Sentenza n. 393 del 1992

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SENTENZA N. 393

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici

 

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

-          Dott. Francesco GRECO

 

-          Prof. Gabriele PESCATORE

 

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-          Avv. Mauro FERRI

 

-          Prof. Luigi MENGONI

 

-          Prof. Enzo CHELI

 

-          Dott. Renato GRANATA

 

-          Prof. Giuliano VASSALLI

 

-          Prof. Francesco GUIZZI

 

-          Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, secondo comma e 16, della legge 17 febbraio 1992, n. 179 (Norme per l'edilizia residenziale pubblica), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana, Umbria, Emilia- Romagna e Veneto, notificati rispettivamente il 27 ed il 30 marzo 1992, depositati in cancelleria il 1 e l'8 aprile successivo ed iscritti ai nn.33, 34, 39 e 40 del registro ricorsi 1992.

 

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

uditi gli avvocati Alberto Predieri per la Regione Toscana, Alberto Predieri e Maurizio Pedetta per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con due ricorsi d'identico contenuto, notificati il 27 marzo 1992, la Regione Umbria e la Regione Toscana hanno proposto, in via principale, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16 della l. 17 febbraio 1992, n. 179, in riferimento agli artt. 3, 115, 117, 118 e 128 Cost..

 

Nei ricorsi si premette che la legge n. 179 del 1992 (intitolata "Norme per l'edilizia residenziale pubblica"), ha configurato nell'art. 16 un nuovo strumento di governo territoriale, denominato "programma integrato d'intervento", la cui formazione è promossa dai comuni al fine di "riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale".

 

Tale figura o schema di intervento è approvato dal Consiglio comunale ed è caratterizzato da una pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, in una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana, e dal possibile concorso di più operatorie risorse finanziarie, pubblici e privati (comma primo). Proposte di programmi di interventi integrati possono essere presentate da soggetti pubblici e privati, relativamente "a zone in tutto o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana e ambientale" (comma secondo).

 

Ove il programma sia in contrasto con gli strumenti urbanistici previgenti, è prevista la presentazione di osservazioni da parte di associazioni, di cittadini o di enti, da inviare al comune entro quindici giorni dall'esposizione nell'albo e dalla pubblicazione sul giornale locale.

 

Programma e osservazioni sono trasmessi alla regione entro dieci giorni e nei centocinquanta giorni successivi la regione provvede ad approvare il programma o a richiedere modifiche: in mancanza di qualsiasi provvedimento regionale nel detto termine il programma si intende approvato (comma quarto).

 

Le regioni ricorrenti osservano che la legge prevede, nei primi due commi dell'art. 16, un nuovo tipo di intervento territoriale, già in sè lesivo dell'autonomia normativa regionale; inoltre la legge stessa disciplina assai minuziosamente l'anzidetta nuova figura, determinandone non solo l'oggetto e la finalità, i soggetti promotori e l'efficacia, ma definendo, altresì, in tutti i particolari, il procedimento di formazione, nel quale è indicata la posizione reciproca del comune e della regione, stabilendo i termini e le modalità di formazione e approvazione, fino alla previsione del silenzio-assenso in caso d'inerzia regionale.

 

Alle regioni è demandato - insieme con l'approvazione dei piani o la richiesta di modifiche - unicamente di concedere i finanziamenti inerenti al settore dell'edilizia residenziale ad esse attribuiti, con priorità a quei comuni che provvedono alla formazione dei suddetti programmi, nonchè di destinare parte delle somme derivanti dagli stanziamenti della legge alla formazione dei programmi integrati.

 

Così disponendo, secondo le regioni ricorrenti, l'art. 16 non concreta una disciplinainerente all'edilizia residenziale pubblica, ma attiene alla materia urbanistica, riservata alla competenza legislativa regionale, ai sensi del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

 

Rientra infatti nella potestà legislativa regionale la determinazione delle procedure e della programmazione urbanistica, con riferimento all'intero territorio (e non solo agli aggregati urbani) ed alla localizzazione degl'insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture.

 

Allo Stato resta la competenza ad emanare soltanto norme di principio; cosicchè l'art. 16, contenendo una normativa di dettaglio, lederebbe le competenze regionali in materia urbanistica.

 

Secondo le regioni ricorrenti, lesione all'autonomia ed alla potestà legislativa regionale è determinata inoltre dall'art. 16 anche in riferimento alle competenze regionali in materia di edilizia residenziale pubblica, nella quale lo Stato può emanare soltanto normativa di principio e non può quindi introdurre, come ha fatto con l'art. 16 della legge n.179 del 1992, "programmi integrati d'intervento", disciplinandone dettagliatamente gli effetti e la procedura, con un ulteriore elemento d'irrazionalità, derivante dalla rottura dell'attribuzione integrale della materia alla regione.

 

Si rileva, poi, che la previsione e la disciplina posta dall'art. 16 della legge n. 179 del 1992 dei programmi integrati di intervento formulati e gestiti dai comuni, viene ad incidere anche sull'ordine delle funzioni e delle competenze degli enti locali quale è definito dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 sul nuovo ordinamento delle autonomie locali.

 

In particolare, la possibilità che la nuova figura di programmai integrati determini varianti di qualsiasi previsione urbanistica, sia comunale, che provinciale o regionale, scardinerebbe il sistema di relazioni posto dalla legge n. 142 del 1990, violando le competenze regionali e comunali.

 

2. Dinanzi a questa Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

 

Nell'atto di costituzione si sostiene che i "programmi integrati d'intervento" sono piani di zona aventi valore di concessione edilizia per le costruzioni ad essi inerenti, di portata innovativa ridotta, in quanto risultati analoghi potevano già essere raggiunti con strumenti urbanistici previgenti (si citano al riguardo i piani previsti dall'art. 27 e segg. della legge 5 agosto 1978, n. 457; quelli di cui all'art. 4 del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, conv. nella l. 25 marzo 1982, n. 94 e all'art.35 della l. 22 ottobre 1971, n. 865).

 

Passando all'esame delle singole censure contenute nei ricorsi, l'Avvocatura dello Stato osserva nell'atto di costituzione che il silenzio- assenso è un istituto di carattere generale, legittimamente utilizzato nel caso di specie dal legislatore statale a tutela dell'autonomia comunale.

 

Quanto alla derogabilità da parte dei programmi in questione dei previgenti strumenti urbanistici, si tratta di una caratteristica tipica dei piani di zona.

 

Per quel che riguarda poi, l'emanazione di una normativa di dettaglio, l'Avvocatura osserva che il carattere di dettaglio o di principio di norme statali "rileva unicamente al fine di valutare la possibilità del legislatore regionale di sovrapporre proprie norme a quelle statali e non al fine della invalidazione di queste ultime". Nè, d'altro canto, la l. 8 giugno 1990, n. 142 avrebbe escluso che nelle materie di competenza regionale la legge statale possa attribuire direttamente ai comuni determinate funzioni ai sensi dell'art. 118, primo comma, Cost..

 

3. Analogo ricorso ha proposto la Regione Veneto, con atto notificato il 30 marzo 1992, con il quale si deduce del pari l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 117 e 128 Cost., dell'art. 16 della l. 17 febbraio 1992, n. 179.

 

Nel ricorso si rileva e si contesta, l'illegittimità di detto articolo che, prevedendo e disciplinando dettagliatamente i "programmi integrati d'intervento", stabilendone le finalità, il contenuto, gli effetti e la procedura, viola le competenze legislative in materia di edilizia residenziale pubblica e di urbanistica, attribuite alle regioni dall'art.117 Cost. e dal d.P.R. n. 616 del 1977, con riferimento, al riguardo, anche alla legge n. 142 del 1990.

 

Si insiste, altresì, sull'assenza di esigenze di salvaguardia degl'interessi nazionali o d'interessi unitari e indivisibili, che possano giustificare la disciplina dettata dall'art. 16 pur attenendo la norma a materie di competenza regionale.

 

Anche nel giudizio così promosso, dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato non fondato, con osservazioni e rilievi in gran parte conformi a quelli esposti in relazione ai ricorsi già indicati.

 

4. Con ricorso 30 marzo 1992 la Regione Emilia Romagna ha impugnato, a sua volta, l'art. 1, comma secondo, e l'art. 16 della legge n. 179 del 1992, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117 Cost..

 

Nel ricorso si lamenta che con detto art. 16 il legislatore ha alterato radicalmente il quadro dei principi fondamentali in materia di pianificazione urbanistica.

 

Secondo la regione, tale normativa contrasterebbe innanzitutto con l'art. 3 Cost., avendo irrazionalmente sovvertito tutti i principi della materia; sarebbe parimenti violato l'art. 97 Cost., in quanto la disciplina ha eliminato ogni verifica tecnica sui programmi in questione, demandandone la formulazione e l'approvazione ad organi politici, "palesemente inidonei a compiere quelle imparziali verifiche tecnico-amministrative di cui la fase attuativa della pianificazione abbisogna".

 

Il suddetto art. 16, inoltre, secondo la regione, avrebbe violato anche l'art. 117 Cost., attenendo a materia demandata alla competenza legislativa regionale, nella quale lo Stato può emanare soltanto norme di principio.

 

Un particolare profilo d'illegittimità, poi, viene dedotto riguardo all'equiparazione tra approvazione del programma e concessione edilizia, non essendo fatta salva la "necessità degli speciali nulla osta e autorizzazioni che la legislazione vigente, a tutela di valori costituzionali, prevede come necessari, affidandoli ad autorità dotate di particolare competenza tecnica, quali quelle preposte alla tutela dei valori architettonici, artistici, storici e paesistici". La suddetta equiparazione lederebbe l'art. 9, comma secondo, Cost..

 

Illegittime sarebbero, infine, anche le disposizioni finanziarie dettate nei commi 7 e 9 dell'art. 16, nonchè nel comma secondo dell'art. 1 della l. n.179 del 192, essendo esse viziate da incongruità e incoerenza, in quanto i "programmi integrati d'intervento" sarebbero sostanzialmente estranei alla materia dell'edilizia residenziale pubblica, cosicchè non si giustificherebbe l'imposizione alle regioni di destinare ai programmi integrati parte dei finanziamenti assegnati a tale edilizia (art.1, comma secondo), nè la priorità nell'assegnazione dei fondi ai comuni (art. 16, comma settimo), nè l'intervento contributivo dello Stato (art.16, comma nono).

 

Anche in tale giudizio, dinanzi a questa Corte è intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato non fondato e respinto, con argomentazioni in gran parte analoghe a quelle già esposte.

 

In particolare rileva la inidoneità dei piani integrati d'intervento di disattendere piani paesistici o piani territoriali (con o senza valenza paesistica), o piani settoriali, ovvero di escludere la necessità dei procedimenti previsti da altre leggi a tutela dei beni culturali e ambientali.

 

Osserva, infine, che la doglianza relativa all'art. 1, comma secondo, deve essere frutto di un errore, avendo l'articolo un solo comma.

 

Essa va riferita, infatti, all'art. 2, comma secondo: su di essa e su quelle relative ai commi 7 e 9 dell'art. 16, l'Avvocatura si è riservata di argomentare in una successiva memoria.

 

5. Successivamente le regioni ricorrenti hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive conclusioni e contestando le argomentazioni dell'Avvocatura generale dello Stato.

 

In particolare le Regioni Umbria e Toscana sottolineano la lesione della riserva di legge regionale stabilita dall'art. 3 della legge n. 142 del 1990 ed evidenziano che la stessa Avvocatura dello Stato dà atto che l'art. 16 della legge n. 179 del 1992 riguarda materia di competenza regionale e contiene norme di dettaglio.

 

Ferma restando ogni riserva sulla loro legittimità, dette regioni non si oppongono all'interpretazione dei commi terzo e quarto dell'art.16 nel senso che le norme ivi contenute abbiano un valore meramente suppletivo e siano destinate, perciò, ad operare solo fin quando le regioni non abbiano emanato proprie norme in argomento.

 

La Regione Emilia-Romagna, a sua volta insiste sul carattere innovativo della normativa impugnata, che - fra l'altro - elimina la differenziazione tra il momento della pianificazione urbanistica e il momento della sua attuazione. Deduce che "i programmi integrati configurano macroscopiche convenzioni di lottizzazione, liberate a monte dal freno della pianificazione generale, a valle del controllo sulla concreta edificazione costituito dalla concessione edilizia", nonchè dalla valutazione degli organi tecnici operanti in materia.

 

Quanto alla possibilità d'interpretare l'art. 16 nel senso che i programmi integrati d'intervento debbano rispettare i preesistenti strumenti urbanistici ed essere accompagnati dalle normali autorizzazioni attinenti alla tutela dei beni culturali e ambientali, nonchè alla sicurezza e alla sanità, la regione la contesta, tenuto conto dell'espressa statuizione (art. 16, comma quarto) di derogabilità delle previsioni urbanistiche e la mancanza, nella procedura, di ogni accenno alle suddette autorizzazioni.

 

La Regione Veneto, infine, insiste sull'invasione della sfera riservata alla competenza regionale, in carenza di interessi unitari che la possano giustificare.

 

Considerato in diritto

 

1. I ricorsi proposti investono questioni analoghe o connesse; essi vanno riuniti e decisi con un'unica sentenza.

 

2. Le questioni di costituzionalità sollevate consistono nello stabilire se l'art. 16 della l. 17 febbraio 1992, n. 179 - prevedendo e disciplinando un nuovo strumento urbanistico, denominato "programma integrato d'intervento" (avente la finalità di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale), in se stesso considerato e nella relativa disciplina operativa, con la previsione della procedura di promozione, approvazione ed efficacia - contrasti:

 

a) con gli artt. 115, 117 e 118 Cost., in quanto rientrano nella competenza legislativa regionale tanto la determinazione delle procedure e della programmazione urbanistica, con riferimento all'intero territorio regionale, alla localizzazione degl'insediamenti e alle relative infrastrutture, quanto la materia dell'edilizia residenziale pubblica, potendo lo Stato emanare al riguardo solo norme di principio (questione proposta dalle Regioni Umbria, Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna);

 

b) con gli artt. 3, 115, 117, 118 e 128 Cost., poichè la disciplina da parte dell'art. 16 della legge n. 179 del 1992 dei programmi integrati di intervento, formulati e gestiti dai comuni, viene ad incidere sull'ordine delle funzioni e delle competenze degli enti locali, quale è definito dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, che è legge di principio e non può essere derogata "se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni", mentre l'art. 16 l'ha derogata implicitamente, prevedendo la possibilità che detti programmi costituiscano variante di qualsiasi previsione di strumentazione urbanistica, sia comunale, che provinciale o regionale, violando le competenze regionali e comunali e disponendo irragionevolmente che la regione possa richiedere modificazioni al programma sottopostole, senza che sia contestualmente previsto come debba essere risolto il conflitto col proponente in caso di mancato accoglimento della richiesta (ricorsi delle Regioni Umbria, Toscana e Veneto);

 

c) con l'art. 3 Cost., avendo derogato ai principi fondamentali in materia di programmazione urbanistica, consentendo una procedura semplificata e meno garantista proprio in relazione ad interventi che, per la loro complessità, richiedevano maggiori garanzie, a fronte degl'interessi economici coinvolti (ricorso della Regione Emilia-Romagna);

 

d) con l'art. 97 Cost., in quanto la disciplina da esso dettata ha eliminato ogni verifica tecnica sui programmi in questione, demandandone la formulazione e l'approvazione ad organi politici, inidonei a compiere quelle imparziali verifiche tecnico-amministrative necessarie nella fase attuativa della pianificazione (ricorso della Regione Emilia- Romagna);

 

e) con l'art. 9, secondo comma, Cost., in quanto deroga alle norme che impongono speciali nulla osta ed autorizzazioni a tutela dei valori architettonici, artistici e paesistici coinvolti dal piano (ricorso della Regione Emilia-Romagna).

 

La Regione Emilia-Romagna ha proposto anche questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della l. 17 febbraio 1992, n.179 e, specificamente, dei commi sette e nove dell'art. 16, in riferimento all'art. 3 Cost., deducendo che essi contengono disposizioni finanziarie viziate da irrazionalità, in quanto i "programmi integrati d'intervento" sarebbero sostanzialmente estranei alla materia dell'edilizia residenziale pubblica, cosicchè non si giustifica l'imposizione, ivi prevista, alle regioni di destinare parte dei finanziamenti assegnati all'edilizia residenziale pubblica ai programmi integrati, nè la priorità nell'assegnazione dei fondi ai comuni, nè l'intervento contributivo dello Stato.

 

L'impugnativa dell'art. 1, secondo comma, della l. 17 febbraio 1992, n. 179 - come si evince dal contesto del ricorso - in effetti va riferita all'art.2, comma secondo, della legge in esame.

 

3. Va premesso che la legge 17 febbraio 1992, n. 179, nell'art. 16 configura un nuovo strumento di programmazione territoriale, denominato programma integrato di intervento. La normativa che lo concerne ha carattere provvisorio (art. 1 della legge) fino all'entrata in vigore della nuova disciplina dell'intervento pubblico nell'edilizia residenziale.

 

Il primo comma dell'anzidetto art. 16 stabilisce che, "al fine di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale, i comuni promuovono la formazione di programmi integrati. Il programma integrato è caratterizzato dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e privati". Il secondo comma dispone che "soggetti pubblici e privati, singolarmente o riuniti in consorzio o associati fra di loro, possono presentare al comune programmi integrati relativi a zone in tutto o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana ed ambientale".

 

Del nuovo strumento non sono determinati gli obiettivi specifici, che ne consentano la collocazione qualificata nel sistema degli interventi sul territorio e ciò anche in conseguenza dell'unificazione in un unico disegno di legge governativo, concernente i programmi integrati, di diverse proposte parlamentari di legge, non ispirate ad un concetto unitario e ad una valutazione omogenea della funzione del nuovo strumento nel quadro della disciplina "urbanistica, edilizia ed ambientale".

 

Si coglie, invero nell'anzidetto schema programmatico l'obbiettivo plurifunzionale, riconducibile alle ora enunciate categorie (urbanistica, edilizia e ambientale), anche se non appaiono del tutto precisi i limiti di operatività e di coordinamento con gli strumenti tipici di disciplina di settore, soprattutto in relazione ai piani di coordinamento e a quelli paesistici, nonchè ai piani regolatori generali.

 

Siffatta incertezza non sembra peraltro riflettersi in modo tale sulle competenze regionali, da dar fondamento alle questioni di legittimità costituzionale dei primi due commi dell'art. 16 della l. n. 179 del 1972, sollevate in riferimento agli artt. 115, 117 e 118 Cost..

 

É da rilevare subito che le ora dette censure si riferiscono allo schema di programma integrato come tipo in sè, prescindendo cioè dagli effetti concreti che esso è destinato ad esplicare e che formano oggetto di apposite impugnative. Tale ambito è chiaramente delimitato nei ricorsi dal riferimento al primo e secondo comma della l. n. 179, il cui contenuto si è già indicato. Detti commi, concernendo gli scopi, le caratteristiche ed i soggetti legittimati alla formazione dei nuovi programmi di intervento, non invadono settori di competenza regionale, dato che regolano materie che appartengono alla competenza dello Stato.

 

Spetta, invero, a quest'ultimo la determinazione del tipo di intervento programmatico destinato ad operare su tutto il suo territorio e diretto a fissare le linee essenziali e gli elementi caratteristici di una nuova figura. Si tratta di normativa di principio, che non può trovare ostacolo nella potestà di programmazione territoriale attribuita alle Regioni, in quanto fissa schemi e modelli, che consentono a detta potestà di esplicarsi in modo unitario ed omogeneo.

 

L'art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 è chiaro in tal senso, quando nella lett. a) attribuisce allo Stato, nell'esercizio della funzione di indirizzo e di coordinamento, l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento all'articolazione territoriale degli interventi di interesse statale, alla tutela ambientale ed ecologica del territorio ed alla difesa del suolo.

 

Per queste ragioni si supera anche il profilo della censura, che ravvisa la violazione delle competenze regionali, collegandola al combinato disposto degli artt. 3 e 15 della l. n. 142 del 1990, che attribuisce alla regione, con il concorso degli enti locali dalla legge stessa indicati (provincia e comune), la determinazione degli obiettivi generali della programmazione economico- sociale e territoriale, nonchè la disciplina dell'approvazione e del concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento.

 

Questa Corte (sent. 15 luglio 1991, n. 343) ha chiarito l'ambito della competenza regionale nel quadro della programmazione territoriale, come regolata dalla l. n. 142 del 1990 e i limiti di incidenza su essa delle competenze dei diversi soggetti pubblici territoriali stabilite dalla legge stessa.

 

Pare qui opportuno rilevare che la Corte ha affermato l'appartenenza alle regioni del potere di individuare, nelle materie ad esse attribuite, il carattere unitario nei rispettivi territori delle relative funzioni e l'ambito di incidenza del piano territoriale di coordinamento provinciale condizionato da tale preventiva individuazione, ma non ha toccato il tema della competenza statale nella determinazione di schemi o tipi uniformi di intervento sul territorio, rispetto ai quali valgono le considerazioni già svolte; da esse discende il riconoscimento allo Stato dei relativi poteri normativi.

 

4. Quanto alle altre censure di legittimità proposte sempre nei confronti del primo e secondo comma dell'art. 16 della l. n. 179, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 128 Cost., si rileva innanzitutto che, nei giudizi d'impugnazione di leggi statali in via principale, le regioni, pur potendo dedurre unicamente la lesione delle proprie competenze legislative stabilite dalla Costituzione, sono legittimate ad invocare, a tal fine, anche precetti diversi da quelli contenuti nel titolo quinto della Costituzione purchè ne colleghino la violazione - come avviene nel caso di specie - all'incidenza sull'autonomia regionale (cfr. sentenze n.343 del 1991; n. 407 del 1989; n. 961 del 1988).

 

Le censure non sono, peraltro, fondate.

 

L'impugnativa, anche in questa parte, ha sempre ad oggetto la norma che prevede il nuovo tipo di intervento territoriale, denominato "programma integrato", prescindendo dalla valutazione della sua azione e dei suoi effetti. Non è dato riscontrare, nella detta configurazione dello schema dell'intervento, irrazionalità censurabili in base all'art.3 Cost. o elementi in contrasto con il principio del buon andamento della p.a. ovvero con la disciplina dei rapporti tra regioni ed enti locali minori, nè infine con le esigenze della tutela del paesaggio.

 

La normativa censurata ha invero, carattere ricognitivo-descrittivo dello strumento, per quanto riguarda il suo oggetto, e fa riferimento astratto ai soggetti pubblici e privati che vi possono partecipare, senza delineare alcuna azione concreta ad essi riferibile, con mancanza di interferenza sull'ambito regionale. É da segnalare inoltre la funzione di coordinamento, che è nota qualificante della nuova figura programmatica, funzione che, in sè considerata, non è, per se stessa, lesiva.

 

Anche in riferimento ai parametri ora indicati sono quindi non fondate le questioni di legittimità costituzionali del primo e secondo comma dell'art.16.

 

5. Fondate sono, invece, le censure che hanno ad oggetto i commi terzo, quarto, quinto, sesto dell'art. 16 con riguardo agli artt.115, 117, 118, 3 e 97 della Costituzione.

 

Si tratta di normativa delle operazioni concrete o di carattere finanziario che, dopo la configurazione-descrizione del tipo di strumento, compiuta nei primi tre commi dello stesso art. 16, regola il programma integrato nell'azione e negli effetti.

 

Si dispone che tale programma è approvato dal consiglio comunale e l'approvazione ha "gli effetti dell'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n.10".

 

Qualora il programma sia in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici, la delibera di approvazione è soggetta alle osservazioni da parte di associazioni, di cittadini e di enti, da inviare al comune entro quindici giorni dalla data della sua esposizione all'albo pretorio. Il programma, con le relative osservazioni, è trasmesso alla regione entro dieci giorni e quest'ultima deve provvedere alla approvazione o alla richiesta di modifiche entro i successivi centocinquanta giorni, "trascorsi i quali si intende approvato" (comma quarto). Il programma può derogare alle disposizioni planovolumetriche previgenti in relazione ai singoli edifici, purchè non sia superata la densità complessiva preesistente dell'intero ambito territoriale (comma quinto) e può essere realizzato anche al di fuori della programmazione urbanistica pluriennale prevista dall'art. 13 della legge n. 10 del 1977 (comma sesto).

 

La disciplina ora esposta determina gli effetti sostanziali, oltre che il meccanismo di formazione del programma integrato, con particolare riferimento al potere di deroga alla legislazione urbanistica vigente.

 

Sotto questo aspetto è evidente l'incidenza di essa sulla potestà legislativa (art. 117, primo comma, Cost.) e sulle attribuzioni amministrative (art. 118, primo comma, Cost.) delle Regioni, con violazione dell'autonomia garantita dall'art. 115 Cost..

 

In base al terzo e quarto comma dell'art. 16 della l. n. 179, il programma integrato opera come strumento di governo delle materie, alle quali si riferisce, a regime normativo privilegiato e con potere di deroga agli strumenti urbanistici in vigore, in base alla sola approvazione del consiglio comunale, resa particolarmente incisiva dall'operatività della regola del silenzio-assenso da parte della regione (quarto comma).

 

Detti programmi sono dotati, poi, di particolare energia per quanto attiene alla fase procedimentale del rilascio delle concessioni edilizie, per effetto della soppressione della verifica della conformità del progetto concreto alle previsioni del piano. Esemplare al riguardo è il terzo comma dell'art. 16 che attribuisce ai programmi integrati "gli effetti di cui all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10".

 

Si determina così una grave deroga al principio di distinzione tra programmazione territoriale, come diretta a regolare la destinazione e l'uso del territorio, e legittimazione all'esecuzione dell'opera, conferita al soggetto interessato con il rilascio dell'atto amministrativo senza il controllo di coerenza dell'intervento specifico con gli indirizzi programmatici, controllo particolarmente necessario, per l'osservanza, che esso consente, del precetto dell'art. 4, comma primo, della stessa l. n. 10 del 1977, secondo il quale la concessione è data in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi.

 

L'unificazione di momenti diversificati sulla base di una lunga tradizione della legislazione urbanistica, realizzata nel programma integrato si riflette sulla determinazione e sul funzionamento della licenza edilizia, che viene a configurarsi come elemento automatico della previsione programmatica; si priva, così, l'atto concessivo della necessaria autonomia, che è la base necessaria per la ponderazione degli interessi coinvolti e per l'adeguamento della concessione alle esigenze del programma stesso.

 

Quanto all'interpretazione differenziata data al comma terzo dell'art.16 dalla Regione Emilia- Romagna, secondo la quale la regola del silenzio- assenso farebbe riferimento non già al rilascio della licenza edilizia, ma alla procedura di approvazione dei programmi integrati, resa particolarmente incisiva per il funzionamento della regola stessa, è da rilevare che, pur essendo configurabili nei confronti della regione comportamenti che rendono operante tale principio (e il quarto comma dell'art. 16 ne rende significativo esempio), nella fattispecie prevista dal terzo comma dell'articolo cit., il riferimento all'art. 4 l. n.10 del 1977 sembra contenere il richiamo alla concessione edilizia.

 

Il giudizio di legittimità della norma impugnata deve, quindi, limitarsi a questo angolo visuale, alla stregua delle considerazioni svolte.

 

6. I risultati operativi del nuovo strumento territoriale appaiono in contrasto con le esigenze di un razionale uso del territorio, con possibilità di interventi indiscriminati, non confortati dall'assistenza di meccanismi diversificati e di organi tecnici, con conseguenti limitazioni della stessa potestà di annullamento dell'atto concessivo, non accompagnato nella formazione e nell'azione di adeguate misure di riscontro.

 

É da rilevare, inoltre, che i commi quinto e sesto dell'art.16 della l. n. 179 del 1992 consentono una deroga molto ampia ai preesistenti limiti planovolumetrici; contravvenendosi così ancora al principio, posto dall'art. 4, primo comma, della l. n. 10 del 1977, espressione di lunga prassi normativa, della conformità della concessione agli strumenti urbanistici.

 

La possibilità che il programma integrato determini le modificazioni di precedenti previsioni urbanistiche, con l'impiego di procedimento eventuale ed elastico di garanzia (quarto comma dell'art. 16), si pone come ulteriore causa di alterazione del quadro dei rapporti tra competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali nel vigente sistema di programmazione urbanistica, nelle sue articolazioni territoriali e di settore. Risulta chiara l'irrazionalità ed il contrasto della normativa che la produce col principio di buon andamento della pubblica amministrazione, considerata anche la già detta mancanza del diversificato contributo degli organi e uffici competenti in base alle norme generali.

 

Va dichiarata, pertanto, l'illegittimità del terzo, quarto, quinto e sesto comma dell'art. 16 della l. 17 febbraio 1992, n. 179.

 

7. I ricorsi proposti dalle Regioni Umbria, Toscana e Veneto investono l'intero art. 16 della legge n. 179 del 1992, in riferimento agli art. 115, 117, 118, 3 e 128 Cost., ma non contengono alcuna specifica motivazione dell'impugnativa con riguardo ai suoi ultimi tre commi, i quali contengono disposizioni di carattere finanziario. Viceversa, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato espressamente i commi settimo e nono dell'art.16, nonchè l'art. 2, comma secondo, della legge n. 179 del 1992, deducendo che le relative disposizioni finanziarie sono viziate da irrazionalità, prevedendo che lo Stato e le regioni utilizzino parte dei fondi destinati all'edilizia residenziale pubblica per il finanziamento dei programmi integrati d'intervento, i quali sarebbero estranei a tale materia.

 

In mancanza della necessaria, adeguata proposizione di motivi, va dichiarata l'inammissibilità dei ricorsi delle Regioni Umbria, Toscana e Veneto, in riferimento all'enunciata censura dei commi ottavo e nono della legge n.179 del 1992 (cfr. le sentenze n. 49 del 1991 e n.1111 del 1988).

 

Quanto, invece, all'impugnativa che si riferisce agli artt.16, comma nono, e 2, comma secondo, della l. n. 179, proposta dalla Regione Emilia- Romagna, va osservato che tali norme sono da interpretare nel contesto generale nel quale esse si collocano. In tale quadro ragioni sostanziali, oltre che di riferimento al sistema, comportano che i finanziamenti in questione dovranno o potranno essere destinati dalle regioni o dallo Stato, ai programmi integrati ai sensi, rispettivamente, del secondo comma dell'art. 2, del settimo e nono comma dell'art. 16, soltanto se detti programmi siano riferibili all'edilizia residenziale pubblica.

 

In base alla valutazione interpretativa ora esposta, la questione non appare fondata, tenuto anche conto che i vincoli di destinazione previsti dall'art. 2, comma secondo e 16 - ad eccezione, come si dirà, del comma settimo - non sono incompatibili con il rispetto dell'autonomia regionale, consentendosi alle regioni nell'ambito di una priorità stabilita, in relazione ad interessi valutati dal legislatore nazionale di particolare rilevanza ed intensità margini di discrezionalità nella distribuzione e nella gestione degli interventi, secondo scelte ad esse riservate (cfr. al riguardo le sentenze n. 279 del 1991 e n. 505 del 1989).

 

É da accogliere, invece, la censura con riferimento al comma settimo, che fa obbligo alle regioni di concedere i finanziamenti inerenti al settore dell'edilizia residenziale con priorità a quei comuni che provvedono alla formazione dei programmi integrati.

 

Com'è noto, la materia dell'edilizia residenziale pubblica è devoluta alla competenza legislativa regionale, ai sensi dell'art.117, primo comma, Cost.; in tale materia confluiscono attribuzioni inerenti all'urbanistica ed ai lavori pubblici d'interesse regionale (sentenza n. 16 del 1992). La normativa interposta del d.P.R. 24 luglio 1977, n.616, sul presupposto della competenza regionale, riserva allo Stato la sola determinazione dei criteri di assegnazione degli alloggi (art. 88, n. 13), conferendo alle regioni ampi poteri di programmazione e di gestione degli interventi pubblici (art. 93, primo comma), nonchè l'organizzazione del servizio, da esercitare in conformità dei principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali (sentenze n. 594 del 1990; nn.1115 e 727 del 1988).

 

Una volta devoluti alle regioni i poteri di gestire i fondi in materia di edilizia residenziale, spetta all'autonomia di esse destinarli, nel loro oggetto e modalità, senza vincoli imposti dallo Stato. La destinazione preferenziale, operata dalla legge n. 179 (comma settimo dell'art.16), di detti fondi ai programmi integrati costituisce una deviazione dal criterio base, alterando irrazionalmente il principio della competenza decisoria regionale, che ben potrebbe esplicarsi con la destinazione dei fondi stessi all'edilizia residenziale comunale, prescindendo dal criterio di priorità determinato dalla adozione dei programmi integrati.

 

Va pertanto dichiarata l'illegittimità del comma settimo dell'art. 16 della legge impugnata, che viola l'art. 3 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i ricorsi indicati in epigrafe:

 

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dei commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 (Norme per l'edilizia residenziale pubblica);

 

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dei commi ottavo e nono dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, sollevata dalle Regioni Umbria, Toscana e Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 115, 117, 118 e 128 della Costituzione;

 

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei commi primo e secondo dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n.179, sollevata dalle regioni Umbria, Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 9, 97, 115, 117, 118 e 128 della Costituzione;

 

d) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale del comma nono dell'art. 16, nonchèdell'art. 2, secondo comma, della legge 17 febbraio 1992, n. 179, sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/10/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 19/10/92.