Sentenza n. 51 del 1991

 

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SENTENZA N. 51

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Piemonte notificato il 7 giugno 1990, depositato in Cancelleria il 16 giugno successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell'ordinanza del Presidente della Giunta regionale della Valle d'Aosta del 15 marzo 1990, n. 342, con la quale è stato disposto il divieto di introduzione nel territorio della Regione Valle d'Aosta di ovini e caprini provenienti da altre regioni italiane ed iscritto al n. 19 del registro conflitti 1990;

Visto l'atto di costituzione della Regione Valle d'Aosta;

Udito nell'udienza pubblica del 13 novembre 1990 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

Uditi gli Avvocati Valerio Onida per la Regione Piemonte e Mario Alù per la Regione Valle d'Aosta;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato la Regione Piemonte ha sollevato conflitto di attribuzione contro la Regione Valle d'Aosta in relazione all'ordinanza del Presidente della Giunta di quest'ultima Regione 15 marzo 1990, n. 342, con la quale è stato disposto, limitatamente alla pratica della monticazione per l'anno 1990, il divieto di introduzione nel territorio della stessa Regione di ovini e caprini provenienti da altre regioni italiane. Secondo la ricorrente, l'ordinanza impugnata interferirebbe illegittimamente sulle competenze ad essa costituzionalmente assicurate, violando l'art. 120 della Costituzione sotto tre distinti profili.

Il provvedimento impugnato si porrebbe, innanzitutto, in contrasto con l'art. 120 della Costituzione, in relazione all'art. 2 (recte: 1), ultimo comma, del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, e agli artt. 27, lett. l, e 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nonché alla legge 23 dicembre 1978, n. 833, i quali, nell'ambito della sub-materia della polizia veterinaria, hanno trasferito alle regioni le funzioni di igiene e di assistenza veterinaria, ivi comprese la profilassi, l'ispezione, la polizia e la vigilanza sugli animali e sulla loro alimentazione, nonché sugli alimenti di origine animale. Ad avviso della ricorrente, dal momento che l'art. 120, secondo comma, della Costituzione porrebbe un divieto assoluto di adozione da parte delle regioni di provvedimenti che ostacolino "in qualsiasi modo" la libera circolazione delle persone e delle cose tra le regioni stesse, l'ordinanza impugnata, oltre a violare testualmente la predetta norma costituzionale (la quale sembra vietare qualsiasi provvedimento limitativo della circolazione, comunque motivato e per qualsivoglia ragione assunto), metterebbe nel nulla le richiamate competenze regionali in materia di polizia veterinaria, competenze peraltro già esercitate dalla Regione Piemonte con d.P.G.R. 21 marzo 1985, n. 2585, che ha confermato l'obbligatorietà della vaccinazione contro la brucellosi e il divieto di transumanza delle greggi non indenni da brucellosi.

In secondo luogo, l'ordinanza impugnata contrasterebbe con l'art. 120, secondo comma, della Costituzione, in quanto quest'ultimo risulterebbe violato mediatamente per effetto della violazione di numerose norme interposte, quali le disposizioni poste in materia di polizia veterinaria dal d.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320 (artt. 41, 42, 44, 105, 106, 107, 109, 110 e 111), gli artt. 6 e 7 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, le norme di attuazione dello Statuto speciale della Valle d'Aosta contenute nell'art. 38 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, l'art. 2 della legge regionale della Valle d'Aosta 11 maggio 1981, n. 24 (che stabilisce norme sull'esercizio delle funzioni amministrative in materia veterinaria ai sensi degli artt. 16 e 32 della legge n. 833 del 1978), e, infine, il "Piano nazionale per la profilassi della brucellosi ovina e caprina" approvato con decreto ministeriale 4 giugno 1968 e modificato con decreti ministeriali 9 agosto 1971, 15 giugno 1976, 15 dicembre 1976, 28 aprile 1979, 15 aprile 1981 e 6 novembre 1981.

Più in particolare, ad avviso della ricorrente, pur a non voler ritenere che il divieto posto dall'art. 120 della Costituzione sia assoluto e che esso debba esser bilanciato con altri interessi costituzionalmente garantiti, si dovrebbe tuttavia riconoscere che in ipotesi non si riscontrano altri interessi con cui bilanciare quel divieto. In ogni caso, continua la ricorrente, non sembra che l'ordinanza impugnata sia stata adottata legittimamente per il fatto che gli artt. 106 e 107 del d.P.R. n. 320 del 1954 non contemplano tra i possibili provvedimenti da adottare i divieti di spostamento di animali e, tantomeno, divieti generici e generali come quello impugnato, ma prevedono solamente provvedimenti profilattici, di controllo e certificazione sanitaria, nonché divieti singoli e motivati di circolazione. Inoltre, mentre il ricordato "Piano nazionale per la profilassi della brucellosi", pur prevedendo interventi cautelari relativamente al pascolo e alla circolazione degli ovini e dei caprini, ne affida la competenza al Ministro della sanità ove riguardino più province o l'intero territorio nazionale (sempreché si riferiscano ad allevamenti che non risultino "ufficialmente indenni" o "indenni" da brucellosi), la legge della Valle d'Aosta n. 24 del 1981 affida alle Unità sanitarie locali le funzioni in materia veterinaria non espressamente riservate allo Stato o alla regione e, quindi, riguardanti questioni di portata infraregionale.

In terzo luogo, sempre a giudizio della ricorrente, l'ordinanza impugnata lederebbe l'art. 120 della Costituzione in relazione all'art. 32 della legge n. 833 del 1978 e all'art. 4 della già ricordata legge regionale della Valle d'Aosta n. 24 del 1981, i quali comportano l'assoluta incompetenza del Presidente della Giunta regionale ad adottare atti come l'ordinanza oggetto del presente giudizio. Infatti, dovendo ritenere, in assenza di qualsiasi indicazione espressa, che quest'ultima sia stata adottata nell'esercizio del potere di emanare provvedimenti contingibili e urgenti in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria ai sensi dell'art. 32 della legge n. 833 del 1978 e dell'art. 4 della legge regionale n. 24 del 1981, si dovrebbe concludere che l'ordinanza impugnata non rientra nella competenza del Presidente regionale, bensì in quella del Ministro della sanità, dal momento che essa, nel vietare l'ingresso nel territorio regionale agli ovini e ai caprini provenienti da altre regioni (ma insostanza dalla sola Regione Piemonte), riguarda in realtà la circolazione tra una regione e un'altra o, più precisamente, un'attività relativa a una parte del territorio nazionale comprendente più regioni. In altre parole, poiché l'atto impugnato ha come destinatari coloro che si trovano fuori del luogo rispetto al quale vige il divieto di introduzione di animali, esso eccede l'ambito territoriale con riferimento al quale possono essere adottate da parte del Presidente della Giunta della Valle d'Aosta le ordinanze contingibili e urgenti.

In ogni caso, conclude la ricorrente, il provvedimento impugnato - che appare viziato da eccesso di potere per carenza di presupposti, incongruenza, irragionevolezza, difetto di istruttoria e di motivazione - lederebbe le competenze della Regione Piemonte (la sola confinante con la Valle d'Aosta) in quanto colpisce indiscriminatamente gli ovini e i caprini provenienti da altre regioni senza distinguere tra animali (o allevamenti) indenni da brucellosi e quelli non indenni e senza dare piena e assoluta certezza delle ragioni che hanno indotto l'autorità sanitaria a operare nel modo censurato, tenendo conto che in Piemonte non si è verificata alcuna epidemia di brucellosi.

La ricorrente chiede, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata, previa sospensione della stessa.

2. - Si è regolarmente costituita in giudizio la Regione Valle d'Aosta per eccepire l'inammissibilità del ricorso e, comunque, per chiedere che ne sia dichiarata l'infondatezza.

Sotto il primo profilo, la resistente osserva che la Regione Piemonte non rivendica a sé le competenze esercitate attraverso l'atto impugnato, ma si limita a contestarne la legittimità. Più in particolare, posto che la ricorrente pone l'alternativa in base alla quale gli ordinari poteri di polizia veterinaria spettano alle Unità sanitarie locali, se di portata infraregionale, ovvero al Ministro della sanità, se di portata interregionale o nazionale, e posto che nel primo caso non può ipotizzarsi un conflitto con la Regione Valle d'Aosta trattandosi di Unità sanitarie locali valdostane, se ne deduce che in realtà il conflitto dovrebbe essere sollevato dallo Stato.

Riguardo al merito delle contestazioni sollevate, premesso che la brucellosi è una malattia grave e molto diffusa tra il bestiame ovino e caprino, la quale è di facile contagio e il cui controllo richiede terapie di lunga durata, la resistente osserva che, come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 12 del 1963, il divieto posto dall'art. 120 della Costituzione non è assoluto e, pertanto, non lo si può ritenere violato di fronte all'esistenza di gravi e urgenti ragioni giustificative di limiti e divieti alla circolazione di persone e cose tra regione e regione, tanto più quando questi, come nel caso, non hanno alternative sanitariamente idonee onde evitare i gravi pericoli di diffusione della malattia in conseguenza della usuale pratica della monticazione e tanto più che la stessa difesa della Regione Piemonte ammette che il 24 per cento del bestiame esistente nel proprio territorio non è indenne da brucellosi.

3. - La trattazione dell'istanza di sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato veniva fissata per la Camera di Consiglio del 26 settembre 1990, in prossimità della quale le parti hanno presentato memorie. Poiché la Regione Piemonte ha rinunziato alla istanza di sospensiva e poiché la Regione Valle d'Aosta ha riconosciuto che l'eventuale sospensione dell'atto sarebbe stata inidonea ad arrecare alcun beneficio alla ricorrente, considerato che il provvedimento impugnato ha efficacia solo per l'anno 1990 e la pratica della monticazione si svolge unicamente d'estate, la Corte ha rinviato il giudizio all'udienza del 13 novembre 1990 per la discussione pubblica del conflitto di attribuzione.

4. - In prossimità dell'udienza le parti hanno presentato ulteriori memorie difensive.

4.1. - La Regione Piemonte, in replica all'eccezione di inammissibilità della resistente, afferma che il conflitto proposto non ha ad oggetto una vindicatio potestatis, ma un cattivo esercizio del potere spettante alla Regione Valle d'Aosta (sempreché questo sia ritenuto esistente), che si assume lesivo delle proprie competenze sotto un duplice profilo.

Innanzitutto, ad avviso della ricorrente, occorre considerare che in uno Stato regionale il territorio non viene in questione soltanto come sfera spaziale entro la quale le regioni possono esercitare le loro funzioni, ma anche come ambito che non può mai costituire un limite alla libertà di crcolazione delle persone e delle cose. Quest'ultimo aspetto - il quale è garantito per i profili qui interessanti dall'art. 120, secondo comma, della Costituzione - comporta in capo a ogni regione la titolarità di una situazione soggettiva costituzionalmente tutelata a che un'altra regione non adotti nei suoi confronti provvedimenti limitativi della libera circolazione di persone e cose. E, poiché l'art. 120 della Costituzione è norma applicativa dei principi posti dall'art. 5 della Costituzione, esso costituisce una situazione soggettiva a favore dello Stato e, nello stesso tempo, di ogni singola regione, per la cui tutela, quindi, sia lo Stato che le regioni sono abilitati a ricorrere. Infatti, soggiunge la ricorrente, l'unità dello Stato dev'esser, certo, considerata interesse dello Stato stesso, ma costituisce anche un'ineliminabile e imprescindibile componente dell'autonomia regionale, in mancanza della quale sarebbe messo in pericolo lo stesso assetto unitario dello Stato sotto il profilo solidaristico.

Per altro aspetto, poi, la lesione delle competenze della ricorrente deriverebbe dal fatto che il provvedimento impugnato porrebbe nel nulla i risultati dei controlli sulle malattie degli animali, che la Regione Piemonte esercita in virtù delle competenze che l'art. 117 della Costituzione ha conferito ad essa in materia di agricoltura, materia nella quale, grazie al d.P.R. n. 616 del 1977, sono ricomprese la zootecnia e la polizia veterinaria.

Quanto al merito del conflitto, la ricorrente sottolinea innanzitutto che l'ordinanza impugnata si pone in diretto e palmare contrasto con l'art. 120, secondo comma, della Costituzione, in quanto con provvedimento generico e generalizzato impedisce l'introduzione di ovini e caprini nella Regione Valle d'Aosta. Né si potrebbe dire, sempre ad avviso della ricorrente, che gravi e urgenti ragioni di carattere sanitario giustificherebbero l'esercizio di un potere di deroga al divieto sancito dall'art. 120 della Costituzione, dal momento che la rigorosa formulazione di quest'ultimo articolo (divieto di provvedimenti che ostacolino "in qualsiasi modo" la libera circolazione) induce a ritenere che solo lo Stato potrebbe eventualmente emanare provvedimenti derogatori, essendo la regione nient'altro che la destinataria di quel divieto e non potendo un atto limitativo della circolazione tra regione e regione riguardare altro che un ambito interregionale. Né, secondo la ricorrente, avrebbe valore invocare la tesi dottrinale secondo cui la regione potrebbe limitare la circolazione delle persone e delle cose in nome di altri interessi costituzionalmente garantiti e, in particolare, per ragioni di carattere sanitario, sia perché tale tesi si richiamerebbe palesemente all'art. 16 della Costituzione sulla libertà di circolazione delle persone, libertà che significativamente potrebbe essere limitata per motivi sanitari solo dallo Stato e con legge generale, sia perché si appoggerebbe su una decisione di questa Corte (n. 12 del 1963), che sarebbe mal invocata poiché in quel caso il temporaneo divieto di circolazione del bene proveniva dal proprietario dello stesso bene.

Sull'asserita illegittimità dell'ordinanza impugnata la ricorrente aggiunge che, per costante insegnamento giurisprudenziale, le ordinanze di necessità abbisognano di una rigorosa motivazione e devono essere fondate su dati di fatto certi, conosciuti e resi palesi: di tutto ciò, sostiene la ricorrente, non vi sarebbe traccia in tal caso. Infine, la Regione Piemonte ricorda le norme comunitarie sulla libera circolazione fra regione e regione e sulla eradicazione della brucellosi, sottolineando in particolare, come sostenuto nella recente decisione del Consiglio delle Comunità Europee n. 90/242 del 21 maggio 1990, che i provvedimenti di divieto in tema di libera circolazione delle cose non possono essere generici.

4.2. - Nelle proprie memorie la Regione Valle d'Aosta insiste, innanzitutto, sulla inammissibilità del ricorso, sottolineando che nel caso non sussisterebbe né una vindicatio potestatis, né una menomazione delle competenze regionali di ordine costituzionale: circostanza, quest'ultima, ammessa dalla stessa ricorrente quando afferma che l'ordinanza impugnata sarebbe di competenza dell'Unità sanitaria locale valdostana ovvero del Ministro della sanità.

Nel merito del conflitto, la resistente, ribadendo che gravi e urgenti ragioni, sorrette da interessi costituzionalmente apprezzabili, permettono di porre limiti e divieti alla circolazione di persone e cose tra regione e regione, ricorda che in dottrina si è vista un'applicazione di tale tesi in una decisione di questa Corte (n. 12 del 1963), che ha ritenuto legittimi atti che, pur sottraendo determinati beni economici al libero movimento, sono stati considerati tali da non aver ripercussioni dannose sulla produzione nazionale. Nel caso, continua la resistente, l'interesse costituzionale giustificativo di limiti alla libera circolazione di animali sarebbe dato da una grave situazione sanitaria, tale da richiedere un intervento tempestivo e urgente diretto a prevenire i pericoli di diffusione della brucellosi. Né si può dire, conclude la resistente, che il provvedimento impugnato sia generico e indiscriminato, poiché, considerato il suo carattere preventivo, non poteva essere adottato che in via generale, non potendosi determinare con sicurezza i capi e le greggi portatori del morbo ed essendo impossibile un controllo dettagliato a fronte di un rilevante ingresso di animali per la monticazione. Sotto tale aspetto, dunque, non potrebbe dubitarsi della ragionevolezza e della congruenza dell'ordinanza impugnata.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Regione Piemonte ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Regione a statuto speciale Valle d'Aosta per avere il Presidente della Giunta di quest'ultima Regione adottato l'ordinanza 15 marzo 1990, n. 342, con la quale è stato disposto, limitatamente alla pratica della monticazione per l'anno 1990, il divieto di introduzione nel territorio valdostano di "ovini e caprini provenienti da altre regioni italiane". Ad avviso della ricorrente, la suddetta ordinanza violerebbe l'art. 120, secondo comma, della Costituzione, per il quale ciascuna regione "non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le regioni" stesse, sotto i seguenti profili: a) per diretto e palese contrasto con il divieto ivi stabilito, avendo la Regione Valle d'Aosta adottato un provvedimento generico e generalizzato, limitativo della circolazione di animali fra le regioni in deroga all'assolutezza del divieto stesso o, comunque, in base a motivi che non avrebbero alcuna giustificazione costituzionale; b) per violazione delle norme interposte che hanno trasferito alle regioni le funzioni di polizia e di vigilanza veterinaria (art. 27, lett. l, e 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nonché legge 23 dicembre 1978, n. 833), ritenendosi, da parte della ricorrente, che le funzioni di cui questa è titolare siano state vanificate dal provvedimento impugnato; c) per contrasto con ulteriori norme interposte e, in particolare, con gli artt. 106 e 107 del d.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320, e con gli artt. 6, 7 e 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, in base ai quali provvedimenti, come quelli impugnati, che interessano necessariamente più regioni, dovrebbero spettare allo Stato e, in ogni caso, esorbiterebbero dalle competenze della sola Regione Valle d'Aosta; d) per violazione del limite territoriale, avendo l'ordinanza impugnata come suoi destinatari soggetti che inevitabilmente si trovano fuori del territorio regionale e nei confronti dei quali, pertanto, non potrebbero essere adottati provvedimenti restrittivi di qualsiasi genere.

La Regione Valle d'Aosta ha preliminarmente proposto un'eccezione di inammissibilità basata sulla addotta mancanza di interesse della ricorrente a contestare una competenza che, come assume la stessa Regione Piemonte, dovrebbe spettare a un'autorità sovraregionale e, segnatamente, al Ministro della sanità.

2. - L'eccezione d'inammissibilità non è fondata.

Il conflitto di attribuzione oggetto di questo giudizio è stato sollevato dalla Regione Piemonte nei confronti della Regione Valle d'Aosta in riferimento all'art. 120, comma secondo, della Costituzione, il quale vieta a ciascuna regione di "adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le regioni". Si tratta di una disposizione che, se, per un verso, pone un limite all'esercizio delle competenze legislative e amministrative di tutte le regioni, per altro verso, invece, attribuisce a ciascuna regione un interesse costituzionalmente protetto a che un'altra regione non adotti provvedimenti diretti a limitare la libera circolazione delle persone e delle cose sottoposte al proprio potere, menomando così il pieno sviluppo dell'autonomia e delle posizioni costituzionali che il citato art. 120 ha riconosciuto a ciascuna di esse.

Di fronte a un'ordinanza che limita la circolazione degli animali fra le altre regioni e la Valle d'Aosta, non si può negare, pertanto, che il Piemonte - il quale confina con la Valle d'Aosta sia legittimato ad agire in giudizio per la tutela di un interesse riconducibile alla propria posizione costituzionale di ente autonomo legato agli altri enti dello stesso tipo da rapporti di rispetto reciproco e da vincoli di solidarietà e di cooperazione. Infatti, come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 12 del 1963, l'art. 120 della Costituzione esprime un principio fondamentale necessario a garantire i valori basilari dell'unità-indivisibilità e del pluralismo autonomistico, solennemente dichiarati dall'art. 5 della Costituzione ("La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali"). In ragione di tale connessione, l'interesse costituzionale alla libera circolazione delle persone e delle cose protetto dall'art. 120 fonda in ciascuna regione una legittimazione ad agire in giudizio a tutela della propria posizione costituzionale di ente autonomo nell'ambito di un sistema decentrato, solidale e cooperativo, così come sta a base di un'analoga e concorrente legittimazione dello Stato a protezione dell'unità e indivisibilità della Repubblica.

3. - Il ricorso merita l'accoglimento.

Contrariamente a quanto sostiene in tesi principale la ricorrente, il divieto imposto a ciascuna regione dall'art. 120, secondo comma, della Costituzione, relativo all'adozione di provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra regione e regione, non comporta una preclusione assoluta, per gli atti regionali, di stabilire limiti al libero movimento delle persone e delle cose. Il potere delle regioni di disciplinare e, quindi, di limitare la libera circolazione dei soggetti umani e dei beni è, infatti, connaturato allo svolgimento dell'autonomia politica e amministrativa delle regioni stesse. Sicché quel potere non può essere escluso tutte le volte che le disposizioni costituzionali che regolano il libero movimento delle persone o delle cose ammettono che la relativa disciplina possa essere posta anche da atti di esercizio delle competenze costituzionalmente spettanti alle regioni. Più precisamente, nella misura in cui l'art. 16 della Costituzione autorizza anche interventi regionali limitativi della libertà di circolazione delle persone e nella misura in cui altre norme costituzionali, principalmente gli artt. 41 e 42 della Costituzione, ammettono che le limitazioni ivi previste alla libera circolazione dei beni possano essere poste anche con atti regionali, non può negarsi che la regione, per la parte in cui legittimamente concorre all'attuazione dei valori costituzionali contrapposti a quelle libertà, possa stabilire limiti alla libera circolazione delle persone e delle cose.

Questa affermazione, in qualche modo già presente nella sentenza n. 12 del 1963 di questa Corte, presuppone che gli "ostacoli", di cui parla l'art. 120, secondo comma, della Costituzione, consistano in limiti che senza alcun fondamento costituzionale finiscono per restringere in qualsiasi modo il libero movimento delle persone e delle cose fra una regione e l'altra. Ciò significa, in somma sintesi, che l'esigenza di una disciplina regionale differenziata non può spingersi fino al punto di porre barriere o impedimenti ingiustificati e arbitrari alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le regioni.

Da tali premesse deriva che, al fine di verificare se l'ordinanza impugnata abbia violato l'art. 120 della Costituzione e abbia consequenzialmente menomato l'autonomia costituzionalmente garantita ad altre regioni, occorre procedere a uno scrutinio articolato in tre gradi. Più precisamente, occorre esaminare: a) se si sia in presenza di un valore costituzionale in relazione al quale possano essere posti limiti alla libera circolazione delle cose o degli animali; b) se, nell'ambito del suddetto potere di limitazione, la regione possegga una competenza che la legittimi a stabilire una disciplina differenziata a tutela di interessi costituzionalmente affidati alla sua cura; c) se il provvedimento adottato in attuazione del valore suindicato e nell'esercizio della predetta competenza sia stato emanato nel rispetto dei requisiti di legge e abbia un contenuto dispositivo ragionevolmente commisurato al raggiungimento delle finalità giustificative dell'intervento limitativo della regione, così da non costituire in concreto un ostacolo arbitrario alla libera circolazione delle cose fra regione e regione.

4. - L'ordinanza del Presidente della Giunta della Regione Valle d'Aosta 15 marzo 1990, n. 342, vieta, limitatamente alla pratica della monticazione per l'anno 1990, l'introduzione nel territorio della Regione stessa di ovini e caprini provenienti da altre regioni italiane, motivando tale divieto con l'esigenza di proteggere i propri allevamenti dal contagio della brucellosi causato da animali provenienti da altre regioni. In altri termini, l'interesse che l'ordinanza impugnata mira a tutelare è quello della sanità, che nel caso viene in questione sotto l'aspetto della polizia veterinaria o, più precisamente, sotto il profilo delle misure di prevenzione volte a proteggere gli allevamenti valdostani dal pericolo di contagio della brucellosi da parte di ovini e caprini provenienti da altre regioni.

Non vi può esser dubbio che la sanità rappresenti un interesse costituzionalmente protetto che può fungere da "limite" rispetto al diverso interesse alla libera circolazione delle cose e degli animali fra le regioni, tutelato dall'art. 120 della Costituzione. Ciò significa che la libertà di movimento dei beni tra una zona e l'altra del territorio nazionale - garantita in via generale dall'art. 41 della Costituzione e, per quel che concerne il potere di limitazione regionale, dall'art. 120 della stessa Costituzione - dev'esser bilanciata con un complesso di interessi costituzionalmente protetti, riconducibili a diritti fondamentali o a valori collettivi di carattere primario, fra i quali rientrano sicuramente la salute pubblica e, come fine di utilità sociale, la conservazione e lo sviluppo del patrimonio zootecnico.

Questa affermazione è, del resto, suffragata dal rilievo che i poteri pubblici di profilassi veterinaria sono, in ultima analisi, strumentali alla protezione della salute pubblica e, pertanto, sono preordinati all'attuazione del valore che l'art. 32 della Costituzione tutela, oltreché come diritto inviolabile della persona, come interesse primario della collettività (v., da ultimo, sentt. nn. 307 e 455 del 1990). Inoltre, non si può trascurare che, poiché la sanità è garantita dall'art. 16 della Costituzione come bene pubblico la cui tutela può importare limiti al diritto fondamentale di ogni persona di circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, a fortiori deve ritenersi che lo stesso interesse costituzionale della sanità pubblica possa comportare limiti o restrizioni alla libera circolazione delle cose e degli animali tra regione e regione.

5. - Ai sensi del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e della legge 23 dicembre 1978, n. 833, la regione detiene funzioni in materia di sanità pubblica che, con specifico riferimento alla polizia veterinaria, la legittimano a disciplinare e a limitare la circolazione degli animali al fine di tutelare interessi regionali o locali affidati alla sua cura.

L'art. 27, lettera l, del d.P.R. n. 616 del 1977, infatti, aveva già individuato tra le funzioni comprese nella materia assistenza sanitaria e ospedaliera quelle relative alla "igiene e assistenza veterinaria, ivi compresa la profilassi, l'ispezione, la polizia e la vigilanza sugli animali e sulla loro alimentazione, nonché sugli alimenti di origine animale", mentre l'art. 14, lettera p, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, ha poi attribuito alle Unità sanitarie locali le relative competenze. L'art. 66 del citato decreto ha, inoltre, precisato che nella materia dell'agricoltura e foreste sono ricomprese le attività zootecniche e l'allevamento di qualsiasi specie di animali, compresi il miglioramento e l'incremento zootecnico, nonché i servizi di diagnosi delle malattie trasmissibili degli animali. L'art. 32, terzo comma, della legge n. 833 del 1978 ha, infine, conferito al Presidente della Giunta regionale il potere di adottare ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di polizia veterinaria, aventi un'efficacia estesa al territorio della regione.

L'atto in relazione al quale è stato sollevato l'attuale conflitto di attribuzione ha il proprio diretto fondamento nell'appena citato art. 32, terzo comma, della legge n. 833 del 1978. Si tratta, infatti, di un'ordinanza contingibile e urgente che il Presidente della Giunta della Regione Valle d'Aosta ha adottato al dichiarato scopo di sospendere, per la pratica della monticazione da svolgersi nella estate 1990, l'ingresso nel territorio regionale di ovini e caprini provenienti da altre regioni, onde prevenire occasioni di contagio della brucellosi a danno dei propri allevamenti.

6. - Contrariamente a quel che suppone la ricorrente, non può essere contestata l'attribuzione del suddetto potere di ordinanza al Presidente della Giunta valdostana, in considerazione del rilievo che l'art. 32, primo comma, della legge n. 833 del 1978 conferisce il predetto potere al Ministro della sanità ogni volta che il relativo provvedimento debba riferirsi "all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni". In realtà, ciò che rileva ai fini della determinazione spaziale del potere in contestazione e della correlativa ripartizione di competenze fra Stato e regioni è l'ambito di applicazione proprio del provvedimento stesso - ambito che nel caso coincide con l'intero territorio regionale -, e non già la produzione degli effetti limitativi che si riverberano su soggetti che si trovino in regioni diverse.

Il potere di ordinanza regionale a fini di polizia veterinaria è, infatti, preordinato alla tutela della sanità degli animali appartenenti alla regione titolare di quel medesimo potere. Sicché, come questa Corte ha affermato in via di principio (v. sent. n. 201 del 1987), ove la concreta situazione di fatto cui occorre far fronte lo richieda (come, ad esempio, nel caso di una totale e accertata sanità del proprio bestiame e di una diffusione di malattie infettive a carattere epizootico nelle restanti regioni), non si può escludere, al fine di proteggere la sanità del patrimonio zootecnico o di alcune specie di animali sottoposti alle proprie competenze, che una certa regione possa impedire l'ingresso nel proprio territorio di determinati animali provenienti da altre regioni.

Per i profili considerati, non si può condividere il dubbio che l'ordinanza impugnata non rientri fra i poteri che l'art. 32, terzo comma, della legge n. 833 del 1978, attribuisce al Presidente della Giunta regionale, poteri che concernono l'adozione, in materia di polizia veterinaria, di provvedimenti di carattere contingibile e urgente, aventi come proprio ambito di applicazione il territorio regionale o parte di esso comprendente più comuni.

7. - Ciò non di meno, l'ordinanza del Presidente della Giunta valdostana, oggetto del conflitto di attribuzione in esame, costituisce un cattivo esercizio del potere previsto dal citato art. 32, terzo comma, della legge n. 833 del 1978 e pertanto comporta, sotto l'aspetto considerato, una menomazione dell'autonomia e delle posizioni garantite dall'art. 120 della Costituzione a ciascuna delle altre regioni.

Il potere di ordinanza disciplinato dall'art. 32, appena menzionato, è un potere di necessità e di urgenza che, comportando una deroga eccezionale all'ordinario regime degli atti normativi e amministrativi, può essere svolto in casi di particolare gravità tassativamente previsti dalla legge. In relazione al caso sottoposto a questo giudizio, esso autorizza il Presidente della Giunta regionale ad adottare, nei limiti spaziali della propria competenza, tutte le misure ritenute indispensabili al fine di prevenire pericoli gravi alla sanità degli animali in presenza di diffusi e attuali fenomeni epizootici. Ciò significa che, allo scopo di non rientrare fra i provvedimenti regionali impositivi di limiti arbitrari e irragionevoli alla libera circolazione delle cose, vietati dall'art. 120 della Costituzione, l'ordinanza impugnata avrebbe dovuto essere adottata, innanzitutto, in presenza di una situazione fattuale di necessità e urgenza, involgente gravi pericoli alla accertata sanità del patrimonio zootecnico regionale; essa, inoltre, avrebbe dovuto contenere le misure strettamente necessarie rispetto al fine di prevenire la diffusione del contagio fra le specie animali soggette alla epizoozia indicata. Ma, poiché né l'una circostanza appare minimamente provata, né l'altro requisito appare rispettato, l'ordinanza del Presidente della Giunta regionale valdostana, oggetto dell'attuale giudizio, si risolve in un esercizio illegittimo del potere di necessità e di urgenza previsto dall'art. 32, terzo comma, della legge n. 833 del 1978, un esercizio che comporta una menomazione dell'autonomia costituzionalmente garantita alle altre regioni.

Più in particolare, nell'ordinanza impugnata non sussiste alcun elemento che possa indurre a ritenere che, quando essa fu emanata, si era in presenza di una situazione di fatto che, per la gravità del pericolo di contagio nei confronti di allevamenti sicuramente sani e per la necessità e urgenza del provvedere, fosse tale da costituire una sufficiente giustificazione per l'esercizio del potere attribuito al Presidente della Giunta regionale dal ricordato art. 32. Nella premessa dell'ordinanza, infatti, c'è soltanto un generico riferimento alla "particolare situazione sanitaria degli allevamenti della nostra regione per quanto attiene all'infezione di natura brucellare" e al particolare rischio di contagio che gli animali al pascolo corrono nel periodo estivo, nonché un generale richiamo alla maggiore possibilità di trasmissione della brucellosi fra gli ovini e i caprini rispetto a quella riscontrabile presso altri animali. Inoltre, nella parte dispositiva, l'ordinanza impugnata contiene un divieto che colpisce indiscriminatamente tutti gli ovini e i caprini provenienti da altre regioni italiane, e non già soltanto gli allevamenti o gli animali che non siano stati qualificati come indenni o ufficialmente indenni dalla brucellosi da parte delle autorità legittimamente investite in ciascuna regione dei relativi poteri di accertamento. Sicché, anche sotto questo ulteriore profilo, l'atto impugnato impone un divieto arbitrario e contrario al principio di cooperazione, essendo quel divieto sproporzionato e privo di ogni ragionevole connessione rispetto alle finalità che, in base all'art. 32 della legge n. 833 del 1978, giustificano l'esercizio del potere di ordinanza attribuito al Presidente della Giunta regionale in materia di polizia veterinaria.

In relazione al complesso delle ragioni appena indicate, l'ordinanza oggetto dell'attuale conflitto di attribuzione si rivela direttamente contrastante con l'art. 120, secondo comma, della Costituzione, dal momento che contiene misure le quali, violando il divieto costituzionale di adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione dei beni fra le regioni, finiscono per prevedere un arbitrario privilegio a favore degli allevatori valdostani.

Resta assorbito ogni altro profilo di ricorso proposto dalla Regione Piemonte.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara che non spetta alla Regione Valle d'Aosta adottare un'ordinanza contingibile e urgente, ai sensi dell'art. 32, terzo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale), diretta a vietare, limitatamente all'anno 1990 e alla pratica della monticazione, l'introduzione nel proprio territorio di ovini e caprini provenienti da altre regioni italiane,

e, conseguentemente, annulla l'ordinanza del Presidente della Giunta della Regione Valle d'Aosta 15 marzo 1990, n. 342.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI – Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

Depositata in cancelleria il 6 febbraio 1991.