SENTENZA N.
270
ANNO 2020
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo
CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO,
Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio
BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, della legge
della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del
territorio), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia, sezione staccata di Brescia, nel procedimento vertente tra le
società Terra Moretti spa e Società Agricola Bellavista ss
e il Comune di Adro e altro, con ordinanza
del 20 settembre 2019, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 2019 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie
speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di
costituzione del Comune di Adro;
udito nell’udienza
pubblica del 1° dicembre 2020 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
deliberato nella camera
di consiglio del 3 dicembre 2020.
1.– Il Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con
ordinanza del 20 settembre 2019 (r.o. n. 221 del
2019), solleva, in riferimento agli artt. 42 e 117, terzo e primo
comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo
addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, della legge della Regione
Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio).
2.– Il rimettente
espone, in fatto, che le società Terra Moretti spa e Società Agricola
Bellavista ss hanno agito contro il Comune di Adro
per l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera di
realizzazione di una strada di collegamento, adottata con deliberazione del
Consiglio comunale del 15 febbraio 2018, n. 11, nonché di tutti gli atti
collegati.
La localizzazione di
tale strada, riferisce il rimettente, ricade in parte su un fondo di proprietà
della società Terra Moretti spa, destinato dalla Società Agricola Bellavista ss alla coltivazione di uva per la produzione di vino
pregiato.
Rigettati, con sentenza
non definitiva, gli altri motivi di ricorso, il TAR Lombardia dubita della
legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, della legge reg. Lombardia n.
12 del 2005, che disciplina il «presupposto essenziale del procedimento
espropriativo, rappresentato dal vincolo preordinato all’esproprio».
2.1.– In punto di rilevanza,
il TAR Lombardia evidenzia come la perdurante efficacia del vincolo preordinato
all’esproprio, sulla cui scorta è stata dichiarata la pubblica utilità
dell’opera in questione, dipenda proprio dalla disposizione censurata.
In mancanza di quest’ultima,
infatti, il vincolo sarebbe decaduto in data anteriore al momento dell’adozione
della dichiarazione di pubblica utilità, con conseguente illegittimità della
stessa.
Ai sensi dell’art. 9,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)», infatti, un bene è
sottoposto al vincolo preordinato all’esproprio nel momento in cui acquista
efficacia l’atto di approvazione del piano urbanistico generale (o una sua
variante) che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica
utilità: nel caso di specie, il piano di governo del territorio del Comune di
Adro risulta approvato in data 21 novembre 2012.
I successivi commi del
citato art. 9 prevedono che il vincolo espropriativo dura cinque anni, termine
entro il quale deve essere emanato il provvedimento che comporta la
dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, a pena di decadenza del vincolo,
che può essere motivatamente reiterato, ai sensi del successivo art. 39, ma
solo previa rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1.
Per effetto di tali
previsioni normative, dunque, il vincolo preordinato all’esproprio sarebbe
venuto meno il 21 novembre 2017, a fronte di una dichiarazione di pubblica
utilità dell’opera intervenuta solo in data 15 febbraio 2018.
Tuttavia la
disposizione censurata – in forza dell’inserimento dell’opera nel programma triennale
delle opere pubbliche (e relativo aggiornamento) – avrebbe impedito la
decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione, da parte della pubblica
amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal cosiddetto piano dei
servizi.
Quest’ultimo, infatti,
riferisce ancora il TAR Lombardia, sarebbe stato approvato – riguardo al
triennio 2017-2019 e comprendendo la previsione dell’opera viaria in discorso –
in data 6 aprile 2017 (con deliberazione del Consiglio comunale n. 12) e,
dunque, prima della scadenza del quinquennio di efficacia del vincolo
espropriativo.
Secondo il rimettente,
non osterebbe alla rilevanza delle questioni sollevate l’adozione – con la
deliberazione n. 10 del 2018 del Consiglio comunale, nella stessa data in cui è
stata dichiarata la pubblica utilità dell’opera impugnata – di una variante
urbanistica (poi approvata con deliberazione del Consiglio comunale n. 23 del
12 maggio 2018) avente ad oggetto anche l’opera di cui si tratta.
Secondo il TAR
Lombardia, infatti, la variante urbanistica non avrebbe reiterato il vincolo
ablativo, ma semplicemente «preso atto della “conferma” dell’efficacia del
vincolo preordinato all’esproprio» in ragione dell’inclusione dell’opera nel
programma triennale delle opere pubbliche e proprio in applicazione dall’art.
9, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005.
Per il giudice a quo,
quindi, la variante urbanistica avrebbe un contenuto «sostanzialmente
ricognitivo» e non anche «dispositivo», ciò che renderebbe irrilevante la sua
mancata impugnazione.
Secondo il rimettente,
in altre parole, la dichiarazione di pubblica utilità impugnata sarebbe
intervenuta sulla base di un vincolo preordinato all’esproprio risalente a più
di cinque anni prima, ma la cui efficacia risulterebbe «prorogata automaticamente»
per effetto dell’inclusione dell’opera nel programma triennale delle opere
pubbliche, proprio in forza della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005.
Il provvedimento di
variante urbanistica, dunque, «risulterebbe inevitabilmente ed automaticamente
travolto dall’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della
norma che ne rappresenta il presupposto».
In definitiva, esclusa
espressamente la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente
orientata, nella prospettiva del rimettente «[s]olo
l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale consentirebbe […]
al Collegio di annullare i provvedimenti impugnati».
2.2.– Quanto alla non
manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che la disposizione censurata
violi, nell’ordine, gli artt. 42 e 117, terzo e primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU.
Il giudice a quo
ripercorre, in primo luogo, la giurisprudenza costituzionale sviluppatasi sulla
tutela della proprietà privata alla luce dell’art. 42 Cost.,
con particolare riferimento alle garanzie che la assistono in caso di
espropriazione. Muovendo dall’incompatibilità con il precetto costituzionale di
vincoli espropriativi senza limiti di durata (sono richiamate le sentenze n. 575 del 1989
e n. 55 del 1968),
evidenzia che i requisiti della temporaneità e della indennizzabilità
(in caso di reiterazione del vincolo indefinita nel tempo) sono tra loro
alternativi (sono citate anche le sentenze n. 82 del 1982
e n. 6 del 1966).
Ricorda, quindi, che, proprio sulla scorta della giurisprudenza costituzionale,
il legislatore, con l’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche
ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), ha stabilito
la durata quinquennale del vincolo preordinato all’esproprio.
Infine, il TAR
Lombardia rammenta che, con la sentenza n. 179 del
1999, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del combinato
disposto degli artt. 7, numeri 2), 3) e 4), e 40 della legge 17 agosto 1942, n.
1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge n. 1187 del 1968, nella
parte in cui consentiva all’amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici
scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportassero l’inedificabilità,
senza la previsione di indennizzo.
Proprio nella sentenza da ultimo
citata sarebbe stato escluso che il vincolo urbanistico possa essere
reiterato senza che, alternativamente, si proceda o all’espropriazione (cui
potrebbe equivalere un «serio inizio dell’attività preordinata
all’espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi)» o alla
corresponsione di un indennizzo.
Nella ricostruzione del
TAR Lombardia, il legislatore statale, in sede di adozione del testo unico
delle espropriazioni approvato con d.P.R. n. 327 del
2001, si sarebbe appunto adeguato ai principi espressi dalla giurisprudenza
costituzionale, prevedendo all’art. 9 la durata quinquennale del vincolo
preordinato all’esproprio e la sua decadenza nel caso di mancata approvazione,
nel termine, del provvedimento che dichiara la pubblica utilità dell’opera (e,
quindi, di un atto che garantisce la partecipazione in chiave collaborativa al
proprietario del bene).
Evidenzia, ancora, il
giudice a quo che la possibilità di reiterazione del vincolo è subordinata al
rispetto di un procedimento condotto con la partecipazione dei proprietari
interessati, concluso con un provvedimento motivato ed accompagnato dalla
corresponsione di un indennizzo (art. 39 del medesimo d.P.R.
n. 327 del 2001).
Ciò premesso, secondo
il TAR Lombardia, l’art. 9, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 12 del
2005, non risulterebbe conforme a ciò che richiedono i parametri costituzionali
evocati.
In particolare, la
Regione Lombardia, «disciplinando una nuova ipotesi di “attuazione” del vincolo
espropriativo», avrebbe superato i limiti imposti alla sua competenza
concorrente in materia, con l’introduzione di una nuova ipotesi in cui il
vincolo preordinato all’esproprio si consolida, pur in mancanza di un «“serio
inizio della procedura espropriativa”», condizione ritenuta invece essenziale
dalla giurisprudenza costituzionale e la cui ricorrenza sarebbe stata
individuata dal legislatore statale – esclusivamente al quale spetterebbe la
relativa competenza – solo nella dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Il TAR Lombardia,
inoltre, rileva che la disposizione censurata sarebbe in contrasto con l’art.
42 Cost., poiché consentirebbe l’esercizio del potere
ablatorio «a tempo indeterminato», in ragione di un provvedimento, quale
l’approvazione del piano triennale delle opere pubbliche, la cui adozione non
garantisce la partecipazione procedimentale degli interessati e che può essere
indefinitamente rinnovato, senza necessità né di motivazione, né di indennizzo.
Osserva il rimettente,
a tale ultimo proposito, che l’art. 21 del decreto legislativo 18 aprile 2016,
n. 50 (Codice dei contratti pubblici) disciplina l’approvazione del piano
triennale delle opere pubbliche, senza prevedere formalità che garantiscano la
partecipazione al procedimento dei soggetti interessati dalla realizzazione
delle opere in esso inserite. Tale atto, del resto, avrebbe una funzione
«prettamente programmatica, strettamente connessa alla programmazione
finanziaria e di bilancio» e una «natura organizzativa dell’attività
dell’ente», allo scopo di individuare le opere da eseguirsi con priorità.
L’inserimento
dell’opera nel piano triennale delle opere pubbliche, inoltre, non potrebbe
essere qualificato come un «serio inizio della procedura espropriativa», in
quanto non offrirebbe alcuna garanzia circa il fatto che l’opera sia
effettivamente realizzata, non comportando alcun impegno di spesa e non essendo
previsto alcun termine entro il quale i lavori debbono essere conclusi.
Ancora, sempre a
giudizio del TAR Lombardia, attraverso gli aggiornamenti annuali del programma
dei lavori pubblici sarebbe possibile riproporre la previsione di realizzazione
della stessa opera pubblica senza limiti di tempo, «di fatto svuotando
completamente di contenuto il diritto di proprietà e, così, espropriando il suo
titolare, cui è preclusa ogni utilizzazione che non sia quella per la
coltivazione agricola, pur in assenza di alcun indennizzo».
3.– Si è costituito in
giudizio il Comune di Adro, chiedendo che le questioni siano dichiarate
inammissibili o, comunque, non fondate.
Il Comune di Adro,
preliminarmente, osserva come dalla stessa ordinanza di rimessione emerga
l’attivazione di un nuovo procedimento di variante allo strumento regolatore,
proprio finalizzato a reiterare il vincolo preordinato all’esproprio, con conseguente
irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in
relazione all’art. 12, comma 9, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, che
non dovrebbe essere applicato nel giudizio a quo.
Il Comune di Adro
evidenzia, ancora, che, in ordine alla prospettata lesione dell’art. 117 Cost., l’ordinanza di rimessione non indica in maniera
precisa «quale comma e/o lettera sarebbero stati violati», con ciò impedendo di
comprendere i limiti ed i termini della supposta violazione.
Quanto al delineato
contrasto con l’art. 42 Cost., il Comune di Adro
osserva che l’art. 21 cod. contratti pubblici fissa «un termine certo e sicuro
(tre anni)», decorso il quale il programma triennale delle opere pubbliche
perde efficacia, sicché non avrebbe pregio la censura incentrata sull’assenza
di un termine siffatto.
Proprio l’inserimento
di una determinata opera all’interno del programma triennale delle opere
pubbliche manifesterebbe, di contro, «la chiara volontà dell’Amministrazione di
realizzare, nel predetto arco temporale, l’opera pubblica», sicché privo di
consistenza sarebbe anche il rilievo secondo cui l’approvazione del programma
triennale non costituirebbe un serio inizio della procedura preordinata
all’espropriazione.
Quanto alla presunta
carenza di partecipazione dell’interessato alla procedura espropriativa, il
Comune di Adro sostiene che, nella fattispecie concreta, prima
dell’approvazione del programma triennale, sarebbe stata garantita la massima
partecipazione a tutti i soggetti interessati, che avrebbero anche presentato
osservazioni, effettivamente esaminate dal Consiglio comunale.
Infine, il Comune di
Adro ha osservato che, sebbene «per pacifica giurisprudenza» la reiterazione
del vincolo preordinato all’espropriazione non imponga il contestuale pagamento
di una indennità, nel caso concreto sarebbe stata prevista la corresponsione di
una somma connessa a tale reiterazione.
3.1.– Con memoria
depositata in data 4 novembre 2020, il Comune di Adro, ribadendo le
argomentazioni addotte nell’atto di costituzione a sostegno
dell’inammissibilità o, comunque, della infondatezza delle questioni sollevate,
ha dato conto dei fatti sopravvenuti alla pronuncia dell’ordinanza di
rimessione.
Depositando la relativa
documentazione a sostegno, ha esposto che il terreno oggetto di esproprio è
stato alienato dalla società Terra Moretti spa, ricorrente nel giudizio a quo,
all’ente ecclesiastico Provincia Veneta dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, in
forza di atto di cessione del 18 febbraio 2020, e che il suddetto ente
ecclesiastico ha alienato il medesimo terreno al Comune di Adro, in forza di
atto di compravendita del 14 settembre 2020. Di conseguenza, i difensori della
società Terra Moretti spa e il difensore del Comune di Adro hanno depositato,
in data 2 ottobre 2020, presso la segreteria del TAR Lombardia, dichiarazione
congiunta di rinuncia al ricorso.
Il Comune di Adro ha,
quindi, chiesto che la Corte costituzionale dichiari inammissibili le questioni
sollevate, per sopravvenuto difetto di rilevanza.
4.– Nel giudizio non è
intervenuta la Regione Lombardia.
1.– Il Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, dubita
che l’art. 9, comma 12, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n.
12 (Legge per il governo del territorio), violi gli artt. 42 e 117, terzo e
primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del
Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.
1.1.– Il TAR Lombardia
ricorda che la disposizione censurata disciplina i vincoli preordinati
all’espropriazione per la realizzazione, esclusivamente ad opera della pubblica
amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal piano dei servizi.
Quest’ultimo
costituisce una componente del piano di governo del territorio, previsto
dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005
quale strumento urbanistico generale della pianificazione di livello comunale.
La disposizione
censurata, dopo aver stabilito nel primo periodo, in cinque anni, decorrenti
dall’entrata in vigore del citato piano dei servizi, la durata dei vincoli
ablativi in questione, prevede, nel secondo periodo (cioè proprio nella parte
della cui legittimità costituzionale il rimettente dubita), che «[d]etti
vincoli decadono qualora, entro tale termine, l’intervento cui sono preordinati
non sia inserito, a cura dell’ente competente alla sua realizzazione, nel
programma triennale delle opere pubbliche e relativo aggiornamento […]».
Ciò posto, il
rimettente espone, in punto di rilevanza, che le società Terra Moretti spa e
Società Agricola Bellavista ss hanno impugnato l’atto
contenente la dichiarazione di pubblica utilità e i successivi provvedimenti,
adottati nell’ambito del procedimento espropriativo preordinato alla
realizzazione di una strada di collegamento, in parte prevista su un fondo di
proprietà della Terra Moretti spa e destinato dalla Società Agricola Bellavista
ss alla coltivazione di uva per la produzione di vino
pregiato.
La dichiarazione di
pubblica utilità, contenuta nella deliberazione del Consiglio comunale del 15
febbraio 2018, n. 11 (recante l’approvazione del progetto dell’opera da
realizzare), sarebbe stata adottata – riferisce il rimettente – quando erano
già decorsi cinque anni dal momento dell’apposizione del vincolo preordinato
all’esproprio.
Quest’ultimo, infatti,
troverebbe origine nell’approvazione, in data 21 novembre 2012, del piano di
governo del territorio del Comune di Adro, che prevedeva l’assoggettamento del
fondo in questione a vincolo ablativo fino al 21 novembre 2017.
La decadenza del
vincolo ablativo sarebbe stata impedita proprio e soltanto in forza
dell’applicazione della disposizione censurata. Tale effetto sarebbe cioè
derivato dall’inserimento dell’intervento, prima della scadenza quinquennale
del vincolo espropriativo, nel programma triennale delle opere pubbliche –
nella specie approvato in data 6 aprile 2017 – inserimento che avrebbe così
legittimato l’adozione della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, pur
se intervenuta in data 15 febbraio 2018, e dunque oltre il termine quinquennale
decorrente dall’approvazione del piano di governo del territorio.
Il TAR Lombardia
riferisce che, nella medesima data da ultimo indicata, è stata anche adottata
dal Consiglio comunale di Adro una variante urbanistica (poi approvata con
deliberazione del 12 maggio 2018, n. 23).
Tuttavia, con
riferimento all’opera pubblica di cui si tratta, quest’ultima deliberazione non
avrebbe legittimamente reiterato il vincolo preordinato all’esproprio (ormai
già scaduto), in quanto il Comune di Adro, in applicazione della disposizione
censurata, avrebbe semplicemente «preso atto» dell’inserimento dell’intervento
nel programma triennale delle opere pubbliche e del conseguente «effetto
“confermativo”» dell’efficacia del vincolo.
A giudizio del TAR
Lombardia – che attribuisce al provvedimento di variante urbanistica funzione
meramente ricognitiva di un effetto legale già prodottosi – la sua mancata
impugnazione da parte delle società ricorrenti non avrebbe dunque rilievo,
poiché il provvedimento stesso «risulterebbe inevitabilmente ed automaticamente
travolto dall’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della
norma che ne rappresenta il presupposto».
Infatti, la
dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, impugnata dalle ricorrenti,
sarebbe comunque intervenuta sulla base di un vincolo preordinato all’esproprio
risalente a più di cinque anni prima, sicché essa poggerebbe esclusivamente su
una sorta di “proroga automatica” del vincolo, conseguente all’inclusione
dell’opera nel programma triennale delle opere pubbliche ai sensi della
disposizione censurata.
Quest’ultima costituirebbe,
in definitiva, l’unico ostacolo frapposto all’annullamento dell’atto.
1.2.– Quanto alla non
manifesta infondatezza, il giudice a quo, sulla scorta della giurisprudenza di
questa Corte, ricorda che, trascorso un periodo di ragionevole durata – oggi
fissato in cinque anni dall’art. 9, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante «Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità
(Testo A)» (d’ora innanzi: t.u. espropriazioni) – la
pubblica amministrazione può reiterare il vincolo solo motivando adeguatamente
in relazione alla persistenza di effettive esigenze urbanistiche (art. 9, comma
4, t.u. espropriazioni), e comunque corrispondendo un
indennizzo (ai sensi del successivo art. 39 del medesimo testo unico).
Secondo il Tribunale
amministrativo rimettente, dunque, l’esercizio del potere ablatorio può essere
ritenuto conforme all’art. 42 Cost., solo se risulti
limitato nel tempo e compensato, in caso di reiterazione del vincolo, dalla
corresponsione di un equo indennizzo.
Ricorda il giudice a
quo, in particolare, che la giurisprudenza costituzionale (è richiamata la sentenza n. 179 del
1999) ha escluso che il vincolo possa essere reiterato senza che si proceda,
alternativamente, all’espropriazione (o comunque al «serio inizio dell’attività
preordinata all’espropriazione stessa mediante approvazione dei piani
attuativi)», oppure alla corresponsione di un indennizzo.
Nella ricostruzione del
TAR Lombardia, questo «serio inizio» dell’attività espropriativa sarebbe stato
individuato dal legislatore statale, unico competente a tal fine, nel
provvedimento che dichiara la pubblica utilità dell’opera; quindi, in un atto
che comunque garantisce la partecipazione del proprietario del bene.
L’art. 9, comma 12,
della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, avrebbe, invece, disciplinato una
nuova ipotesi di attuazione del vincolo espropriativo, in mancanza di un serio
avvio della procedura espropriativa e, in particolare, di una tempestiva
dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
In tal modo, in
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la
legge regionale avrebbe ecceduto la propria competenza concorrente in materia,
dal momento che l’art. 12 t.u. espropriazioni non ricomprenderebbe,
tra gli atti che comportano la dichiarazione di pubblica utilità, l’inserimento
dell’opera pubblica nel programma triennale.
Inoltre, in lesione
dell’art. 42 Cost., la disposizione censurata
consentirebbe l’esercizio del potere ablatorio «a tempo indeterminato», in
ragione di un provvedimento – appunto l’approvazione del piano triennale delle
opere pubbliche – la cui adozione, da un lato, non può essere qualificata come
serio avvio della procedura espropriativa, e, dall’altro, non garantisce la
partecipazione procedimentale degli interessati e può essere indefinitamente
rinnovato, senza necessità né di motivazione, né di indennizzo.
2.– In via preliminare,
non può essere accolta la richiesta di una declaratoria d’inammissibilità delle
questioni per sopravvenuto difetto di rilevanza, avanzata dal Comune di Adro,
costituito in giudizio, in conseguenza della rinuncia al ricorso depositata nel
giudizio a quo dalle società espropriate.
Come stabilito
dall’art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, il giudizio incidentale di costituzionalità è autonomo rispetto
al giudizio a quo, nel senso che non risente delle vicende di fatto, successive
all’ordinanza di rimessione e relative al rapporto dedotto nel processo principale.
Per questo, la costante giurisprudenza costituzionale afferma che la rilevanza
della questione deve essere valutata alla luce delle circostanze sussistenti al
momento del provvedimento di rimessione, senza che assumano rilievo eventi
sopravvenuti (sentenze n. 244 e n. 85 del 2020),
quand’anche costituiti dall’estinzione del giudizio principale per effetto di
rinuncia da parte dei ricorrenti (ordinanza n. 96 del
2018).
3.– Deve essere,
inoltre, circoscritto il thema decidendum.
Il giudice a quo, in
dispositivo, indirizza le proprie censure sull’intero comma 12 dell’art. 9
della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005.
La motivazione
dell’ordinanza di rimessione, tuttavia, consente agevolmente di delimitare
l’oggetto delle censure al solo secondo periodo del comma in esame,
limitatamente alla parte in cui prevede che i vincoli preordinati
all’espropriazione decadono qualora, entro cinque anni dall’approvazione del
piano dei servizi che prevede l’intervento, quest’ultimo non sia inserito, a
cura dell’ente competente alla sua realizzazione, nel programma triennale delle
opere pubbliche e relativo aggiornamento.
4.– Sempre in via
preliminare, va rigettata l’eccezione d’inammissibilità per difetto di
rilevanza, originariamente avanzata dalla difesa del Comune di Adro, secondo
cui l’adozione della variante allo strumento urbanistico, in quanto idonea a
reiterare il vincolo preordinato all’esproprio, renderebbe irrilevanti le
questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Nel caso in esame, non
risulta implausibile il ragionamento del rimettente,
secondo il quale il Comune di Adro non sarebbe stato obbligato a reiterare il
vincolo – nonostante la scadenza del quinquennio dalla originaria apposizione –
proprio in virtù della norma censurata, che avrebbe determinato una “proroga”
ex lege del vincolo, a seguito dell’inserimento
dell’opera nel programma triennale, per la durata di quest’ultimo e dei suoi
eventuali aggiornamenti annuali.
Infatti, da questo
punto di vista, il provvedimento di variante urbanistica, quantomeno in
relazione all’opera di cui si tratta, potrebbe considerarsi meramente
ricognitivo e, come tale, prima ancora che “atipico” (come ritenuto dal
rimettente), addirittura superfluo.
Non si versa, pertanto,
in una di quelle ipotesi di manifesta implausibilità
della motivazione sulla rilevanza, che impediscono, secondo costante
giurisprudenza costituzionale, l’esame del merito (da ultimo, sentenze n. 218 del 2020
e n. 208 del
2019).
5.– Neppure può essere
accolta l’eccezione d’inammissibilità delle censure di violazione dell’art. 117
Cost., per non avere il rimettente indicato «quale
comma e/o lettera sarebbero stati violati».
In primo luogo, il
giudice a quo, almeno in un passaggio dell’ordinanza di rimessione, individua
espressamente il terzo comma dell’art. 117 Cost.
quale parametro evocato.
È, poi, ininfluente che
il rimettente non menzioni espressamente la materia di legislazione concorrente
tra quelle indicate nel terzo comma dell’art. 117 Cost.,
quando la questione, nel contesto della motivazione, risulti chiaramente
enunciata (in senso analogo, da ultimo, sentenza n. 264 del
2020). E dal tenore dell’ordinanza di rimessione si evince con sufficiente
chiarezza che le censure si incentrano sulla violazione della competenza legislativa
concorrente spettante alla Regione nella materia «governo del territorio».
6.– Va invece, e ancora
preliminarmente, dichiarata l’inammissibilità della questione sollevata in
riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 1 Prot. addiz.
CEDU.
Il rimettente non ha,
infatti, assolto l’onere di motivazione sulla non manifesta infondatezza del
prospettato dubbio di legittimità costituzionale.
L’ordinanza di
rimessione è, invero, volta unicamente a denunciare la lesione degli artt. 42 e
117, terzo comma, Cost., sotto i profili prima
illustrati, e non indica alcuna ragione a sostegno di uno specifico contrasto
della disposizione censurata con il parametro interposto sovranazionale.
Tale carenza conduce
inevitabilmente all’inammissibilità della specifica questione in esame (in tal
senso, tra le molte, sentenze n. 223 e n. 115 del 2020).
7.– Quanto all’esame
del merito delle residue questioni di legittimità costituzionale, è utile
premettere qualche sintetico richiamo alla disciplina statale e regionale
rilevante, nonché alla pertinente giurisprudenza costituzionale.
8.– Governata dall’art.
42, terzo comma, Cost., l’espropriazione per motivi
d’interesse generale consiste in un procedimento preordinato all’emanazione di
un provvedimento che trasferisce la proprietà o altro diritto reale su di un
bene.
Il legislatore statale
ha introdotto a tal fine uno schema procedimentale articolato nelle fasi
indicate dall’art. 8 t.u. espropriazioni, costituite
dalla sottoposizione del bene al vincolo preordinato all’esproprio, dalla
dichiarazione di pubblica utilità dell’opera che deve essere realizzata e dalla
determinazione dell’indennità di espropriazione.
Tali fasi sono
finalizzate all’emissione del decreto di esproprio.
Ai sensi del successivo
art. 9 del medesimo testo unico, un bene è sottoposto al vincolo preordinato
all’espropriazione quando diventa efficace, in base alla specifica normativa
statale e regionale di riferimento, l’atto di approvazione del piano
urbanistico generale, ovvero una sua variante, che preveda la realizzazione di
un’opera pubblica o di pubblica utilità.
Una volta apposto il
vincolo espropriativo, il proprietario del bene resta titolare del suo diritto
sulla cosa e nel possesso di essa, ma non può utilizzarla in contrasto con la destinazione
dell’opera, fino a che l’amministrazione non proceda all’espropriazione.
Come ricorda il giudice
rimettente, questa Corte, con la sentenza n. 55 del
1968, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i numeri 2), 3) e 4)
dell’art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), nonché
l’art. 40 della stessa legge, nella parte in cui non prevedevano un indennizzo
per le limitazioni espropriative a tempo indeterminato.
Il legislatore statale,
chiamato a sciogliere l’alternativa tra un indennizzo da corrispondere
immediatamente, al momento dell’apposizione del vincolo di durata
indeterminata, e un vincolo senza immediato indennizzo ma a tempo determinato,
ha optato per tale seconda soluzione, con la legge 19 novembre 1968, n. 1187
(Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), il
cui art. 2 ha stabilito la durata quinquennale del vincolo, periodo durante il
quale la necessità di corrispondere un indennizzo è esclusa.
Con la sentenza n. 179 del
1999, infine, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del
combinato disposto degli artt. 7, numeri 2), 3) e 4), e 40 della legge n. 1150
del 1942, e 2, primo comma, della legge n. 1187 del 1968, nella parte in cui
consentiva alla pubblica amministrazione di reiterare i vincoli espropriativi
scaduti senza la previsione di un indennizzo.
Il legislatore statale
si è adeguato a queste indicazioni con l’emanazione del già richiamato t.u. espropriazioni.
In base alle norme
dettate da quest’ultimo, il vincolo preordinato all’esproprio è di durata
quinquennale (art. 9, comma 2) – periodo, cosiddetto di franchigia, durante il
quale al proprietario del bene non è dovuto alcun indennizzo – e decade se,
entro tale termine, non è dichiarata la pubblica utilità dell’opera (art. 9,
comma 3).
Una volta decaduto e,
dunque, divenuto inefficace, il vincolo può solo essere motivatamente
reiterato, subordinatamente alla previa approvazione di un nuovo piano
urbanistico generale o di una sua variante (art. 9, comma 4), e con la corresponsione
di un apposito indennizzo (art. 39).
Le stesse garanzie
devono sorreggere una eventuale proroga del vincolo prima della sua naturale
scadenza (in tal senso, sentenza n. 314 del
2007).
Una volta apposto il
vincolo, occorre procedere alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera,
entro il termine di efficacia del vincolo espropriativo (art. 13, comma 1, t.u. espropriazioni).
Si tratta dell’atto con
il quale vengono individuati in concreto i motivi di interesse generale cui l’art.
42, terzo comma, Cost. subordina l’espropriazione
della proprietà privata nei casi previsti dalla legge (sentenza n. 155 del
1995).
Con la dichiarazione di
pubblica utilità, la pubblica amministrazione avvia effettivamente la procedura
espropriativa, accertando l’interesse pubblico dell’opera attraverso
l’individuazione specifica di essa e la sua collocazione nel territorio, nel
rispetto del contraddittorio tra i cittadini interessati e l’amministrazione.
Un ruolo centrale
nell’attuale disciplina del procedimento espropriativo è svolto dalla
cosiddetta dichiarazione implicita di pubblica utilità.
Il t.u.
espropriazioni, infatti, prevede che l’adozione di taluni atti, aventi
struttura e funzioni proprie, comporti anche la dichiarazione di pubblica utilità
delle opere da essi previste.
In particolare, ai
sensi dell’art. 12, comma 1, la dichiarazione di pubblica utilità si intende
disposta «quando l’autorità espropriante approva a tale fine il progetto
definitivo dell’opera pubblica o di pubblica utilità, ovvero quando sono
approvati il piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, il piano di
recupero, il piano di ricostruzione, il piano delle aree da destinare a
insediamenti produttivi, ovvero quando è approvato il piano di zona». Inoltre,
e comunque, essa si intende disposta quando la normativa vigente prevede che
equivalga «a dichiarazione di pubblica utilità l’approvazione di uno strumento
urbanistico, anche di settore o attuativo, la definizione di una conferenza di
servizi o il perfezionamento di un accordo di programma, ovvero il rilascio di
una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti
equivalenti».
8.1.– In ambito
statale, il programma triennale dei lavori pubblici è attualmente previsto
dall’art. 21 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei
contratti pubblici), il quale disciplina unitariamente la programmazione, sia
per i lavori pubblici che per i servizi e le forniture, demandando (comma 8) a
un decreto ministeriale, di natura regolamentare, la normazione di dettaglio.
Ai sensi dell’art. 3,
lettera ggggg-sexies), cod. contratti pubblici, il
programma rappresenta il documento, da aggiornare annualmente, che le
amministrazioni adottano al fine di individuare i lavori da avviare nel
triennio.
Ai fini della presente
decisione, va altresì sottolineato che, in relazione alla definizione del
contenuto del programma in questione, la disciplina della partecipazione dei
privati interessati è contenuta nella fonte regolamentare prima evocata: l’art.
5, comma 5, del decreto ministeriale 16 gennaio 2018, n. 14 («Regolamento
recante procedure e schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del
programma triennale dei lavori pubblici, del programma biennale per
l’acquisizione di forniture e servizi e dei relativi elenchi annuali e
aggiornamenti annuali»), prevede, infatti, che le amministrazioni «possono
consentire» la presentazione di «eventuali» osservazioni entro trenta giorni
dalla pubblicazione del programma sul profilo informatico del committente e che
l’approvazione definitiva del documento programmatico triennale, con gli
eventuali aggiornamenti, avviene entro i successivi trenta giorni dalla
scadenza del termine fissato per tali «consultazioni», ovvero, comunque, entro
sessanta giorni dalla pubblicazione sul suddetto profilo.
9.– La complessiva
disciplina statale sinteticamente richiamata ha trovato peculiare attuazione
nella legislazione della Regione Lombardia.
Come riconosce
significativamente lo stesso art. 5, comma 1, t.u.
espropriazioni («[l]e Regioni a statuto ordinario esercitano la potestà
legislativa concorrente, in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie
di propria competenza […]»), l’espropriazione costituisce una funzione
trasversale, che può esplicarsi in varie materie, anche di competenza
concorrente. Tra queste, soprattutto, il «governo del territorio», per la
pacifica attrazione in quest’ultimo dell’urbanistica, come chiarito dalla
giurisprudenza costituzionale (tra le più recenti, sentenze n. 130 del 2020
e n. 254 del
2019).
La Regione Lombardia,
nell’esercizio delle proprie competenze legislative, si è dotata sia di una
propria legge per il governo del territorio (legge reg. Lombardia n. 12 del
2005), sia di una disciplina in materia di procedimento di espropriazione,
contenuta nella legge della Regione Lombardia 4 marzo 2009, n. 3 (Norme
regionali in materia di espropriazione per pubblica utilità).
Con specifico
riferimento alla vicenda che ha dato origine al giudizio a quo, relativo ad una
fattispecie in cui sono in questione le prime due fasi della procedura
espropriativa (apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e
dichiarazione di pubblica utilità) assumono rilievo, nella legislazione della
Regione Lombardia, due disposizioni: da un lato, quella effettivamente
censurata, contenuta nella legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, che
attribuisce, come s’è visto, peculiare effetto all’inserimento dell’opera
pubblica o di pubblica utilità nel programma triennale delle opere pubbliche;
dall’altro, l’art. 9 della legge reg. Lombardia n. 3 del 2009, il quale,
nell’indicare gli atti che comportano la dichiarazione di pubblica utilità,
include – a differenza della appena ricordata disciplina statale – anche il
programma triennale delle opere pubbliche, subordinando però tale effetto
all’accertamento di alcuni requisiti.
In particolare, il
comma 2 della previsione da ultimo citata esige, relativamente a ciascuna opera
per la quale il programma triennale intende produrre l’effetto in parola, che
esso contenga: un piano particellare che individui i beni da espropriare, con
allegate le relative planimetrie catastali; una motivazione circa la necessità
di dichiarare la pubblica utilità in tale fase; la determinazione del valore da
attribuire ai beni da espropriare, in conformità ai criteri applicabili in
materia, con l’indicazione della relativa copertura finanziaria.
Pur riguardando
entrambe il programma triennale delle opere pubbliche in ambito regionale, le
due disposizioni hanno differenti obbiettivi: la prima (oggetto delle censure
di legittimità costituzionale) è relativa alla fase dell’apposizione del
vincolo preordinato all’esproprio e stabilisce che il vincolo non decade se
l’opera viene inserita nel programma; la seconda, relativa alla fase successiva
del procedimento, include, alle condizioni viste, il programma in questione tra
gli atti la cui approvazione comporta dichiarazione di pubblica utilità, con
scelta, si è detto, innovativa rispetto alla disciplina statale.
Il giudice a quo non si
occupa affatto della seconda disposizione e perciò non ne definisce il rapporto
(di coordinamento, di alternatività, di esclusione) con la prima, che sospetta
di illegittimità costituzionale. Si deve ritenere, peraltro, che tale pur
indubbia lacuna non comporti l’inammissibilità delle questioni, per incompleta
ricostruzione del quadro normativo di riferimento, oppure per una erronea o
incompleta individuazione della disciplina da censurare. Avendo affermato,
nell’ordinanza di rimessione, che il programma triennale delle opere pubbliche
approvato dal Comune di Adro non costituisce «serio inizio» della procedura
espropriativa (carattere che, invece, è in generale riconosciuto alla
dichiarazione di pubblica utilità di un’opera, e che, in virtù dei requisiti
posti dall’art. 9, comma 2, legge reg. Lombardia n. 3 del 2009, potrebbe
derivare, almeno nelle intenzioni del legislatore regionale, dall’inserimento
nel programma triennale delle opere pubbliche corredate da quei requisiti), se
ne deve dedurre che il rimettente abbia implicitamente ritenuto non applicabile
l’art. 9 della legge reg. Lombardia n. 3 del 2009 alla fattispecie al suo
esame.
Trattandosi, dunque, di
disposizione non ritenuta pertinente alla definizione del giudizio, questa
Corte può prescindere da qualsiasi valutazione su di essa, sia in punto di
ammissibilità delle questioni, sia, nel merito, circa la sua riconducibilità
alla legittima espressione della potestà legislativa concorrente spettante alla
Regione nella materia «governo del territorio».
10.– Tutto ciò
premesso, le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 9,
comma 12, della legge reg. n. 12 del 2005 sono fondate, poiché tale
disposizione viola gli artt. 42, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost.
Non può che ribadirsi,
nel solco della sentenza
n. 179 del 1999, che la proroga in via legislativa dei vincoli
espropriativi è fenomeno inammissibile dal punto di vista costituzionale,
qualora essa si presenti «sine die o all’infinito (attraverso la reiterazione
di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle
altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo,
preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza».
Questo è proprio il
vizio che presenta, in primo luogo, la disposizione censurata.
Come correttamente
evidenziato dal giudice rimettente, infatti, l’art. 9, comma 12, secondo
periodo, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, consente la protrazione
dell’efficacia del vincolo preordinato all’esproprio ben oltre la naturale
scadenza quinquennale e, in virtù dell’inclusione dell’aggiornamento annuale
del programma triennale delle opere pubbliche nell’ambito applicativo della
norma, per un tempo sostanzialmente indefinito, senza che sia previsto il
riconoscimento al privato interessato di alcun indennizzo.
Questo effetto si pone
in frontale contrasto con la giurisprudenza costituzionale illustrata in
precedenza, dando seguito alla quale il legislatore statale ha individuato un
ragionevole punto di equilibrio tra la reiterabilità
indefinita dei vincoli e la necessità di indennizzare il proprietario.
Gli artt. 42, terzo
comma, e 117, terzo comma, Cost. sono, infatti,
violati in tutti i casi in cui – come avviene nella specie – alla protrazione
automatica di vincoli di natura espropriativa, disposta da una legge regionale
oltre il punto di tollerabilità individuato dal legislatore statale, non
corrisponda l’obbligo di riconoscere un indennizzo.
A ciò si aggiunga che,
nel consentire la proroga senza indennizzo del vincolo preordinato
all’esproprio oltre il quinquennio originario, il legislatore regionale ha
omesso di imporre un preciso onere motivazionale circa l’interesse pubblico al
mantenimento del vincolo per un periodo che oltrepassa quello cosiddetto di
franchigia: ciò che invece è richiesto dalla legge statale (art. 9, comma 4, t.u. espropriazioni) per le ipotesi di reiterazione del
vincolo.
Ancora, e si tratta di
un profilo che non risulta certo ultimo per importanza, la disposizione
censurata appare del tutto carente quanto al livello di garanzia partecipativa
da riconoscersi al privato interessato.
Proprio in materia
espropriativa, questa Corte ha da tempo affermato che i privati interessati,
prima che l’autorità pubblica adotti provvedimenti limitativi dei loro diritti,
devono essere messi «in condizioni di esporre le proprie ragioni, sia a tutela
del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico»
(da ultimo, sentenza
n. 71 del 2015).
La garanzia in parola
è, invece, frustrata da un atto – l’approvazione del programma triennale delle
opere pubbliche – in relazione al cui contenuto il codice dei contratti
pubblici prevede forme di partecipazione di qualità e grado insufficienti, e
comunque non corrispondenti a quelle stabilite dal t.u.
espropriazioni (in particolare nell’art. 11) per gli atti appositivi e per
quelli reiterativi del vincolo espropriativo.
Infatti, la
partecipazione al procedimento che sfocia nel programma in questione è prevista
esclusivamente dalla fonte regolamentare (d.m. n. 14
del 2018), non già dall’art. 21 cod. contratti pubblici e nemmeno dalla legge
regionale. Inoltre, e soprattutto, l’art. 5, comma 5, del d.m.
prima ricordato si limita a prevedere che le «amministrazioni possono
consentire la presentazione di eventuali osservazioni» da parte dei privati interessati,
così degradando la partecipazione a mera eventualità.
11.– Per queste
complessive ragioni va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9,
comma 12, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, secondo periodo,
limitatamente alla parte in cui prevede che i vincoli preordinati
all’espropriazione per la realizzazione, esclusivamente ad opera della pubblica
amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal piano dei servizi
decadono qualora, entro cinque anni decorrenti dall’entrata in vigore del piano
stesso, l’intervento cui sono preordinati non sia inserito, a cura dell’ente
competente alla sua realizzazione, nel programma triennale delle opere
pubbliche e relativo aggiornamento.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12,
della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo
del territorio), secondo periodo, limitatamente alla parte in cui prevede che i
vincoli preordinati all’espropriazione per la realizzazione, esclusivamente ad
opera della pubblica amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal
piano dei servizi decadono qualora, entro cinque anni decorrenti dall’entrata
in vigore del piano stesso, l’intervento cui sono preordinati non sia inserito,
a cura dell’ente competente alla sua realizzazione, nel programma triennale
delle opere pubbliche e relativo aggiornamento;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 9, comma 12, legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, sollevata, in
riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione
all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952,
dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di
Brescia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre
2020.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO,
Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA,
Direttore della Cancelleria
Depositata in
Cancelleria il 18 dicembre 2020.