazione provvisoria cui fa seguito, previa verifica dei requisiti e del corretto andamento dell’attività svolta, l’autorizzazione in via definitiva». Ne è conferma il fatto che la norma censurata «non fissa la quota partecipativa del fondo mutualistico, limitandosi a prevederne l’obbligatoria presenza ai fini dell’iscrizione all’albo delle Agenzie per il lavoro», con la conseguenza che questa potrebbe essere, come nella specie, irrisoria e simbolica.

Inoltre, una volta superato il regime di monopolio pubblico nel settore del collocamento, «l’attività di intermediazione non sembra rivelare più alcuna specialità che possa giustificarne un trattamento differenziato e più restrittivo rispetto alle altre attività pure generalmente, e senza particolari limitazioni, esercitabili in forma cooperativa».

7.– Le questioni sarebbero, infine, non manifestamente infondate anche con riferimento all’art. 76 Cost., in quanto la delega legislativa – concessa dall’art. 1 della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) per dettare i «principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l’impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera» – non avrebbe consentito «una rimodulazione del regime autorizzatorio in relazione alla natura giuridica dell’intermediario, [né] una rivisitazione e un’alterazione della stessa natura giuridica del soggetto intermediario».

La norma censurata eccederebbe, quindi, «il limite della materia della “disciplina dei servizi per l’impiego” prevista dalla legge delega (Riforma Biagi), avendo essa finito per invadere – e illegittimamente stravolgere – quella dei principi generali e fondamentali della disciplina in materia di società cooperative».

8.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 15 giugno 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità delle questioni e, nel merito, chiedendo che esse siano dichiarate non fondate.

9.– Ad avviso della difesa dello Stato, le questioni sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto la motivazione del giudice a quo in ordine al persistente interesse a ricorrere della Manutencoop, nonostante la «sopravvenuta carenza dell’oggetto del giudizio», sarebbe inadeguata e implausibile.

Il provvedimento di sospensione impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, infatti, è stato revocato con il provvedimento direttoriale n. 80 del 1° luglio 2020, che ha ripristinato a tempo indeterminato l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di somministrazione di lavoro, a seguito dell’ingresso in Manutencoop, come socio sovventore, del fondo mutualistico Promocoop spa, a partire dal 23 giugno 2020.

Essendo venuto meno l’oggetto del processo, non può continuare «a predicarsi una artificiosa persistenza dell’interesse a ricorrere».

A tal fine, non sarebbe sufficiente il riferimento alle intimazioni del 12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, gravate con il ricorso principale, perché, essendo atti endoprocedimentali, sono stati assorbiti dal successivo provvedimento di sospensione, impugnato con i motivi aggiunti, poi revocato.

Ritiene, infine, l’Avvocatura dello Stato che la fattispecie in cui la parte si è spontaneamente conformata al provvedimento impugnato non può essere equiparata, come ha fatto il giudice rimettente, all’ipotesi in cui l’amministrazione dà esecuzione a «un provvedimento giudiziale interinale, posto che in tal caso “l’adeguamento” non è rimesso a una scelta (sia pure interessata) dell’Amministrazione […] bensì alla doverosa attuazione […] di un ordine giudiziale».

10.– Le questioni sarebbero comunque non fondate nel merito.

Con riferimento alla censura di violazione degli artt. 3 e 41 Cost., la difesa dello Stato – richiamata la pertinente giurisprudenza costituzionale – ritiene che la norma oggetto del giudizio non «violi i limiti costituzionali entro cui può essere esercitato il potere legislativo», in quanto la necessaria presenza di un socio sovventore, nelle società cooperative che svolgono attività di intermediazione di lavoro, «da un lato, non pare idonea a sacrificarne le opzioni di fondo, dall’altro, corrisponde all’esigenza di utilità sociale di realizzare […] la c.d. mutualità di sistema, oltre che di garantire un apporto di capitale sociale sicuro nella disponibilità di dette società».

La circostanza che questa finalità possa essere realizzata mediante diversi meccanismi, «non vale di per sé a rendere irragionevole la previsione de qua».

Infine, osserva l’Avvocatura dello Stato, la norma censurata non incide in modo apprezzabile nella sfera giuridica della società cooperativa e non ne lede la libertà economica, «in ragione dell’assenza di un limite minimo per la partecipazione in parola».

Le questioni sarebbero non fondate, anche perché non vi sarebbe omogeneità di situazioni tra le società cooperative in generale e quelle che svolgono attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, che si connotano per lo «specifico oggetto sociale», strettamente connesso a finalità pubbliche.

Inoltre, i fondi mutualistici, a differenza degli altri soci sovventori, perseguono anche scopi mutualistici, «consistendo il loro oggetto sociale esclusivamente nella promozione e nel finanziamento di nuove imprese e iniziative di sviluppo della cooperazione». La previsione della loro presenza nelle società cooperative che svolgono attività di intermediazione di lavoro «non consente pertanto di ravvisare un’ipotesi di discriminazione arbitraria e ingiustificata».

Infine, conclude la difesa dello Stato, la norma censurata «non comporta alcun onere economico suppletivo in capo alle cooperative, che sono in ogni caso tenute al versamento del contributo previsto dall’art. 11 della legge n. 59/1992 (devoluto al bilancio dello Stato ex art. 20 se la cooperativa non aderisce a un fondo mutualistico)». Da qui l’insussistenza, in un «bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti», di un contrasto con il principio di ragionevolezza.

11.– Anche la censura di violazione dell’art. 45 Cost. non sarebbe fondata, in quanto la legge n. 59 del 1992 ha introdotto la figura del socio sovventore e l’istituto dei fondi mutualistici per rafforzare la mutualità di sistema. A fronte di questa disciplina, la previsione dell’obbligo, per le società cooperative che svolgono attività di intermediazione di lavoro e, quindi, operano in uno «specifico e ben circoscritto settore», di dotarsi di un socio sovventore non costituirebbe uno stravolgimento dello scopo mutualistico, anche perché questi può essere solamente un fondo mutualistico.

La norma censurata, insomma, sarebbe ragionevole alla luce delle «innumerevoli esigenze di pubblico interesse» sottese alla «particolare conformazione del mercato di riferimento». Proprio la ratio di salvaguardia di interessi pubblici legati alla tutela dei lavoratori e del sistema previdenziale ai sensi degli artt. 35, 36, 37 e 38 Cost. giustificherebbe la limitazione della libertà di iniziativa economica privata ed escluderebbe l’abnormità della previsione che impone alla società cooperativa di acquisire risorse finanziarie da un terzo particolarmente qualificato, diverso dai soci cooperatori, che assicuri lo svolgimento effettivo dell’attività di intermediazione e il contestuale stabile perseguimento degli scopi mutualistici.

La partecipazione di un fondo mutualistico alla società cooperativa sarebbe un «concreto indice di rispondenza della cooperativa alle finalità di mutualità, sicché, ai fini dell’esercizio di attività di particolare interesse pubblico – quale quella di intermediazione – ben si giustifica che il predetto requisito assuma la natura di condizione necessaria».

12.– Le questioni sarebbero, infine, manifestamente infondate in riferimento all’art. 76 Cost., in quanto l’art. 1, comma 2, lettere l) e m), della legge n. 30 del 2003 ha delegato il Governo ad adottare un regime autorizzatorio diversificato in funzione del tipo di attività svolta e della natura giuridica dell’intermediario in materia di lavoro. In questo quadro, il censurato art. 5, nel disciplinare i criteri di iscrizione all’albo delle agenzie per il lavoro, ha introdotto un regime differenziato per le società cooperative di produzione e lavoro in conformità ai criteri della delega di cui si è detto.

Il legislatore delegato, pertanto, non ha dettato una nuova disciplina delle società cooperative, ma ha solamente previsto i requisiti minimi che le stesse devono possedere per svolgere l’attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale.

13.– Con memoria depositata l’11 giugno 2021, si è costituita Manutencoop società cooperativa, ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che le questioni siano accolte.

La norma censurata, nell’imporre alle società cooperative la «necessaria compresenza di soci cooperatori e soci sovventori», stravolgerebbe lo scopo mutualistico e violerebbe l’art. 45 Cost. Infatti, in forza dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 11 della legge n. 59 del 1992, gli obblighi di contribuzione e devoluzione preposti all’attuazione del principio di mutualità esterna o di sistema possono essere assolti senza aderire a un fondo mutualistico. È evidente, pertanto, che l’imposizione della presenza di un fondo mutualistico come socio sovventore nella compagine sociale non risponde a questa finalità e, comunque, non si giustifica «con riferimento alla mutualità interna, in quanto, al contrario, introduce tra i contenuti essenziali del contratto associativo una figura (quella del socio finanziatore o sovventore) che è esattamente antitetica a quella del socio cooperatore».

14.– Le questioni sarebbero non manifestamente infondate, anche in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto «la partecipazione del fondo mutualistico non è necessaria per garantire le obbligazioni assunte dalla società cooperativa […] né per garantire l’adempimento degli obblighi di mutualità di sistema». Infatti, gli artt. 11 e 12 della legge n. 59 del 1992, che costituirebbero «norma interposta di riferimento», non prevedono l’adesione ai fondi mutualistici come obbligatoria, essendo prevista, in alternativa, la possibilità di contribuire al fondo istituito presso il Ministero ex art. 20 della medesima legge.

Questo obbligo «(che implica […] la partecipazione alle associazioni nazionali di rappresentanza e tutela del movimento cooperativo dalle quali derivano i fondi mutualistici) si risolve pertanto in un’immotivata e irragionevole restrizione della libertà di iniziativa economica dell’impresa cooperativa, compromessa (solo) nel caso abbia a oggetto l’attività di intermediazione di lavoro».

La lesione della «libertà di impresa» sarebbe particolarmente evidente nel caso di specie, in cui Manutencoop è receduta dall’organismo associativo nazionale LegaCoop, «ponendosi in posizione marcatamente concorrenziale» con le imprese ad esso aderenti e, a causa di ciò, le è stata preclusa la prosecuzione dell’attività.

15.– Le questioni, infine, non sarebbero manifestamente infondate neanche con riferimento all’art. 76 Cost., per le ragioni enunciate nell’ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di Stato, sezione terza, dubita, in riferimento agli artt. 3, 41, 45 e 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), nella parte in cui prevede che le agenzie per il lavoro costituite in forma di società cooperative di produzione e lavoro che intendano svolgere attività di somministrazione di lavoro devono possedere, oltre ai requisiti giuridici e finanziari previsti per tutte le agenzie per il lavoro dal comma 1 del medesimo art. 5, l’ulteriore requisito della presenza, come socio sovventore, di un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione di cui agli artt. 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 59 (Nuove norme in materia di società cooperative).

Ad avviso del giudice rimettente, sarebbe violato l’art. 45 Cost., in quanto la norma censurata – nell’imporre «la presenza di una figura (quella del socio sovventore) rispondente ad una logica antitetica a quella del socio cooperatore» – si porrebbe in contrasto con lo spirito mutualistico e non sarebbe giustificata neppure «alla luce delle finalità di realizzazione degli scopi della c.d. “mutualità esterna” o “di sistema” introiettate nel sistema dalla legge del 1992» per sviluppare e migliorare il sistema cooperativo generale.

Le questioni sarebbero non manifestamente infondate anche in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto «l’imposizione alle sole società cooperative dedite alla intermediazione di lavoro, in aggiunta alle garanzie generalmente richieste a tutti gli altri operatori, della condizione aggiuntiva della necessaria partecipazione di un fondo mutualistico nella compagine sociale, appare frutto di una scelta priva di motivate ragioni ed implicante una altrettanto immotivata restrizione della libertà d’iniziativa economica», non giustificata dalla specificità dell’attività esercitata.

Infine, la norma censurata sarebbe in contrasto con l’art. 76 Cost., in quanto la delega legislativa – concessa dall’art. 1 della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro), per dettare i «principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l’impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera» – non avrebbe consentito «una rimodulazione del regime autorizzatorio in relazione alla natura giuridica dell’intermediario, [né] una rivisitazione e un’alterazione della stessa natura giuridica del soggetto intermediario».

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate, perché il giudice rimettente avrebbe ritenuto superabile, con motivazione inadeguata e implausibile, l’eccezione di improcedibilità dell’appello proposta dalle amministrazioni resistenti nel giudizio a quo a seguito della revoca del provvedimento di sospensione impugnato e del ripristino, a tempo indeterminato, dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di somministrazione di lavoro in favore della società ricorrente.

Essendo venuto meno l’oggetto del processo, non potrebbe continuare «a predicarsi una artificiosa persistenza dell’interesse a ricorrere», con la conseguenza che la sopravvenuta improcedibilità del ricorso nel giudizio a quo renderebbe irrilevanti le questioni sollevate.

2.1.– L’eccezione di inammissibilità non è fondata.

In punto di rilevanza, il Consiglio di Stato ha riferito che, con il ricorso principale proposto davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Manutencoop – società cooperativa che esercita attività di somministrazione di manodopera – ha impugnato le note del 12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, con cui l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), deputata alla tenuta dell’Albo istituito presso il Ministero del lavoro al quale devono essere iscritte le agenzie per il lavoro, l’ha formalmente invitata a regolarizzare la propria posizione, rispristinando la presenza del socio sovventore venuta meno a seguito del recesso di Coopfond spa, e, con successivo ricorso per motivi aggiunti, ha impugnato la nota del 12 febbraio 2020, con cui la medesima Agenzia ha sospeso la sua autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione di lavoro, precisando che, trascorsi sessanta giorni, avrebbe adottato «il provvedimento di revoca dell’autorizzazione a tempo indeterminato e di contestuale cancellazione dalla sezione I di albo informatico delle agenzie per il lavoro». I ricorsi sono stati rigettati con la sentenza dell’11 maggio 2020, n. 4936, avverso la quale Manutencoop ha proposto appello.

Il giudice a quo ha altresì ricordato che, prima dell’«udienza camerale del 2 luglio 2020, fissata per la discussione dell’istanza cautelare, la società ricorrente, onde scongiurare qualsiasi rischio d’interruzione dell’attività, ha acquisito nella propria compagine sociale [come socio sovventore] un fondo mutualistico diverso da Coopfond, pur precisando di non voler prestare alcuna acquiescenza ai provvedimenti impugnati e di conservare integro l’interesse al loro annullamento». Alla luce di ciò, ANPAL, con il provvedimento direttoriale 1° luglio 2020, n. 80 ha revocato la sospensione impugnata con i motivi aggiunti, «rispristinando l’autorizzazione a tempo indeterminato all’esercizio dell’attività di somministrazione» in favore di Manutencoop, con la conseguenza che, con l’ordinanza n. 3977 del 2020, è stata respinta, per assenza di periculum in mora, l’istanza cautelare.

Ciononostante, il Consiglio di Stato ha rigettato l’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalle amministrazioni resistenti, ritenendo che il provvedimento di revoca sarebbe «meramente conseguente» al comportamento di Manutencoop volto a «scongiurare, nelle more del giudizio, qualsiasi possibilità di rischio d’interruzione dell’attività». Si tratterebbe di una scelta «di carattere meramente prudenziale e provvisoria, non interpretabile come atto di acquiescenza alle posizioni di Anpal», bensì imposta dall’atto di sospensione gravato. Peraltro, nonostante questo atto sia stato revocato, «l’impugnativa conserva un sostrato oggettivo nelle intimazioni del 12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, rispetto alle quali permane l’interesse della ricorrente alla definizione di un diverso assetto regolatorio della materia e del quadro dei principi normativi».

Le questioni, pertanto, sarebbero rilevanti perché la norma censurata costituisce l’esclusivo fondamento degli atti impugnati.

2.2.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «[i]n virtù dell’autonomia tra il giudizio incidentale di legittimità costituzionale e quello principale, non rientra tra i poteri di questa Corte, che effettua solo un controllo “esterno” sulla rilevanza, sindacare, in sede di ammissibilità, la validità dei presupposti di esistenza del giudizio a quo, a meno che questi non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti (sentenze n. 241 del 2008 e n. 62 del 1992). Ai fini del relativo controllo da parte di questa Corte, anche per il riscontro dell’interesse ad agire e per la verifica della legittimazione delle parti, è dunque sufficiente che il rimettente motivi in modo non implausibile sulla rilevanza (sentenze n. 35 del 2017, n. 303 e n. 50 del 2007, e n. 173 del 1994)» (sentenza n. 224 del 2020; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 183 del 2021, n. 168 e n. 44 del 2020 e n. 128 del 2019).

Nella specie, la motivazione dell’ordinanza di rimessione supera, indubbiamente, la soglia di non implausibilità, avendo il Consiglio di Stato ampiamente argomentato in ordine alla sussistenza delle condizioni dell’azione nel giudizio a quo e, in particolare, in ordine alla persistenza dell’interesse a ricorrere della Manutencoop, nonostante la revoca di uno degli atti gravati.

3.– Sempre in via preliminare, il giudice rimettente ha escluso la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, «che giunga a ravvisare in capo alle cooperative di produzione e lavoro la sussistenza di una mera facoltà, e non già di un vero e proprio obbligo, di assicurare comunque, nella propria compagine, la presenza di un fondo mutualistico come socio sovventore». Ciò sarebbe impedito dal «tenore precettivo chiaro ed univoco» della disposizione.

Il ragionamento del rimettente è corretto.

La giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che l’univoco tenore della disposizione segna il confine in presenza del quale il tentativo di interpretazione conforme deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (sentenze n. 118 del 2020, n. 221 del 2019 e n. 83 del 2017). D’altra parte, sempre secondo una giurisprudenza costituzionale ormai costante, quando il giudice a quo abbia consapevolmente reputato che il tenore della disposizione censurata impone una determinata interpretazione e ne impedisce altre, eventualmente conformi a Costituzione, la verifica delle relative soluzioni ermeneutiche non attiene al piano dell’ammissibilità, ed è piuttosto una valutazione che riguarda il merito delle questioni (così, ex multis, sentenze n. 50 e n. 118 del 2020 e n. 133 del 2019).

4.– Nel merito, le questioni sollevate non sono fondate.

5.– Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica deve essere preliminarmente esaminata la censura di violazione dell’art. 76 Cost., perché, come rilevato dalla costante giurisprudenza costituzionale, si tratta di una censura logicamente prioritaria, incidendo sul piano delle fonti (ex multis, sentenze n. 133 del 2021, n. 142 del 2020, n. 198 e n. 189 del 2018).

5.1.– Ad avviso del giudice rimettente, l’art. 5, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 276 del 2003, laddove prescrive, per le cooperative di produzione e lavoro che intendano svolgere attività di somministrazione di manodopera, lo specifico requisito della presenza, come socio sovventore, di un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, si porrebbe in contrasto con l’art. 76 Cost., in quanto la delega legislativa – concessa dall’art. 1 della legge n. 30 del 2003 per dettare i «principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l’impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera» – non avrebbe consentito «una rimodulazione del regime autorizzatorio in relazione alla natura giuridica dell’intermediario, [né] una rivisitazione e un’alterazione della stessa natura giuridica del soggetto intermediario».

La norma censurata eccederebbe, quindi, «il limite della materia della “disciplina dei servizi per l’impiego” prevista dalla legge delega (c.d. Riforma Biagi), avendo essa finito per invadere – e illegittimamente stravolgere – quella dei principi generali e fondamentali della disciplina in materia di società cooperative».

5.2.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la censura di violazione dell’art. 76 Cost. non sarebbe fondata, in quanto il citato art. 5, nel disciplinare i criteri di iscrizione all’albo delle agenzie per il lavoro, ha introdotto un regime differenziato per le società cooperative di produzione e lavoro in conformità ai criteri della delega di cui alle lettere l) e m) del comma 2 dell’art. 1 della menzionata legge n. 30 del 2003.

Il legislatore delegato, pertanto, non avrebbe dettato una nuova disciplina delle società cooperative, ma solamente previsto i requisiti minimi che le stesse devono possedere per svolgere l’attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale.

5.3.– Per costante giurisprudenza costituzionale, «la previsione di cui all’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo. Il sindacato costituzionale sulla delega legislativa deve, così, svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l’oggetto, i princìpi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e, dall’altro, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i princìpi e i criteri direttivi della delega. Il che, se porta a ritenere del tutto fisiologica quell’attività normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante, circoscrive, d’altra parte, il vizio in discorso ai casi di dilatazione dell’oggetto indicato dalla legge di delega, fino all’estremo di ricomprendere in esso materie che ne erano escluse» (sentenza n. 96 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 133 del 2021, n. 142 del 2020, n. 198 e n. 10 del 2018).

Nella specie, la legge n. 30 del 2003, in attuazione della quale è stata adottata la norma censurata, contiene diverse deleghe legislative in tema di diritto del lavoro.

La prima – ponendosi sulla scia dei precedenti interventi normativi che hanno eliminato il monopolio pubblico in tema di collocamento e di mediazione tra domanda e offerta di lavoro – attiene alla «revisione della disciplina dei servizi pubblici e privati per l’impiego, nonché in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro (art. 1)».

Come già chiarito da questa Corte, «[d]all’analisi del comma 1 dell’art. 1 si ricava che la delega concerne i servizi per l’impiego ed in particolare il collocamento e la somministrazione di mano d’opera, che il legislatore ritiene tale materia rientrante nella tutela e sicurezza del lavoro, prevista come oggetto di competenza concorrente e che, di conseguenza, nel rispetto delle attribuzioni regionali, la delega è limitata alla determinazione dei principi fondamentali» (sentenza n. 50 del 2005).

Questa Corte ha poi specificato, per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, che in tale materia rientrano sia «la disciplina dei soggetti ad essa abilitati» sia «quella dei rapporti intersoggettivi che nascono dalla somministrazione» (ancora, sentenza n. 50 del 2005).

Coerentemente, la lettera l) del comma 2 del citato art. 1 ha previsto, tra i principi e i criteri direttivi fissati dal legislatore delegante, l’identificazione di un «unico regime autorizzatorio o di accreditamento» per i soggetti pubblici e privati che svolgono intermediazione di lavoro, richiedendo «che abbiano adeguati requisiti giuridici e finanziari, differenziat[i] in funzione del tipo di attività svolta, comprensivo delle ipotesi di trasferimento della autorizzazione e modulat[i] in relazione alla natura giuridica dell’intermediario». Con specifico riferimento alla somministrazione di manodopera, poi, il numero 1) della lettera m) del medesimo comma 2 indica, come ulteriore criterio direttivo, l’autorizzazione allo svolgimento di questa attività da parte dei soli soggetti identificati sulla base della precedente lettera l).

5.4.– In attuazione di questa delega, il d.lgs. n. 276 del 2003, nel regolamentare l’organizzazione del mercato del lavoro (Titolo II), ha dettato una nuova disciplina del regime autorizzatorio delle agenzie per il lavoro (Capo I), definite appunto, dall’art. 2, comma 1, lettera e), come «gli operatori, pubblici e privati», autorizzati dallo Stato «allo svolgimento delle attività di cui alle lettere da a) a d) del medesimo art. 2», ossia le attività di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale.

Nel far ciò, come previsto dai criteri direttivi di cui alla lettera l) prima citata, il legislatore delegato ha specificamente individuato i requisiti, giuridici e finanziari, per il conseguimento dell’autorizzazione ministeriale e la conseguente iscrizione nell’apposito albo delle agenzie per il lavoro. Questi requisiti sono stati poi differenziati, sempre in attuazione di quanto prescritto dalla citata lettera l), in requisiti generali, cioè validi per tutte le attività oggetto di autorizzazione, e requisiti particolari, relativi alle singole attività svolte.

In questo quadro, la norma censurata ha prescritto uno specifico requisito abilitante le agenzie per il lavoro individuandolo in base al tipo di attività svolta (somministrazione di manodopera) e alla natura giuridica dell’intermediario (società cooperative di produzione e lavoro), conformemente al criterio direttivo dettato dalla legge delega. In tal modo, si è posta in coerente sviluppo con le scelte espresse dal legislatore delegante, senza dilatare l’oggetto indicato dalla legge di delega.

5.5.– La questione sollevata in riferimento all’art. 76 Cost., pertanto, non è fondata.

6.– Il giudice rimettente ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale anche in riferimento all’art. 45 Cost., in quanto la norma censurata – nell’imporre, contrariamente alle disposizioni della legge n. 59 del 1992, richiamate come «norme interposte nel giudizio di costituzionalità», l’obbligo e non la facoltà di «assumere una forma che preveda la necessaria compresenza di soci cooperatori e soci sovventori» – non sarebbe coerente con la garanzia costituzionale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.

Ad avviso del Consiglio di Stato, la trasformazione, per effetto della disposizione censurata, dell’originaria facoltà della società cooperativa di ricorrere alla figura del socio sovventore in un obbligo, «costituisce un irragionevole irrigidimento della disciplina di settore, in quanto travalicante il limite cruciale della ragionevolezza e della ponderata funzionalità agli intenti perseguiti dal legislatore».

L’assetto costitutivo imposto alle cooperative, infatti, non sarebbe compatibile con lo spirito mutualistico, in quanto implica «la presenza di una figura (quella del socio sovventore) rispondente ad una logica antitetica a quella del socio cooperatore», la cui partecipazione nella società ha la «finalità di conseguire beni e servizi (socio consumatore), ovvero occasioni di lavoro (socio lavoratore) a condizioni più favorevoli di quelle vigenti nel libero mercato».

6.1.– Secondo la difesa dello Stato, la censura di violazione dell’art. 45 Cost. non sarebbe fondata, in quanto la previsione dell’obbligo, per le società cooperative che svolgono attività di intermediazione di lavoro e, quindi, operano in uno «specifico e ben circoscritto settore», di dotarsi di un socio sovventore – costituito peraltro da un fondo mutualistico – non rappresenterebbe uno stravolgimento dello scopo mutualistico.

La norma censurata sarebbe, quindi, ragionevole alla luce delle «innumerevoli esigenze di pubblico interesse» sottese alla «particolare conformazione del mercato di riferimento».

6.2.– Per verificare la compatibilità della norma censurata con la tutela costituzionale della cooperazione a carattere di mutualità, è necessario individuarne la ratio e l’assetto offerto agli interessi che vengono in gioco nella disciplina in esame.

Considerato che «il collocamento, ed in genere tutte le attività atte a favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, non sono più riservati alle strutture pubbliche», il d.lgs. n. 276 del 2003 – nel riformare «i servizi per l’impiego ed in particolare il collocamento e la somministrazione di mano d’opera» – ha dettato anche «la disciplina dei soggetti [pubblici e privati] comunque abilitati a svolgerle» (sentenza n. 50 del 2005), ossia delle cosiddette agenzie per il lavoro.

Nel far ciò, il legislatore ha optato per un «unico regime giuridico per chiunque voglia svolgere attività in senso generico di intermediazione» e ha correlato alla «scelta dell’unicità del regime autorizzatorio o di accreditamento» quella «dell’albo delle agenzie per il lavoro, di cui all’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, mentre la previsione delle sue articolazioni è in funzione della varietà sia dei soggetti cui può essere data l’autorizzazione o l’accreditamento, sia delle attività che essi possono svolgere» (sentenza n. 50 del 2005).

Venuto meno il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo, «sussistendo soltanto, per i soggetti polifunzionali, l’obbligo di tenere distinte divisioni operative, gestite con contabilità separata, onde consentire una puntuale conoscenza dei dati specifici (art. 5, comma 1, lettera e, d.lgs. n. 276 del 2003)» (sentenza n. 50 del 2005), il legislatore ha prescritto, quale condizione per l’autorizzazione e l’iscrizione nell’apposito albo, requisiti giuridici e finanziari comuni a tutte le agenzie per il lavoro, indipendentemente dall’attività esercitata.

In aggiunta ad essi, però, sono stati previsti ulteriori requisiti, per lo più di carattere finanziario, in relazione al particolare tipo di attività svolta e alla peculiare natura giuridica del soggetto abilitato, a maggiore garanzia degli interessi coinvolti nella disciplina dei servizi per l’impiego che, come chiarito da questa Corte, sono «predisposti alla soddisfazione del diritto sociale al lavoro» (sentenza n. 50 del 2005).

In particolare, la lettera e) del comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. n. 276 del 2003 – oggetto delle odierne questioni di legittimità costituzionale – prevede, per le società cooperative di produzione e lavoro che intendano svolgere attività di somministrazione di manodopera, oltre ai requisiti giuridici e finanziari prescritti dal medesimo art. 5 per tutte le agenzie, l’ulteriore requisito della «presenza di almeno sessanta soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, e successive modificazioni».

Nel prescrivere questo requisito, la norma individua il suo ambito di applicazione, sul piano oggettivo, con riferimento alle attività di cui all’art. 20 del medesimo decreto legislativo (oggi art. 30 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183»), ossia alla somministrazione di lavoro, e, sul piano soggettivo, con riferimento alle sole agenzie per il lavoro costituite nella forma di società cooperative di produzione e lavoro.

In relazione al tipo di attività esercitata, la norma censurata si giustifica perché la somministrazione di lavoro – definita come il «contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore» (art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015) – «costituisce una fattispecie negoziale complessa, in cui due contratti si combinano per realizzare la dissociazione tra datore di lavoro e fruitore della prestazione di lavoro, secondo una interposizione autorizzata dall’ordinamento in quanto soggetta a particolari controlli e garanzie, quali condizioni per prevenire il rischio che l’imputazione del rapporto a persona diversa dall’effettivo utilizzatore si presti a forme di elusione delle tutele del lavoratore» (sentenza n. 250 del 2021).

Trattasi di una forma di interposizione nei rapporti di lavoro fortemente innovativa, peraltro precedentemente sottoposta ad un generale divieto e a sanzioni penali e, ancora oggi, subordinata a specifiche condizioni di liceità, la cui inosservanza è sanzionata in via amministrativa.

Proprio per realizzare i «controlli e [le] garanzie» necessari per prevenire «forme di elusione delle tutele del lavoratore», il comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. n. 276 del 2003 prescrive, «[p]er l’esercizio delle attività di cui all’articolo 20 [oggi art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015]», specifici requisiti finanziari, tra cui quello – che qui viene in considerazione – della presenza nella compagine sociale, come socio sovventore, di un fondo mutualistico.

La funzione di tale requisito è precipuamente rivolta alla tutela del lavoratore e alla garanzia dei suoi crediti nei confronti dell’agenzia di somministrazione datrice di lavoro, atteso che il rapporto di lavoro si instaura appunto tra il lavoratore e l’agenzia stessa.

In relazione alla natura giuridica del soggetto abilitato, invece, il requisito prescritto dalla norma censurata si giustifica perché mira a superare la difficoltà, propria delle società cooperative, della provvista dei mezzi finanziari necessari per lo svolgimento della loro attività. La figura del socio sovventore, infatti, agevola la raccolta di capitale di rischio da parte delle cooperative, non essendo interessato all’attività mutualistica, ma alla remunerazione del suo investimento nella società, e perseguendo uno scopo lucrativo.

Nel bilanciamento di interessi realizzato dal legislatore, allora, l’obbligo imposto alle società cooperative di avere, nella compagine sociale, un socio sovventore non sacrifica irragionevolmente la funzione sociale della cooperazione, mirando a realizzare un obiettivo generale di tutela dei lavoratori in una fattispecie di «dissociazione tra datore di lavoro e fruitore della prestazione di lavoro» (sentenza n. 250 del 2021).

6.3.– Peraltro, la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità non risulta compromessa dalla norma censurata anche perché il socio sovventore deve essere un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, che di quel carattere partecipa.

L’istituzione di questi fondi, ad opera della legge n. 59 del 1992, è ispirata alla cosiddetta mutualità di sistema o esterna, che è volta a incentivare, finanziare e sostenere la cooperazione nella sua globalità. Anche lo scopo perseguito dai fondi in esame, quindi, va considerato mutualistico, essendo i benefici derivanti dalla loro gestione destinati al sistema cooperativo complessivamente inteso.

Ai sensi dell’art. 11 della menzionata legge n. 59 del 1992, infatti, il loro «oggetto sociale deve consistere esclusivamente nella promozione e nel finanziamento di nuove imprese e di iniziative di sviluppo della cooperazione, con preferenza per i programmi diretti all’innovazione tecnologica, all’incremento dell’occupazione ed allo sviluppo del Mezzogiorno» (comma 2). Per realizzare questi fini, i fondi mutualistici «possono promuovere la costituzione di società cooperative o di loro consorzi, nonché assumere partecipazioni in società cooperative o in società da queste controllate. Possono altresì finanziare specifici programmi di sviluppo di società cooperative o di loro consorzi, organizzare o gestire corsi di formazione professionale del personale dirigente amministrativo o tecnico del settore della cooperazione, promuovere studi e ricerche su temi economici e sociali di rilevante interesse per il movimento cooperativo» (comma 3).

Questa Corte ha peraltro rilevato come la finalità delle norme che prevedono, a carico delle società cooperative, obblighi contributivi e devolutivi in favore dei fondi mutualistici vada «identificata in quella di garantire che i benefici conseguiti grazie alle agevolazioni previste per incentivare lo scopo mutualistico non siano destinati allo svolgimento di un’attività priva di tale carattere e, comunque, non siano fatti propri da coloro che ne hanno fruito» (sentenza n. 170 del 2008).

Non deve, infine, dimenticarsi che questa Corte ha sempre riconosciuto al legislatore ampia discrezionalità nella scelta dei mezzi più idonei ad incrementare la cooperazione (sentenza n. 334 del 1995; ordinanze n. 19 del 1988 e n. 371 del 1987).

6.4.– Alla luce delle considerazioni che precedono, anche la questione sollevata in riferimento all’art. 45 Cost. non è fondata.

7.– Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata sarebbe in contrasto anche con gli artt. 3 e 41 Cost., in quanto «l’imposizione alle sole società cooperative dedite alla intermediazione di lavoro, in aggiunta alle garanzie generalmente richieste a tutti gli altri operatori, della condizione aggiuntiva della necessaria partecipazione di un fondo mutualistico nella compagine sociale, appare frutto di una scelta priva di motivate ragioni ed implicante una altrettanto immotivata restrizione della libertà d’iniziativa economica».

Non sarebbe ragionevole ritenere che, nello specifico settore dell’intermediazione di lavoro, «solo la partecipazione di un fondo mutualistico garantirebbe, oltre ad una qualificata garanzia di solidità finanziaria, la rispondenza della cooperativa alle finalità di mutualità e, dunque, la prevenzione di forme abusive di esercizio dell’attività». Ciò in quanto gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 276 del 2003 già prevedono, oltre a una serie di requisiti giuridici e finanziari, un sistema di vigilanza ministeriale permanente sugli operatori nel campo dell’intermediazione di lavoro e un sistema autorizzatorio, «che passa attraverso una fase di autorizzazione provvisoria cui fa seguito, previa verifica dei requisiti e del corretto andamento dell’attività svolta, l’autorizzazione in via definitiva».

Inoltre, una volta superato il regime di monopolio pubblico nel settore del collocamento, «l’attività di intermediazione non sembra rivelare più alcuna specialità che possa giustificarne un trattamento differenziato e più restrittivo rispetto alle altre attività pure generalmente, e senza particolari limitazioni, esercitabili in forma cooperativa».

7.1.– La difesa dello Stato ha replicato che la norma censurata non violerebbe «i limiti costituzionali entro cui può essere esercitato il potere legislativo», in quanto la necessaria presenza di un socio sovventore, nelle società cooperative che svolgono attività di intermediazione di lavoro, «da un lato, non pare idonea a sacrificarne le opzioni di fondo, dall’altro, corrisponde all’esigenza di utilità sociale di realizzare […] la c.d. mutualità di sistema, oltre che di garantire un apporto di capitale sociale sicuro nella disponibilità di dette società».

7.2.– Secondo il costante orientamento di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 151 e n. 47 del 2018, n. 16 del 2017 e n. 56 del 2015), non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica privata allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda, oltre che alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, come sancito dall’art. 41, comma secondo, Cost., all’utilità sociale, purché l’individuazione di quest’ultima, che spetta al legislatore, non appaia arbitraria e non venga perseguita mediante misure palesemente incongrue.

Nella specie, la norma censurata – nell’imporre alle cooperative di produzione e lavoro che svolgono attività di somministrazione di manodopera la presenza, nella compagine sociale, di un socio sovventore costituito da un fondo mutualistico – mira a realizzare un obiettivo generale di tutela dei lavoratori e in particolare, in una fattispecie di «dissociazione tra datore di lavoro e fruitore della prestazione di lavoro», a garantire quei «particolari controlli e garanzie» richiesti da questa Corte per «prevenire il rischio che l’imputazione del rapporto a persona diversa dall’effettivo utilizzatore si presti a forme di elusione delle tutele del lavoratore» (sentenza n. 250 del 2021).

Così facendo, il legislatore ha compiuto un bilanciamento ragionevole tra la libertà di iniziativa economica delle agenzie per il lavoro che svolgono attività di somministrazione di manodopera in forma cooperativa ed altre utilità sociali.

Quanto all’individuazione dell’utilità sociale, infatti, non può dubitarsi che, nel relativo ambito, vadano ricomprese, attesa la peculiarità dell’attività interpositoria in esame, la tutela del lavoratore e il buon funzionamento del mercato del lavoro; e ciò tanto più quando, come nella specie, la norma non ha contenuto preclusivo di un’attività, ma si limita a prevedere uno specifico requisito per il suo esercizio.

7.3.– Anche le censure di violazione degli artt. 3 e 41 Cost., quindi, non sono fondate.

8.– Sia il giudice rimettente che la Manutencoop hanno argomentato la presenza di un vulnus ai parametri costituzionali invocati anche sul presupposto che la disposizione censurata, «oltre ad imporre la presenza del fondo mutualistico nella compagine sociale» come socio sovventore, obbligherebbe la società cooperativa «ad aderire alle associazioni nazionali di rappresentanza e tutela del movimento cooperativo, dalle quali i fondi mutualistici promanano».

Di conseguenza, ad avviso del Consiglio di Stato e della parte costituita, ad una cooperativa sarebbe preclusa l’attività di intermediazione, non solo se «non presenta un socio sovventore che sia fondo mutualistico [ma anche] se non aderisce previamente ad uno degli organismi associativi nazionali esistenti».

L’argomentazione dell’ordinanza di rimessione, tuttavia, non attiene al contenuto precettivo della norma oggetto del giudizio di costituzionalità, ovvero di altra normativa dalla quale evincere tale obbligo di associazione, ma riflette quanto accaduto nel caso di specie non in forza di una previsione di legge, bensì per effetto di scelte delle parti. Infatti, il fondo mutualistico Coopefond ha deciso di recedere da Manutencoop, perché a sua volta quest’ultima aveva abbandonato l’associazione nazionale LegaCoop, essendosi posta «in posizione marcatamente concorrenziale» con le imprese ad essa aderenti.

Tuttavia, la norma censurata – nell’imporre la presenza, nella compagine sociale delle cooperative che svolgono somministrazione di manodopera, di un fondo mutualistico in qualità di socio sovventore – non richiede che le società aderiscano all’associazione nazionale che lo ha istituito, né tale obbligo deriva dagli artt. 11 e 12 della legge n. 59 del 1992 richiamati dal rimettente.

Premesso che una previsione atta a interferire con la libertà di associazione (art. 18 Cost.) non può certamente essere desunta in via interpretativa, va osservato che i menzionati artt. 11 e 12, nel disciplinare la costituzione, le finalità e le attività dei fondi mutualistici, nulla dicono quanto ad eventuali forme di adesione alle associazioni nazionali riconosciute da parte delle società cooperative di cui questi fondi diventano soci.

Ciò del resto si giustifica perché l’attività di «promozione e [di] finanziamento di nuove imprese e [le] iniziative di sviluppo della cooperazione», che costituiscono l’oggetto esclusivo dei fondi mutualistici (art. 11, comma 2), sono rivolte al sistema cooperativo complessivamente inteso e, quindi, anche a società cooperative che non aderiscono alle associazioni nazionali riconosciute che li hanno istituiti.

Poiché, ai sensi del comma 3 del citato art. 11, i fondi mutualistici, per realizzare le proprie finalità, possono, tra l’altro, assumere partecipazioni in società cooperative, deve ritenersi che ben possa uno di questi fondi entrare a far parte di una società cooperativa (ossia assumere in essa una partecipazione) che non aderisce all’associazione rappresentativa che lo ha istituito.

In conclusione, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente e dalla Manutencoop, le società cooperative che intendano svolgere attività di somministrazione di manodopera possono soddisfare il requisito imposto dalla norma censurata – l’acquisizione di un fondo mutualistico come socio sovventore – senza dover, necessariamente, aderire ad un’associazione nazionale riconosciuta per la rappresentanza del movimento cooperativo.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41, 45 e 76 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione terza, con l’ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 maggio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2022.