Sentenza n. 10 del 2008

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SENTENZA N. 10

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco               BILE                                        Presidente

-  Giovanni Maria   FLICK                                       Giudice

-  Francesco          AMIRANTE                                    ”

-  Ugo                   DE SIERVO                                    ”

-  Paolo                 MADDALENA                                 ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO                              ”

-  Alfonso              QUARANTA                                   ”

-  Franco               GALLO                                           ”

-  Luigi                  MAZZELLA                                    ”

-  Gaetano             SILVESTRI                                     ”

-  Sabino               CASSESE                                       ”

-  Maria Rita          SAULLE                                         ”

-  Giuseppe            TESAURO                                       ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 1, 2 e 3, 22 e 27, comma 18, della legge della Regione Lombardia 11 dicembre 2006, n. 24 (Norme per la prevenzione e la riduzione delle emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 12 febbraio 2007, depositato in cancelleria il 15 febbraio 2007 ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2007.

Visto  l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica dell’11 dicembre 2007 il giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Nicolò Zanon per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere g) ed h), e terzo comma, della Costituzione – degli artt. 13, commi 1, 2 e 3, 22 e 27, comma 18, della legge della Regione Lombardia 11 dicembre 2006, n. 24 (Norme per la prevenzione e la riduzione delle emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente).

1.1.— Il ricorrente, in via preliminare, illustra il contenuto delle impugnate disposizioni, evidenziando che, in particolare, l’art. 13 della citata legge della Regione Lombardia prevede la possibilità di disporre limitazioni alla circolazione di veicoli, finalizzate «alla riduzione dell’accumulo degli inquinanti in atmosfera», e demanda alla Giunta regionale il compito di determinare le misure idonee a tal scopo e le loro modalità di attuazione (commi 1 e 2), ivi compresa l’individuazione (comma 3) degli assi stradali esclusi da tali limitazioni.

Del pari, l’art. 22 della medesima legge regionale stabilisce talune «misure prioritarie di limitazione alla circolazione e all’utilizzo dei veicoli», e segnatamente  di quelli non omologati ai sensi della direttiva 91/441/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1991 (Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 70/220/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle misure da adottare contro l’inquinamento atmosferico con le emissioni dei veicoli a motore), ed altre successive.

Infine, l’art. 27 della stessa legge detta la disciplina relativa alle sanzioni da irrogare nell’ipotesi di inosservanza delle prescrizioni suddette (comma 11), individuando «l’autorità competente, ai sensi degli articoli 17 e 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale)», nel «responsabile dell’ente da cui dipende l’organo accertatore», nonché stabilendo che i proventi della riscossione delle sanzioni irrogate spettino «all’ente accertatore» (comma 18).

1.2.— Assume il Presidente del Consiglio dei ministri che le disposizioni suddette sono «in contrasto con la normativa che disciplina la competenza dei vari soggetti pubblici in materia».

1.2.1.— Difatti, ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), è il Prefetto l’organo competente a «sospendere temporaneamente» – sia per «motivi di sicurezza pubblica o inerenti alla sicurezza della circolazione», che «di tutela della salute» – «la circolazione di tutte o di alcune categorie di utenti sulle strade o su tratti di esse», fuori dei centri abitati. All’interno di essi, invece, sono i Comuni – ai sensi del successivo art. 7, comma 1, lettera b), del medesimo codice della strada – a poter «limitare la circolazione di tutte o di alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale», ciò «conformemente alle direttive impartite dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti, per le rispettive competenze, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed il Ministro per i beni culturali e ambientali».

Ne consegue, quindi, che alle Regioni – conclude sul punto il ricorrente – spetta, nella persona dei rispettivi Presidenti, «solo il potere di ordinanza per le strade regionali» (art. 6, comma 5, lettera b, del codice della strada), avendo l’art. 98 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) mantenuto allo Stato la «funzione di regolamentazione della circolazione veicolare, ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 285 del 1992, per motivi di sicurezza pubblica, di sicurezza della circolazione, di tutela della salute e per esigenze di carattere militare».

Ciò premesso, per il ricorrente risulterebbe evidente il contrasto tra le norme impugnate e l’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, giacché esse verrebbero «ad incidere sulle attribuzioni statali in tema di sicurezza e circolazione stradale», attribuzioni riservate in via esclusiva allo Stato, «trattandosi di materia ricompresa nell’“ordine pubblico e sicurezza”». Ed invero, come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 428 del 2004, «l’esigenza, connessa alla strutturale pericolosità dei veicoli a motore, di assicurare l’incolumità personale dei soggetti coinvolti nella loro circolazione (conducenti, trasportati, pedoni) certamente pone problemi di sicurezza, e così rimanda alla lettera h) del secondo comma dell’art. 117, che attribuisce alla competenza statale esclusiva la materia “ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale”».

1.2.2.— Le disposizioni censurate, inoltre, violerebbero – sempre ad avviso del ricorrente –  anche il terzo comma dell’art. 117 Cost., giacché risultano chiaramente emanate a tutela della salute, come emerge dall’art. 1 della medesima legge reg. n. 24 del 2006 (che individua quale obiettivo della legge stessa il miglioramento della qualità dell’aria «ai fini della protezione della salute e dell’ambiente»), ponendosi, però, come principi fondamentali della materia. In tal modo, dunque, la Regione Lombardia – con riferimento ad un ambito materiale oggetto di potestà legislativa concorrente – avrebbe ecceduto i limiti della propria competenza.

1.2.3.— Infine, l’art. 27 della legge regionale in esame contrasterebbe, secondo il ricorrente, anche con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.

Infatti, in particolare il comma 18, nel dettare la disciplina relativa alle sanzioni conseguenti alla inosservanza delle prescrizioni previste dalla stessa legge regionale (o contenute nei provvedimenti amministrativi dalla medesima contemplati) in ordine alla limitazione della circolazione ed all’utilizzo dei veicoli, individua «nel responsabile dell’organo di polizia dipendente dallo Stato», il quale abbia effettuato l’accertamento delle infrazioni suddette, «il soggetto competente a ricevere il rapporto, ad emettere l’ordinanza-ingiunzione e a decidere sull’eventuale ricorso», secondo la disciplina prevista dagli artt. 17 e 18 della legge n. 689 del 1981. In tal modo, però, si impongono obblighi a carico di organi dello Stato, in violazione della sua potestà esclusiva in materia di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» (è richiamata, sul punto, la sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 2004). 

2.— Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, eccependo – con «riserva di successive allegazioni e argomentazioni» – l’inammissibilità del ricorso e, comunque, l’infondatezza delle questioni promosse.

3.— Con successiva memoria, depositata in cancelleria il 4 settembre 2007, la Regione Lombardia ha esposto ulteriori ragioni a sostegno delle richieste in precedenza formulate.

3.1.— In primo luogo, la difesa della Regione – dopo aver illustrato «il contesto, non solo normativo, in cui la legge regionale di cui è causa è stata approvata», evidenziando come essa persegua «lo scopo di determinare una riduzione delle emissioni inquinanti nell’aria-ambiente» – ha eccepito «l’inammissibilità del ricorso del Governo», sotto quattro profili.

Deduce, in primo luogo, la «contraddittorietà delle prospettazioni in esso contenute», atteso che l’iniziativa assunta dal Presidente del Consiglio dei ministri tende a censurare alcune delle norme impugnate (in particolare gli artt. 13, commi 1, 2 e 3, e 22 della legge), deducendone il contrasto sia con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. (giacché tali disposizioni «recherebbero la disciplina di una materia ricompresa nella definizione “ordine pubblico e sicurezza”, riservata al legislatore statale»), sia con l’art. 117, terzo comma, Cost. (giacché esse «emanate “anche” a tutela della salute», si atteggerebbero, però, a principi fondamentali di tale materia). Orbene, dal momento che le due censure – rileva la resistente – «non sono presentate in alternativa tra loro, ovvero in rapporto di subordinazione», essendo piuttosto «compresenti nella prospettazione dell’Avvocatura dello Stato», ciò inficerebbe di inammissibilità l’intero ricorso, giacché questo, da un lato, afferma che la legge regionale «non avrebbe alcun potere d’intervento, poiché giuridicamente incompetente», dall’altro, «riconosce implicitamente» che la Regione sarebbe potuta intervenire, «anche se solo con norme di dettaglio».  Del resto, una recente decisione della Corte costituzionale (sentenza n. 391 del 2006) avrebbe giudicato inammissibile un ricorso statale nel quale ad una censura che «riguarda l’an dell’esercizio della potestà legislativa statale» ne era stata affiancata un’altra avente ad oggetto pure «il quomodo di tale esercizio». 

La Regione Lombardia eccepisce l’inammissibilità del ricorso anche sotto un secondo profilo.

Viene contestata l’affermazione del ricorrente secondo cui i censurati artt. 13 e 22 della legge regionale impugnata – delineando un sistema di limitazione del traffico veicolare che contravviene a quello previsto nel codice della strada – violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., andando «ad incidere sulle attribuzioni statali in tema di sicurezza e circolazione stradale», materia che si reputa «ricompresa nell’ordine pubblico e sicurezza».

Orbene, venendo in rilievo – nel caso in esame – la materia della tutela della salute, il parametro costituzionale evocato nel ricorso sarebbe, secondo la Regione resistente, «inconferente rispetto al contenuto delle norme impugnate», donde l’inammissibilità della censura (sono citate le sentenze della Corte costituzionale nn. 398, 365 e 246 del 2006, e la sentenza n. 285 del 2005).

Un terzo profilo di inammissibilità del ricorso è dedotto dalla resistente in relazione alla censura formulata in riferimento dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Nell’evocare tale diverso parametro, sul presupposto che la materia interessata dall’intervento legislativo in esame sia quella della tutela della salute, il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe esplicitato le ragioni della doglianza, non essendo chiaro «se il ricorrente si limiti a censurare in maniera astratta il fatto che la Regione abbia approvato norme che possono essere identificate come “principi fondamentali” della materia, oppure se la normativa regionale si ponga concretamente in contrasto con uno o più principi fondamentali della normativa statale».

In entrambi i casi, tuttavia, la censura in esame – in quanto «meramente assertiva» – si paleserebbe inammissibile.

Infine, un quarto profilo di inammissibilità sarebbe ipotizzabile in ordine alla sola censura che investe gli artt. 22 e 27 della legge regionale n. 24 del 2006, atteso che nella prospettazione del ricorrente tali norme parteciperebbero dei vizi di cui al precedente art. 13, commi 1, 2 e 3.

Non essendo stata, dunque, formulata alcuna specifica censura in relazione a tali norme, ed essendo «il contenuto di queste ultime disomogeneo rispetto a quello dell’art. 13» (donde l’impossibilità di estendere le argomentazioni sulle quali si fonda la doglianza che investe tale disposizione), si dovrebbe concludere per l’inammissibilità anche di tale censura (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 64 del 2007).

3.2.— Nel merito, tuttavia, la Regione deduce che le promosse questioni di legittimità costituzionale non sarebbero fondate.

3.2.1.— Prima di illustrare le ragioni che deporrebbero per il rigetto del ricorso, la resistente pone in evidenza come la normativa regionale in contestazione «sia stata adottata nel pieno rispetto e, anzi, nella necessaria attuazione» di «scelte compiute dall’Unione europea» per contrastare «le rilevanti conseguenze negative che il fenomeno dell’inquinamento atmosferico ha sulla salute dei cittadini».

Ciò premesso, la resistente – nel ribadire che l’ambito materiale interessato dalla legge in esame è quello della «tutela della salute dei cittadini, in collegamento alla tutela dell’ambiente in cui essi vivono» – rileva che, già sotto il vigore della vecchia disciplina contenuta nel titolo V della parte seconda della Costituzione, «la Corte costituzionale ha più volte riconosciuto la possibilità, per le Regioni, di prevedere limitazioni alla circolazione laddove questi provvedimenti siano collegati ad ambiti di competenza legislativa regionale» (è richiamata, segnatamente, la sentenza n. 51 del 1991).

Ma quel che più rileva – secondo la resistente – è che dopo la riforma del titolo V la giurisprudenza costituzionale non solo ha riconosciuto la legittimità di disposizioni regionali «le quali, a qualsiasi livello, limitino l’inquinamento atmosferico o riducano, disciplinando la circolazione stradale, le vibrazioni, tutelino l’ambiente e insieme, se esistenti, gli immobili o i complessi immobiliari di valore culturale» (sentenza n. 232 del 2005), ma ha espressamente affermato che alla «riduzione delle emissioni» inquinanti possono concorrere «misure e politiche che sicuramente rientrano anche nel campo proprio delle competenze regionali», comprendenti anche «la predisposizione dei piani urbani del traffico» (sentenza n. 246 del 2006).

3.2.2.— Né, d’altra parte, l’illegittimità costituzionale delle norme regionali in esame – assume ancora la resistente – potrebbe essere giustificata in ragione del fatto che le stesse violino principi fondamentali della materia tutela della salute, ovvero (in alternativa) che si pongano esse stesse come espressione di un principio fondamentale.

In relazione, infatti, al primo di tali profili, la Regione sottolinea come sia stato proprio il legislatore statale, addirittura anteriormente alla riforma del titolo V della Costituzione, a riconoscere alle Regioni – con l’art. 7 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351 (Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente) – la potestà di intervenire, a tutela della salubrità ambientale, attraverso «piani d’azione contenenti le misure da attuare nel breve periodo, affinché sia ridotto il rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme», misure che includono, se necessario, anche la «sospensione delle attività, ivi compreso il traffico veicolare, che contribuiscono al superamento dei valori limite e delle soglie di allarme». Analogamente, l’art. 5 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183 (Attuazione della direttiva 2002/3/CE relativa all’ozono nell’aria) stabilisce che Regioni e Province autonome predispongano, in relazione alle zone che presentino il rischio del superamento delle soglie di allarme, piani d’azione recanti «le misure specifiche da adottare a breve termine», incluse quelle «di riduzione o di sospensione di talune attività che contribuiscono alle emissioni che determinano il superamento della soglia di allarme», ed «in particolare del traffico di autoveicoli».

In ordine, invece, al secondo di tali profili, ovvero alla supposta natura di principi fondamentali (e non di norme di dettaglio) che connoterebbe i censurati artt. 13 e 22 della legge impugnata, la resistente si limita a rilevare che, secondo la Corte costituzionale, i principi fondamentali «sono i nuclei essenziali del contenuto normativo» delle disposizioni che li esprimono (sentenza n. 280 del 2004), di talché «il rapporto tra norma “di principio” e norma “di dettaglio”» deve essere inteso nel senso che l’una «può prescrivere criteri (...) ed obiettivi», all’altra invece spettando l’individuazione degli «strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sentenza n. 181 del 2006; è richiamata anche la sentenza n. 390 del 2004).

Una correlazione siffatta – conclude sul punto la resistente – sembra sussistere proprio tra i richiamati decreti legislativi n. 351 del 1999 e n. 183 del 2004 e la censurata normativa regionale, atteso che, se le norme statali «pongono, allo scopo di tutelare al meglio la salute dei cittadini, l’obiettivo di ridurre le emissioni di sostanze inquinanti nell’aria», gli impugnati artt. 13 e 22 «provvedono concretamente a realizzare tale obiettivo, prevedendo la possibilità di sospendere la circolazione sul territorio regionale dei veicoli maggiormente inquinanti».

3.3.— Infine, la resistente svolge ulteriori considerazioni in merito alla duplice censura che investe l’art. 27, o meglio i suoi commi 11 e 18, della medesima legge regionale.

Quanto, in particolare, alla prima di tali doglianze (avente ad oggetto il comma 11 dell’art. 27), la resistente evidenzia come la giurisprudenza costituzionale abbia ripetutamente affermato che «la competenza ad irrogare sanzioni amministrative non è in grado di configurarsi in via autonoma come materia in sé, ma accede alle materie sostanziali che disciplinano gli atti e i comportamenti sanzionabili» (sentenze n. 240 del 2007 e n. 63 del 2006). Ne consegue, pertanto, che non appartenendo, «in via pregiudiziale allo Stato e/o alle Regioni», il potere di prescrivere sanzioni amministrative, questo accedendo invece «alla specifica competenza legislativa ritenuta, secondo Costituzione, più adatta alla tutela di determinati diritti o interessi», la circostanza che le norme impugnate vadano «ricondotte alla competenza legislativa della Regione in materia di tutela della salute» renderebbe non fondata la prospettata censura.

3.4.— In ordine, invece, all’altra doglianza (quella che investe il comma 18 dell’art. 27), la resistente rileva, preliminarmente, la non pertinenza del riferimento – contenuto nel ricorso statale – alla sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 2004, giacché essa riguarderebbe «un caso completamente diverso», relativo ad una norma regionale che prevedeva, quali componenti di un organo della Regione, «i Prefetti e i Procuratori generali dislocati in diversi tribunali»

 Nella giurisprudenza costituzionale, per contro, sarebbe dato rinvenire «alcune decisioni in cui viene considerata costituzionalmente legittima la previsione che organi dello Stato possano dare applicazione a leggi della Regione, qualora queste disciplinano oggetti di loro competenza». È citata, in particolare la sentenza n. 467 del 2005, secondo cui, posta «la propria competenza legislativa in una determinata materia, la Regione disciplina la stessa con norme cogenti per tutti i soggetti, pubblici e privati, che operano sul territorio regionale», ivi compresi, dunque, gli stessi organi statali.

4.¾ La Regione Lombardia, con un’ulteriore memoria depositata il 28 novembre 2007, ha ribadito le proprie difese, sottolineando, in particolare, come una «autorevolissima» conferma «della correttezza ed opportunità» della disciplina in contestazione verrebbe dalla risoluzione n. 7-00197 approvata, tra l’altro all’unanimità, il 13 giugno 2007 dalla VIII Commissione della Camera dei deputati (Ambiente, territorio e lavori pubblici).

Con tale atto la Commissione, nel premettere di volere «rappresentare il proprio interesse per una legislazione regionale, come la legge n. 24 del 2006 della Regione Lombardia, che affronta in modo organico la problematica dell’inquinamento dell’aria e che si pone come modello innovatore e più avanzato rispetto alle normative adottate dalle altre regioni, nonché più rigoroso rispetto alla normativa nazionale», ha impegnato l’Esecutivo «a porre in essere tutti gli sforzi necessari per arrivare ad una proficua composizione della vertenza fra Regione Lombardia e Governo sulla base di un giudizio che riconosce nella legge regionale n. 24 del 2006 un contributo positivo per la lotta all’inquinamento e per la riduzione dei gas serra». 

Considerato in diritto

1.— Con il ricorso in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere g) ed h), e terzo comma, della Costituzione – degli artt. 13, commi 1, 2 e 3; 22; e 27, comma 18, della legge della Regione Lombardia 11 dicembre 2006, n. 24, (Norme per la prevenzione e la riduzione delle emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente).

1.1.— Il ricorrente, in via preliminare, dopo aver precisato il contenuto delle impugnate disposizioni, ha posto in evidenza come il suindicato art. 13 preveda la possibilità di disporre limitazioni alla circolazione di veicoli, finalizzate ad assicurare «la riduzione dell’accumulo degli inquinanti in atmosfera», demandando alla Giunta regionale il compito di determinare le misure idonee a tale scopo e le loro modalità di attuazione (commi 1 e 2), ivi compresa l’individuazione (comma 3) degli assi stradali esclusi dalle previste limitazioni.

Del pari, l’art. 22 stabilisce una serie di «misure prioritarie di limitazione alla circolazione e all’utilizzo dei veicoli», e segnatamente  di quelli non omologati ai sensi della direttiva 91/441/CEE del Consiglio del 26 giugno 1991 (Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 70/220/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle misure da adottare contro l’inquinamento atmosferico con le emissioni dei veicoli a motore).

Infine, l’art. 27 detta la disciplina relativa alle sanzioni da irrogare nell’ipotesi di inosservanza delle prescrizioni suddette (comma 11), individuando, al comma 18, «l’autorità competente, ai sensi degli articoli 17 e 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale)», nel «responsabile dell’ente da cui dipende l’organo accertatore», nonché stabilendo che i proventi della riscossione delle sanzioni irrogate spettino «all’ente accertatore».

1.2.— Il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale di tali disposizioni sulla base del rilievo che gli artt. 13, commi 1, 2 e 3, e 22 verrebbero «ad incidere sulle attribuzioni statali in tema di sicurezza e circolazione stradale», riservate in via esclusiva allo Stato, essendo il settore della circolazione dei veicoli ricompreso nella materia «ordine pubblico e sicurezza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. In ogni caso, poi, le norme suddette, risultando chiaramente emanate a tutela della salute, violerebbero «anche» il terzo comma dell’art. 117 Cost., ponendosi «come principi fondamentali in una materia oggetto di potestà legislativa concorrente».

Una diversa questione investe, invece, l’art. 27, comma 18, della legge in esame, che violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., giacché individua in modo non consentito «nel responsabile dell’organo di polizia dipendente dallo Stato», il quale abbia effettuato l’accertamento delle infrazioni contemplate dalla medesima legge regionale, «il soggetto competente a ricevere il rapporto, ad emettere l’ordinanza-ingiunzione e a decidere sull’eventuale ricorso» esperito, in via amministrativa, dal trasgressore. 

2.— Deve essere esaminata prioritariamente la questione involgente i commi 1, 2, 3 dell’art. 13 e l’art. 22 della legge impugnata, in relazione ai quali la difesa regionale ha eccepito la inammissibilità delle censure proposte.

3.— La questione è inammissibile.

3.1.— Il ricorrente, dopo aver ipotizzato che le norme impugnate violino il parametro costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost, ha dedotto che le medesime «si pongono in contrasto anche con il terzo comma del medesimo art. 117», giacché, «essendo innegabile» che le stesse sono state emanate altresì «a tutela della salute», si atteggerebbero «a principi fondamentali in materia».

Orbene, la circostanza che le due censure non siano state dedotte in rapporto di subordinazione, in particolare della seconda rispetto alla prima, e, soprattutto, che esse siano state prospettate congiuntamente (come chiaramente si deduce dall’uso della congiunzione coordinativa «anche»), senza alcun riferimento, né espresso né implicito, alla interferenza delle norme in contestazione su distinti ambiti materiali, rende contraddittoria e, nella sostanza, poco comprensibile l’impugnazione degli artt. 13 e 22.

Merita, pertanto, accoglimento la pregiudiziale eccezione di inammissibilità sollevata dalla resistente, la quale lamenta la contraddittorietà delle prospettazioni dedotte, giacché nell’impugnazione statale si afferma che la Regione «non avrebbe alcun potere d’intervento, poiché giuridicamente incompetente», ma nel contempo le si «riconosce implicitamente» la potestà di intervenire, «anche se solo con norme di dettaglio».

D’altronde, questa Corte – sebbene con riferimento ad una fattispecie parzialmente diversa da quella qui in esame – ha, in generale, ravvisato «profili di contraddittorietà» nella doglianza prospettata, da un lato, evocando una materia «contemplata nel secondo comma dell’art. 117 della Costituzione» e, dall’altro, richiamando «implicitamente il contenuto del terzo comma dello stesso art. 117» (sentenza n. 401 del 2007, punto 6.4. del Considerato in diritto). 

4.— Carattere autonomo – giacché promossa in base ad un diverso ordine di argomentazioni ed attraverso l’evocazione di un differente parametro, quello di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. – presenta la questione che investe l’art. 27, comma 18, della stessa legge regionale n. 24 del 2006.

4.1.— La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati.

4.2.— Questa Corte ha ripetutamente affermato che «le Regioni non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti e attribuzioni ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale» (così, da ultimo, sentenza n. 322 del 2006; nello stesso senso già la sentenza n. 134 del 2004), atteso che «forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa» (sentenza n. 429 del 2004). Ciò nondimeno, nel caso di specie, è possibile pervenire ad un’interpretazione conforme a Costituzione del comma 18 dell’art. 27, idonea a consentire il superamento del prospettato dubbio di costituzionalità.

Ed infatti, proprio il riferimento all’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), contenuto nella censurata disposizione regionale, deve essere inteso nel senso che il «responsabile dell’ente da cui dipende l’organo accertatore» sia solo l’autorità preposta a presentare il rapporto relativo all’infrazione «all’ufficio regionale competente» (come prescrive, del resto, il terzo comma del predetto art. 17), ferma restando in capo a quest’ultimo la responsabilità di provvedere «ad emettere l’ordinanza-ingiunzione e a decidere sull’eventuale ricorso» dell’interessato.

Sulla base di tale interpretazione, deve essere escluso che la norma impugnata rechi un vulnus a prerogative di organi dello Stato, atteso che «l’acquisizione, l’elaborazione e lo scambio di informazioni non determinano, di regola, alcuna lesione di attribuzioni, rispettivamente statali o regionali, ma rappresentano, in realtà, strumenti con i quali si esplica, ad un livello minimo, la leale cooperazione tra Stato e Regioni» (sentenza n. 42 del 2006).

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 1, 2 e 3, e 22 della legge della Regione Lombardia 11 dicembre 2006, n. 24 (Norme per la prevenzione e la riduzione delle emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente), promossa – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), e terzo comma, della Costituzione – dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 18, della medesima legge della Regione Lombardia n. 24 del 2006, promossa – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione – dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2008.