SENTENZA N.
143
ANNO 2014
Commento
alla decisione di
Nicola Recchia
Le declinazioni della ragionevolezza penale nelle recenti decisioni della
Corte costituzionale,
per g.c. di
Diritto penale Contemporaneo
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell’art. 157, sesto comma, del codice penale,
promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di C.D. ed altri con ordinanza
del 25 febbraio 2013, iscritta al n. 143 del registro ordinanze 2013 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie
speciale, dell’anno 2013.
Visti l’atto di
costituzione di C.D., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 aprile
2014 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi l’avvocato Giacomo Francini
per C.D. e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di
Torino ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, sesto
comma, del codice penale, nella parte in cui prevede che il termine di
prescrizione del reato di incendio colposo (art. 449, in riferimento all’art.
423 cod. pen.) è raddoppiato.
Il giudice a quo
premette di essere investito del processo penale nei confronti di tre persone
imputate del delitto di cui all’art. 449, primo comma, cod. pen.,
per avere causato, per colpa e in cooperazione tra loro, l’incendio di un
magazzino.
Al riguardo, il rimettente osserva che, secondo la regola
generale stabilita dal primo comma dell’art. 157 cod. pen., come sostituito
dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e
alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di
recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i
recidivi, di usura e di prescrizione), «la prescrizione estingue il reato
decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla
legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a
quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena
pecuniaria».
In base a detta regola, il reato di incendio doloso,
previsto dall’art. 423 cod. pen., in quanto punito con
la pena della reclusione da tre a sette anni, si prescrive in sette anni.
Sempre secondo la medesima regola, i reati previsti dall’art. 449, primo comma,
cod. pen. – che punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni
chiunque «cagiona per colpa un incendio, o un altro disastro preveduto dal capo
primo» del titolo sesto del libro secondo del codice penale – dovrebbero
prescriversi in sei anni.
Il sesto comma dell’art. 157 cod. pen. stabilisce,
tuttavia, che i termini di prescrizione di cui ai precedenti commi dello stesso
articolo sono raddoppiati per una serie di reati, tra i quali quelli di cui al
citato art. 449 cod. pen.
Per effetto di tale previsione – la cui ratio andrebbe identificata nella
volontà di tutelare maggiormente le vittime dei reati considerati,
potenzialmente produttivi di danni significativi nei confronti di una pluralità
di persone – il termine di prescrizione del reato di incendio colposo viene ad
essere determinato in dodici anni, risultando, di conseguenza, largamente
superiore a quello previsto per l’incendio doloso.
Ad avviso del giudice a
quo, un simile assetto normativo violerebbe l’art. 3 Cost.
Il termine di prescrizione costituirebbe, infatti, una
componente del trattamento sanzionatorio complessivo del reato, tanto che, per
costante giurisprudenza di legittimità, di esso deve tenersi conto ogni
qualvolta occorra individuare la disciplina più favorevole al reo.
La quantificazione del suddetto termine resterebbe
rimessa alla discrezionalità del legislatore, il cui esercizio non potrebbe,
tuttavia, prescindere dalla ratio
dell’istituto della prescrizione, identificabile primariamente – alla luce
delle indicazioni della giurisprudenza costituzionale – nell’«interesse
generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso
dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato, […]
l’allarme della coscienza comune». In questa prospettiva, il legislatore
sarebbe, dunque, tenuto a stabilire termini di prescrizione proporzionati alla
concreta gravità del fatto di reato.
Peraltro, se l’esigenza di rispetto della discrezionalità
legislativa impedisce di sindacare la previsione di termini diversi per reati
fra loro eterogenei quanto a bene giuridico protetto, condotta ed evento,
altrettanto non potrebbe dirsi allorché – come nel caso in esame – i fatti di
reato siano identici sul piano oggettivo, differenziandosi unicamente per la
componente psicologica. È fuori discussione, infatti, che l’elemento soggettivo
del dolo imprima alla fattispecie connotati di maggiore gravità rispetto alla
corrispondente ipotesi colposa, come del resto ritenuto dallo stesso
legislatore, che ha previsto per l’incendio doloso una pena edittale superiore
a quella comminata per l’incendio colposo.
In tale ottica, la previsione di un termine
prescrizionale più lungo per l’ipotesi colposa risulterebbe palesemente
irragionevole: al reato sicuramente meno grave corrisponderebbe, infatti, un
«“trattamento sanzionatorio” in senso lato» più severo, e viceversa, con
conseguente violazione del principio di eguaglianza.
La questione sarebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo. Il reato per cui si procede è
stato, infatti, commesso il 25 aprile 2006 e i soli atti interruttivi della
prescrizione sinora intervenuti sono stati il provvedimento del giudice per le
indagini preliminari di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la
decisione sulla richiesta di archiviazione, emesso il 15 ottobre 2012, e le due
richieste di rinvio a giudizio. Nel caso di accoglimento della questione,
pertanto, il reato dovrebbe essere dichiarato estinto per intervenuta
prescrizione, essendo gli atti interruttivi posteriori al decorso del termine
di sei anni dalla data del commesso reato (25 aprile 2012). Di contro, sulla
base della disciplina in vigore, la prescrizione sarebbe ancora lungi
dall’essere maturata, scadendo il relativo termine solo il 25 aprile 2018.
2.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
La difesa dello Stato rileva come, ai sensi dell’art. 28
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale), sia precluso il sindacato di legittimità
costituzionale sull’uso del potere discrezionale del legislatore, salvo il caso
in cui la normativa sottoposta a scrutinio contrasti in modo manifesto con il
canone della ragionevolezza: ipotesi non ravvisabile nella specie.
La maggiore gravità, sotto il profilo psicologico, del
reato di incendio doloso rispetto a quello di incendio colposo non
escluderebbe, infatti, che la scelta del legislatore di prevedere per
quest’ultimo un termine di prescrizione più lungo sia ragionevole, posto che, sulla
base di dati di comune esperienza, l’accertamento dei fatti sussumibili nel
paradigma punitivo dell’incendio colposo richiederebbe lunghe e laboriose
attività di indagine e complessi accertamenti tecnici finalizzati
all’acquisizione del materiale probatorio.
La disposizione censurata costituirebbe, inoltre, il
frutto di una legittima opzione di politica criminale, sollecitata dal
crescente allarme sociale generato dai delitti colposi di danno.
3.– Si è costituito, altresì, C.D., imputato nel giudizio a quo, il quale ha chiesto che la questione venga accolta.
La parte privata ha ripercorso le argomentazioni poste a
base dell’ordinanza di rimessione, da essa condivise, rimarcando come la
previsione di un termine di prescrizione più lungo per la figura colposa del
delitto di incendio non sia giustificabile neppure in base a ragioni
sociologiche o criminologiche, atte, in ipotesi, a far percepire come
maggiormente gravi i disastri colposi rispetto ai corrispondenti fatti dolosi.
Considerato in diritto
1.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino dubita della
legittimità costituzionale dell’art. 157, sesto comma, del codice penale, nella
parte in cui stabilisce che il termine di prescrizione del reato di incendio
colposo (art. 449, in relazione all’art. 423 cod. pen.) è raddoppiato.
Il rimettente rileva che, per effetto del censurato
raddoppio, il termine di prescrizione del reato di incendio colposo risulta
pari a dodici anni e, dunque, largamente superiore a quello del reato di incendio
doloso (art. 423 cod. pen.), pari invece a sette anni in base alla regola
generale di cui all’art. 157, primo comma, cod. pen.
Tale assetto normativo violerebbe l’art. 3 Cost. Posto,
infatti, che la durata del termine di prescrizione rappresenta una componente
del trattamento sanzionatorio complessivo della fattispecie penale, e posto,
altresì, che i reati in comparazione sono identici quanto a condotta ed evento,
distinguendosi unicamente per l’elemento soggettivo, sarebbe irragionevole e
contrastante con il principio di eguaglianza la previsione di un termine di
prescrizione più lungo per l’ipotesi del delitto di incendio connotata dalla
componente psicologica indiscutibilmente meno grave (la colpa), rispetto a
quello valevole per la corrispondente ipotesi dolosa.
2.– La questione è fondata.
Anteriormente alle modifiche introdotte dalla legge 5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975,
n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), i delitti di incendio doloso e di incendio colposo erano
soggetti al medesimo termine di prescrizione.
L’incendio doloso (art. 423 cod. pen.) è, infatti, punito
con la reclusione da tre a sette anni; l’incendio colposo (art. 449 cod. pen.)
con la reclusione da uno a cinque anni. Trovava quindi applicazione, in
rapporto ad entrambe le fattispecie, il numero 3) del primo comma
dell’originario art. 157 cod. pen., in forza del quale
i delitti puniti con la reclusione non inferiore – nel massimo – a cinque anni,
ma minore di dieci, si prescrivevano con il decorso di dieci anni.
La legge n. 251 del 2005 ha significativamente innovato
la disciplina della materia, sostituendo l’originario criterio di
individuazione dei termini di prescrizione per “fasce di reati” di gravità
decrescente con una regola unitaria. In base ad essa, il tempo necessario a
prescrivere è pari al massimo della pena edittale stabilito dalla legge per i
singoli reati, salva la previsione di una soglia minima, intesa ad evitare una
troppo rapida prescrizione dei reati meno gravemente puniti, pari a sei anni
per i delitti e a quattro per le contravvenzioni (art. 157, primo comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6, comma 1, della citata
legge n. 251 del 2005).
Il legislatore ha ritenuto, peraltro, di dover apportare
un correttivo agli effetti prodotti da detta modifica (cui è conseguita, in
particolare, una sensibile e generalizzata contrazione dei termini
prescrizionali relativi ai reati di media gravità). Per alcune figure criminose
– ritenute, secondo quanto emerge dai lavori parlamentari, di particolare
allarme sociale e tali da richiedere complesse indagini probatorie – il termine
di prescrizione risultante dall’applicazione della regola generale dianzi
ricordata (nonché di quelle enunciate dai successivi commi dello stesso art.
157, relative, in specie, al computo delle circostanze e ai reati puniti con
pene alternative o congiunte) è stato, infatti, raddoppiato (art. 157, sesto
comma, cod. pen.).
In testa all’elenco dei reati in questione –
successivamente ampliato dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 1° ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione
della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo
sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché
norme di adeguamento dell’ordinamento interno) – figurano i delitti colposi di
danno contro la pubblica incolumità previsti dall’art. 449 cod. pen. (cosiddetti
disastri colposi). Tale norma incriminatrice punisce, in specie, con la
reclusione da uno a cinque anni «chiunque, al di fuori delle ipotesi previste
nel secondo comma dell’articolo 423-bis,
cagiona per colpa un incendio o un altro disastro preveduto dal capo primo di
questo titolo» (ossia dal capo primo del titolo sesto del libro secondo del
codice penale).
In questo modo, si è, peraltro, determinata una palese
anomalia: e, cioè, che per taluni fra i suddetti delitti il termine di
prescrizione dell’ipotesi colposa è divenuto più lungo di quello della
corrispondente ipotesi dolosa, identica sul piano oggettivo, a causa della
tecnica di descrizione della fattispecie utilizzata nel citato art. 449 cod.
pen.
Il fenomeno si manifesta con particolare evidenza in rapporto
al delitto di incendio, oggetto dell’odierno scrutinio. Se commesso con dolo,
il delitto si prescrive in sette anni (tempo corrispondente al massimo della
pena edittale, ai sensi dell’art. 157, primo comma, cod. pen.); se realizzato
per colpa, in un termine ampiamente superiore, ossia in dodici anni: il termine
minimo di prescrizione dei delitti (sei anni) – operante nella specie,
discutendosi di reato punito con pena detentiva massima inferiore a tale soglia
(cinque anni) – è infatti raddoppiato, ai sensi della norma censurata.
3.– Siffatto regime ribalta la scala di gravità delle due figure criminose:
l’ipotesi meno grave – secondo la valutazione legislativa espressa nelle
comminatorie di pena, in coerenza con il rapporto sistematico che intercorre
tra il dolo e la colpa – resta infatti soggetta ad un trattamento assai più
rigoroso, sul versante considerato, rispetto alla corrispondente ipotesi più
grave, con inevitabile violazione dei principi di eguaglianza e di
ragionevolezza (art. 3 Cost.).
Sebbene possa proiettarsi anche sul piano processuale –
concorrendo, in specie, a realizzare la garanzia della ragionevole durata del
processo (art. 111, secondo comma, Cost.) – la prescrizione costituisce,
nell’attuale configurazione, un istituto di natura sostanziale (ex plurimis, sentenze n. 324 del
2008 e n.
393 del 2006), la cui ratio si
collega preminentemente, da un lato, all’«interesse generale di non più
perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro
commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato […] l’allarme
della coscienza comune» (sentenze n. 393 del
2006 e n.
202 del 1971, ordinanza
n. 337 del 1999); dall’altro, «al “diritto all’oblio” dei cittadini, quando
il reato non sia così grave da escludere tale tutela» (sentenza n. 23 del
2013).
Le evidenziate finalità si riflettono puntualmente nella
tradizionale scelta di correlare alla gravità del reato il tempo necessario a
prescrivere, ancorandolo al livello quantitativo della sanzione, indice del suo
maggiore o minor disvalore nella coscienza sociale. Siffatta correlazione, cui
già si ispirava la scansione dei termini prescrizionali per “classi di reati”,
originariamente adottata dal codice penale del 1930, è divenuta ancor più
stretta a seguito della legge n. 251 del 2005, la quale – come già ricordato –
ha identificato nella durata massima della pena edittale di ciascun reato il
tempo sufficiente a decretare, in via presuntiva, il disinteresse sociale per
la repressione del fatto criminoso.
Al legislatore non è certamente inibito introdurre
deroghe alla regola generale di computo dallo stesso posta, non potendo in essa
scorgersi un «momento necessario di attuazione – o di salvaguardia – dei
principi costituzionali» (sentenza n. 455 del
1998, ordinanza
n. 288 del 1999). Nell’esercizio della sua discrezionalità, il legislatore
può pertanto stabilire termini di prescrizione più brevi o più lunghi di quelli
ordinari in rapporto a determinate ipotesi criminose, sulla base di valutazioni
correlate alle specifiche caratteristiche degli illeciti considerati e alla
ponderazione complessiva degli interessi coinvolti. Soluzioni di segno
estensivo possono essere giustificate, in specie, sia dal particolare allarme
sociale generato da alcuni tipi di reato, il quale comporti una “resistenza
all’oblio” nella coscienza comune più che proporzionale all’energia della
risposta sanzionatoria; sia dalla speciale complessità delle indagini richieste
per il loro accertamento e dalla laboriosità della verifica dell’ipotesi
accusatoria in sede processuale, cui corrisponde un fisiologico allungamento
dei tempi necessari per pervenire alla sentenza definitiva.
4.– La discrezionalità legislativa in materia deve essere
pur sempre esercitata, tuttavia, nel rispetto del principio di ragionevolezza e
in modo tale da non determinare ingiustificabili sperequazioni di trattamento
tra fattispecie omogenee, come invece è avvenuto nel caso in esame.
Appare evidente, in effetti, come il raddoppio del
termine di prescrizione del delitto di incendio colposo non possa essere in
alcun modo giustificato, nel raffronto con il trattamento riservato all’omologa
figura dolosa, facendo leva su considerazioni legate al grado di allarme
sociale. Il riferimento a quest’ultimo può legittimare, nei congrui casi,
parametrazioni dei termini prescrizionali che sovvertano la scala di disvalore
segnata dalle comminatorie edittali quando si tratti di figure criminose
eterogenee in rapporto al bene protetto o, quantomeno, alle modalità di aggressione:
non quando si discuta di fattispecie identiche sul piano oggettivo, che si
differenziano tra loro unicamente per la componente psicologica. È
manifestamente insostenibile, perché contrario a logica, che un fatto criminoso
– nella specie, un incendio – causato per colpa, alla cui base si pone
invariabilmente un semplice difetto di attenzione, di prudenza, di perizia o di
osservanza di regole cautelari (art. 43 cod. pen.), “resista all’oblio”, nella
coscienza sociale, molto più a lungo del medesimo fatto di incendio causato
intenzionalmente, suscettibile di collocarsi in contesti criminali ben più
allarmanti, caratterizzati dal ricorso ad attività intimidatrici o di
ritorsione.
La registrata anomalia sistematica non può trovare
giustificazione neppure in considerazioni di ordine probatorio. È parimenti
insostenibile che causare un incendio con colpa, anziché con dolo, innalzi
verticalmente, nella generalità dei casi, il tasso di complessità delle
indagini probatorie, al punto da giustificare la previsione, per l’ipotesi
colposa, di un termine di prescrizione quasi doppio rispetto a quello
dell’omologo illecito commesso intenzionalmente. L’esigenza di ricorrere
all’ausilio di periti – evocata nel corso dei lavori parlamentari relativi alla
legge n. 251 del 2005 – è comune, in effetti, ad entrambe le figure criminose,
stante l’identità delle previsioni relative alla condotta e all’evento. Né
giova il rilievo che, nel caso dell’incendio colposo, la perizia si renderebbe
necessaria non soltanto ai fini dell’accertamento dell’eziologia dell’evento,
ma anche dell’individuazione della regola cautelare violata. Da un lato,
l’argomento prova troppo: se corretto, esso dovrebbe valere per la generalità
dei delitti colposi, e non soltanto per quelli presi in considerazione dalla
norma censurata. Dall’altro, l’esistenza, nella fattispecie colposa,
dell’evidenziato tema aggiuntivo di indagine è quantomeno “compensata” dalle
maggiori difficoltà che generalmente incontra l’individuazione dei soggetti
responsabili riguardo ai fatti commessi con dolo.
5.– L’art. 157, sesto comma, cod. pen., va dichiarato, pertanto,
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui prevede che i termini di cui
ai precedenti commi del medesimo articolo sono raddoppiati per il reato di incendio
colposo (art. 449, in riferimento all’art. 423 cod. pen.).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 157, sesto comma, del codice penale, nella parte in
cui prevede che i termini di cui ai precedenti commi del medesimo articolo sono
raddoppiati per il reato di incendio colposo (art. 449, in riferimento all’art.
423 del codice penale).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 19 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI,
Presidente
Giuseppe FRIGO,
Redattore
Gabriella MELATTI,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 28 maggio 2014.