Sentenza n. 173 del 1994

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SENTENZA N. 173

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art.206, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il 22/4-13/5/1993 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Maiocco Gianfranco, in proprio e nella qualità, contro il Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato ed altri, iscritta al n.778 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visti gli atti di costituzione di Maiocco Gianfranco, in proprio e nella qualità, della s.p.a. Barclays Financial Service Italia e di Pandiani Luciano, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice relatore Renato Granata;

 

uditi l'avv. Marcello Adornato per Maiocco Gianfranco, l'avv.Giuliano Berruti per la s.p.a. Barclays FinancialService Italia, l'avv. Alberto Jorio per Pandiani Luciano e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. A seguito di ricorso di Maiocco Gianfranco, quale amministratore e socio accomandatario della società SICMU s.a.s. di G. Maioco & C. in amministrazione straordinaria, diretto all'annullamento del decreto del 2 agosto 1991 con cui il Ministro dell'industria, commercio e artigianato autorizzava il commissario straordinario della società suddetta a transigere le controversie pendenti nei confronti del Gruppo Barclays accettando la proposta transattiva formulata dalla Barclays Bank - ricorso fondato (tra l'altro) sulla doglianza, espressa dal ricorrente, di non essere stato messo a conoscenza dell'operazione, se non successivamente alla sua definizione - l'adito T.A.R del Lazio ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 206, comma 2, r.d. 16 marzo 1942 n.267 (legge fallimentare) in via principale nella parte in cui, nel precisare la procedura da seguire per il compimento degli atti indicati nell'art. 35 l.fall., non prevede nel suo contesto anche l'audizione del debitore; in via subordinata, nella parte in cui, nel richiamare l'art. 35 cit. per l'individuazione degli atti cui applicare la procedura prevista dal medesimo art. 206, comma 2, non prevede altresì il richiamo dell'ultimo comma dell'art. 35 stesso.

 

In particolare il tribunale rimettente - affermata pregiudizialmente la propria giurisdizione e respinta preliminarmente l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della società Barcklays, costituita in giudizio, sul rilievo che l'avvenuta esecuzione della transazione non escludeva che la stessa potesse essere privata ex tunc del relativo fondamento giuridico con conseguente piena efficacia ripristinatoria della situazione qua ante - osserva nel merito che la doglianza del ricorrente avrebbe dovuto ritenersi infondata giacchè la normativa vigente non prescrive, per atti quali la transazione stipulata dal commissario straordinario, la previa audizione dell'amministratore della società in liquidazione.

 

Infatti il rinvio operato dall'art. 206 l. fall. al precedente art. 35 riguarda unicamente la determinazione degli atti da sottoporre alla relativa procedura, con esclusione quindi della disposizione dell'ultimo comma dell'art. 35 stesso, che (per un serie di atti, tra cui la transazione, compiuti dal curatore fallimentare nell'ordinaria procedura fallimentare) prevede che venga sentito ove possibile il fallito.

 

Ma in tale parte l'art. 206, comma 2, cit. contrasta con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede nel suo contesto, per il compimento degli atti ivi indicati, anche l'audizione del debitore (sottoposto a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria). In particolare il T.A.R. rimettente richiama la decisione di questa Corte (n.181 del 1987) , con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 209, comma 1, l. fall., applicato all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, nella parte in cui non prevede che l'imprenditore individuale o gli amministratori della società o della persona giuridica soggetti ad amministrazione straordinaria siano sentiti dal commissario con riferimento alla formazione dello stato passivo. La ratio sulla quale è stato ritenuto fondato il dubbio di incostituzionalità dell'art. 209, comma 1, può riproporsi - secondo il TAR rimettente - anche nei confronti dell'art. 206, comma 2, essendo del tutto irragionevole che l'imprenditore individuale o gli amministratori della società in amministrazione straordinaria debbano essere sentiti dal Commissario per quanto concerne la formazione dello stato passivo (tra cui rientra l'elenco dei crediti ammessi o respinti) e non lo debbano essere, invece, per il compimento degli atti di cui all'art. 35 l. fall., mediante i quali si può incidere parimenti sull'ammissione o meno di crediti.

 

Inoltre la prescrizione che solo il fallito debba essere previamente sentito nell'ordinaria procedura fallimentare, seppur "in quanto possibile" (ex art. 35, u. co.), comporta anche una irragionevole disuguaglianza tra debitori in relazione al tipo di procedura concorsuale, se quella ordinaria fallimentare o quella di liquidazione coatta amministrativa (a cui l'amministrazione straordinaria è sostanzialmente equiparata). Altresì appare ingiustificata la mancata partecipazione in ogni caso alla relativa procedura di detti soggetti, quando ormai anche per procedimenti di modesta entità economica viene assicurato il diritto degli interessati a parteciparvi (v. art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241). Sotto altro profilo poi la mancata possibilità a favore del debitore (sottoposto a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria) di esporre le proprie ragioni in occasione del compimento degli atti di cui all'art. 35 l. fall. viene a compromettere in modo rilevante anche la tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. giacchè, qualora tali ragioni fossero esposte, i relativi organi della procedura potrebbero operare una più ponderata valutazione della proposta transattiva e della sua convenienza in relazione ai vari interessi da tener presenti.

 

In via subordinata ritiene poi il T.A.R. rimettente che l'art. 206, 2 comma, contrasti con gli evocati parametri nella parte in cui richiama il precedente art.35 solo per la individuazione degli atti cui è applicabile la procedura, senza prevedere anche l'audizione del fallito o debitore in quanto possibile, così come contempla l'ultimo comma di quest'ultima disposizione. É infatti irragionevole una maggior tutela del fallito nella procedura ordinaria (sia pure nei limiti di cui all'art. 35, ultimo comma, l. fall.) rispetto al debitore sottoposto a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria richiedendosi per tutti il presupposto comune dello stato di insolvenza.

 

La questione è rilevante - precisa infine il TAR rimettente - anche perchè non è condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la mancata audizione del fallito non incide sulla validità dell'eventuale transazione non di meno stipulata dal curatore fallimentare, essendo invece preferibile la diversa interpretazione secondo cui l'autorità preposta alla procedura deve valutare se l'audizione del fallito sia possibile e, qualora sia mancata ogni valutazione o sia stata omessa tale audizione nonostante il risultato positivo della relativa valutazione, l'autorizzazione che ne sia seguita è invalida.

 

2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile od infondata.

 

Innanzi tutto l'Avvocatura ritiene che il ricorrente Maiocco - che ha proposto ricorso "in proprio e quale amministratore e socio accomandatario della s.a.s. SICMU di G. Maiocco & C." - non è in realtà legittimato a rappresentare la società, come organo in carica della stessa in quanto questa è rappresentata solo dal commissario. Nè residua la legittimazione in proprio in quanto socio accomandatario responsabile per i debiti della società non avendo lo stesso Maiocco addotto tale ragione di legittimazione.

 

Inoltre il Maiocco non può dolersi (perchè affatto estraneo) del fatto che la s.a.s. Sicmu (già sottoposta a procedura fallimentare prima ancora che ad amministrazione straordinaria) abbia transatto una controversia con la Barclays Bank relativa alla revocatoria azionata dal curatore dell'anteriore fallimento in quanto le revocatorie fallimentari sono esperite non certo a vantaggio del fallito (e men che mai degli ex amministratori o dei soci della società fallita), bensì esclusivamente nell'interesse della amministrazione fallimentare (o straordinaria) e della massa dei creditori. Infine - come ulteriore profilo di inammissibilità - l'Avvocatura censura l'ordine logico in cui sono state esaminate le censure mosse dal ricorrente nei confronti dell'atto autorizzatorio impugnato perchè il TAR rimettente avrebbe dovuto valutare preliminarmente il secondo motivo del ricorso (attinente alla convenienza della transazione) e non già il primo (relativo alla fase istruttoria della proposta transattiva); infatti la reiezione del secondo motivo avrebbe assorbito l'esame del primo motivo.

 

Nel merito l'Avvocatura ritiene non fondata la questione di costituzionalità perchè il giudice rimettente muove dal presupposto non condivisibile di un diretto interesse del fallito a far valere il suo punto di vista in occasione della adozione degli atti e provvedimenti di cui all'art. 35 l. fall. . Invece il fallito è sentito, quando espressamente previsto dalla l. fall. , soltanto in funzione dell'interesse della procedura (e quindi del ceto creditorio), non già del suo stesso interesse, dovendo in particolare escludersi che le ragioni fatte valere dal debitore in sede di formazione dello stato passivo possano legittimarlo, ove quelle ragioni siano (anche ingiustamente) disattese, ad impugnare in qualsiasi modo lo stato passivo stesso.

 

Dunque, l'ipotizzato vizio consistente nella omessa audizione del fallito (o del soggetto sottoposto ad amministrazione straordinaria) non potrebbe in alcun caso esser fatto valere con una autonoma azione di nullità, ma potrebbe al più essere dedotto solo con altro rimedio (quale l'impugnazione ex art. 100 l. fall. dei crediti ammessi); ciò peraltro soltanto in caso di mancata audizione del fallito nella formazione dello stato passivo, mentre nel diverso contesto dell'art. 35 l. fall. la mancata audizione non può avere neppure tale rilevanza indiretta.

 

Da ultimo rileva l'Avv.ra che la specialità della procedura di amministrazione straordinaria esclude che possa essere invocata la disciplina del fallimento come tertium comparationis.

 

3. Si è costituita la parte privata Maiocco aderendo alla prospettazione dell'ordinanza e chiedendo la declaratoria di incostituzionalità della norma censurata.

 

4. Si è costituita anche la procedura di amministrazione straordinaria della SICMU s.a.s. in persona del Commissario liquidatore chiedendo (anche con successiva memoria) che la questione sia dichiarata infondata ed in particolare sostenendo che l'omissione, nell'art. 206 l. fall., della previsione di consultazione dell'imprenditore è riconducibile alla più accentuata autonomia riconosciuta dalla legge al commissario liquidatore (nella procedura di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria) rispetto a quella riservata al curatore e si giustifica con riferimento ai diversi presupposti e alle differenti finalità che presiedono alle rispettive procedure.

 

5. Si è costituita infine la società Barclays Financial Services Italia s.p.a. eccependo pregiudizialmente l'inammissibilità della questione di costituzionalità per difetto di rilevanza nel giudizio a quo giacchè l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 206, comma 2, l. fall. non potrebbe esplicare quella efficacia ripristinatoria della situazione qua ante, con restituzione innanzi tutto delle somme versate, postulata dall'ordinanza di rimessione; nè sarebbe possibile far valere una responsabilità civile per colpa del commissario liquidatore che ha legittimamente operato sulla base della normativa vigente.

 

Nel merito la difesa della società ha poi chiesto che la questione sia dichiarata comunque non fondata, sostenendo in particolare essere diversa la posizione dell'impresa o della società soggetta ad amministrazione straordinaria in ordine al compimento degli atti indicati nell'art. 35 l. fall. In questa ipotesi, infatti, non viene in rilievo la determinazione dello stato di insolvenza o la quantificazione dell'esposizione debitoria, ma il compimento di operazioni di gestione del patrimonio che la legge ha voluto affidare ad un organo appositamente istituito in vista della rilevanza degli interessi pubblici coinvolti nell'amministrazione straordinaria; non è invece configurabile un interesse concreto e giuridicamente rilevante a che il debitore assoggettato alla procedura sia sentito in occasione del compimento delle singole operazioni che la legge attribuisce al Commissario sotto la vigilanza dell'autorità amministrativa. D'altra parte nell'amministrazione straordinaria - a differenza che nel fallimento - prevale l'elemento pubblicistico, sicchè appare logico che venga data minore importanza all'audizione degli amministratori di un'impresa o di una società che sono stati estromessi dalla gestione, prevedendo la legge altri e più penetranti tipi di controllo funzionalizzati al coordinamento dell'amministrazione straordinaria dell'impresa in crisi con gli interessi della pubblica economia e dell'occupazione.

 

Considerato in diritto

 

1. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt.3 e 24 Cost. - dell'art. 206, comma 2, r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (legge fallimentare) nella parte in cui non prescrive, obbligatoriamente e in ogni caso, la previa audizione del debitore sottoposto a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria per il compimento degli atti indicati dalla medesima disposizione (tra cui le transazioni) per sospetta violazione: - del principio di ragionevolezza perchè è prevista (dal successivo art. 209, comma 1, come emendato dalla sentenza n. 181 del 1987 di questa Corte) tale audizione per la formazione dello stato passivo e non invece anche per il compimento di atti (quali quelli indicati dall'art. 35) che possono incidere parimenti sull'ammissione, o meno, di crediti con conseguente ingiustificato sacrificio degli interessi del debitore medesimo;- del diritto alla tutela giurisdizionale perchè il debitore non è posto nella condizione di esporre le sue ragioni che potrebbero indurre gli organi della procedura di liquidazione ad una diversa valutazione degli atti da compiere, tanto più che analoga partecipazione è in generale prevista in procedimenti amministrativi di minor rilievo (ex art. 7 l. n.241/90);- del principio di eguaglianza perchè, mentre è previsto che il fallito sia sentito, seppur < < in quanto possibile>>, in relazione al compimento degli atti di cui all'art. 35 l. fall., analoga audizione non è prescritta per il debitore sottoposto a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria.

 

In via subordinata il medesimo art. 206 cit. è poi censurato (in riferimento ai medesimi parametri) nella parte in cui richiama il precedente art. 35 solo per la individuazione degli atti cui è applicabile la procedura, senza prevedere anche l'audizione del fallito o debitore < < in quanto possibile>>, secondo quanto contemplato dall'ultimo comma di quest'ultima disposizione, per sospetta violazione: - del principio di eguaglianza per l'ingiustificata disciplina differenziata applicabile al fallito ed al debitore sottoposto a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria dovendo il primo essere sentito < < in quanto possibile>> nei casi di cui all'art. 35, u. co., mentre del secondo non è in nessun caso prevista l'audizione;- del diritto alla tutela giurisdizionale (sotto il medesimo profilo indicato in via principale).

 

2. Premesso che le censure di incostituzionalità, ancorchè riferite testualmente al solo art. 206, comma 2, l. fall., devono in realtà intendersi proposte (come indirettamente può desumersi dalla stessa ordinanza) con riguardo al combinato disposto dalla medesima norma e dell'art. 1, comma 6, d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, convertito in legge 3 aprile 1979 n. 95, che ne statuisce l'applicabilità alla procedura di amministrazione straordinaria, vanno pregiudizialmente esaminate le eccezioni di inammissibilità della questione di costituzionalità come sopra posta. Deve in particolare verificarsi se la questione di costituzionalità sia inammissibile:

 

a) per difetto di rilevanza, perchè un'eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma censurata non potrebbe incidere sull'efficacia e sulla validità dell'intervenuta transazione;

 

b) per difetto di legittimazione ad agire del ricorrente nel giudizio amministrativo proposto innanzi al TAR Lazio, giudice rimettente;

 

c) per difetto di interesse ad agire del ricorrente medesimo perchè la transazione autorizzata con l'atto impugnato afferisce al (precedente) esercizio di una revocatoria fallimentare;

 

d) (ancora) per difetto di rilevanza sotto il profilo che il corretto ordine logico dell'esame delle censure mosse dal ricorrente nei confronti del decreto ministeriale impugnato avrebbe richiesto che il giudice rimettente avesse preliminarmente valutato il secondo motivo del ricorso, attinente alla convenienza della transazione, e non già il primo, relativo alla fase istruttoria della proposta transattiva.

 

3. Nessuna di tali eccezioni può essere accolta.

 

In generale sia il riscontro dell'interesse ad agire che la verifica della legittimazione delle parti sono rimessi alla valutazione del giudice rimettente attenendo entrambi alla rilevanza dell'incidente di costituzionalità e non sono suscettibili di riesame ove sorretti da una motivazione non implausibile (v. sent.n.124 del 1968, n.17 del 1960, n.24 del 1959), qual è quella nella specie espressa dal TAR nell'ordinanza di rimessione.

 

3.1. D'altra parte mette conto rilevare, quanto all'incidenza del domandato annullamento dell'impugnata autorizzazione ministeriale sulla validità della transazione, che ciò rappresenta un posterius rispetto alla pronuncia richiesta al tribunale rimettente e costituisce questione (eventualmente) rimessa alla giurisdizione di altro giudice secondo il criterio di riparto affermato da ultimo dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sent. n. 5223 del 1989); criterio questo che postula uno sdoppiamento di giurisdizione con riferimento, da un lato, agli atti amministrativi adottati nel quadro della procedura di liquidazione e, dall'altro, ai negozi di diritto privato attinenti ai diritti soggettivi patrimoniali posti in essere nello stesso contesto. E quanto alla effettiva incidenza, in tesi, sulla transazione della mancata audizione del debitore, nonchè quanto al soggetto, in ipotesi, legittimato a farla valere, il (motivato e non implausibile) convincimento espresso dal T.A.R. rimettente, se non è in sintonia con la giurisprudenza e la dottrina prevalenti sul tema della validità in generale della transazione stipulata dal curatore fallimentare senza la previa audizione del fallito, trova però un indiretto conforto in quell'altro indirizzo giurisprudenziale che riconosce in testa anche al debitore legittimazione ed interesse ad impugnare davanti al giudice amministrativo proprio i provvedimenti di autorizzazione al compimento di atti della procedura di amministrazione straordinaria (Cass.S.U. n.12068/90). Mentre, d'altro canto, la individuazione del soggetto legittimato a far valere davanti al giudice ordinario le conseguenze in tesi derivanti sulla transazione dall'eventuale accoglimento di siffatta impugnazione è problema di competenza di quest'ultimo giudice.

 

3.2. Parimenti non implausibile è l'asserita legittimazione del Maiocco, quale amministratore della società SICMU in amministrazione straordinaria, a dolersi della mancata previa audizione della società stessa, atteso che il soggetto al quale fa riferimento l'art. 35 cit. è l'imprenditore assoggettato alla procedura concorsuale, ovviamente rappresentato - come in tutti gli altri casi di sopravvivenza in capo ad esso di una legittimazione straordinaria a contrapporsi in proprio alla procedura medesima - in persona di sè stesso, se soggetto fisico, o dei suoi organi istituzionali, se persona giuridica. Come del resto riconosciuto da questa stessa Corte, quando (sent. n.181 del 1987

) ha affermato, proprio riguardo alla fattispecie parallela dell'art. 209 l. fall. oggi invocata, essere "d'uopo che il commissario ... formi, con l'intervento dell'imprenditore individuale o degli amministratori della società o della persona giuridica in amministrazione straordinaria , l'elenco dei credi tori ammessi o respinti ...".

 

3.3. Quanto infine agli ulteriori profili di inammissibilità è sufficiente rilevare che l'apprezzamento dell'origine della pretesa transatta (assertivamente derivante dal precedente esercizio di un'azione revocatoria fallimentare) come ragione idonea ad escludere ogni interesse della società ricorrente all'annullamento della transazione è questione rimessa al giudice (in ipotesi) successivamente adito per la declaratoria di invalidità dell'atto stesso. Nè è censurabile in questa sede (sent. 43/93; sent. 73/91) l'ordine delle questioni, seguito dal TAR rimettente, peraltro del tutto plausibilmente, atteso che il primo motivo di ricorso era di carattere procedimentale sicchè l'eventuale suo accoglimento avrebbe comportato l'annullamento della autorizzazione impugnata, con assorbimento del secondo motivo concernente la valutazione di convenienza, o meno, della transazione autorizzata.

 

4. Nel merito le questioni, sia principali che subordinate, sono tutte non fondate.

 

4.1. La censura di irragionevolezza intrinseca (art. 3 Cost.) poggia sul rilievo che una volta ritenuto da questa Corte (sent. n. 181 del 1987) costituzionalmente obbligata la previa audizione del debitore ai fini della formazione dello stato passivo sarebbe contraddittorio non riconoscerla obbligata anche in sede di autorizzazione alla transazione, quest'ultima non potendo non influire sullo stato passivo stesso.

 

Questa prospettata contraddittorietà svela però la sua inconsistenza se sol si considera che la formazione dello stato passivo (art. 95 l. fall.) costituisce un atto del tutto diverso dalla transazione sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo. L'accostamento tra tali due atti (enfatizzato dal T.A.R. rimettente) è meramente empirico e fattuale nel senso che la transazione, determinando modifiche di situazioni soggettive afferenti alla procedura concorsuale comporta, o può comportare, effetti conseguenziali sullo stesso stato passivo o sulla massa attiva. Ma si tratta di un'incidenza indiretta e mediata e variamente articolata secondo le contingenze del caso concreto, potendo in ipotesi la transazione riguardare unicamente crediti della procedura ovvero debiti della stessa già ammessi allo stato passivo (sicchè nell'un caso nessuna alterazione ne consegue sullo stato passivo e nell'altro il debitore assoggettato alla procedura deve essere già stato sentito). Ove poi dalla transazione - che in ipotesi avesse ad oggetto debiti non ancora ammessi - residuasse una situazione complessiva di debito per la procedura, questa dovrebbe comunque transitare attraverso l'ammissione allo stato passivo (atteso che in tale evenienza l'art. 95 l. fall. non soffre eccezione) sicchè è fatto salvo il diritto del debitore assoggettato alla procedura di conoscere ogni credito ammesso destinato a concorrere al riparto.

 

Diverso è poi l'interesse del debitore ad essere previamente sentito nelle due fattispecie. Nella formazione dello stato passivo il debitore ha interesse ad avere piena contezza della estensione della situazione debitoria in prospettiva della (ordinaria) sua responsabilità patrimoniale, dopo la restituzione in bonis, per i crediti (o la parte dei crediti) non soddisfatti; interesse che è riconosciuto (dal legislatore nell'art. 95 l. fall. e, dopo il cit. intervento di questa Corte, anche dall'art. 209 l. fall.) con l'attribuzione di una situazione tutelata nella forma dell'obbligo della previa audizione del debitore stesso. Viceversa nella transazione non è identificabile un interesse di identico o analogo contenuto, ma semmai un altro interesse (quale quello alla conoscenza anticipata di dati informativi relativi ad un atto che potrebbe avere un'incidenza indiretta sulla situazione debitoria complessiva) che il legislatore può apprezzare in termini diversi da quello afferente alla formazione dello stato passivo.

 

In conclusione l'obbligo di audizione (affermato nella formazione dello stato passivo) non necessariamente deve estendersi alla fase relativa alla autorizzazione alla transazione (o agli altri atti elencati nell'art. 35 l. fall.) data la diversità delle due situazioni complessivamente considerate.

 

4.2. Quanto alla dedotta violazione del diritto alla tutela giurisdizionale si può osservare che, se la censura deve intendersi più specificamente riferita alla mancata audizione del debitore - in sè considerata - nello svolgimento del procedimento di autorizzazione alla transazione, la invocazione dell'art. 24 Cost. non è pertinente perchè il riconoscimento, o meno, nella fattispecie di un interesse tutelato del debitore in proprio, distinto e autonomo rispetto a quello della procedura sulla quale ricadono direttamente gli effetti della transazione, attiene alla posizione del debitore nel corso ed all'interno del procedimento amministrativo, mentre la proiezione della stessa nel processo rappresenta soltanto una mera conseguenza futura ed ipotetica sicchè la doglianza di denegata tutela giurisdizionale rimane estranea alla fase amministrativa qui considerata. Nè è utile evocare - come fa il T.A.R. rimettente - la legge n.241 del 1990, che (all'art. 7) prescrive il previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale (nella specie l'autorizzazione ministeriale) è destinato a produrre effetti diretti, perchè tali sono quelli che si determinano per la procedura rappresentata dai suoi organi e non già per il debitore personalmente.

 

Se invece si vuole intendere la censura in esame come formulata con riferimento al generale accesso ai mezzi di tutela giurisdizionale, essa è comunque infondata alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione (sent. n. 12068 del 1990 cit.) che riconosce la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine al ricorso del debitore che tale provvedimento impugni.

 

Per le medesime ragioni la questione di costituzionalità è poi non fondata anche nella prospettazione subordinata del giudice rimettente che rappresenta null'altro che un'ipotesi alternativa di pronuncia additiva sul ritenuto (ma insussistente) presupposto del vulnus del diritto alla tutela giurisdizionale.

 

4.3. Infine non sussiste la violazione del principio di eguaglianza (dedotta con le medesime argomentazioni sia in via principale che subordinata e quindi suscettibile di esame congiunto) sotto il profilo che nel fallimento (art. 35 ult. comma) il debitore deve essere sentito "in quanto possibile", mentre nella amministrazione straordinaria non ne è prevista affatto l'audizione.

 

La censura è destituita di fondamento perchè le innegabili differenze strutturali tra le due procedure rendono sufficiente ragione di un diverso apprezzamento degli obblighi gravanti rispettivamente sul curatore fallimentare e sul commissario liquidatore.

 

Questa Corte (sent. n. 218 del 1991) ha già avuto modo di evidenziare la peculiare finalità della procedura di amministrazione straordinaria che - a differenza del fallimento - persegue l'obiettivo - quando possibile - del salvataggio e risanamento dell'impresa in crisi, sottolineando in special modo la < < ...subordinazione dell'interesse particolare dei creditori dell'imprenditore in dissesto ad interessi più generali, correlati al mantenimento in vita dell'impresa...>>; ed è questo coinvolgimento di uno specifico interesse pubblico che giustifica la disciplina differenziata in ordine alla previa audizione del debitore (profilo questo peraltro non di maggiore momento rispetto ad altri aspetti differenziali presi in considerazione dalla medesima pronuncia, quali quelli afferenti ai meccanismi di partecipazione e di consenso dei creditori alla determinazione di continuare l'esercizio dell'impresa, previsti dall'art.90 l. fall. soltanto per il fallimento e non anche per l'amministrazione straordinaria).

 

Quindi, mentre nel fallimento il legislatore ha ritenuto di porre uno specifico obbligo di diligenza per il curatore imponendogli (seppur solo in quanto possibile) di sentire previamente il fallito (al fine di acquisire utili elementi informativi per valutare l'opportunità, o meno, di porre in essere gli atti di cui all'art. 35 l. fall.), invece nell'amministrazione straordinaria ha privilegiato (in funzione del superiore interesse pubblico al risanamento dell'impresa in crisi) la rapidità della procedura astenendosi dal porre un tale obbligo, senza che peraltro ciò significhi esclusione in ogni caso della (mera) facoltà del commissario liquidatore, ove lo ritenga opportuno, di consultare (al medesimo fine) il debitore assoggettato alla procedura.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 206, comma 2, r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (Disciplina del fallimento, del con cordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27/04/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Renato GRANATA, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 05/05/94.