SENTENZA N.
168
ANNO 2014
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Gaetano SILVESTRI
Presidente
- Luigi MAZZELLA
Giudice
- Sabino CASSESE
”
- Giuseppe TESAURO
”
- Paolo Maria
NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO
”
- Alessandro
CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI
”
- Giorgio LATTANZI
”
- Aldo CAROSI
”
- Marta CARTABIA
”
- Sergio MATTARELLA
”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO
”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge
della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 13 febbraio 2013, n. 3 (Disposizioni in materia di
politiche abitative), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri
con ricorso
notificato il 9-14 maggio 2013, depositato in cancelleria il 14 maggio 2013 ed
iscritto al n. 61 del registro ricorsi 2013.
Udito nell’udienza
pubblica dell’11 marzo 2014 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;
udito l’avvocato dello Stato Diana Ranucci
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con
ricorso, depositato il 14 maggio 2013, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art.
19, comma 1, lettera b), della legge
della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 13 febbraio 2013, n. 3 (Disposizioni in materia di
politiche abitative), nella parte in cui annovera, fra i requisiti di accesso
all’edilizia residenziale pubblica, quello della «residenza nella Regione da
almeno otto anni, maturati anche non consecutivamente».
1.1.– Il
ricorrente ritiene che tale disposizione, prescrivendo un requisito temporale
di residenza nella Regione Valle d’Aosta così prolungato (otto anni) ai fini
dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica, imporrebbe un obbligo
sproporzionato rispetto al pur legittimo scopo della norma, che è quello di
stabilire un collegamento tra il richiedente la provvidenza e l’ente competente
alla sua erogazione, onde preservare l’equilibrio finanziario del sistema
locale di assistenza sociale, tale da causare una significativa ed
ingiustificata restrizione
alla libertà di circolazione e di soggiorno stabilita dall’art. 21, paragrafo 1,
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in violazione
degli artt. 117,
primo comma, e 3
della Costituzione.
Essa,
inoltre, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 24, paragrafo 1, della
direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione
e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio
degli Stati membri, che modifica il regolamento
(CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE,
72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e
93/96/CEE), che stabilisce che «ogni cittadino dell’Unione che risiede
[…] nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento
rispetto ai cittadini di tale Stato», in quanto opererebbe una discriminazione
irragionevole nei confronti dei cittadini dell’Unione, i quali avrebbero minori
possibilità di ottenere il richiesto requisito rispetto ai valdostani ed agli
stessi cittadini italiani, anche in tal caso in violazione degli artt. 117, primo comma,
e 3 Cost.
Un
ulteriore profilo di illegittimità costituzionale della norma regionale
impugnata è, inoltre, ravvisato nell’irragionevole discriminazione da essa
operata nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che abbiano ottenuto lo status di soggiornanti di lungo periodo
in seguito ad una residenza presso un Paese UE protratta per cinque anni.
Questi ultimi, infatti, per poter concorrere all’assegnazione di un alloggio di
edilizia residenziale pubblica, nell’ipotesi in cui non abbiano trascorso il
periodo quinquennale necessario ai fini dell’acquisizione dello status nel territorio valdostano ma in
altra Regione, devono ineluttabilmente attendere un termine complessivo
superiore agli otto anni, in contrasto con il principio stabilito dall’art. 11,
paragrafo 1, lettera f), della
direttiva 25 novembre 2003, n. 2003/109/CE (Direttiva del Consiglio relativa
allo status dei cittadini di paesi
terzi che siano soggiornanti di lungo periodo), in virtù del quale i
soggiornanti di lungo periodo godono dello stesso trattamento dei cittadini
nazionali per quanto riguarda anche l’accesso alla procedura per l’ottenimento
di un alloggio. La norma impugnata tratterebbe in modo eguale situazioni
diverse, introducendo una sostanziale disparità di trattamento nei confronti
del soggiornante di lungo periodo, del tutto ingiustificata, poiché attuata
nell’ambito di categorie di soggetti (di cui all’art. 2 della stessa legge)
tutti egualmente bisognosi, in violazione del limite
di ragionevolezza «imposto dal rispetto del principio di uguaglianza» ed in
contrasto anche con la ratio che
sottende l’intera normativa.
Infine, la
norma regionale in esame è censurata per violazione dell’art. 3
Cost., in relazione all’art. 40, comma 6, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero),
in quanto realizzerebbe una irragionevole discriminazione nei confronti dei
cittadini dell’Unione europea rispetto a quanto stabilito dal legislatore
statale per gli stranieri extracomunitari. Infatti, mentre questi ultimi, in
virtù di quanto statuito all’art. 40, comma 6, possono accedere agli alloggi di
edilizia residenziale pubblica dopo aver soggiornato nel territorio nazionale
per soli due anni, in base alla normativa regionale in esame, i cittadini
europei, pur trovandosi nelle medesime condizioni di bisogno, devono viceversa
soddisfare il requisito della residenza protratta per almeno otto anni nel territorio
regionale, senza che ciò sia giustificato da esigenze particolari ed in netto
contrasto con la stessa ratio
normativa perseguita dal legislatore regionale, di tutela delle categorie più
deboli.
2.– All’udienza pubblica
il ricorrente ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nel
ricorso introduttivo.
3.– La Regione autonoma
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
non si è costituita nel presente giudizio.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 13 febbraio 2013,
n. 3 (Disposizioni in materia di politiche abitative), nella parte in cui
annovera, fra i requisiti di accesso all’edilizia residenziale pubblica, quello
della «residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non
consecutivamente».
1.1.– Il
ricorrente, anzitutto, ritiene che la predetta norma determini un’irragionevole
discriminazione nei confronti dei cittadini dell’Unione europea, violando
l’art. 21, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
(TFUE), che riconosce e garantisce la libertà di circolazione e di soggiorno,
nonché l’art. 24, paragrafo 1, della direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa al diritto
dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare
liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed
abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE,
75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE), in contrasto con gli
artt. 117, primo comma, e. 3 Cost.
Essa,
infatti, determinerebbe un’irragionevole discriminazione nei confronti dei cittadini
UE, i quali, pur godendo del diritto al pari trattamento rispetto ai cittadini
degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE), avrebbero
minori possibilità di soddisfare il requisito della residenza protratta per
otto anni sul territorio regionale ai fini dell’accesso all’edilizia
residenziale pubblica, in specie rispetto ai valdostani. I cittadini europei
sarebbero, peraltro, ingiustificatamente soggetti ad un obbligo sproporzionato
rispetto al pur legittimo scopo della norma, che è quello di stabilire un
collegamento tra il richiedente la provvidenza e l’ente competente alla sua
erogazione onde preservare l’equilibrio finanziario del sistema locale di
assistenza sociale, tale da causare una significativa ed ingiustificata restrizione
alla libertà di circolazione e di soggiorno.
La norma
impugnata determinerebbe, inoltre, anche una irragionevole discriminazione nei
confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo,
i quali, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 25 novembre 2003, n. 2003/109/CE (Direttiva del
Consiglio relativa allo status dei
cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo), godono dello
stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda anche l’accesso
alla procedura per l’ottenimento di un alloggio.
Questi
ultimi, infatti, nell’ipotesi in cui non abbiano trascorso il periodo
quinquennale necessario ai fini dell’acquisizione dello status di soggiornanti di lungo periodo in territorio valdostano,
ma in altra Regione, devono attendere un termine complessivo superiore agli
otto anni richiesti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, pur
rientrando nell’ambito di quelle categorie di soggetti che la stessa legge
regionale, all’art. 2, annovera fra i soggetti bisognosi, in contrasto con la
lettera e la ratio del citato art. 11
della direttiva, e quindi con l’art. 117, primo comma, Cost., oltre che con
l’art. 3 Cost.
Infine, il
ricorrente denuncia anche la pretesa irragionevole discriminazione operata
dalla norma impugnata nei confronti dei cittadini UE, rispetto a quanto
stabilito dal legislatore statale per gli stranieri extracomunitari (e quindi
in violazione dell’art. 3 Cost.). Infatti, mentre questi ultimi, in virtù di
quanto statuito all’art. 40, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), possono accedere
agli alloggi di edilizia residenziale pubblica solo dopo aver soggiornato nel
territorio nazionale per due anni, in base alla normativa regionale in esame, i
cittadini europei, pur trovandosi nelle medesime condizioni di bisogno, devono
viceversa soddisfare il requisito della residenza protratta per almeno otto
anni nel territorio regionale, senza che ciò trovi fondamento in esigenze
particolari ed in netto contrasto con la stessa ratio normativa perseguita dal legislatore regionale, di tutela
delle categorie più deboli.
2.– La questione è fondata nei termini di seguito precisati.
Questa
Corte ha da tempo rilevato che le finalità proprie dell’edilizia residenziale
pubblica sono quelle di «garantire un’abitazione a soggetti economicamente
deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi» (sentenza n. 176 del
2000), al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non
dispongono di risorse sufficienti (art. 34 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea), mediante un servizio pubblico deputato alla «provvista di
alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti» (sentenze n. 417 del 1994,
n. 347 del 1993,
n. 486 (393?) del
1992). Dal complesso delle disposizioni costituzionali relative al rispetto
della persona umana, della sua dignità e delle condizioni minime di convivenza
civile, emerge, infatti, con chiarezza che l’esigenza dell’abitazione assume i
connotati di una pretesa volta a soddisfare un bisogno sociale ineludibile, un
interesse protetto, cui l’ordinamento deve dare adeguata soddisfazione, anche
se nei limiti della disponibilità delle risorse finanziarie. Per tale motivo,
l’accesso all’edilizia residenziale pubblica è assoggettato ad una serie di
condizioni relative, tra l’altro, ai requisiti degli assegnatari di alloggi di
edilizia residenziale pubblica, quali, ad esempio, il basso reddito familiare (sentenza n. 121 del
1996) e l’assenza di titolarità del diritto di proprietà o di diritti reali
di godimento su di un immobile adeguato alle esigenze abitative del nucleo
familiare dell’assegnatario stesso, requisiti sintomatici di una situazione di
reale bisogno.
In questa
prospettiva la legge n. 3 del 2013 della Regione Valle d’Aosta, intitolata
«Disposizioni in materia di politiche abitative», stabilisce che la Regione
«promuove una serie coordinata di interventi di interesse generale e di
carattere sociale» (art. 1), tesi, fra l’altro, a «risolvere, anche con
interventi straordinari, gravi e imprevedibili emergenze abitative presenti sul
territorio regionale o espresse da particolari categorie sociali» (comma 1,
lettera g), fra le quali ricomprende
gli anziani, i soggetti diversamente abili, gli immigrati. Fra gli interventi
suddetti, vi è la realizzazione della cosiddetta edilizia residenziale
pubblica, definita dalla stessa legge, all’art. 8, comma 1, come «il patrimonio
immobiliare realizzato con il concorso finanziario di enti pubblici e
costituito da abitazioni destinate a ridurre il disagio abitativo dei nuclei
familiari che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel
libero mercato», e quindi destinate a sopperire a situazioni di “emergenza
abitativa”(art. 13, comma 5, lettera a).
Al fine di
realizzare tale servizio sociale, di natura gratuita per il fruitore, la
Regione ha stabilito, all’art. 19, comma 1, specifici criteri di accesso per
l’assegnazione dei beni facenti parte del patrimonio abitativo regionale in
esame, fra i quali, accanto alla previsione di indicatori del basso reddito e
della assenza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione
su quote di immobili adeguati alle esigenze abitative del nucleo familiare
richiedente (requisiti rivelatori della situazione di bisogno), indica, alla
lettera b), il diverso criterio della
residenza protratta per otto anni, anche non consecutivi, sul territorio
regionale.
Questa
Corte ha riconosciuto che «le politiche sociali delle Regioni legate al
soddisfacimento dei bisogni abitativi ben possono prendere in considerazione un
radicamento territoriale ulteriore rispetto alla sola residenza» (sentenza n. 222 del
2013), considerato che «L’accesso a un bene di primaria importanza e a
godimento tendenzialmente duraturo, come l’abitazione, […] può richiedere
garanzie di stabilità, che, nell’ambito dell’assegnazione di alloggi pubblici
in locazione, scongiurino avvicendamenti troppo ravvicinati tra conduttori,
aggravando l’azione amministrativa e riducendone l’efficacia» (sentenza n. 222 del
2013). Un simile requisito, tuttavia, deve essere «contenuto entro limiti
non palesemente arbitrari ed irragionevoli» (sentenza n. 222 del
2013), anche in linea con il principio che «se al legislatore, sia statale
che regionale (e provinciale), è consentito introdurre una disciplina
differenziata per l’accesso alle prestazioni assistenziali al fine di
conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle
risorse finanziarie disponibili» (sentenza n. 133 del
2013), tuttavia «la legittimità di una simile scelta non esclude che i
canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di
ragionevolezza» (sentenza
n. 133 del 2013) e che, quindi, debbano essere in ogni caso coerenti ed
adeguati a fronteggiare le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili
direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto
principale di fruibilità delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del
2011).
Nella
specie, la previsione dell’obbligo di residenza da almeno otto anni nel
territorio regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al
beneficio dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica (e non, quindi, come
mera regola di preferenza), determina un’irragionevole discriminazione sia nei
confronti dei cittadini dell’Unione, ai quali deve essere garantita la parità
di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della
direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano
soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1,
lettera f), della direttiva
2003/109/CE, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto
riguarda anche l’accesso alla procedura per l’ottenimento di un alloggio.
Quanto ai
primi, risulta evidente che la norma regionale in esame li pone in una
condizione di inevitabile svantaggio in particolare rispetto alla comunità
regionale, ma anche rispetto agli stessi cittadini italiani, che potrebbero più
agevolmente maturare gli otto anni di residenza in maniera non consecutiva,
realizzando una discriminazione vietata dal diritto comunitario (oggi «diritto
dell’Unione europea», in virtù dell’art. 2, numero 2, lettera a, del Trattato di Lisbona, che modifica
il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità
europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007), in particolare dall’art. 18
del TFUE, in quanto determina una compressione ingiustificata della loro
libertà di circolazione e soggiorno, garantita dall’art. 21 del TFUE. Infatti,
il requisito della residenza protratta per otto anni sul territorio regionale
induce i cittadini dell’Unione a non esercitare la libertà di circolazione
abbandonando lo Stato membro cui appartengono (Corte
di giustizia, sentenza 21 luglio 2011, in causa C-503/09, Stewart),
limitando tale libertà in una misura che non risulta né proporzionata, né
necessaria al pur legittimo scopo di assicurare che a beneficiare della
provvidenza siano soggetti che abbiano dimostrato un livello sufficiente di
integrazione nella comunità presso la quale risiedono (Corte
di giustizia, sentenza 23 marzo 2004, in causa C-138/02, Collins), anche al
fine di evitare oneri irragionevoli onde preservare l’equilibrio finanziario
del sistema locale di assistenza sociale (Corte
di giustizia, sentenza 2 agosto 1993, in cause riunite C-259/91, C-331/91 e
C-332/91, Allué). Non è, infatti, possibile
presumere, in termini assoluti, che i cittadini dell’Unione che risiedano nel
territorio regionale da meno di otto anni, ma che siano pur sempre ivi
stabilmente residenti o dimoranti, e che quindi abbiano instaurato un legame
con la comunità locale, versino in stato di bisogno minore rispetto a chi vi
risiede o dimora da più anni e, per ciò stesso siano estromessi dalla
possibilità di accedere al beneficio.
Sulla base
di analoghe argomentazioni, è agevole ravvisare la portata irragionevolmente
discriminatoria della norma regionale impugnata anche con riguardo ai cittadini
di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. L’art. 11 della
direttiva 2003/109/CE stabilisce, alla lettera f) del paragrafo 1, che il soggiornante di lungo periodo gode dello
stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda «l’accesso a
beni e servizi a disposizione del pubblico e all’erogazione degli stessi,
nonché alla procedura per l’ottenimento di un alloggio». Tale previsione, che è
stata recepita dall’art. 9, comma 12, lettera c), del d.lgs. n. 286 del 1998 (nel testo modificato dal decreto
legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, recante «Attuazione della
direttiva 2003/109/CE relativa
allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo»), mira ad impedire
qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, applicando criteri di
distinzione diversi dalla cittadinanza, conduca di fatto allo stesso risultato,
a meno che non sia obiettivamente giustificata e proporzionata al suo scopo. La
previsione di una certa anzianità di soggiorno o di residenza sul territorio ai
fini dell’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, che si
aggiunge al requisito prescritto per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo, costituito dal possesso
del permesso di soggiorno da almeno cinque anni nel territorio dello Stato, ove
tale soggiorno non sia avvenuto nel territorio della Regione, potrebbe trovare
una ragionevole giustificazione nella finalità di evitare che detti alloggi
siano assegnati a persone che, non avendo ancora un legame sufficientemente
stabile con il territorio, possano poi rinunciare ad abitarvi, rendendoli
inutilizzabili per altri che ne avrebbero diritto, in contrasto con la funzione
socio-assistenziale dell’edilizia residenziale pubblica. Tuttavia, l’estensione
di tale periodo di residenza fino ad una durata molto prolungata, come quella
pari ad otto anni prescritta dalla norma impugnata, risulta palesemente
sproporzionata allo scopo ed incoerente con le finalità stesse dell’edilizia
residenziale pubblica, in quanto può finire con l’impedire l’accesso a tale
servizio proprio a coloro che si trovino in condizioni di maggiore difficoltà e
disagio abitativo, rientrando nella categoria dei soggetti in favore dei quali
la stessa legge della Regione Valle d’Aosta n. 3 del 2013 dispone, all’art. 1,
comma 1, lettera g), l’adozione di
interventi, anche straordinari, finalizzati a fronteggiare emergenze abitative.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge della Regione Valle d’Aosta n. 3 del 2013, nella
parte in cui indica, fra i requisiti di accesso all’edilizia residenziale
pubblica, quello della «residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati
anche non consecutivamente», per violazione dell’art. 3 e dell’art. 117, primo
comma, Cost. in riferimento all’art. 21, paragrafo 1,
del TFUE, all’art. 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE, nonché all’art.
11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2003/109/CE.
3.– Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal ricorrente.
PER QUESTI
MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1,
lettera b), della legge della Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
13 febbraio 2013, n. 3 (Disposizioni in
materia di politiche abitative), nella parte
in cui annovera, fra i requisiti di accesso all’edilizia residenziale pubblica,
quello della «residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non
consecutivamente».
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI,
Presidente
Giuseppe TESAURO,
Redattore
Gabriella MELATTI,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria l'11 giugno 2014.