Sentenza n. 223 del 2020

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SENTENZA N. 223

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI

 

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 159 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), promosso dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Napoli Nord nel procedimento vertente tra la Banca Farmafactoring spa (già Farmafactoring spa) e il Comune di Sant’Antimo e altro, con ordinanza del 2 maggio 2019, iscritta al n. 13 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2020.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 23 settembre 2020 il Giudice relatore Luca Antonini;

 

deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ordinanza depositata il 2 maggio 2019, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Napoli Nord ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, entrambi ratificati e resi esecutivi con legge 4 agosto 1955, n. 848 – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 159 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali» (d’ora innanzi: anche TUEL).

 

Tale disposizione così recita: «1. Non sono ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri. Gli atti esecutivi eventualmente intrapresi non determinano vincoli sui beni oggetto della procedura espropriativa. 2. Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a: a) pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi; b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso; c) espletamento dei servizi locali indispensabili. 3. Per l’operatività dei limiti all’esecuzione forzata di cui al comma 2 occorre che l’organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli importi delle somme destinate alle suddette finalità. 4. Le procedure esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non determinano vincoli sulle somme né limitazioni all’attività del tesoriere. 5. I provvedimenti adottati dai commissari nominati a seguito dell’esperimento delle procedure di cui all’articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e di cui all’articolo 27, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, emanato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, devono essere muniti dell’attestazione di copertura finanziaria prevista dall’articolo 151, comma 4, e non possono avere ad oggetto le somme di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2, quantificate ai sensi del comma 3».

 

La disposizione è censurata nella parte in cui non esclude che la impignorabilità da essa stabilita sia opponibile a coloro che vantano crediti riconducibili a una delle finalità indicate al suo comma 2.

 

2.– Le questioni sono sorte nell’ambito di un procedimento di pignoramento presso il terzo tesoriere dell’ente locale esecutato.

 

In punto di rilevanza, riferisce il rimettente che il tesoriere dell’ente locale, rendendo la dichiarazione di terzo, ha rappresentato l’esistenza di una deliberazione di quantificazione delle somme sottratte all’esecuzione forzata, adottata ai sensi del comma 3 dell’art. 159 del TUEL e opponibile al creditore procedente.

 

Osserva, inoltre, il giudice a quo, per quanto qui interessa, che il procedimento di cui è investito è fondato su un decreto ingiuntivo, non opposto, avente ad oggetto un credito che «attiene ad una delle finalità protette dalla delibera di impignorabilità» appena menzionata, la quale preclude la realizzazione coattiva del credito stesso.

 

2.1.– In ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Napoli Nord premette che il vincolo di impignorabilità previsto dalla disposizione censurata è efficace nei confronti sia dei creditori «ordinari», sia di quelli il cui «diritto trovi “causa” in una delle finalità protette ai sensi dell’art. 159, comma 2, TUEL».

 

Secondo il giudice a quo, infatti, non è possibile interpretare la norma censurata secundum constitutionem, ritenendo che l’impignorabilità sia inopponibile ai creditori «protetti» o «qualificati», poiché vi osterebbe il suo tenore letterale.

 

In tal modo, tuttavia, ad avviso del rimettente, la norma denunciata, per un verso, finirebbe per contraddire sé stessa, pregiudicando proprio quei creditori alla cui protezione sarebbe preordinata; per l’altro, riserverebbe ingiustificatamente a questi creditori la medesima disciplina dettata per quelli «ordinari», ovvero titolari di crediti che non traggono origine da una prestazione connessa con le finalità di cui al comma 2 dell’art. 159 del TUEL.

 

Di qui la dedotta violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca e della disparità di trattamento.

 

L’omessa esclusione dei creditori «qualificati», o «protetti», dalla opponibilità del divieto di esecuzione forzata in discorso si tradurrebbe, inoltre, in una limitazione della tutela giurisdizionale in sede esecutiva, che non sarebbe quindi piena ed effettiva, sicché la norma denunciata si porrebbe in contrasto anche con gli artt. 24 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla stessa.

 

3.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, manifestamente infondate.

 

3.1.– L’eccezione preliminare d’inammissibilità è imperniata sulla insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo.

 

In particolare, la difesa statale sostiene che il Tribunale di Napoli Nord non avrebbe descritto il contenuto della deliberazione adottata nella specie dall’ente locale ai sensi dell’art. 159, comma 3, del TUEL, con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza, avuto riguardo alla ascrivibilità del credito azionato in sede esecutiva alla categoria dei crediti «qualificati» come tali dalla delibera stessa.

 

3.2.– Nel merito, le questioni sarebbero infondate.

 

L’Avvocatura generale dello Stato prende le mosse dalla censura afferente alla lesione dell’art. 3 Cost., rilevando anzitutto che, come emerge dalla sentenza n. 211 del 2003 di questa Corte, la ratio della disposizione denunciata sarebbe sia quella «di sottrarre ad iniziative esecutive individuali “diffuse”» le somme quantificate con la delibera di destinazione alle finalità essenziali di funzionamento dell’ente locale, sia quella «di garantire che, una volta determinato tale vincolo di destinazione, il soddisfacimento dei creditori avvenga rispettando uno specifico ordine cronologico». Quindi, la difesa statale osserva che i creditori «protetti» non possono agire individualmente ma, al pari dei creditori «ordinari», saranno soddisfatti «solo nell’ordine cronologico determinato dall’Amministrazione»; i primi, tuttavia, godrebbero comunque di una tutela particolare, perché le somme destinate alla loro soddisfazione non potrebbero essere oggetto di aggressione nemmeno da parte dei secondi.

 

Anche le censure inerenti alla violazione degli artt. 24 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla stessa, sarebbero prive di fondamento.

 

In proposito, l’Avvocatura generale dello Stato rimarca, in primo luogo, che la limitazione alla tutela giurisdizionale derivante dal denunciato art. 159 del TUEL non sarebbe assoluta ma relativa: l’impignorabilità prevista da tale norma è difatti subordinata all’adozione della suddetta delibera semestrale di quantificazione e, a seguito della citata sentenza additiva n. 211 del 2003, alla mancata emissione da parte dell’ente locale di mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati senza l’osservanza dell’ordine cronologico delle fatture pervenute o, se non è prescritta la fattura, delle deliberazioni di impegno.

 

D’altra parte, prosegue la difesa statale, l’impignorabilità in parola, pur comportando una relativa compressione della tutela giurisdizionale in sede esecutiva, troverebbe adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare altri valori costituzionalmente rilevanti, risolvendosi pertanto in un equilibrato bilanciamento degli interessi in gioco.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Napoli Nord dubita – in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, entrambi ratificati e resi esecutivi con legge 4 agosto 1955, n. 848 – della legittimità costituzionale dell’art. 159 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali» (d’ora innanzi: anche TUEL).

 

Tale disposizione prevede che: «1. Non sono ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri. Gli atti esecutivi eventualmente intrapresi non determinano vincoli sui beni oggetto della procedura espropriativa. 2. Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a: a) pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi; b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso; c) espletamento dei servizi locali indispensabili. 3. Per l’operatività dei limiti all’esecuzione forzata di cui al comma 2 occorre che l’organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli importi delle somme destinate alle suddette finalità. 4. Le procedure esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non determinano vincoli sulle somme né limitazioni all’attività del tesoriere. 5. I provvedimenti adottati dai commissari nominati a seguito dell’esperimento delle procedure di cui all’articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e di cui all’articolo 27, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, emanato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, devono essere muniti dell’attestazione di copertura finanziaria prevista dall’articolo 151, comma 4, e non possono avere ad oggetto le somme di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2, quantificate ai sensi del comma 3».

 

2.– Va innanzitutto precisato, al fine di individuare esattamente il petitum del presente giudizio, che, benché nel dispositivo il giudice a quo abbia fatto riferimento all’intero art. 159 del TUEL, il sospetto di illegittimità costituzionale ha ad oggetto, come chiaramente si evince dalla complessiva motivazione dell’ordinanza di rimessione, il solo comma 2: norma, questa, che è censurata nella parte in cui non prevede che l’impignorabilità da essa stabilita sia inopponibile a coloro che vantano crediti riconducibili a una delle finalità da essa stessa prese in considerazione.

 

2.1.– L’omessa previsione normativa lederebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost., sotto i profili della ragionevolezza e della eguaglianza.

 

Il vulnus al canone della ragionevolezza discenderebbe, segnatamente, dalla intrinseca contraddittorietà della norma denunciata: la sua ratio, ad avviso del rimettente ravvisabile nell’esigenza di tutelare i creditori «qualificati», ovvero coloro che vantano crediti riconducibili alle suddette finalità, sarebbe difatti tradita dalla opponibilità della impignorabilità anche a tali creditori.

 

Sotto il secondo profilo, invece, la disposizione censurata determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, sottoponendo alla stessa disciplina categorie di creditori – quelli, cioè, «qualificati» o «protetti» (alla luce di quanto appena detto), da un lato, e quelli «ordinari», dall’altro – che sarebbero invece eterogenee.

 

La compressione della tutela giurisdizionale in sede esecutiva, derivante dalla opponibilità del divieto di esecuzione forzata anche ai creditori asseritamente «protetti», comporterebbe, inoltre, il denunciato contrasto con gli artt. 24 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla stessa.

 

3.– L’Avvocatura generale dello Stato ha preliminarmente sollevato eccezione d’inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, non avendo il giudice a quo descritto adeguatamente la fattispecie oggetto del procedimento esecutivo di cui è investito.

 

In particolare, dall’ordinanza di rimessione non emergerebbe l’ascrivibilità del credito posto a fondamento del pignoramento alla categoria dei crediti «qualificati» alla luce della deliberazione semestrale di impignorabilità adottata nella specie dall’ente locale esecutato, giacché il contenuto di questa non sarebbe stato descritto.

 

L’eccezione così formulata non è meritevole di accoglimento.

 

Se è, infatti, vero che l’ordinanza di rimessione non rappresenta analiticamente il contenuto della suddetta deliberazione, nondimeno essa precisa che il credito vantato dal creditore procedente «attiene ad una delle finalità protette dalla delibera di impignorabilità». Contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente ha dunque espressamente affermato la riconducibilità del credito, sulla base del quale è stata intrapresa l’esecuzione, a quelli oggetto della menzionata deliberazione.

 

Sotto questo aspetto, quindi, le questioni sollevate superano il vaglio di ammissibilità.

 

4.– La questione formulata in riferimento agli artt. 24 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla stessa, è, tuttavia, inammissibile per una diversa ragione.

 

Il rimettente non ha, infatti, assolto l’onere di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza del prospettato dubbio di legittimità costituzionale.

 

La struttura della motivazione dell’ordinanza di rimessione è, invero, tutta volta a denunciare la lesione dell’art. 3 Cost., sotto gli indicati profili.

 

In questo contesto, il giudice a quo si limita in sostanza a ricordare – peraltro attraverso il mero richiamo a due sentenze, da sole comunque inidonee ad assolvere l’onere di motivazione che grava su di esso (ordinanza n. 85 del 2018) – che il diritto di agire in giudizio comprende la fase della tutela esecutiva.

 

Egli non adduce, tuttavia, alcuno specifico e autonomo argomento circa le ragioni per cui la disciplina censurata minerebbe l’effettività della tutela giurisdizionale in questa fase, ovvero le concrete modalità lesive dei parametri in esame, il contrasto con i quali risulta quindi dedotto in maniera generica e assertiva.

 

5.– Nel merito, la questione inerente alla violazione dell’art. 3 Cost. non è fondata.

 

5.1.– È opportuno ricordare, innanzitutto, la portata complessiva dell’art. 159 del TUEL, che non è certamente diretto ad accordare un generico privilegio di impignorabilità al pubblico denaro, essendo piuttosto volto a proteggere, sotto rigide condizioni, quanto è necessario per garantire determinate spese, giudicate dal legislatore meritevoli di particolare tutela in quanto coessenziali, in ultima analisi, alla funzionalità e all’esistenza stessa dell’ente locale: a valori quindi che trovano tutela costituzionale nel principio autonomistico (sentenze n. 154 del 2013 e n. 155 del 1994).

 

Questa norma, infatti, dopo aver disposto, al comma 1, il divieto di intraprendere procedure di esecuzione e di espropriazione forzata presso soggetti diversi dagli istituti tesorieri degli enti locali, stabilisce, al comma 2, l’impignorabilità, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio, delle sole somme di denaro di tali enti destinate: a) al pagamento delle retribuzioni dei dipendenti nei tre mesi successivi e al versamento dei connessi oneri previdenziali; b) al pagamento delle rate di mutui e prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso; c) all’espletamento dei servizi pubblici indispensabili.

 

Si tratta, in primo luogo, di una elencazione che deve ritenersi tassativa, dal momento che i limiti alla pignorabilità previsti dalla norma in esame si traducono in una deroga al principio generale per cui, salve, appunto, le limitazioni previste dalla legge, ogni debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni (art. 2740, commi primo e secondo, del codice civile), che possono conseguentemente essere espropriati dal creditore per conseguire quanto gli è dovuto, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile (art. 2910, primo comma, cod. civ.).

 

In secondo luogo, l’operatività di tali limiti all’esecuzione forzata è gradata, sotto l’aspetto della loro quantificazione, in relazione alle tipologie di spesa: per le retribuzioni dei dipendenti e il versamento dei connessi oneri previdenziali si prevede, infatti, un vincolo temporale trimestrale, che diventa semestrale per le rate di mutui e di prestiti obbligazionari, in modo da garantire la capacità dell’ente di ricorso al credito per soddisfare finalità pubbliche; non si prevede, invece, alcun vincolo temporale in relazione alle spese attinenti all’espletamento dei servizi pubblici indispensabili, proprio a significare la più intensa protezione della specifica missione dell’ente locale nei confronti della comunità di riferimento.

 

In terzo luogo, ai sensi del comma 3 dell’art. 159 del TUEL, l’opponibilità della impignorabilità introdotta dal comma precedente presuppone l’adozione, da parte dell’organo esecutivo dell’ente locale, di una deliberazione semestrale, che deve essere notificata al tesoriere, di quantificazione preventiva delle somme necessarie alla realizzazione delle finalità pubbliche ritenute essenziali dal legislatore. È del tutto evidente, peraltro, che siffatta quantificazione deve essere improntata ai principi di buon andamento e di imparzialità; non potrà quindi tradursi in deliberazioni che, ad esempio, sottopongano al vincolo d’impignorabilità importi eccedenti quelli necessari per l’attuazione delle suddette finalità o afferenti a prestazioni e servizi a esse estranee, in tal modo in sostanza paralizzando, tramite un arbitrario “scudo”, qualsiasi esecuzione intrapresa dai creditori: in casi di questo genere ben potendo questi ultimi trovare tutela attraverso gli ordinari rimedi giurisdizionali dinanzi al giudice comune.

 

Infine, una volta intervenuta la deliberazione di quantificazione, e sorto così il vincolo di impignorabilità, operano altre rigide condizioni, in quanto l’ente locale non può distogliere le somme necessarie per l’espletamento delle funzioni essenziali utilizzandole per altre finalità, mediante l’emissione di mandati a titoli differenti, se non nel rispetto di un rigoroso ordine cronologico: a seguito della sentenza additiva di questa Corte n. 211 del 2003, infatti, «la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non oper[a] qualora, dopo la adozione da parte dell’organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell’ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente stesso».

 

5.2.– Ciò premesso, si deve rilevare che il giudice a quo muove in realtà da un erroneo presupposto, quando argomenta la censura per intrinseca irragionevolezza sostenendo che il comma 2 dell’art. 159 del TUEL, in contrasto con la ratio che lo connota, pregiudicherebbe proprio quei creditori alla cui protezione sarebbe preordinato.

 

La tesi del rimettente si fonda, in sostanza, sull’assunto secondo cui lo scopo della impignorabilità prevista dalla disposizione censurata sarebbe quello di tutelare i creditori «qualificati».

 

Questo assunto non è condivisibile, dal momento che la norma in discorso non è preordinata, in sé, a garantire l’interesse individuale dei singoli creditori «qualificati», ma è essenzialmente rivolta, come detto, ad assicurare, nel rispetto del complesso delle rigide condizioni sopra ricordate, la funzionalità dell’ente locale: in quest’ottica, essa è diretta a evitare che l’aggressione, da qualsiasi creditore provenga, di una riserva essenziale di denaro possa giungere a impedire, fino in ipotesi a determinarne la paralisi, l’espletamento di determinate funzioni istituzionali ritenute dal legislatore essenziali alla vita stessa dell’ente.

 

L’impignorabilità, infatti, è in sostanza destinata a operare allorquando il saldo attivo presso l’istituto tesoriere sia di ammontare inferiore o eguale all’entità delle somme quantificate con la delibera semestrale dell’ente locale. In siffatto contesto, è evidente come l’aggressione individuale, ancorché basata su un credito «qualificato», in quanto maturato in relazione a una delle menzionate finalità, potrebbe comunque condurre alla decurtazione anche significativa o, addirittura, all’azzeramento delle risorse finanziarie dell’ente stesso, così compromettendone la funzionalità.

 

Questa Corte, del resto, ha già avuto occasione di precisare – nel dichiarare la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 159 del TUEL (che non ammette procedure esecutive nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri) – che questa norma è «evidentemente funzionale alla esigenza di imprimere», proprio «secondo quanto previsto dai [successivi] commi 2 e 3», una determinata destinazione alle risorse finanziarie dell’ente locale «a tutela dell’interesse pubblico» (ordinanza n. 83 del 2003).

 

Nella medesima direzione, inoltre, anche la giurisprudenza di legittimità ha osservato che il vincolo di impignorabilità di cui all’art. 159, comma 2, del TUEL è «finalizzato ad evidenti esigenze pubblicistiche di tutela della funzionalità» degli enti locali, come è dimostrato dalla espressa previsione della sua rilevabilità ufficiosa (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 6 dicembre 2018, n. 31661).

 

Che il vincolo d’impignorabilità in parola sia posto a presidio del corrente e tempestivo espletamento delle funzioni istituzionali degli enti locali, e non dell’interesse di ciascun creditore «qualificato» a essere soddisfatto, trova, d’altra parte, ulteriore conferma nel rilievo per cui l’art. 159 del TUEL non prescrive che siano indicati partitamente, nella delibera semestrale di quantificazione delle somme impignorabili, i singoli crediti, né tanto meno i singoli creditori, stabilendo piuttosto che in essa vengano quantificati gli importi complessivamente destinati al perseguimento delle indicate finalità.

 

Sulla scorta delle considerazioni svolte, deve quindi essere esclusa la contraddittorietà dedotta dal rimettente, risultando, al contrario, il precetto denunciato non incoerente con la ratio normativa appena tratteggiata.

 

5.3.– Le argomentazioni che precedono dimostrano l’infondatezza della censura anche sotto l’altro profilo in cui è articolata, inerente all’irragionevole disparità in tesi derivante dall’eguale trattamento riservato ai creditori asseritamente «protetti» e a quelli «ordinari».

 

Si è chiarito, infatti, che i pignoramenti, tanto da parte degli uni, quanto da parte degli altri, potrebbero minare la funzionalità della pubblica amministrazione locale, con la conseguenza che l’equiparazione operata dalla norma denunciata trova adeguata giustificazione nell’esigenza di non vanificare lo scopo che essa persegue.

 

Deve pertanto escludersi che la scelta legislativa di trattare allo stesso modo le due categorie di creditori possa ritenersi irragionevole.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 159 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 117, primo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, entrambi ratificati e resi esecutivi con legge 4 agosto 1955, n. 848 – dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Napoli Nord con l’ordinanza indicata in epigrafe;

 

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 159 del d.lgs. n. 267 del 2000, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Napoli Nord con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2020.

 

F.to:

 

Mario Rosario MORELLI, Presidente

 

Luca ANTONINI, Redattore

 

Filomena PERRONE, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 23 ottobre 2020.