SENTENZA N. 133
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Luigi MAZZELLA Presidente
- Gaetano SILVESTRI Giudice
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli articoli 3, comma 3, e 7, commi 1 e 2, della legge della
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol 14 dicembre 2011, n. 8
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale
2012-2014 della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol − Legge
finanziaria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 17-22 febbraio 2012, depositato in cancelleria il 23 febbraio
2012 ed iscritto al n. 30 del registro ricorsi 2012.
Udito nell’udienza pubblica del 12 marzo
2013 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
udito l’avvocato dello Stato Maria
Vittoria Lumetti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– Con ricorso spedito per la
notificazione il 17 febbraio 2012, notificato il 22 febbraio 2012 e depositato
il successivo 23 febbraio, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso
questioni di legittimità costituzionale in via principale:
a) dell’articolo 3, comma 3, della legge
della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/ Südtirol 14 dicembre 2011, n. 8
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale
2012-2014 della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol – Legge
finanziaria), in riferimento agli articoli 3 e 117, secondo comma, lettera b),
della Costituzione;
b) dell’articolo 7, commi 1 e 2, della
medesima legge regionale, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera
l), e terzo, della Costituzione.
1.1.– Il ricorrente rileva come l’art.
3, comma 3, della citata legge regionale, modificando l’art. 3, comma 1, della
legge reg. 18 febbraio 2005, n. 1 (Pacchetto famiglia e previdenza sociale),
introduca una distinzione tra i cittadini italiani e gli stranieri
extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’«assegno regionale al nucleo
familiare per i figli ed equiparati», disciplinato dalla norma novellata.
Mentre, infatti, ai cittadini italiani è richiesta la semplice residenza nella
Regione, la corresponsione dell’assegno ai cittadini extracomunitari è
condizionata al «possesso della residenza in regione da almeno cinque anni».
Ad avviso della difesa dello Stato, tale
ultima previsione non sarebbe in linea con il disposto dell’art. 41 del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e
dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2001), che, ai fini della fruizione delle prestazioni e delle provvidenze,
anche economiche, di assistenza sociale, equiparano ai cittadini italiani gli
stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata
non inferiore a un anno. Inoltre, l’art. 9 del citato decreto legislativo
richiede, ai fini del rilascio del permesso CE per soggiornanti di lungo
periodo, il possesso di un permesso di soggiorno per almeno cinque anni. Il
quinquennio si riferisce, dunque, non alla residenza, ma solo alla regolare
presenza nel territorio dello Stato.
La norma regionale censurata, nel
subordinare l’attribuzione delle prestazioni assistenziali considerate al
possesso, da parte dei cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti nel
territorio dello Stato, dell’ulteriore requisito della residenza in Regione per
un periodo minimo ininterrotto di cinque anni, introdurrebbe una
discriminazione tra cittadini italiani e cittadini extracomunitari lesiva
dell’art. 3 Cost.
Come già rilevato dalla Corte
costituzionale in rapporto ad analoghe norme regionali (sentenza n. 40 del
2011), non vi sarebbe, infatti, alcuna ragionevole correlazione tra il
requisito di accesso ai benefici individuato dal legislatore regionale («il
possesso della residenza in regione da almeno cinque anni») e le situazioni di
bisogno e di disagio che le provvidenze in questione mirano a fronteggiare. La
stessa Corte costituzionale ha, inoltre, precisato come, una volta che il
diritto a soggiornare nel territorio nazionale non sia in discussione, non si
possano «discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti,
particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della
persona, riconosciuti invece ai cittadini» (sentenza n. 61 del
2011).
La disposizione censurata violerebbe
anche la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di
immigrazione (art. 117, secondo comma, lettera b, Cost.). La disparità di
trattamento da essa introdotta inciderebbe, infatti, sullo «status
economico-sociale dell’immigrato e del suo nucleo familiare, pregiudicandone
l’uniformità sul territorio nazionale».
1.2.– Il Governo censura, in secondo
luogo, l’art. 7 della legge reg. n. 8 del 2011, recante norme in materia di
personale, con particolare riguardo alle previsioni dei commi 1 e 2. Il comma 1
stabilisce che, «a decorrere dal 1° luglio 2012, ai fini del concorso agli
obiettivi di finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 79 dello Statuto di
autonomia, i trattamenti economici conseguenti ai passaggi all’interno
dell’area sono corrisposti nei limiti delle risorse del Fondo per il
finanziamento del sistema di classificazione del personale». Il comma 2
dispone, a sua volta, che «il comma 1 si applica anche al personale delle
Camere di Commercio, Industria, Artigiano e Agricoltura di Trento e di
Bolzano».
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, tali disposizioni si porrebbero in contrasto con quanto previsto
dall’art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti
di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in base al quale «per il
personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed
i passaggi tra le aree eventualmente disposte per gli anni 2011, 2012 e 2013
hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». Le norme
censurate violerebbero, di conseguenza, l’art. 117, terzo comma, Cost., con
riferimento ai limiti della potestà legislativa regionale in materia di coordinamento
della finanza pubblica.
Sarebbe violato, altresì, l’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., che riserva allo Stato la competenza
legislativa in materia di ordinamento civile, alla quale andrebbe ricondotta la
disciplina dell’inquadramento dei lavoratori contrattualizzati e delle relative
conseguenze economiche.
2.– Nel giudizio non si è costituita la
Regione autonoma Trentino-Alto Adige.
3.– Con atto depositato il 4 settembre
2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso,
limitatamente all’impugnazione dell’art. 7, commi 1 e 2, evidenziando come
l’art. 1 della sopravvenuta legge reg. 18 giugno 2012, n. 3 (Disposizioni
urgenti in materia di personale regionale, di Camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura, di ordinamento delle aziende pubbliche di servizi
alla persona e di previdenza integrativa) abbia modificato le norme impugnate
in modo da renderle conformi a Costituzione.
1.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale in via principale
di alcune disposizioni della legge della Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol 14 dicembre 2011, n. 8 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol – Legge finanziaria).
2.– Il ricorrente impugna, in primo
luogo, l’articolo 3, comma 3, di tale legge regionale, nella parte in cui –
modificando l’art. 3, comma 1, della legge reg. 18 febbraio 2005, n. 1 (Pacchetto
famiglia e previdenza sociale) – richiede, quale condizione per l’erogazione ai
«cittadini stranieri extracomunitari» dell’«assegno regionale al nucleo
familiare per i figli ed equiparati», il «possesso della residenza in regione
da almeno cinque anni».
Ad avviso del ricorrente, la norma
impugnata violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, introducendo una
discriminazione tra i cittadini extracomunitari e i cittadini italiani (ai
quali è richiesta la semplice residenza in Regione) che apparirebbe arbitraria,
stante l’assenza di ogni ragionevole correlazione tra il requisito di accesso
legato a una particolare tipologia di residenza e le condizioni di bisogno e
disagio della persona che le provvidenze in questione mirano ad affrontare.
Sarebbe violato, altresì, l’art. 117,
secondo comma, lettera b), Cost., che attribuisce alla competenza statale
esclusiva la legislazione in materia di immigrazione, in quanto la durata
minima della residenza in Regione richiesta allo straniero ai fini dell’accesso
alle prestazioni di assistenza sociale atterrebbe «allo status
economico-sociale dell’immigrato e del suo nucleo familiare, pregiudicandone
l’uniformità sul territorio nazionale».
2.1.– In riferimento all’art. 3 Cost.,
la questione è fondata.
L’impugnato art. 3, comma 3, della legge
reg. n. 8 del 2011, novellando l’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 1 del
2005, modifica i requisiti necessari per ottenere l’erogazione dell’«assegno
regionale al nucleo familiare per i figli ed equiparati», disciplinato dalla
norma novellata, con particolare riguardo alla condizione della residenza del
richiedente nella Regione. Come precisato dal comma 4-bis dell’art. 3 della
legge reg. n. 1 del 2005, l’assegno in questione è istituto allo scopo di
integrare, nell’ambito delle competenze della Regione, le provvidenze previste
dalla legislazione statale in materia previdenziale e di istituire «forme di
tutela e di sostegno della famiglia nello svolgimento della sua funzione
sociale». L’entità dell’assegno – che spetta a un solo richiedente per ogni
nucleo familiare la cui condizione economica non superi i limiti stabiliti con
regolamento regionale (art. 3, commi 1 e 4, della legge reg. n. 1 del 2005) –
varia in funzione della composizione di detto nucleo (presenza o meno di entrambi
i genitori, numero dei figli ed equiparati, presenza o meno di figli o
equiparati disabili: tabelle A, B e C allegate alla legge reg. n. 1 del 2005).
Nel testo anteriore alla modifica
operata dalla norma impugnata, l’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 1 del
2005 prevedeva, in via generale, come condizione per l’ottenimento
dell’assegno, che il richiedente fosse residente da almeno cinque anni nella
Regione Trentino-Alto Adige o coniugato con persona in possesso di tale
requisito.
La norma impugnata ha, per converso,
operato una distinzione a seconda dalla nazionalità dell’interessato. La
provvidenza è, infatti, riconosciuta ai cittadini italiani a condizione che
risiedano in Regione (non importa da quanto tempo) o che siano coniugati con
persona in possesso di tale requisito; ai cittadini comunitari, «entro i limiti
e secondo criteri previsti dalla normativa europea in materia di coordinamento
dei sistemi nazionali di sicurezza sociale»; ai cittadini extracomunitari, solo
ove «in possesso della residenza in regione da almeno cinque anni». Ed è su
tale requisito di “residenza qualificata” – attualmente previsto per i soli
cittadini extracomunitari e tale, dunque, da attuare una disciplina
differenziata e meno favorevole nei loro confronti – che si appuntano le
censure del ricorrente.
2.2.– In proposito, questa Corte ha già
avuto modo di affermare che al legislatore, sia statale che regionale, è
consentito introdurre una disciplina differenziata per l’accesso alle
prestazioni eccedenti i limiti dell’essenziale – tra le quali va inclusa quella
qui considerata – al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici
previsti con la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili. La
legittimità di una simile scelta non esclude, tuttavia, che i canoni selettivi
adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza, in quanto
«è consentito […] introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da
riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una “causa” normativa
non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria». Lo scrutinio va operato
all’interno della specifica disposizione, al fine di verificare se vi sia una
ragionevole correlazione tra la condizione prevista per l’ammissibilità al
beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento
e ne definiscono la ratio (sentenza n. 432 del
2005).
Sulla scorta di tali considerazioni, la
Corte ha già in più occasioni ritenuto costituzionalmente illegittime, per
contrasto con l’art. 3 Cost., norme legislative regionali o provinciali che,
come quella oggetto dell’odierno scrutinio, subordinavano il riconoscimento di
determinate prestazioni assistenziali, nei confronti dei soli stranieri, alla
residenza nella Regione o nella Provincia autonoma per un certo periodo minimo
di tempo.
Al riguardo, si è in particolare
rilevato che, in tema di accesso degli stranieri alle prestazioni di assistenza
sociale, mentre la residenza costituisce, rispetto ad una provvidenza
regionale, «un criterio non irragionevole per l’attribuzione del beneficio» (sentenza n. 432 del
2005), non altrettanto può dirsi quanto alla previsione di un requisito
differenziale basato sulla residenza protratta per un predeterminato e
significativo periodo minimo di tempo (nella specie, quinquennale). La
previsione di un simile requisito, infatti, non risulta rispettosa dei principi
di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto «introduce nel tessuto normativo
elementi di distinzione arbitrari», non essendovi alcuna ragionevole correlazione
tra la durata della residenza e le situazioni di bisogno o di disagio,
riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il
presupposto di fruibilità delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del
2011). Non è, infatti, possibile presumere, in termini assoluti, che gli
stranieri immigrati nel territorio regionale o provinciale «da meno di cinque
anni, ma pur sempre ivi stabilmente residenti o dimoranti, versino in stato di
bisogno minore rispetto a chi vi risiede o dimora da più anni» (sentenza n. 2
del 2013; in prospettiva similare, sentenza n. 4 del
2013).
Le medesime considerazioni valgono
evidentemente in rapporto alla norma oggi impugnata, che presenta un’analoga
struttura. L’art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge reg. n. 1 del 2005,
nel testo risultante a seguito delle modifiche operate dal censurato art. 3,
comma 3, della legge reg. n. 8 del 2011, va dichiarato, pertanto,
costituzionalmente illegittimo, limitatamente alle parole – che in esso
compaiono, con riferimento al requisito della residenza in Regione dei
cittadini extracomunitari – «da almeno cinque anni».
Le censure riferite all’art. 117,
secondo comma, lettera b), Cost. restano assorbite.
3.– Con riguardo alla concorrente
impugnazione dell’art. 7, commi 1 e 2, della legge reg. n. 8 del 2011, di cui
era stato denunciato il contrasto con l’art. 117, commi secondo, lettera l), e
terzo, Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato atto di
rinuncia al ricorso.
Per tale parte, il processo va
dichiarato dunque estinto, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, stante la mancata costituzione in
giudizio della Regione (ex plurimis, ordinanze n. 283,
n. 282, n. 122 e n. 98 del 2012).
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’articolo 3, comma 1, secondo periodo, della legge della
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol 18 febbraio 2005, n. 1 (Pacchetto
famiglia e previdenza sociale), come modificato dall’articolo 3, comma 3, della
legge regionale 14 dicembre 2011, n. 8 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol – Legge finanziaria), limitatamente alle parole
«da almeno cinque anni»;
2) dichiara estinto il processo quanto
alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, commi 1 e 2,
della medesima legge regionale n. 8 del 2011.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.
F.to:
Luigi MAZZELLA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 giugno
2013.