SENTENZA N. 278
ANNO 2020
Commenti alla decisione di
I. Gian Luigi
Gatta, Emergenza
Covid e sospensione della prescrizione del reato:
la
Consulta fa leva sull’art. 159 c.p. per escludere la violazione del principio di
irretroattività ribadendo al contempo la natura sostanziale della prescrizione,
coperta dalla garanzia dell’art. 25, co. 2 Cost., per g.c. di Sistema
Penale
II. Giuseppe Santalucia, La
sospensione della prescrizione dei reati in tempi di pandemia. La Corte
costituzionale promuove la legislazione dell’emergenza, per g.c. di Questione
Giustizia
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela
NAVARRETTA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del decreto-legge
17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale
e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse
all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella
legge 24 aprile 2020, n. 27, e dell’art. 36, comma 1, del decreto-legge
8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di
adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici,
nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini
amministrativi e processuali), convertito, con modificazioni, nella legge 5
giugno 2020, n. 40, promossi dal Tribunale ordinario di Siena con due
ordinanze del 21 maggio 2020, dal Tribunale ordinario di Spoleto con ordinanza
del 27 maggio 2020 e dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanza del 3 luglio
2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri
112, 113, 117 e
132
del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica numeri 34 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti l’atto di costituzione di A. P., nonché gli atti di intervento di N.
S., E. S., G. T., C. S. e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 18 novembre
2020 il Giudice relatore Nicolò Zanon, sostituito per la redazione della
decisione dal Giudice Giovanni Amoroso;
uditi gli avvocati Andrea Longo e Massimo Togna
per A. P. e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 18 novembre 2020.
1.– Con ordinanza del 21 maggio 2020 (r. o. n. 112 del 2020) il Tribunale
ordinario di Siena ha sollevato, in riferimento all’art. 25, secondo
comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 83, comma 4, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di
potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per
famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da
COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27.
1.1.– Il rimettente riferisce di essere chiamato a celebrare un
dibattimento per reati edilizi commessi, secondo la contestazione, tra il 20
aprile 2015 (capo A dell’imputazione) e il 24 aprile 2017 (capo B).
Per i fatti più risalenti – qualificati ex art. 44, comma 1, lettera c), in
relazione all’art. 32, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante
«Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia. (Testo A)» – il giudice a quo individua la decorrenza del termine
prescrizionale alla data del 20 aprile 2015, indicando in cinque anni la durata
del medesimo termine, con scadenza, quindi, al 20 aprile 2020.
Ciò premesso, il rimettente pone in evidenza come un «differimento urgente
delle udienze e una sospensione dei termini» fossero stati disposti, con
decorrenza dal 9 marzo 2020 e fino al 22 marzo successivo, mediante il
decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11 (Misure straordinarie ed urgenti per
contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti
negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria), poi decaduto per mancata
conversione e, comunque, espressamente abrogato ex art. 1, comma 2, della
citata legge n. 27 del 2020.
Il rimettente dà atto, inoltre, che gli effetti del provvedimento erano
stati prolungati, sempre con decorrenza dal 9 marzo precedente, fino al 15
aprile 2020, per effetto dei commi 1 e 2 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 e
che una dilazione ulteriore era intervenuta con l’art. 36, comma 1, del
decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al
credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori
strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di
termini amministrativi e processuali), convertito, con modificazioni, nella
legge 5 giugno 2020, n. 40. La norma stabiliva appunto che il termine previsto
ai commi 1 e 2 del citato art. 83 fosse prorogato all’11 maggio 2020.
Con il comma 4 dello stesso art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, è stato, poi,
disposto che, in corrispondenza della sospensione dei termini sancita dal
precedente comma 2, restasse sospesa anche la decorrenza del termine di
prescrizione del reato.
1.2.– Premesso il quadro normativo, in punto di rilevanza, il giudice a quo
osserva in primo luogo che la norma censurata, al fine di identificare i reati
interessati dalla sospensione del termine prescrizionale, richiama i
procedimenti indicati al precedente comma 2 (cioè quelli con sospensione dei
termini processuali) e non quelli definiti al precedente comma 1 (cioè quelli
con udienze a rinvio obbligatorio). Ad avviso del rimettente, tale dato non
giustificherebbe la tesi secondo cui la sospensione del termine prescrizionale
sarebbe esclusa per i giudizi interessati da rinvii d’udienza, perché se così
fosse la sospensione della prescrizione resterebbe inapplicata nella totalità
dei procedimenti in cui sia stato disposto un rinvio di udienza, in contrasto
con la ratio legis.
Del resto, osserva ancora il rimettente, la disciplina originariamente
prevista dal d.l. n. 11 del 2020 ancorava proprio al meccanismo del rinvio di
udienza l’operatività della sospensione del corso della prescrizione.
In ragione di siffatti rilievi, il giudice a quo ritiene che la
prescrizione del reato contestato al capo A) debba intendersi sospesa in virtù
della disposizione censurata, per complessivi sessantatré giorni, dovendosi
pertanto, posticipare al 22 giugno 2020 il decorso del termine massimo di
prescrizione. Tale effetto sospensivo conseguirebbe al differimento,
all’udienza del 14 maggio 2020, di quella originariamente fissata al 7 maggio,
disposto con provvedimento del 29 aprile 2020.
In sintesi, il fatto che nel giudizio a quo si fosse registrato un rinvio
dell’udienza, originariamente fissata per il 7 maggio 2020, non varrebbe ad
escludere l’operatività della sospensione della prescrizione del reato.
Inoltre, il rimettente afferma che nella specie mancherebbero le condizioni
per un proscioglimento degli imputati a norma dell’art. 129, comma 2, del
codice di procedura penale, e che dunque il giudizio non potrebbe essere definito
senza stabilire se il reato più risalente, tra quelli contestati, debba
considerarsi estinto nonostante l’intervenuta sospensione ex lege del termine
prescrizionale.
1.3.– Il rimettente argomenta, poi, che l’istituto della prescrizione
presenterebbe un profilo «statico», pertinente alla disciplina sostanziale del
reato, ed uno «dinamico», attinente alla progressione del procedimento penale.
Nell’ordinamento italiano, l’istituto avrebbe carattere sostanziale, come
stabilito dalla giurisprudenza di legittimità e dalla stessa giurisprudenza
costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 115 del
2018, ordinanza
n. 24 del 2017).
La conseguente soggezione della disciplina al principio di legalità
(secondo comma dell’art. 25 Cost.), e dunque al divieto di applicazione
retroattiva delle variazioni con effetti negativi, si estende, secondo il
giudice a quo, anche alle regole concernenti la sospensione e la interruzione
del termine prescrizionale (ordinanza n. 24 del
2017).
Pertanto, l’applicazione della norma censurata a reati commessi prima della
sua introduzione determinerebbe una violazione del citato parametro
costituzionale.
A tale proposito, il giudice a quo, nel dichiarato intento di verificare la
possibilità di un’interpretazione adeguatrice, valuta
la tesi secondo cui – con l’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020 – si
sarebbe semplicemente fatta un’applicazione della norma (antecedente ai fatti)
fissata nel primo comma dell’art. 159 del codice penale, laddove è stabilito
che «[i]l corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la
sospensione del procedimento o del processo penale […] è imposta da una
particolare disposizione di legge».
Il legislatore però non avrebbe introdotto una norma espressa sulla
sospensione della prescrizione, se avesse inteso il differimento generale delle
udienze alla stregua di una sospensione dei processi.
In effetti – a parere del rimettente – la tesi confutata istituisce
arbitrariamente una coincidenza tra la nozione di sospensione del processo e
quella di rinvio dell’udienza, alla quale soltanto si riferisce il comma 1 del
citato art. 83 del d.l. n. 18 del 2020. Dovrebbe tenersi conto invece, per un
verso, delle differenze lessicali che separano le previsioni a confronto, e per
altro verso considerare la sistematica del processo, che contempla ipotesi di
rinvio dell’udienza senza sospensione del procedimento, ed ipotesi di
sospensione del procedimento senza rinvio dell’udienza.
Né rileva il carattere emergenziale o comunque eccezionale del contesto nel
quale la disciplina in questione è stata dettata. Come stabilito anche dalla
giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 1146
del 1988 e ordinanza
n. 24 del 2017), il principio di legalità è principio supremo
dell’ordinamento, come tale insuscettibile di deroghe.
In definitiva, il legislatore avrebbe introdotto una disciplina della
prescrizione con effetti sfavorevoli per l’autore del reato, direttamente ed
esclusivamente dettata dal comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, e
strutturalmente destinata ad operare anche con riguardo ai fatti commessi in
epoca antecedente al 9 marzo 2020, risultando per questa parte in contrasto con
l’art. 25, secondo comma, Cost.
2.– Con distinti atti del 3 agosto 2020 sono intervenuti nel giudizio di
costituzionalità N. S., G. T., C. S. ed E. S., chiedendo che l’art. 83 del d.l.
n. 18 del 2020 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo.
3.– In data 4 settembre 2020, in applicazione dell’art. 4-ter delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, è stata depositata
una opinione scritta a cura dell’associazione “Italiastatodidiritto”,
avente sede a Milano, con uno scopo statutario ampiamente descritto, ed
essenzialmente incentrato sul contributo degli associati, studiosi di temi
giuridici, per l’affermazione e per la tutela dei diritti fondamentali di
singoli e gruppi.
Nella veste di amicus curiae,
l’associazione sollecita una dichiarazione di illegittimità costituzionale del
comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, per l’asserito suo contrasto con
l’art. 25, secondo comma, Cost.
3.1.– In data 8 settembre 2020, in applicazione dell’art. 4-ter delle Norme
integrative, è stata depositata una opinione scritta a cura dell’associazione
forense “Unione camere penali italiane” (UCPI), avente sede a Roma, che la
Corte costituzionale ha già riconosciuto come ente rappresentativo
dell’avvocatura penale italiana (è citata la sentenza di questa
Corte n. 180 del 2018).
Nella veste di amicus curiae,
l’associazione sollecita una dichiarazione di illegittimità costituzionale del
comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, per l’asserito suo contrasto con
l’art. 25, secondo comma, Cost.
4.– Con atto depositato l’8 settembre 2020, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è
intervenuto nel giudizio, chiedendo che la questione sia dichiarata non
fondata.
In particolare, secondo la difesa dello Stato, la norma censurata
disciplina la sospensione del termine prescrizionale in corrispondenza di una
sospensione dei procedimenti; in ciò consisterebbe l’oggetto sostanziale della
disciplina, concernente i termini processuali, stabilita al comma 2 dello
stesso art. 83 del d.l. n. 18 del 2020.
Non sarebbe dubbio, quindi, che la sospensione dei termini valga anche per
procedimenti relativi a reati commessi prima del provvedimento governativo. E
tuttavia ciò non implicherebbe la violazione del divieto di applicazione
retroattiva della legge, perché già l’art. 159 cod. pen.
(norma certamente preesistente ai fatti) stabilisce la sospensione del termine
prescrizionale quando questa sia prevista, come nel caso di specie, da una
particolare disposizione di legge.
Il diritto alla previa conoscenza delle conseguenze del proprio agire è
soddisfatto dalla consapevolezza che la corsa della prescrizione potrà essere
interrotta da evenienze di vario genere (come dimostra il variegato elenco
dell’art. 159 cod. pen.), ma non richiede che i
consociati abbiano contezza ab initio del se, del
come e del quando d’una siffatta eventualità.
5.– In data 27 ottobre 2020, l’Avvocatura generale ha depositato memoria,
ribadendo le argomentazioni, contenute nell’atto di intervento, a sostegno
della non fondatezza della questione di legittimità costituzionale.
6.– Con ordinanza del 21 maggio 2020 (r. o. n. 113 del 2020) il Tribunale
ordinario di Siena ha sollevato, in riferimento all’art. 25, secondo comma,
Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l.
n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2020.
Il rimettente riferisce di essere chiamato a celebrare un dibattimento per
reati edilizi che, in esito ad una specifica disamina delle circostanze del
caso concreto, lo stesso rimettente considera commessi alla data del 16 maggio
2015, indicando poi in cinque anni la durata del termine prescrizionale, con
scadenza, dunque, al 16 maggio 2020.
Ciò premesso, in punto di rilevanza, il rimettente svolge nel merito delle
censure argomentazioni identiche a quelle formulate nell’ordinanza rubricata al
r. o. n. 112 del 2020, da egli stesso deliberata nel medesimo giorno.
6.1.– Con atto del 3 agosto 2020 sono intervenuti anche nel presente
giudizio di costituzionalità N. S., G. T., C. S. ed E. S., chiedendo che l’art.
83 del d.l. n. 18 del 2020 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo.
6.2.– In data 4 settembre 2020, nella qualità di amicus
curiae, l’associazione “Italiastatodidiritto”,
ha depositato una propria opinione scritta, con lo scopo di sollecitare una
dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 83 del d.l.
n. 18 del 2020, per l’asserito suo contrasto con l’art. 25, secondo comma,
Cost.
Gli argomenti sviluppati nell’atto sono analoghi a quelli già proposti con
l’opinione depositata nell’ambito del giudizio r. o. n. 112 del 2020.
7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale, è intervenuto nel giudizio con atto depositato l’8
settembre 2020, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Gli argomenti sviluppati nell’atto di intervento ricalcano quelli proposti
con l’analogo atto concernente il giudizio r. o. n. 112 del 2020.
7.1.– Con memoria depositata in data 28 ottobre 2020, l’Avvocatura generale
ha ribadito le argomentazioni in punto di infondatezza, sviluppando le stesse
considerazioni di quelle contenute nella memoria depositata, in pari data, nel
giudizio r. o. n. 112 del 2020.
8.– Con ordinanza del 27 maggio 2020 (r. o. n. 117 del 2020) il Tribunale
ordinario di Spoleto ha sollevato, in riferimento all’art. 25, secondo comma,
ed all’art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all’art.
7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, «come
modificato» dall’art. 36 del d.l. n. 23 del 2020.
9.– Il rimettente, in punto di rilevanza, riferisce di procedere nei
confronti di persona imputata del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale di
cui all’art. 341-bis cod. pen., per il quale il
termine di prescrizione, tenuto conto degli atti interruttivi, sarebbe maturato
il 5 aprile 2020, in assenza della sospensione disposta con la norma censurata
che ha, invece, determinato la proroga della scadenza al 7 giugno 2020.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo afferma che il
divieto di applicazione retroattiva della norma sostanziale di diritto penale,
volto ad assicurare la certezza di libere scelte di azione, si applica anche
alla disciplina della prescrizione (sono citate le sentenze di questa
Corte n. 115 del 2018, n. 324 del 2008
e n. 364 del
1988, nonché l’ordinanza
n. 24 del 2017).
Per questa ragione, a parere del giudice a quo, il disposto dell’art. 159
cod. pen., nella parte in cui si riferisce a norme
particolari che prevedano la sospensione di termini prescrizionali, dovrebbe
essere riferito solo a norme presenti nello stesso codice penale, o comunque
introdotte da leggi antecedenti al fatto cui deve applicarsi la disciplina
della prescrizione.
Una interpretazione costituzionalmente orientata dovrebbe mirare ad
escludere che l’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020 si applichi a reati
commessi prima del provvedimento governativo. Ma si tratterebbe di una
interpretazione contro il tenore letterale, dato che, nel definire il campo di
applicazione della norma censurata, il legislatore si è riferito a procedimenti
pendenti (nel cui ambito i termini processuali sono stati sospesi), e dunque
necessariamente concernenti reati antecedenti. Né la disciplina può essere
riferita solo a reati commessi dopo il 9 marzo 2020 e prima della data finale
di scadenza della sospensione, perché in sostanza si avrebbe una abrogazione
tacita della norma, che ha avuto ben altra finalità.
La questione di costituzionalità, d’altra parte, non potrebbe essere
risolta attribuendo alla norma una natura processuale, evocando la
giurisprudenza sovranazionale in materia di prescrizione (sono citate le sentenze della Corte europea
dei diritti dell’uomo 22 giugno 2000, Coëme e altri
contro Belgio; 20 settembre
2011, Neftyanaya Kompaniya
Yukos contro Russia). La CEDU, osserva ancora il rimettente, definisce
standard minimi di tutela, ma certo non azzera o riduce gli spazi maggiori di
garanzia accordati ai singoli diritti nelle Carte nazionali.
Irreparabile resterebbe, infine, la lesione del diritto all’oblio, la cui
garanzia è stata più volte riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale
quale obiettivo della disciplina in materia di prescrizione (sono citate le ordinanze di questa
Corte n. 24 del 2017 e n. 143 del 2014).
10.– In data 4 settembre 2020, nella qualità di amicus
curiae, l’associazione “Italiastatodidiritto”,
ha depositato una propria opinione scritta, con lo scopo di sollecitare una
dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 83 del d.l.
n. 18 del 2020, per contrasto con l’art. 25, secondo comma, Cost., e con l’art.
117, primo comma, Cost., in relazione quest’ultimo all’art. 7 CEDU.
Gli argomenti sviluppati nell’atto sono analoghi a quelli già proposti con
l’opinione depositata nell’ambito dei giudizi r. o. n. 112 e n. 113 del 2020.
11.– In data 8 settembre 2020, l’associazione forense UCPI, nella qualità
di amicus curiae, ha
depositato una propria opinione scritta, con lo scopo di sollecitare una
dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 83 del d.l.
n. 18 del 2020, per contrasto con l’art. 25, secondo comma, Cost., formulando
osservazioni analoghe a quelle già proposte con l’opinione depositata
nell’ambito del giudizio iscritto al r. o. n. 112 del 2020.
12.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale, è intervenuto nel giudizio con atto depositato l’8
settembre 2020, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente
infondate.
Gli argomenti sviluppati nell’atto di intervento ricalcano in parte quelli
proposti con l’analogo atto concernente i giudizi iscritti al r. o. n. 112 e n.
113 del 2020.
13.– Con ordinanza del 3 luglio 2020 (r. o. n. 132 del 2020), il Tribunale
ordinario di Roma ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art.
83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, nella
legge n. 27 del 2020, e dell’art. 36 del d.l. n. 23 del 2020, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 40 del 2020, in riferimento all’art. 25, secondo comma,
Cost., e all’art.
117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art.
7, comma 1, CEDU ed all’art.
49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata
a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
L’art. 36, comma 1, è censurato nella misura in cui proroga all’11 maggio 2020
il termine previsto dall’art. 83, commi 1 e 2.
14.– Il rimettente fornisce una descrizione analitica circa l’andamento del
giudizio a quo, concernente un reato di calunnia (art. 368 cod. pen.) e pendente in fase dibattimentale fin dal novembre
del 2016, con ripetuti eventi di interruzione e sospensione del corso del
termine prescrizionale, ed anche con rinvii d’udienza determinati dalla recente
legislazione d’emergenza.
In sintesi, il giudice a quo osserva che nell’assenza della sospensione
disposta dalle norme censurate, il reato in contestazione si sarebbe estinto
per prescrizione alla data del 22 aprile 2020. Di qui, secondo il rimettente,
la rilevanza delle questioni sollevate.
15.– Il Tribunale, dopo l’analitico esame delle norme connesse
all’emergenza sanitaria e della loro successione, osserva, in sintesi, come il
legislatore abbia voluto per un verso disporre il rinvio di tutti i procedimenti
penali oltre un dato termine (termine oggetto di progressive dilazioni e da
ultimo fissato all’11 maggio 2020), e per altro verso abbia voluto stabilire la
sospensione di tutti i termini processuali, disponendo analoga sospensione
riguardo al tempo necessario per la prescrizione dei reati.
È stata, dunque, istituita una «stretta ed automatica correlazione» tra il
rinvio e la sospensione di procedimenti e termini processuali, da un lato, e la
sospensione della prescrizione, dall’altro. Tale sospensione, d’altronde,
sarebbe chiaramente riferita anche a fatti commessi prima della relativa
previsione, per ragioni logiche ed anche secondo il disposto dell’art. 159 cod.
pen.
Il Tribunale rammenta poi che la prescrizione è istituto del diritto
sostanziale (sono citate le sentenze di questa
Corte n. 115 del 2018, n. 265 del 2017,
n. 143 del 2014,
n. 324 del 2008,
n. 393 del 2006
e n. 275 del
1990, nonché l’ordinanza
n. 24 del 2017), come tale soggetto al divieto di applicazione retroattiva
della legge sfavorevole, che esprime un principio supremo dell’ordinamento (sentenza n. 1146
del 1988 e ordinanza
n. 24 del 2017), presidiato tanto dall’art. 25, secondo comma, che
dall’art. 117, primo comma, Cost.
Inoltre, ad avviso del rimettente, la regola di non retroattività concerne
non solo la disciplina del tempo necessario a prescrivere, ma anche quella
delle interruzioni e delle sospensioni del decorso del relativo termine, in
quanto anch’essa concorre a determinare il limite temporale entro il quale è
possibile per lo Stato far valere la propria pretesa punitiva.
Di conseguenza, sarebbe preclusa al legislatore la possibilità di
introdurre cause di sospensione del termine prescrizionale con effetti valevoli
per reati commessi in epoca antecedente. Ciò sia in applicazione del secondo
comma dell’art. 25 Cost., sia in ragione dell’art. 7, comma 1, CEDU (per il
tramite dell’art. 117, primo comma, Cost.), come interpretato dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo.
Inoltre, il rimettente richiama la sentenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea in materia di prescrizione dei reati che ledono gli
interessi finanziari della stessa Unione (Corte
di giustizia dell’Unione europea, grande sezione, sentenza 5 dicembre 2017, in
causa C-42/17), che ha riferito i principi sanciti dall’art. 7 CEDU alle
tradizioni costituzionali comuni agli Stati dell’Unione, ed ha stabilito che,
in base agli artt. 49 e 51, primo paragrafo, CDFUE, tali Stati non possono
omettere l’applicazione di norme interne che assicurino le garanzie apprestate
da tali norme.
16.– In definitiva la disposizione censurata, introducendo con efficacia
retroattiva una disciplina più sfavorevole della sospensione dei termini di
prescrizione, contrasterebbe col principio di non retroattività della legge
penale e dunque con i parametri indicati.
17.– Con atto depositato in data 8 ottobre 2020, si è costituito in
giudizio A. P., imputato nel procedimento principale, il quale ha chiesto
dichiararsi l’illegittimità costituzionale delle norme censurate aderendo alle
argomentazioni contenute dell’ordinanza di rimessione.
18.– Con atto depositato il 20 ottobre 2020, il Presidente del Consiglio
dei ministri è intervenuto in giudizio, per il tramite dell’Avvocatura
generale.
In particolare, è richiamato il disposto dell’art. 159 cod. pen., nella parte in cui collega una sospensione dei
termini prescrizionali ad «ogni caso in cui la sospensione del procedimento o
del processo penale è imposta da una particolare disposizione di legge»:
condizione questa che sarebbe integrata in ragione di quanto disposto ai commi
1, 2, 4 e 9 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020.
19.– Con memoria depositata in data 6 novembre ottobre 2020, l’Avvocatura
generale ha ribadito la propria richiesta che le questioni sollevate siano
dichiarate non fondate.
1.– Con le ordinanze di rimessione indicate in epigrafe (r. o. n. 112, n.
113, n. 117 e n. 132 del 2020), di cui si è detto in narrativa, i Tribunali
ordinari di Siena, Spoleto e Roma sollevano tutti questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 83, comma 4, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18
(Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno
economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica
da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27,
nella parte in cui dispone la sospensione del termine di prescrizione, con
riferimento ai procedimenti penali indicati nel comma 2 della stessa
disposizione, anche per fatti commessi prima del 9 marzo 2020.
1.1.– Le ordinanze iscritte ai n. 117 e n. 132 del 2020 dei Tribunali di
Spoleto e di Roma sollevano anche questione di legittimità costituzionale
dell’art. 36, comma 1, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti
in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di
poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute
e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali), convertito, con
modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40, nella parte in cui dispone la
proroga all’11 maggio 2020 dei termini posti ai commi 1 e 2 del d.l. n. 18 del
2020.
1.2.– In tutte le ordinanze si prospetta la violazione dell’art. 25,
secondo comma, della Costituzione, che vieta la punizione di alcuno in forza di
una legge entrata in vigore dopo il fatto commesso e che, secondo i rimettenti,
preclude l’applicazione retroattiva delle norme che modificano in senso
peggiorativo la disciplina della prescrizione.
1.3.– Le ordinanze n. 117 e n. 132 del 2020 prospettano anche la violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848, che pone il divieto di applicazione della legge penale a
fatti commessi prima dell’introduzione della legge medesima.
1.4.– L’ordinanza n. 132 del 2020, infine, censura le disposizioni
impugnate anche in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre
2007, la quale vieta di condannare alcuno per un’azione o un’omissione che, al
momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto
interno o il diritto internazionale, e parimenti vieta di infliggere una pena
più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
2.‒ Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dai
Tribunali rimettenti con le richiamate ordinanze, sono sostanzialmente analoghe
sul piano giuridico e si rende, quindi, opportuna la loro trattazione congiunta
mediante riunione dei giudizi.
3.‒ Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità degli
interventi di N. S., G. T., C. S. ed E. S., spiegati in relazione ai giudizi di
legittimità costituzionale originati dalle ordinanze del Tribunale di Siena (n.
112 e n. 113 del 2020), fissati in camera di consiglio.
Ai sensi dell’art. 4, comma 7, delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, come sostituito dall’art. 1 della delibera
di questa Corte in sede non giurisdizionale dell’8 gennaio 2020, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, serie generale, del 22 gennaio
2020, «[n]ei giudizi in via incidentale possono intervenire i titolari di un
interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto
in giudizio».
Tale disposizione ha recepito la costante giurisprudenza di questa Corte in
ordine all’ammissibilità dell’intervento spiegato nei giudizi in via
incidentale da soggetti diversi dalle parti del giudizio principale, secondo
cui i soggetti che non sono parti del giudizio a quo possono intervenire nel
giudizio incidentale di legittimità costituzionale solo ove siano titolari di
un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale
dedotto in giudizio, e non di un interesse semplicemente regolato, al pari di
ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis,
sentenze n. 158
del 2020 con allegata ordinanza letta all’udienza del 10 giugno 2020, n. 119 del 2020,
n. 30 del 2020
con allegata ordinanza letta all’udienza del 15 gennaio 2020, n. 159 e n. 98 del 2019,
n. 217, n. 180 e n. 77 del 2018,
n. 70 e n. 33 del 2015).
Pertanto, in linea con questo orientamento, i soggetti del cui intervento
trattasi, imputati in altri procedimenti penali, non sono parti dei giudizi
principali innanzi al Tribunale di Siena, né sono titolari di un interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in quel
giudizio, ma sono portatori di un interesse semplicemente regolato, al pari di
ogni altro, dalle norme oggetto di censura, cioè l’interesse di tutti coloro
che rivestono la qualità di imputati in giudizi penali pendenti, a non subire
l’incidenza di tali norme sul decorso del termine prescrizionale.
4.‒ Invece, con decreto del Presidente della Corte costituzionale del
12 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative, introdotto
dall’art. 2 della delibera della Corte in sede non giurisdizionale dell’8
gennaio 2020, sono state ammesse le opinioni scritte dall’Associazione “Italiastatodidiritto” e dall’Associazione forense “Unione
camere penali italiane” (UCPI), in qualità di amici curiae,
per la loro idoneità ad offrire elementi utili alla conoscenza e alla
valutazione del caso sottoposto a questa Corte, anche in ragione della sua
complessità.
5.‒ Le ordinanze di rimessione sono state pronunciate nell’ambito di
procedimenti penali – aventi ad oggetto imputazioni per reati edilizi (r. o. n.
112 e n.113 del 2020), per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale di cui
all’art. 341-bis cod. pen. (r. o. n. 117 del 2020) e
per il delitto di calunnia di cui all’art. 368 cod. pen.
(r. o. n. 132 del 2020) – pendenti nella fase del dibattimento, nei quali,
qualora le disposizioni censurate fossero dichiarate incostituzionali, i
giudici rimettenti dovrebbero dichiarare l’estinzione dei reati per essere
decorso il termine massimo di prescrizione; laddove, invece, applicando la
sospensione di tale termine come previsto dalle disposizioni censurate, non
sarebbe maturata la prescrizione dei reati.
Sussiste, quindi, all’evidenza, la rilevanza delle sollevate questioni di
legittimità costituzionale, anche se non può non notarsi la eccessiva durata di
giudizi che già solo in primo grado, ancora in corso, hanno quasi esaurito il
tempo massimo di prescrizione dei reati (che, nel massimo, al netto delle
sospensioni, è di cinque anni per le contravvenzioni edilizie e di sette anni e
mezzo per i delitti di oltraggio a pubblico ufficiale e di calunnia), sì da far
dipendere la risposta di giustizia nel merito delle accuse da una sospensione
della prescrizione di soli sessantaquattro giorni (dal 9 marzo all’11 maggio
2020), quale quella oggetto delle censure di legittimità costituzionale.
5.1.– Tutte le ordinanze di rimessione sono sorrette da ampia motivazione
in ordine alla ritenuta non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità
costituzionale, sicché le sollevate questioni sono certamente ammissibili.
6.‒ Appare necessario richiamare brevemente il contesto normativo
connesso all’emergenza epidemiologica da COVID-19 in tema di svolgimento
dell’attività giudiziaria, nel cui ambito si collocano le disposizioni
censurate.
Il primo intervento emergenziale concernente l’attività giurisdizionale
posto in essere dal Governo per rispondere alle esigenze scaturite
dall’epidemia esplosa sul territorio nazionale si è avuto con il decreto-legge
2 marzo 2020, n. 9 (Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e
imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), il quale, all’art.
10, ha interessato esclusivamente i procedimenti civili e penali pendenti
presso gli uffici giudiziari dei circondari dei tribunali cui appartenevano i
Comuni indicati all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 1° marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23
febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e
gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19).
Con tale provvedimento, con efficacia limitata ai territori ivi indicati,
non solo si era prevista la sospensione dei termini e il rinvio delle udienze,
ma si era altresì stabilito che, a partire dal 3 marzo 2020, il corso della
prescrizione fosse sospeso per il tempo in cui il processo fosse rinviato o i
termini procedurali fossero sospesi e comunque fino al 31 marzo 2020 (art. 10,
comma 10, del citato decreto-legge). Tale iniziale ipotesi di sospensione del
decorso della prescrizione non è investita da alcuna delle ordinanze di
rimessione.
A distanza di pochi giorni, il Governo è intervenuto nuovamente d’urgenza
con il decreto-legge 8 marzo del 2020, n. 11 (Misure straordinarie ed urgenti
per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti
negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria), per disciplinare il
rinvio delle udienze e la sospensione dei termini nei procedimenti civili,
penali, tributari e militari, questa volta con efficacia generalizzata
sull’intero territorio nazionale.
In particolare, all’art. 1, comma 1, si prevedeva che a decorrere dal
giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto medesimo (9 marzo
2020) e sino al 22 marzo 2020, le udienze dei procedimenti civili e penali
pendenti presso tutti gli uffici giudiziari fossero rinviate d’ufficio a data
successiva al 22 marzo 2020. Erano fatti salvi alcuni procedimenti, di
particolare delicatezza e urgenza, indicati all’art. 2, comma 2, lettera g),
del medesimo decreto-legge.
Contestualmente, al comma 2 dello stesso art. 1, si stabiliva anche la
sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei detti procedimenti,
fatti salvi quelli già richiamati. Era previsto, altresì, che ove il decorso
avesse avuto inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso sarebbe
stato differito alla fine di detto periodo di sospensione.
Per il periodo successivo (23 marzo-31 maggio), ai capi degli uffici
giudiziari era stato attribuito il potere di autorizzare provvedimenti di
dilazione degli adempimenti processuali in base alle esigenze del territorio e
in considerazione della situazione epidemica. Non si trattava, però, di una
discrezionalità illimitata, in quanto il comma 4 dell’art. 2 del d.l. n. 11 del
2020 stabiliva che una serie di termini processuali, tra cui anche quelli di
durata della custodia cautelare, e comunque, il termine di prescrizione
restassero sospesi anche per questi giudizi, fatte sempre salve le eccezioni
già indicate, ma solo fino al 31 maggio 2020, sempreché ne fosse stato disposto
il rinvio.
A distanza di nove giorni, il Governo è nuovamente intervenuto con il d.l.
n. 18 del 2020 e, prima ancora che maturassero i termini di decadenza dei dd.ll. n. 9 e n. 11 del 2020 per mancata conversione, detti
provvedimenti sono stati abrogati, con salvezza degli effetti, dall’art. 1,
comma 2, della legge 24 aprile 2020, n. 27 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del
Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e
imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini
per l’adozione di decreti legislativi).
L’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 ha dettato una più mirata ed articolata
disciplina volta a provocare la stasi delle attività processuali nell’ambito
della giurisdizione ordinaria, compresa quella penale. Con tale norma, per quanto
attiene ai processi penali, si è disposto in via generale e obbligatoria, salvo
le eccezioni concernenti alcune tipologie urgenti di procedimento, il rinvio di
ufficio delle udienze a data successiva al 15 aprile 2020 e la sospensione dei
«termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali»
dal 9 marzo al 15 aprile 2020, senza possibilità di intervento da parte dei
capi degli uffici giudiziari (art. 83, commi 1 e 2).
In relazione a tali fattispecie si è anche disposta la sospensione dei
termini di prescrizione, oltre che dei termini di durata massima delle misure
cautelari personali. Ciò è stato previsto dalla disposizione di cui all’art.
83, comma 4, del d.l. citato, norma su cui si appuntano le censure dei
rimettenti.
Si è, poi, sostanzialmente confermato il potere dei capi degli uffici
giudiziari – già previsto dal d.l. n. 11 del 2020 – di adottare non solo misure
organizzative volte a contenere l’afflusso del pubblico, ma anche provvedimenti
di carattere generale, tra i quali, ai fini che qui interessano, assumono
rilievo quelli volti a prevedere la possibilità di disporre il rinvio delle
udienze penali a data successiva al 30 giugno, salvo che per i procedimenti
segnati da particolare urgenza espressamente indicati al comma 3 della
disposizione in questione (art. 83, comma 7, lettera g).
Anche con riferimento a tali discrezionali casi di rinvio delle udienze
penali, si è prevista la sospensione dei termini di prescrizione del reato e di
durata delle misure cautelari, ma fino al 30 giugno, e ciò indipendentemente
dal differimento dell’udienza ad una data successiva (art. 83, comma 9).
Infine, è intervenuto l’art. 36 del d.l. n. 23 del 2020, con il quale il
Governo ha stabilito che il termine del 15 aprile 2020, previsto dai commi 1 e
2 dell’art. 83 del d. l. n. 18 del 2020, era prorogato all’11 maggio 2020, così
modificando la portata del comma 4 della stessa disposizione.
Pertanto, per effetto della proroga disposta dall’art. 36 del d.l. n. 23
del 2020 (disposizione censurata dalle ordinanze n. 117 e n. 132 del 2020), la
sospensione dei termini prescrizionali, allo stato, opera dal 9 marzo 2020
all’11 maggio 2020.
È in questa disciplina emergenziale che si colloca la norma censurata (art.
83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020), recante un’ipotesi speciale di
sospensione del termine di prescrizione dei reati; norma la quale prevede che
«[n]ei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del
comma 2 sono altresì sospesi, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione
e i termini di cui agli articoli 303 e 308 del codice di procedura penale».
7.– Giova, poi, premettere che in generale la concreta determinazione della
durata del tempo di prescrizione dei reati appartiene alla discrezionalità del
legislatore censurabile solo in caso di manifesta irragionevolezza o
sproporzione rispetto alla gravità del reato (sentenza di questa
Corte n. 143 del 2014).
Nell’esercizio di tale discrezionalità il legislatore opera un
bilanciamento tra valori di rango costituzionale.
Da una parte, c’è l’esigenza che – mediante l’esercizio obbligatorio
dell’azione penale ad opera del pubblico ministero (art. 112 Cost.) – i
comportamenti in violazione della legge penale siano perseguiti perché il
rispetto di quest’ultima appartiene ai fondamentali del comune vivere civile,
mentre la sua violazione crea, in misura direttamente proporzionale alla
gravità del fatto, allarme sociale e mina la fiducia dei cittadini. Nello stesso
verso, inoltre, rileva la tutela delle vittime dei reati: la persona offesa ha
anch’essa diritto, quando costituita parte civile, all’accertamento del reato
per ottenere il risarcimento del danno per la lesione subita.
A fronte di queste esigenze vi è, dall’altra parte, l’interesse
dell’imputato ad andare esente da responsabilità penale per effetto del decorso
del tempo; interesse che il legislatore ordinario riconosce e tutela con la
disciplina della prescrizione e che si traduce nel diritto dell’imputato ad
ottenere dal giudice penale – una volta decorso il termine di prescrizione del
reato – il riconoscimento, con sentenza di proscioglimento, dell’estinzione del
reato (art. 157, primo comma, cod. pen.), sempre che
dagli atti del procedimento o del processo non risulti evidente che non ha
commesso il fatto addebitatogli ovvero che questo non costituisca reato o non
sia previsto dalla legge come reato (art. 129 del codice di procedura penale) e
sempre che egli non rinunci alla prescrizione chiedendo un accertamento di non
colpevolezza (art. 157, settimo comma, cod. pen.).
Analogamente e alle stesse condizioni sarà possibile, all’esito del
procedimento penale, il decreto di archiviazione per estinzione del reato
ascritto all’indagato.
La ratio della rilevanza di questa garanzia per l’indagato o l’imputato si
collega preminentemente all’«interesse generale di non più perseguire i reati
rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto
venir meno, o notevolmente attenuato (...) l’allarme della coscienza comune» (sentenza n. 393 del
2006; in precedenza, sentenza n. 202 del
1971; ordinanza
n. 337 del 1999). Si è fatto anche riferimento, talora, al “diritto
all’oblio” (sentenze
n. 115 del 2018, n. 24 del 2017,
n. 45 del 2015,
n.143 del 2014
e n. 23 del 2013).
Vi è, in sostanza, un «affievolimento progressivo dell’interesse della
comunità alla punizione del comportamento penalmente illecito, valutato, quanto
ai tempi necessari, dal legislatore, secondo scelte di politica criminale
legate alla gravità dei reati» (sentenza n. 23 del
2013), sebbene il decorso del tempo non valga di per sé a stendere un velo
di piena immunità sul fatto-reato.
Anche dopo la sentenza di proscioglimento per essere il reato estinto per
prescrizione, il giudice civile potrà accertare, stante il diverso regime della
prescrizione in materia civile, che un reato è stato commesso da chi è chiamato
a risarcire i danni non patrimoniali (art. 2059 del codice civile in
riferimento all’art. 185 cod. pen.). Come anche lo
stesso giudice penale, che abbia dichiarato il proscioglimento in ragione
dell’estinzione del reato per prescrizione, può non di meno doversi pronunciare
sulla sussistenza, o no, del reato ai fini (non della punibilità dell’imputato,
ma) solo risarcitori in favore della persona offesa, costituita parte civile,
allorché l’estinzione del reato sia dichiarata dal giudice d’appello o dalla
Corte di cassazione quando nei confronti dell’imputato è stata già pronunciata
condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni
cagionati dal reato (art. 578 cod. proc. pen.).
Inoltre, l’estinzione del reato per prescrizione non esclude che il giudice
debba applicare una misura di sicurezza come la confisca, quale in particolare
quella prevista dagli artt. 240-bis e 322-ter cod. pen.
in riferimento all’art. 578-bis cod. proc. pen.
8.– Ciò premesso, le questioni sollevate in riferimento al principio di
legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., non sono fondate.
9.– Occorre procedere innanzi tutto a richiamare e circoscrivere la portata
di tale principio con riguardo all’istituto della prescrizione dei reati.
Deve ribadirsi a tal proposito – come questa Corte ha più volte affermato –
che la determinazione della durata del tempo, il cui decorso estingue il reato
per prescrizione (art. 157, primo comma, cod. pen.),
ricade nell’area di applicazione del principio di legalità posto dall’art. 25,
secondo comma, Cost., a mente del quale «[n]essuno
può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima
del fatto commesso».
È la legge del tempus commissi delicti che non solo definisce la condotta penalmente
rilevante e ad essa riconduce la pena, quale quella detentiva o pecuniaria
(art. 17 cod. pen.), ma anche fissa il tempo oltre il
quale la sanzione non potrà essere applicata per essere il reato estinto per
prescrizione (art. 157 cod. pen.), tempo che può
essere anche illimitato allorché per delitti gravissimi (puniti con la pena
dell’ergastolo) sia la legge stessa a prevedere che la prescrizione non
estingue i reati (art. 157, ultimo comma, cod. pen.).
Questa proiezione diacronica della punibilità integra la fattispecie penale
nel senso che non solo l’autore del fatto deve essere posto in grado di
conoscere ex ante qual è la condotta penalmente sanzionata (ossia la fattispecie
di reato) e quali saranno le conseguenze della sua azione in termini di
sanzioni applicabili (ossia la pena), ma deve egli avere anche previa
consapevolezza della disciplina concernente la dimensione temporale in cui sarà
possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività, della sua
responsabilità penale (ossia la durata del tempo di prescrizione del reato),
anche se ciò non comporta la precisa predeterminazione del dies
ad quem in cui maturerà la prescrizione.
Il principio di legalità richiede che la persona accusata di un reato
abbia, al momento della commissione del fatto, contezza della linea di
orizzonte temporale – tracciata dalla durata, per così dire “tabellare”,
prevista in generale dall’art. 157 cod. pen., ma
talora fissata con norme speciali in riferimento a particolari reati (ad
esempio, in caso di delitti in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto) – entro la quale sussisterà, in ogni caso, la punibilità della
condotta contestata. Le norme che definiscono tale dimensione temporale devono
essere vigenti al momento in cui la condotta, penalmente rilevante come reato,
è posta in essere. Anche se per reati gravissimi (quelli puniti con
l’ergastolo) il legislatore – come già ricordato – prevede la loro punibilità
senza limiti di tempo, il principio di legalità è parimenti rispettato nella
misura in cui tale imprescrittibilità risulta posta da una disposizione di
legge in vigore al momento della commissione del fatto, vuoi in modo espresso
(come nel vigente art. 157, ultimo comma, cod. pen.),
vuoi in termini impliciti, come era nell’art. 157 cod. pen.
nella sua originaria formulazione, per il fatto di prendere in considerazione
solo le pene temporanee e tale non era l’ergastolo (Corte di cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 24 settembre 2015-12 maggio 2016, n. 19756).
Anche recentemente si è affermato che la prescrizione, nel nostro
ordinamento giuridico, costituisce un istituto di natura sostanziale «che
incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo
l’effetto di impedire l’applicazione della pena», sicché «rientra nell’alveo
costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art.
25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza» (sentenza n. 115 del
2018 e, negli stessi termini, sentenze n. 324 del
2008, n. 393
del 2006 e ordinanza
n. 24 del 2017).
In definitiva, la prescrizione, pur determinando, sul versante processuale,
l’arresto della procedibilità dell’azione penale, si configura come causa di
estinzione del reato sul piano più specificamente sostanziale.
10.– La dimensione diacronica della punibilità, quindi, concerne innanzi
tutto la definizione “tabellare” del tempo di prescrizione dei reati, che
coglie il profilo strettamente sostanziale. Ma non l’esaurisce perché essa,
poi, si colloca nel processo e può risentire indirettamente delle vicende e di
singoli atti di quest’ultimo nella misura in cui – sotto il profilo
processuale, appunto – sono previste e disciplinate, in particolare,
l’interruzione e la sospensione del decorso del tempo di prescrizione dei reati
alle condizioni e nei limiti di legge (artt. 159 e 160 cod. pen.);
sicché non è mai prevedibile ex ante l’esatto termine finale in cui si compie e
opera la prescrizione, termine che può essere raggiunto in un arco temporale
variabile e dipendente da fattori plurimi e in concreto non predeterminabili.
Al riguardo, questa Corte ha osservato che la prescrizione costituisce, nel
vigente ordinamento, un istituto di natura sostanziale «pur potendo assumere
una valenza anche processuale» (sentenza n. 265 del
2017) e «[s]ebbene possa proiettarsi anche sul piano processuale –
concorrendo, in specie, a realizzare la garanzia della ragionevole durata del
processo (art. 111, secondo comma, Cost.)» (sentenza n. 143 del
2014).
La garanzia del principio di legalità (art. 25, secondo comma, Cost.) nel
suo complesso (tale perciò da coprire anche le implicazioni sostanziali delle
norme processuali) dà corpo e contenuto a un diritto fondamentale della persona
accusata di aver commesso un reato, diritto che – avendo come contenuto il
rispetto del principio di legalità – da una parte, non è comprimibile non
entrando in bilanciamento con altri diritti in ipotesi antagonisti; si tratta,
infatti, di una garanzia della persona contro i possibili arbìtri del
legislatore, la quale rappresenta un «valore assoluto, non suscettibile di
bilanciamento con altri valori costituzionali» (sentenze n. 32 del
2020, n. 236
del 2011 e n.
394 del 2006).
Dall’altra parte, tale garanzia, espressa dal principio di legalità di cui
all’art. 25, secondo comma, Cost., appartiene al nucleo essenziale dei diritti
di libertà che concorrono a definire la identità costituzionale
dell’ordinamento giuridico nazionale, quale riconosciuta dall’ordinamento
dell’Unione europea, segnatamente nella clausola generale di cui all’art. 4,
paragrafo 2, del Trattato sull’Unione Europea (TUE), così come firmato a
Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 (ordinanza n. 24 del
2017). Nello statuto delle garanzie di difesa dell’imputato, il principio
di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., esteso fino a comprendere
anche la determinazione della durata del tempo di prescrizione dei reati, ha un
ruolo centrale, affiancandosi al principio di non colpevolezza dell’imputato
fino alla condanna definitiva (art. 27, secondo comma, Cost.) e a quello della
ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.). Da ultimo,
esso si proietta finanche sull’esecuzione della pena quanto al regime delle
misure alternative della detenzione (sentenza n. 32 del
2020).
11.– Il rispetto del principio di legalità comporta innanzi tutto che –
come la condotta penalmente sanzionata deve essere definita dalla legge con
sufficiente precisione e determinatezza, talché sarebbe costituzionalmente
illegittima la previsione di un reato in termini sostanzialmente indefiniti e
generici (come, da ultimo, la fattispecie oggetto della sentenza n. 25 del
2019) – parimenti la fissazione della durata del tempo di prescrizione deve
essere sufficientemente determinata. Tale non è – sul versante sostanziale
della garanzia – la cosiddetta «regola Taricco» di derivazione dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale – ampliando la misura
“tabellare” del tempo di prescrizione di alcuni reati fiscali in materia di
tributi armonizzati – non ha ingresso nel nostro ordinamento, neppure ex nunc,
stante il difetto di determinatezza del presupposto che condiziona la maggiore
estensione temporale della prescrizione (sentenza n. 115 del
2018).
Inoltre il rispetto del principio di legalità implica la non retroattività
della norma di legge che, fissando la durata del tempo di prescrizione dei
reati, ne allunghi il decorso ampliando in peius la perseguibilità del fatto
commesso. Il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole,
infatti, «si pone come essenziale strumento di garanzia del cittadino contro
gli arbìtri del legislatore, espressivo dell’esigenza della “calcolabilità”
delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione
necessaria per la libera autodeterminazione individuale» (sentenze n. 236 del
2011 e n.
394 del 2006).
Simmetricamente la norma che invece riduca la durata del tempo di
prescrizione costituisce disposizione penale più favorevole ai sensi dell’art.
2 cod. pen., applicabile in melius
anche ai fatti già commessi in precedenza (quindi retroattivamente) nei limiti
di operatività della lex mitior,
quali riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 393 del
2006). Il principio di retroattività della norma penale più favorevole rinviene
il proprio fondamento non già nell’art. 25 Cost., ma nel principio di
uguaglianza (art. 3 Cost.), essendo quindi «suscettibile di limitazioni e
deroghe» che, tuttavia, «devono giustificarsi in relazione alla necessità di
preservare interessi contrapposti di analogo rilievo» (ex plurimis,
sentenze n. 215
del 2008 e n.
394 del 2006; da ultimo, sentenza n. 63 del
2019) e possono trovare fondamento e limite anche nel condizionamento ad
attività processuali (sentenza n. 238 del
2020).
12.– Il rispetto del principio di legalità coinvolge anche la disciplina
della decorrenza, della sospensione e dell’interruzione della prescrizione
stessa perché essa, nelle sue varie articolazioni, concorre – come già rilevato
– a determinare la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per
prescrizione.
Si tratta di vicende processuali che incidono sulla complessiva durata del
tempo di prescrizione dei reati.
L’interruzione del termine prescrizionale – che dipende dall’adozione di
determinati provvedimenti, tassativamente indicati – ne comporta l’azzeramento
del computo con la ripresa ex novo del relativo corso (art. 160 cod. pen.). Sicché è impossibile, per l’imputato, prevedere ex
ante quante volte il termine sarà azzerato, ma c’è la garanzia del limite di
durata massima della prescrizione, pur interrotta nel suo decorso, anche se per
reati di particolare allarme sociale (quali quelli di criminalità organizzata),
ove anche soggetti a prescrizione, il regime dell’interruzione del decorso di
quest’ultima non ha un limite di durata massima (art. 161, secondo comma, cod. pen.).
Parimenti non sarà prevedibile ex ante per l’imputato quante volte il
decorso del termine di prescrizione sarà sospeso (art. 159 cod. pen.), senza peraltro che sussista alcun limite massimo di
durata del termine prescrizionale, fatta salva l’ipotesi della sospensione del
processo per assenza dell’imputato (art. 159, primo comma, numero 3-bis, cod. pen., in relazione all’art. 420-quater cod. proc. pen.).
Anche le regole del processo possono avere un’incidenza sulla disciplina
della prescrizione.
Basti ricordare che – ancora sul versante processuale – è comunemente
accettata e da tempo applicata, la regola di derivazione giurisprudenziale (a
partire da Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 22 novembre-21
dicembre 2000, n. 32; in seguito, in termini anche più ampi, Corte di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17 dicembre 2015-25 marzo 2016, n.
12602), che ferma il decorso della prescrizione al momento della sentenza di
merito, pur non ancora definitiva, ove impugnata con ricorso per cassazione
dichiarato inammissibile. Si ritiene infatti che il ricorso inammissibile sia
inidoneo ad aprire una utile fase processuale ai fini del perfezionarsi della
causa estintiva.
13.– In questo contesto l’art. 159, primo comma, cod. pen.,
come sostituito dall’art. 6, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle
circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), ha una
funzione di cerniera perché contiene, da una parte, una causa generale di
sospensione – secondo cui «[i]l corso della prescrizione rimane sospeso in ogni
caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale […] è imposta
da una particolare disposizione di legge» – e dall’altra, una catalogazione di
altri “casi” particolari.
Anche prima della novella del 2005, questa dicotomia era già
nell’originaria formulazione della disposizione nel codice del 1930 che
parimenti affiancava una previsione generale, negli stessi termini, ai casi
particolari, all’epoca limitati all’ipotesi dell’autorizzazione a procedere e
alla questione deferita ad altro giudizio.
Tale previsione – connotata da piena continuità normativa tra la
formulazione del 1930 e quella del 2005 – rispetta il principio di legalità di
cui all’art. 25, secondo comma, Cost., avendo un contenuto sufficientemente
preciso e determinato, aperto all’integrazione di altre più specifiche
disposizioni di legge, le quali devono comunque rispettare – come si dirà infra
al punto 14 – il principio della ragionevole durata del processo (art. 111,
secondo comma, Cost.) e quello di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3,
primo comma, Cost.).
Essa afferma che la stasi ex lege del procedimento o del processo penale
determina anche, in simmetria e di norma, una parentesi nel decorso del tempo
di prescrizione dei reati. Pur non potendo escludersi che vi siano, in particolare,
cause di sospensione del processo che non comportano la sospensione anche del
termine prescrizionale, si ha in generale che, se il processo ha una stasi, le
conseguenze investono tutte le parti: la pubblica accusa, la persona offesa
costituita parte civile e l’imputato. Come l’azione penale e la pretesa
risarcitoria hanno un temporaneo arresto, così anche, per preservare
l’equilibrio della tutela dei valori in gioco, è sospeso il termine di
prescrizione del reato per l’indagato o l’imputato.
Ciò è coerente con il richiamato bilanciamento (sopra al punto 7), che è al
fondo della fissazione del termine di durata del tempo di prescrizione dei
reati; bilanciamento che rischierebbe di essere alterato se «una particolare
disposizione di legge», che preveda la sospensione del procedimento o del
processo penale, in ipotesi, per la ragione imperiosa di una sopravvenuta
calamità (quale, nell’attualità, la pandemia da COVID-19, ma similmente in
precedenza eventi tellurici, disastri idrogeologici e altri), debba sempre –
come ritengono i giudici rimettenti a fondamento delle loro censure di
illegittimità costituzionale – lasciar scorrere il tempo di prescrizione dei
reati già commessi prima della disposizione censurata e invece arrestarne il
decorso solo per i reati commessi dopo, così decurtandone soltanto per questi
ultimi la durata, incongruamente quanto inutilmente per essere la prescrizione
appena iniziata a decorrere.
Si ha, invece, che al momento della commissione del fatto il suo autore sa
ex ante che, se il procedimento o il processo saranno sospesi in ragione
dell’applicazione di una disposizione di legge che ciò preveda, lo sarà anche
il decorso del termine di prescrizione (art. 25, secondo comma, Cost.).
Rimangono in ogni caso, da una parte, la garanzia della riserva alla legge
della previsione delle ipotesi di sospensione del procedimento o del processo
(ex art. 111, primo comma, Cost.), dall’altra parte, quanto alla ricaduta sul
decorso del tempo di prescrizione dei reati, la garanzia della loro applicabilità
per l’avvenire a partire dall’entrata in vigore della norma che tale
sospensione preveda (art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale); ossia
una nuova causa di sospensione – riconducibile alla causa generale di cui
all’art. 159, primo comma, cod. pen. e quindi
applicabile anche a condotte pregresse – non può decorrere da una data
antecedente alla legge che la prevede. Ciò, naturalmente, in aggiunta alla
garanzia della predeterminazione della durata “tabellare” della prescrizione
(art. 157 cod. pen.), di cui si è detto sopra al
punto 9.
Comunque, queste ipotesi di sospensione del processo – come questa Corte ha
già avuto modo di rilevare (sentenza n. 24 del
2014) – «automaticamente coinvolgono […] la disciplina di diritto
sostanziale della prescrizione del reato». La consapevolezza di tale
automatismo nell’autore della condotta penalmente rilevante è sufficiente ad
assicurare il rispetto del principio di legalità (art. 25, secondo comma,
Cost.), integrato, nella fattispecie, dal principio secondo cui la legge non
dispone che per l’avvenire (art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale)
e dalla garanzia che, in applicazione stretta di questo principio, non è
possibile che l’incidenza indiretta sul tempo di prescrizione abbia una
proiezione retroattiva.
14.– Nè può temersi che, nella sostanza, al di là
del rispetto formale del principio di legalità, pur così integrato, il rinvio
aperto a ogni «particolare disposizione di legge», che preveda la sospensione
del procedimento o del processo penale, possa costituire una falla, nel senso
di una possibile illimitata dilatazione del tempo complessivo di prescrizione
del reato in ragione dell’applicazione di ogni disposizione che preveda la
sospensione del procedimento o del processo penale. Infatti, il rispetto del
principio di legalità – nella misura in cui è predeterminata la regola che
vuole che alla sospensione del procedimento o del processo penale in forza di
una «particolare disposizione di legge» si associ anche la sospensione del
decorso del tempo di prescrizione del reato – non esclude, ma anzi si coniuga –
come già rilevato – alla possibile verifica di conformità sia al canone della
ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), sia al
principio di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3, primo comma, Cost.), a
confronto dei quali sarà sempre possibile il sindacato di legittimità
costituzionale della stessa sospensione dei procedimenti e dei processi penali,
nonché, più specificamente, della conseguente sospensione del termine di
prescrizione.
Nella fattispecie in esame, del resto, non vengono sollevati dubbi di
legittimità costituzionale da parte dei giudici rimettenti sotto questo
profilo, ma non può non osservarsi, da una parte, che la breve durata della
sospensione del decorso della prescrizione è pienamente compatibile con il
canone della ragionevole durata del processo e, dall’altra parte, che, sul
piano della ragionevolezza e proporzionalità, la misura è giustificata dalla
finalità di tutela del bene della salute collettiva (art. 32, primo comma,
Cost.) per contenere il rischio di contagio da COVID-19 in un eccezionale
momento di emergenza sanitaria.
Con ciò si deve anche escludere il rischio di abuso del potere legislativo.
Il necessario collegamento con la sospensione del processo fa sì che, ove
esso manchi, diversa risulta essere la fattispecie di sospensione del decorso della
prescrizione, la quale non sarebbe riconducibile alla causa generale dell’art.
159, primo comma, cod. pen. Tale è quella prevista
dall’art. 1, comma 15, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice
penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario),
applicabile pertanto solo ai reati commessi a partire dalla data di entrata in
vigore della norma stessa.
Rimane, infine, nella discrezionalità del legislatore prevedere
eventualmente, in riferimento a specifiche fattispecie, l’ulteriore garanzia di
un limite massimo di durata dell’arresto temporaneo del decorso della
prescrizione, come nell’ipotesi di sospensione del processo per assenza
dell’imputato (art. 159, ultimo comma, cod. pen.).
15.– Una volta precisata la portata del principio di legalità (nel suo
duplice aspetto sostanziale e processuale) e la causa generale di sospensione
del corso della prescrizione, di cui all’art. 159, primo comma, cod. pen., occorre ora passare a verificare, sul piano
interpretativo, se il censurato comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020,
letto complessivamente nel contesto degli altri commi, preveda, o no, una
sospensione dei procedimenti penali riconducibile a tale causa generale.
In tal senso è già la giurisprudenza di legittimità che ha ripetutamente
ricondotto la sospensione della prescrizione, prevista dalla disposizione
censurata, alla fattispecie generale di cui all’art. 159, primo comma, cod. pen., ritenendo di conseguenza manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale qui in esame (Corte di cassazione,
sezione quinta penale, sentenza 14 luglio-7 settembre 2020, n. 25222; sezione
terza penale, sentenza 23 luglio-9 settembre 2020, n. 25433; sezione quinta
penale, sentenza 13 luglio-2 novembre 2020, n. 30434; sentenza 13 luglio-2
novembre 2020, n. 30437; anche sezione terza penale, sentenza 2 luglio-17
luglio 2020, n. 21367, che è pervenuta ad analoga conclusione seppur sulla base
di un diverso percorso argomentativo).
Questa giurisprudenza – che va assumendo la forma del diritto vivente – ha
collegato la sospensione dei termini stabiliti dal comma 2 dell’art. 83 citato
per il periodo 9 marzo-11 maggio 2020 (cosiddetta “prima fase” delle misure
stabilite per fronteggiare l’emergenza epidemiologica) – sospensione, quest’ultima,
che riguarda la generalità dei termini per compimento di qualsiasi atto, sicché
sono sospesi «i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per
l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro
motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei
procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini
procedurali» – al rinvio d’ufficio, per il medesimo arco temporale, delle
udienze dei procedimenti penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari
stabilito dal comma 1 del medesimo art. 83 e ne ha tratto una considerazione
unitaria delle due discipline: sospensione dei termini e rinvio del processo
sono, di regola, inscindibilmente collegati.
Si è affermato che «l’esame dell’effetto combinato delle discipline dettate
dai commi 1 e 2 dell’art. 83 cit. mette in luce come esse diano corpo a un caso
di sospensione del procedimento o del processo: il rinvio d’ufficio di tutte le
udienze e la sospensione di tutti i termini (con le eccezioni stabilite dal
comma 3) convergono nell’attribuire alla situazione processuale determinata
dalle previsioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 83 cit. i connotati della
sospensione del procedimento o del processo a norma del primo comma dell'art. 159
cod. pen.» (Cass., n. 25222 del 2020).
In sostanza – come del resto si ritiene anche nelle ordinanze di rimessione
del Tribunale di Siena – il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 83
contempla l’integrale sospensione dell’attività giurisdizionale nel periodo
emergenziale, prevedendo non solo il rinvio delle udienze (comma 1), ma anche
la sospensione dei termini processuali di qualsiasi natura (comma 2).
Peraltro questa interpretazione della giurisprudenza di legittimità, che
riconduce tale sospensione alla previsione generale dell’art. 159, primo comma,
cod. pen., è in linea di continuità con altri casi di
sospensione dei processi – rilevanti anche ai fini della sospensione del corso
della prescrizione – collegati a situazioni di emergenza derivate, ad esempio,
da eventi sismici. Si tratta di ipotesi che presentano – come già detto – una
ratio affine a quella della disciplina censurata, chiamata a fronteggiare la
pandemia da COVID-19. È il caso, ad esempio, del decreto-legge 28 aprile 2009,
n. 39 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi
sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi
urgenti di protezione civile), convertito, con modificazioni, in legge 24
giugno 2009, n. 77, il cui art. 5 prevedeva una sospensione dei processi
penali, nonché, espressamente, la sospensione, per la stessa durata, del corso
della prescrizione: la giurisprudenza di legittimità ne ha più volte fatto
applicazione con riferimento a condotte, penalmente rilevanti, poste in essere
prima del d.l. n. 39 del 2009 (ex multis, Corte di
cassazione, sezione terza penale, sentenza 13 dicembre 2012-7 febbraio 2013, n.
5982).
Parimenti è stato ritenuto – senza che insorgesse alcun dubbio in ordine al
rispetto del principio di legalità – che la sospensione della prescrizione come
conseguenza della sospensione dei processi riguardasse i reati già commessi in
precedenza in ulteriori fattispecie, quali quelle in materia di condono
edilizio e di condono fiscale e in occasione della riforma del cosiddetto
patteggiamento allargato.
Con riferimento ad un’ipotesi di condono edilizio, la giurisprudenza,
prendendo in esame la sospensione della prescrizione, conseguente alla
sospensione del processo, intervenuta successivamente alla commissione del
fatto, l’ha ritenuta pienamente operante senza rilevare possibili aspetti di
incostituzionalità, proprio perché espressiva del principio generale di cui
all’art. 159, primo comma, cod. pen., per cui la
prescrizione non decorre fin tanto che non viene meno l’impedimento
all’esercizio dell’azione penale (Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 3 dicembre 1996-13 febbraio 1997, n. 1283).
Occorre comunque che sia una «particolare disposizione di legge» a
stabilire i presupposti della fattispecie, sicché «nella individuazione dei
casi in cui la sospensione del procedimento è rilevante ai fini della
prescrizione, rimane tuttora valida l’esigenza che le valutazioni del giudice
siano vincolate a criteri predeterminati» (Corte di cassazione, sezioni unite
penali, sentenza 28 novembre 2001-11 gennaio 2002, n. 1021).
E si è precisato che non basta la previsione ex lege della sospensione del
decorso della prescrizione, perché «[è] richiesto, piuttosto, che il
legislatore abbia previsto, unitamente a quella, la sospensione del
procedimento o del processo» (Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 21 giugno-7 settembre 2018, n. 40150).
In altri termini la sospensione del processo, cui va ricollegata quella
della prescrizione, è prevista da una norma che imponga una “stasi” del
giudizio basata su elementi certi ed oggettivi.
16.– La riconducibilità della fattispecie in esame alla disciplina di cui
all’art. 159, primo comma, cod. pen., esclude,
quindi, che si sia in presenza di un intervento legislativo, recato dalla norma
censurata, in contrasto con il principio di irretroattività della norma penale
sostanziale sfavorevole sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost.
Né argomento contrario può desumersi dall’espressa previsione, contenuta
nella disposizione censurata, della sospensione del decorso del termine di
prescrizione dei reati, la quale, nella ricostruzione fatta dalla
giurisprudenza di legittimità, potrebbe apparire ridondante in quanto la
sospensione stessa discenderebbe direttamente dalla norma generale contenuta
nell’art. 159, primo comma, cod. pen. In realtà la
previsione del comma 4 del censurato art. 83, secondo cui è sospeso anche il
corso della prescrizione in ragione della sospensione del procedimento o del
processo penale, non è inutile perché fissa, in modo espresso e quindi in
termini maggiormente chiari, compatibili con il rispetto del principio di
eguaglianza, la collocazione della disposizione nell’alveo della causa generale
di sospensione contenuta nell’art. 159, primo comma, cod. pen.,
secondo una tecnica legislativa non nuova. Una fattispecie analoga si rinviene,
con riferimento ad altra situazione emergenziale che ha imposto la stasi dei
processi penali, nell’art. 49, commi 6 e 9, del decreto-legge 17 ottobre 2016,
n. 189 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24
agosto 2016), convertito, con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2016, n.
229.
Sotto questo profilo, il principio di legalità è rispettato perché la
sospensione del corso della prescrizione di cui alla disposizione censurata,
essendo riconducibile alla fattispecie della «particolare disposizione di
legge» di cui al primo comma dell’art. 159 cod. pen.,
può dirsi essere anteriore alle condotte contestate agli imputati nei giudizi a
quibus. La regola, secondo cui quando il procedimento
o il processo penale è sospeso in applicazione di una particolare disposizione
di legge lo è anche il corso della prescrizione, è certamente anteriore alle
condotte penalmente rilevanti proprio perché contenuta nel codice penale del
1930 e ribadita dalla richiamata novella del 2005.
17.– La regola “tempus regit actum”
diventa di stretta applicazione allorché concerne la prescrizione, nel senso
che gli atti e le vicende processuali non potrebbero aver mai una proiezione
retroattiva quanto all’incidenza indiretta sul tempo di prescrizione dei reati;
profilo questo che viene in rilievo anche nel presente giudizio quanto al
periodo iniziale della sospensione dei processi penali dal 9 marzo al 17 marzo
2020.
È vero che l’art. 83, commi 1 e 2, del d.l. n. 18 del 2020, entrato in
vigore il 17 marzo 2020, ha previsto la sospensione dei processi e dei
procedimenti penali fin dal 9 marzo e quindi (apparentemente) in modo
retroattivo quanto al periodo dal 9 al 17 marzo; retroattività che non potrebbe
parimenti riflettersi sulla sospensione del termine di prescrizione dei reati,
in generale prevista dal censurato comma 4 della medesima disposizione.
In realtà, però, così non è perché il rinvio ex lege (e quindi la
sospensione temporanea) dei procedimenti e dei processi penali nel (breve)
periodo precedente il 17 marzo 2020 e la simmetrica sospensione del termine di
prescrizione trovano il loro fondamento normativo nell’art. 1 del d.l. n. 11
del 2020, entrato in vigore il 9 marzo 2020, il quale sì non è stato convertito
in legge, e anzi prima ancora è stato abrogato dall’art. 1 della legge n. 27
del 2020, ma la stessa disposizione ne ha fatti salvi gli effetti prodottisi e
i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo, unitamente a quelli oggetto
del precedente d.l. n. 9 del 2020. Vi è pertanto continuità normativa tra la
disposizione (fin quando vigente) del d.l. n. 11 del 2020, che all’art. 1,
comma 3, richiama l’art. 10 del d.l. n. 9 del 2020 (e quindi anche il suo comma
13 sulla sospensione del corso della prescrizione), e quella di salvezza della
legge n. 27 del 2020, sicché il periodo di rinvio (id est sospensione) di
procedimenti e processi penali dal 9 al 17 marzo trova il suo fondamento in una
norma vigente già alla data iniziale di questo intervallo temporale.
Non c’è stata pertanto alcuna sospensione retroattiva del corso della
prescrizione come conseguenza della sospensione di procedimenti e processi
penali, bensì ha trovato piena applicazione il principio secondo cui la legge
(nella specie, di contenuto processuale) dispone per l’avvenire (art. 11 delle
Disposizioni sulla legge in generale) e pertanto legittima è la ricaduta sulla
prescrizione in termini di sospensione della sua durata, prevista dall’art. 1
del d.l. n. 11 del 2020, in combinato disposto con l’art. 10, comma 13, del
d.l. n. 9 del 2020, in piena sintonia con l’art. 159, primo comma, cod. pen.
18.– In conclusione, le questioni, poste con riferimento al parametro
interno dell’art. 25, secondo comma, Cost., sono tutte non fondate.
19.– Invece, le questioni poste in riferimento ai parametri europei sono
inammissibili.
Il Tribunale di Spoleto ha evocato – come parametro interposto in
riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. – l’art. 7 CEDU che al comma 1
prevede che «[n]essuno può essere condannato per una
azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva
reato secondo il diritto interno o internazionale.
Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile
al momento in cui il reato è stato commesso».
In proposito, questa Corte (sentenza n. 230 del
2012) ha ricordato che «l’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali […] – secondo l’interpretazione
datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – da un lato, sancisce
implicitamente anche il principio di retroattività dei trattamenti penali più
favorevoli e, dall’altro, ingloba nel concetto di “legalità” in materia penale
non solo il diritto di produzione legislativa, ma anche quello di derivazione
giurisprudenziale».
Si ha però che il Tribunale rimettente – pur ricordando la tesi della
natura processuale dell’istituto della prescrizione fatta propria dalla Corte
di Strasburgo (sentenza 22
giugno 2000, Coëme e altri contro Belgio; sentenza 20 settembre 2011, Neftyanaya Kompaniya Yukos contro
Russia) e quindi un orientamento giurisprudenziale che predica una garanzia
di portata meno estesa di quella ritenuta da questa Corte, la quale, come si è
visto, ha invece affermato la natura sostanziale dell’istituto – non indica benché
minimamente in che termini il parametro convenzionale offrirebbe, comunque, una
protezione del principio di legalità maggiore di quella dell’art. 25, secondo
comma, Cost.
Anzi la predicata natura processuale della prescrizione riduce il perimetro
della non retroattività della norma penale rispetto alla ricostruzione
dell’istituto, quale presente nella giurisprudenza di questa Corte, che – come
già sopra ricordato – ne afferma invece la natura sostanziale.
Con riferimento proprio al principio di legalità in materia penale (art.
25, secondo comma, Cost.) questa Corte ha affermato che «gli stessi principi o
analoghe previsioni si rinveng[o]no nella
Costituzione e nella CEDU, così determinandosi una concorrenza di tutele, che
però possono non essere perfettamente simmetriche e sovrapponibili; vi può
essere uno scarto di tutele, rilevante soprattutto laddove la giurisprudenza
della Corte EDU riconosca, in determinate fattispecie, una tutela più ampia» (sentenza n. 25 del
2019). Quindi in questa ipotesi di “concorrenza di tutele” si ha che
l’invocato parametro convenzionale (art. 7 CEDU) ben può offrire talora, in
riferimento a determinate fattispecie, una tutela più ampia del parametro
nazionale (art. 25, secondo comma, Cost.). Ed è quanto accaduto allorché la
questione, ritenuta inizialmente non fondata in riferimento a quest’ultimo (sentenza n. 282 del
2010), è poi risultata invece fondata in riferimento al parametro
interposto (sentenza
n. 25 del 2019).
Ma il Tribunale di Spoleto nulla argomenta in proposito e anzi mostra di
essere consapevole che, con riferimento all’istituto della prescrizione, è il
parametro nazionale ad avere un ambito di applicazione più ampio di quello
convenzionale.
20.– Analoga e ulteriore ragione di inammissibilità sussiste con
riferimento all’ordinanza del Tribunale di Roma, che invoca come parametro
interposto non solo l’art. 7 CEDU, ma anche l’art. 49, comma 1, CDFUE, che
sancisce una garanzia ricalcata sul principio di legalità. Prevede infatti che
«[n]essuno può essere condannato per un’azione o
un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato
secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può
essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il
reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la
legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare
quest’ultima».
Alla stessa carenza motivazionale in ordine al parametro convenzionale,
riscontrabile nell’ordinanza di rimessione, si aggiunge anche l’assoluta
mancanza di motivazione in ordine alla riferibilità a una materia rientrante
nell’ambito di attuazione del diritto dell’Unione europea. La giurisprudenza di
questa Corte è costante nell’affermare che la CDFUE può essere invocata, quale
parametro interposto in un giudizio di legittimità costituzionale, soltanto
quando la fattispecie oggetto di legislazione interna sia disciplinata dal
diritto europeo (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 254 del
2020). Il Tribunale – pur richiamando la sentenza pronunciata dalla Corte
di giustizia (Grande
sezione, sentenza 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, M. A. S. e M. B.), che
riguarda appunto la materia europea nella misura in cui concerne il reato di
omesso versamento di tributi armonizzati – nulla argomenta in proposito,
risultando invece che esso è chiamato a pronunciarsi in ordine al contestato
reato di calunnia; il quale, all’evidenza, non ricade nell’ambito di attuazione
del diritto dell’Unione europea.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili gli
interventi di N. S., G. T., C. S. ed E. S., nei giudizi aventi ad oggetto le
questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di
Siena con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del
decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio
sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese
connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, sollevate, in riferimento
all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di
Siena con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18
del 2020, convertito in legge, e dell’art. 36, comma 1, del decreto-legge 8
aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di
adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici,
nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini
amministrativi e processuali), convertito, con modificazioni, nella legge 5
giugno 2020, n. 40, sollevate, in riferimento all’art. 25, secondo comma,
Cost., dai Tribunali ordinari di Roma e di Spoleto con le ordinanze indicate in
epigrafe;
4) dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 83, comma 4, del d.l.
n. 18 del 2020, come convertito, e dell’art. 36, comma 1, del d.l. n. 23 del
2020, come convertito, sollevata – in riferimento all’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all’art. 7 Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – dal
Tribunale ordinario di Spoleto con l’ordinanza indicata in epigrafe;
5) dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 83, comma 4, del d.l.
n. 18 del 2020, come convertito, e dell’art. 36, comma 1, del d.l. n. 23 del
2020, come convertito, sollevata – in riferimento all’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all’art. 7 CEDU, e all’art. 49 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000
e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 – dal Tribunale ordinario di Roma
con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 18 novembre 2020.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2020.