Sentenza n. 390 del 2004

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SENTENZA N. 390

ANNO 2004

 

 

Commento alla decisione di

Matteo Barbero

 ''Blocco delle assunzioni'': le ragioni di una bocciatura

(per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

-  Valerio                       ONIDA                                             Presidente

-  Carlo                          MEZZANOTTE                                  Giudice

-  Fernanda                   CONTRI                                                    “

-  Guido                        NEPPI MODONA                                    “

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                                             “

-  Franco                       BILE                                                          “

-  Giovanni Maria         FLICK                                                       “

-  Francesco                  AMIRANTE                                             “

-  Ugo                           DE SIERVO                                             “

-  Romano                     VACCARELLA                                       “

-  Paolo                         MADDALENA                                        “

-  Alfio                          FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                     QUARANTA                                            “

-  Franco                       GALLO                                                     “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 34 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato –legge finanziaria del 2003), e dell’articolo 3, commi 53-55, 58, 60, 61 e 65, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria del 2004), promossi con ricorsi della Regione Marche (2 ricorsi), della Regione Toscana (2 ricorsi), della Regione Piemonte, della Regione Valle d’Aosta, della Regione Campania, della Regione Umbria, della Regione Emilia-Romagna (2 ricorsi) e della Regione Veneto, notificati il 25, il 26, il 28 febbraio ed il 1° marzo 2003, il 24 ed il 26 febbraio 2004, depositati in cancelleria il 4, il 5 ed il 7 marzo 2003, il 3 ed il 4 marzo 2004 ed iscritti ai numeri 14, 15, 18, 19, 21, 22, 25 e 26 del registro ricorsi 2003 ed ai numeri 31, 32 e 33, del registro ricorsi 2004.

  Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 28 settembre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

  uditi gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Gabriele Pafundi per la Regione Piemonte, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Giovanni Tarantini per la Regione Umbria, Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna, Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1.– Con otto distinti ricorsi (iscritti ai numeri 14, 15, 18, 19, 21, 22, 25 e 26 del registro ricorsi del 2003), le Regioni Marche, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Campania, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto hanno promosso giudizio di legittimità costituzionale, tra altre norme, dell’articolo 34 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), a norma del quale: a) le pubbliche amministrazioni di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni provvedono alla rideterminazione delle dotazioni organiche nel rispetto del principio dell’invarianza della spesa e senza superare il numero dei posti di organico complessivi vigenti alla data del 29 settembre 2002 (commi 1 e 2); b) «sino al perfezionamento dei provvedimenti di cui al comma 1, le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari ai posti coperti al 31 dicembre 2002, tenuto anche conto dei posti per i quali alla stessa data risultano in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale» (comma 3); c) «per l’anno 2003, alle amministrazioni di cui al comma 1 (…) è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale relative a figure professionali non fungibili la cui consistenza organica non sia superiore all’unità, nonché quelle relative alle categorie protette» (comma 4); d) «per le regioni e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale si applicano le diposizioni di cui al comma 11» (così il comma 10) il quale dispone che e) «ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza unificata, sono fissati per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l’anno 2002, per gli altri enti locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2003. Tali assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilità, devono, comunque, essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi entro l’anno 2002 tenuto conto, in relazione alla tipologia di enti, della dimensione demografica, dei profili professionali  del personale da assumere, della essenzialità dei servizi da garantire e dell’incidenza delle spese del personale sulle entrate correnti. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale possono essere disposte esclusivamente assunzioni, entro i predetti limiti, di personale appartenente al ruolo sanitario»; f) «fino all’emanazione dei decreti di cui al presente comma . . . trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 4»; g) con i decreti medesimi «è altresì definito, per le regioni, per le autonomie locali e per gli enti del servizio sanitario nazionale, l’ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 del presente articolo»; h) «per l’anno 2003 le amministrazioni di cui al comma 1 possono procedere all’assunzione di personale a tempo determinato, ad eccezione di quanto previsto all’art. 108 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o con convenzioni ovvero alla stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 90 per cento della spesa media annua sostenuta per le stesse finalità nel triennio 1999-2001. Tale limitazione non trova applicazione nei confronti delle regioni e delle autonomie locali, fatta eccezione per le province e i comuni che per l’anno 2002 non abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno, nonché nei confronti del personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale» (comma 13).

  1.1.– In particolare, la Regione Marche, con ricorso notificato il 26 febbraio 2003 (n. 14 del 2003), censura le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 13 dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, in primo luogo per lesione della sfera di competenza legislativa regionale in violazione degli artt. 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto della Costituzione.

  La ricorrente osserva che la normativa in esame, prevedendo un vero e proprio blocco generalizzato delle assunzioni di personale per le amministrazioni pubbliche tra le quali sono comprese le Regioni, disciplina la materia delle assunzioni e delle dotazioni organiche delle amministrazioni regionali e degli enti facenti parte del Servizio sanitario nazionale che non è fra quelle per le quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, limitata dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. al solo “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”. Pertanto, la materia dell’“ordinamento e organizzazione amministrativa delle regioni, degli enti locali e degli enti pubblici sublocali” spetta inequivocabilmente alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni che risulta così lesa dalla norma in questione.

  Secondo la ricorrente non sarebbe possibile ricondurre le disposizioni impugnate entro i confini della materia – assegnata dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. alla competenza esclusiva statale – della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, risultando quest’ultima eterogenea rispetto al blocco delle assunzioni e delle dotazioni organiche, in particolar modo, delle strutture del servizio sanitario nazionale.

  Anche ove fosse possibile ricondurre la norma impugnata nell’alveo della materia – di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. – della “tutela della salute” o della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica”, continuerebbero a sussistere profili di illegittimità costituzionale nella misura in cui le norme censurate non dettano principî fondamentali, ma disposizioni di dettaglio, direttamente applicabili ai destinatari e non cedevoli a fronte dell’eventuale esercizio della potestà legislativa regionale. Tanto più che, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), compete alle Regioni la funzione legislativa ed amministrativa in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera.

  Né infine sembra alla ricorrente che possa rivestire un qualche rilievo l’eventuale richiamo all’interesse nazionale, categoria non menzionata espressamente dalle norme del Titolo V della Costituzione e, comunque, inidonea ad escludere o limitare la potestà legislativa regionale;

  Sarebbe inoltre ravvisabile una violazione dell’autonomia di spesa riconosciuta e garantita alle Regioni dall'art. 119 Cost., secondo cui queste sono l’unico soggetto abilitato a prevedere procedure e criteri di controllo della propria spesa pubblica, almeno fino a quando lo Stato non avrà dettato i principî di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di cui all’art. 119, secondo comma, Cost.

  Ancora, il comma 11 dell’art. 34, nel prevedere un’ipotesi di allocazione di decisioni amministrative presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che incardina in organi statali le relative funzioni ed attività, viola l’art. 117, sesto comma, e l’art. 118, Cost. che fissano, rispettivamente, una ripartizione rigida della potestà regolamentare tra Stato e Regioni e i parametri costituzionali per la corretta distribuzione delle funzioni amministrative tra gli enti che costituiscono la Repubblica. Infatti, il decreto impugnato, per un verso, disciplina materie riconducibili all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. in relazione alle quali la potestà regolamentare spetta esclusivamente alle Regioni e, per altro verso, non richiama, né sono diversamente rinvenibili, espressamente od implicitamente, specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione amministrativa tali da consentirne la riserva al livello di governo sovraregionale.

  Peraltro, la finalità del comma 11, di garantire “il concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica”, non consente al legislatore statale di intervenire in settori materiali dell’ordinamento che gli sono sottratti, come quello relativo all’organizzazione amministrativa della Regione e degli enti subregionali; né l’intervento legislativo censurato introduce norme di coordinamento della finanza pubblica, ma stabilisce dei vincoli alla politica delle assunzioni del personale di Regioni ed enti locali. D’altra parte, lo stesso art. 3 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, nell’istituire un organo consultivo – l’Alta Commissione di studio – con il compito di indicare al Governo i principî generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione, con evidenza rinvia l’individuazione di questi ad un futuro provvedimento legislativo statale, in tal modo inscrivendo le norme oggi censurate nella sfera di competenza legislativa residuale della regione.

  Inoltre, la previsione di un accordo tra Governo, Regioni ed autonomie locali per fissare criteri e limiti per le assunzioni per l’anno 2003, se è coerente con il principio del coordinamento di cui all’art. 119 Cost., non può costituire lo strumento per applicare puntuali limiti fissati unilateralmente dal legislatore statale in violazione del medesimo art. 119 Cost.

  1.1.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale conclude per l’infondatezza del ricorso, qualificando l’art. 34 impugnato quale norma, costituente una temporanea misura di salvaguardia, volta a stabilire principî in tema di «coordinamento della finanza pubblica», intesa come finanza «allargata» e cioè non solamente statale. Irrilevante risulterebbe inoltre la censura mossa al comma 13 della norma denunciata, in quanto essa, in tema di assunzioni a tempo determinato, espressamente prevede che «tale limitazione non trova applicazione nei confronti delle regioni».

  1.2.– La Regione Toscana, con ricorso notificato il 26 febbraio 2003 (n. 15 del 2003), impugna l'art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 11 e 13, della legge n. 289 del 2002, perché violativo dell’art. 117 Cost. il quale riserva la materia dell’ordinamento ed organizzazione amministrativa alla legislazione esclusiva statale solo con riguardo allo Stato ed agli enti pubblici nazionali, mentre attribuisce alle Regioni, nell’esercizio della potestà legislativa residuale, l’organizzazione amministrativa e l’ordinamento del personale delle Regioni e degli enti strumentali, ivi compresi gli enti del sistema sanitario regionale; peraltro, la prevista emanazione di decreti da emanarsi a seguito di accordo raggiunto in Conferenza unificata non eliderebbe la censura, in quanto tali decreti non possono certo sostituire l’esercizio di una potestà legislativa costituzionalmente affidata alle Regioni in via esclusiva.

  Né la norma censurata è riconducibile nell’alveo della legittimità costituzionale in virtù del richiamo al rispetto degli obbiettivi di finanza pubblica imposto anche alle amministrazioni regionali, posto che tale principio va concretamente attuato mediante scelte assunte nell’esercizio dell’autonomia regionale che, nella specie, è compressa dalla previsione di disposizioni puntuali e di dettaglio.

  1.2.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, sostiene che l’intervento legislativo censurato non incide indebitamente sulla organizzazione dell’amministrazione regionale e dell’ordinamento del relativo personale, ma costituisce espressione di principî fondamentali in tema di coordinamento della finanza pubblica, mediante l’individuazione di criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per il 2003 con d.P.C.m. che il previo accordo in sede di Conferenza unificata vale ad assicurare come adeguato alle peculiari esigenze del personale delle Regioni in relazione alle funzioni da svolgere. 

  1.3.– La Regione Piemonte, con ricorso notificato il 28 febbraio 2003 (n. 18 del 2003), impugna l’art. 34 della legge n. 289 del 2002 – con espressa menzione dei soli commi 1 e 11 – perché violativo della competenza regionale esclusiva in tema di organizzazione ed ordinamento del proprio personale dipendente ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. Tale censura, a detta della ricorrente, non sarebbe superata dal previsto accordo fra Governo, Regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata ai fini dell’emanazione di un d.P.C.m. con la fissazione di criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2003: i divieti così previsti hanno infatti carattere generalizzato ed appaiono privi di ogni giustificazione fondata su specifiche esigenze di ordine economico-finanziario. Vi sarebbe, inoltre, una interna contraddittorietà tra le dichiarate finalità di contenimento della spesa pubblica, realizzate mediante il divieto delle assunzioni a tempo indeterminato, e la possibilità di procedere senza limiti di spesa ad assunzioni a tempo determinato; in tal modo imponendo dall’esterno alle Regioni modalità operative per un contenimento della spesa in concreto non perseguito. Ciò che comporta la violazione dei principî di ragionevolezza e di buon andamento (articoli 3 e 97 Cost.).

  Lamenta inoltre la ricorrente, senz’altro specificare, la violazione degli articoli 114, 118, 119 e 120 della Costituzione.

  1.3.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, conclude per la infondatezza del ricorso, sottolineando l’incongruenza del richiamo ai parametri costituiti dagli articoli 3 e 97 Cost., e la parziale inammissibilità per la genericità dei motivi riguardanti, in particolare, il comma 11.

  1.4.– Con ricorso notificato il 28 febbraio 2002 (n. 19 del 2003), la Regione Valle d’Aosta denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, in relazione agli articoli 3, 5, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), deducendo, al pari degli altri ricorrenti, che la norma impugnata, disciplinando la materia del pubblico impiego presso le Regioni e gli altri enti locali, nonché la rideterminazione degli organici, invade la potestà legislativa esclusiva regionale garantita dall’art. 117, quarto comma, Cost. e che tali disposizioni, di tipo sicuramente dettagliato, nell’autorizzare una fonte secondaria (d.P.C.m.) ad intervenire sul punto, realizzano una violazione non sanabile attraverso il ricorso all’accordo da raggiungersi in sede di Conferenza unificata.

  Rileva poi la ricorrente una violazione dell’art. 118 Cost. per la limitazione imposta all’autonomia organizzativa della Regione nelle proprie scelte discrezionali in tema di rapporti con il personale.

  Inoltre, anche ove l’intervento legislativo statale fosse inscrivibile nell’area del coordinamento della finanza pubblica, trattandosi di materia concorrente sussisterebbe la violazione denunciata avendo lo Stato dettato norme non di principio ma dettagliate.

  Infine, ove la ratio della norma dovesse risiedere nel rispetto del patto di stabilità interno, essa sarebbe afflitta da manifesta irragionevolezza e da sproporzione dei mezzi impiegati rispetto al fine perseguito (art. 3 Cost.) posto che il rispetto del patto di stabilità potrebbe essere perseguito solo mediante l’indicazione degli obbiettivi e non anche dei mezzi per farvi fronte, versandosi nell’ambito di prerogative costituzionalmente riconosciute alle Regioni.

  1.4.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, sulla base di difese analoghe a quelle già riferite, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile e che sia comunque respinto in quanto infondato.

  1.5.– Con ricorso notificato il 26 febbraio 2003 (n. 21 del 2003), la Regione Campania denuncia anch’essa l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, limitatamente ai commi 1, 2, 3, 4 e 11, in riferimento agli artt. 114, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost.

  Oltre a proporre censure già riferite a proposito degli altri ricorsi (lesione della potestà legislativa esclusiva regionale in tema di ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione e carattere dettagliato della norma), la ricorrente denuncia anche la violazione del principio di leale cooperazione per l’invasione delle competenze legislative esclusive della Regione.

  1.5.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale conclude per l’inammissibilità della questione con riguardo al comma 11 per assenza di specifici motivi di censura e, per il resto, per il rigetto del ricorso, siccome infondato.

  La difesa erariale osserva, in particolare, «che la spesa pubblica costituisce, tenuto doverosamente conto anche degli oneri riflessi e consequenziali, una quota cospicua della spesa degli enti territoriali: l’attribuzione del principio di invarianza della spesa passa necessariamente attraverso il contenimento delle dotazioni organiche».

  1.6.– Con ricorso notificato il 28 febbraio 2003 (n. 22 del 2003), la Regione Umbria denuncia  l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, limitatamente ai commi 1, 2, 3, 4, 10 – quest’ultimo nella parte in cui stabilisce che “per le regioni e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale si applicano le disposizioni di cui al comma 11” – nonché ai commi 11 e 22, in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost. e per indeterminatezza del dettato normativo.

  In particolare, con riguardo ai commi 1, 2, 3, 4 e 10, la ricorrente pone in luce profili di contraddittorietà ed indeterminatezza del dettato normativo laddove, dapprima, sembrerebbe disporre l’applicazione anche alle Regioni della disciplina dei commi 1, 2 3 e 4 e poi, attraverso la disposizione del comma 10, pare invece rendere applicabile agli enti regionali quella derogatoria prevista dal comma 11.

  Anche la Regione Umbria, come gli altri ricorrenti, deduce l’illegittimità della norma impugnata in quanto disciplina la materia, ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione, oggi riservata alla potestà legislativa esclusiva regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

  Analoghi motivi di censura la ricorrente estende, ove ritenuto applicabile anche alle Regioni, al comma 22 dell’art. 34 cit. nella parte in cui prevede che le «altre amministrazioni pubbliche» sono tenute all’osservanza di quanto in esso stabilito con riguardo al fatto che «per ciascuno degli anni 2004 e 2005, a seguito del completamento degli adempimenti previsti dai commi 1 e 2 e previo esperimento delle procedure di mobilità, le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli enti pubblici non economici con organico superiore a 200 unità sono tenuti a realizzare una riduzione del personale non inferiore all’1 per cento rispetto a quello in servizio al 31 dicembre 2003 secondo le procedure di cui all’art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni».

  1.6.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale conclude per l’inammissibilità ovvero per l’infondatezza del ricorso con argomentazioni analoghe a quelle spese avverso i ricorsi 14 e 15 del 2003.

  1.7.– Anche la Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 7 marzo 2003 (n. 25 del 2003), denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, limitatamente ai commi 1, 2, 3, 4 e 11, in riferimento all’art. 117 Cost., osservando che la norma impugnata, avente carattere tipicamente ordinamentale ed organizzatorio, è come tale estranea al contenuto proprio della legge finanziaria, che non può certo costituire per lo Stato, in via sostitutiva, il titolo di competenza della sua legislazione in una materia (l’ordinamento del personale regionale e l’organizzazione amministrativa) oggi riservata alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

  La disposizione censurata inoltre violerebbe il canone della ragionevolezza col disporre il blocco delle assunzioni in una fase di completamento del processo di decentramento e dopo che la Regione Emilia-Romagna è già intervenuta, sul piano del contenimento della spesa per il personale, con una propria legge. V’è pertanto una lesione delle prerogative legislative regionali non giustificabile con la riserva statale in relazione al “sistema tributario e contabile dello Stato” (art. 117, secondo comma, lettera e) o all’“armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” (art. 117, terzo comma), posto che quelle denunciate non sono «norme tese a realizzare effetti finanziari con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale», ma si risolvono in misure tipicamente organizzatorie.

  1.8.– Con ricorso notificato il 25 febbraio 2003 (n. 26 del 2003), anche la Regione Veneto denuncia  l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, in riferimento agli articoli 3, 97, 114, 117, secondo e quarto comma, e 118, Cost.

  La norma impugnata, ad avviso della ricorrente, comprime l’autonomia regionale in ordine alle esigenze organizzative, fissandone a priori i parametri e prescindendo da ogni valutazione della concreta realtà regionale: ciò in violazione dei principî di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.).

  Inoltre, la norma impugnata disciplina la materia dell’ordinamento del personale regionale, che è oggi riservata alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., né, comunque, avrebbe il tratto della normativa di principio, contenendo invece disposizioni di dettaglio che fissano criteri connotati da considerevole rigidità. Non vale infine a sanare l’illegittimità costituzionale la previsione dell’accordo tra Governo, Regioni ed autonomie locali.

  1.8.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, spiegando difese analoghe a quelle articolate avverso i ricorsi 14 e 15 del 2003.

  2.– . Con tre distinti ricorsi (iscritti ai nn. 31, 32 e 33 del registro ricorsi del 2004), le Regioni Marche, Toscana ed Emilia-Romagna hanno promosso giudizio di legittimità costituzionale, tra altre norme, dell’articolo 3, commi 53, 54, 55, 58, 60, 61 e 65 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004).

  Dispone l’art. 3, comma 53, riformulando l’art. 34, comma 4, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che «per l’anno 2004, alle amministrazioni di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, (…) è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, fatte salve le assunzioni di personale relative a figure professionali non fungibili la cui consistenza organica non sia superiore all'unità, nonché quelle relative alle categorie protette (…). Per le autonomie regionali e locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale sono fatte salve le assunzioni previste e autorizzate con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2003, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 14 ottobre 2003, e non ancora effettuate alla data di entrata in vigore della presente legge».

  Il comma 54 prevede una deroga al divieto di cui al comma 53, nei limiti di una spesa annua lorda pari a 260 milioni di euro, per assunzioni di personale, necessario per soddisfare indilazionabili esigenze di servizio e previo esperimento delle procedure di mobilità, in favore (tra altri) degli “enti pubblici non economici”.

  Il comma 55 descrive le procedure di autorizzazione alle assunzioni in deroga di cui al comma precedente, ed il comma 56 prevede, per quel che qui interessa, che “per le regioni e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale (…) si applicano le disposizioni di cui al comma 60”.

  Il comma 60 riproduce, pressoché letteralmente, con riguardo al 2004, quanto l’art. 34, comma 11, della legge n. 289 del 2002 disponeva per il 2003, precisando che le disposizioni di cui al comma 53 e quelle «dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2003» trovano «applicazione in via provvisoria e fino all’emanazione» dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti dal medesimo comma 60.

  Il comma 61 proroga di un anno i termini di validità delle graduatorie per le assunzioni presso amministrazioni pubbliche soggette, per il 2004, a limitazioni delle assunzioni ed il comma 65 fissa, “per le amministrazioni di cui al comma 53”, limiti di spesa per il personale a tempo determinato precisando che “le limitazioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti delle Regioni …”.

  2.1.– Con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 (n. 31 del 2004), la Regione Marche denuncia l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 117, commi terzo, quarto e sesto, 118 e 119 Cost., dell’art. 3, commi 53, 60 e 65, della legge n. 350 del 2003, muovendo censure analoghe a quelle spiegate col ricorso n. 14 del 2003 avverso le corrispondenti disposizioni della legge n. 289 del 2002, come parzialmente riformulata dalla legge finanziaria per l’anno 2004.

  2.1.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata in parte inammissibile e per il resto infondata.

  In particolare, non sussisterebbe l’interesse della Regione a censurare il comma 65, posto che esso potrebbe avere rilievo solo per la parte in cui pone limiti di spesa che, tuttavia, per espressa previsione, «non trovano applicazione nei confronti delle regioni e delle autonomie locali».

  Con riguardo invece ai commi 53 e 60, essi trovano la loro ratio nel «concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica», che si radica nell’art. 119 Cost. Quest’ultima norma si salderebbe a sua volta con la previsione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. che riserva allo Stato una fondamentale materia definibile come «governo dell’economia nazionale».

  Inoltre, nel porre il divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato durante l’anno 2004, la norma censurata avrebbe carattere generale e di principio, ancorché sia di per sé self-executing.

  2.2– Con ricorso notificato il 26 febbraio 2004 (n. 32 del 2004), la Regione Toscana denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003, limitatamente ai commi 53, 54, 55, 60 e 61, in riferimento all’art. 117 Cost., anch’essa muovendo censure analoghe a quelle spiegate col ricorso n. 15 del 2003 avverso le corrispondenti disposizioni della legge n. 289 del 2002, come parzialmente riformulate dalla legge finanziaria per il 2004.

  2.2.1.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale nel chiedere che la questione sia dichiarata in parte inammissibile e per il resto infondata, articola difese analoghe a quelle spiegate avverso il ricorso n. 31 del 2004.

  2.3.– Con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 (n. 33 del 2004), anche la Regione Emilia-Romagna denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 350 del 2003, limitatamente ai commi 53, 58 e 60, in riferimento all’art. 117 Cost. ed al canone della ragionevolezza, anch’essa riproponendo censure analoghe a quelle spiegate col ricorso n. 25 del 2003 avverso il sistema delle corrispondenti disposizioni della legge n. 289 del 2002 su cui le odierne norme hanno parzialmente inciso.

  3.– Nell’imminenza dell’udienza hanno depositato memorie le Regioni Marche, Toscana, Campania, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto, ribadendo le argomentazioni svolte, rispettivamente, a sostegno dei ricorsi numeri 14, 15, 21, 22, 25 e 26 del 2003 proposti avverso l’art. 34 della legge n. 289 del 2002, e le Regioni Marche, Toscana e Emilia-Romagna per ribadire le argomentazioni svolte a sostegno dei ricorsi n. 31, 32 e 33 del 2004 proposti avverso l’art. 3, commi 53 e seguenti, della legge n. 350 del 2003.

  In particolare, la Regione Umbria (reg. ric. n. 22 del 2003) precisa che il proprio interesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002 è limitato al solo periodo per il quale questa ha trovato applicazione, posto che l’art. 1, comma 3, del d.P.C.m. 12 settembre 2003, emanato in attuazione dell’art. 34, comma 11, ha escluso, limitatamente al regime delle assunzioni, «le regioni e i rispettivi enti strumentali e dipendenti delle medesime per i quali sussistono provvedimenti che dichiarano lo stato di emergenza derivante da terremoti o calamità naturali», tra i quali è la ricorrente con riguardo al periodo che va dal 12 settembre al 31 dicembre 2003.

  L’Avvocatura generale dello Stato, a sua volta, ha depositato memorie a confutazione dei ricorsi.

  In particolare, con riguardo ai ricorsi delle Regioni Marche (n. 14 del 2003 e n. 31 del 2004), Piemonte (n. 18 del 2003), Valle d’Aosta (n. 19 del 2003), Campania (n. 21 del 2003), Umbria ( n. 22 del 2003), Emilia-Romagna (n. 25 del 2003 e n. 33 del 2004) la difesa erariale chiede che venga pronunciata la cessazione della materia del contendere, per il venir meno dell’interesse delle ricorrenti, sia con riguardo alle censure che investono l’art. 34 della legge n. 289 del 2002, sia relativamente alla totalità delle doglianze formulate nei ricorsi numeri 31 e 33 del 2004, tenuto conto, in riferimento alla prima questione, che il 12 settembre 2003 sono stati pubblicati due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 34 cit., in conformità del raggiunto accordo tra Stato e Regioni del 19 giugno 2003, l’uno relativo alle amministrazioni regionali ed alle aziende sanitarie e l’altro agli enti locali e, con riferimento alla seconda, è stato perfezionato analogo accordo del 20 maggio 2004 sulla cui base è in via di emanazione altro decreto presidenziale. L’adesione a questi accordi, ad avviso della deducente, sarebbe infatti oggettivamente incompatibile con il permanere delle doglianze.

  4.– Le Regioni Piemonte (dichiarando di non avere più interesse alla decisione) e Valle d’Aosta (giusta delibera della Giunta) hanno rinunciato ai ricorsi (rispettivamente n. 18 e n. 19 del 2003) da esse proposti.

Considerato in diritto

  1.– Preliminarmente, va dichiarata l’estinzione del giudizio limitatamente ai ricorsi nn. 18 e 19 del 2003 delle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta per rinuncia.

  2.– Sempre in via preliminare, va disposta – per la parte in cui investono, con censure largamente coincidenti, l’art. 34 della legge n. 289 del 2002, e riservando ad altre pronunce la decisione per la parte in cui investono altre norme della citata legge – la riunione dei ricorsi numeri 14, 15, 21, 22, 25 e 26 del 2003, attesa l’evidente comunanza di oggetto e di questioni.

  Analogo provvedimento di riunione si impone per i ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2003 per la parte in cui tutti investono, con argomentazioni sostanzialmente analoghe, l’art. 3, commi 53-65, della legge n. 350 del 2003, riservando a distinte pronunce la decisione per la parte in cui investono altre disposizioni della citata legge.

  La sostanziale coincidenza del contenuto normativo investito dai ricorsi numeri 14, 15, 21, 22, 25 e 26 del 2003 e dai ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2004, rende manifesta l’opportunità della loro decisione con unica sentenza.

  3.– Le censure mosse nei confronti dell’art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 6, 10, 13 e 22, della legge n. 289 del 2002 devono essere respinte.

  Se è vero, infatti, che l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), richiamato dal comma 1, fa riferimento anche alle Regioni, è d’altra parte vero che il comma 10 dispone espressamente che alle Regioni si applicano – in luogo dei commi ad esso precedenti – le disposizioni del comma 11 (il quale, come si dirà, dispone autonomamente circa l’applicabilità dei commi 1, 2, 3 e 4).

  Il comma 13, a sua volta, esclude esplicitamente che la limitazione (riguardante l’assunzione di personale a tempo determinato) in esso prevista si applichi alle Regioni.

  Il comma 22, infine, non contiene alcun esplicito obbligo (in particolare, di riduzione del personale non inferiore all’uno per cento) delle Regioni (alle quali non può certamente riferirsi la generica locuzione “enti pubblici non economici”), ma contiene esclusivamente la previsione che “le altre amministrazioni pubbliche adeguano le proprie politiche di reclutamento di personale al principio di contenimento della spesa in coerenza con gli obiettivi fissati dai documenti di finanza pubblica”. E’ appena il caso di rilevare che tale previsione costituisce un principio di “coordinamento della finanza pubblica” (art. 117, terzo comma, Cost.) che la legislazione statale è certamente legittimata a fissare, e che non limita in alcun modo l’autonomia regionale riguardo ai concreti strumenti (adeguamento delle proprie “politiche di reclutamento del personale”) attraverso i quali quell’obiettivo (“contenimento della spesa”) può essere raggiunto.

  4.– Le censure mosse al comma 11 sono fondate nei limiti di seguito precisati.

  Non è fondata la censura volta a contestare che la legge statale possa prevedere meccanismi e procedure – ed in particolare l’«accordo tra Governo, regioni e autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata» –, volti a far sì che vi sia il «concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica», e possa inoltre prevedere che quanto previsto in quell’accordo sia trasfuso in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che fissi «per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l’anno 2002, per gli altri enti locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2003».

  Tale previsione, infatti, costituisce puntuale attuazione del precetto costituzionale che attribuisce alla legge statale il compito di provvedere al “coordinamento della finanza pubblica”: compito legittimamente assolto coinvolgendo nell’individuazione dei «criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato» le Regioni e le autonomie locali e, poi, cristallizzando in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l’accordo che fissa quei criteri e limiti.

  La circostanza che il medesimo comma 11 disponga che «fino all’emanazione dei decreti (…) trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 4» – e cioè il «divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato», fatte salve le eccezioni ivi previste – non costituisce violazione di alcuna norma costituzionale: si tratta, infatti, non solo di un divieto temporalmente limitato, ma anche e soprattutto di un divieto funzionalmente collegato all’accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata, quale strumento destinato a disciplinare, con il concorso delle autonomie regionali e locali, la materia delle assunzioni del personale a tempo indeterminato. E’ evidente che, in assenza di quel temporaneo divieto, le finalità perseguite con l’accordo sarebbero frustrate se, nelle more, le Regioni e gli enti locali potessero procedere, senza limiti di sorta, alle assunzioni ritenute opportune: come è evidente che l’intervento della legge statale in senso limitativo dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali non è meno legittimo per ciò che il divieto da essa posto è assoluto, ma la sua legittimità va affermata considerando il carattere strumentale di quel temporaneo divieto ai fini della efficacia ed effettività della futura disciplina che scaturirà in sede di Conferenza unificata.

  Altrettanto ovvio è che in sede di accordo ben possono essere individuati profili della disciplina di cui ai commi 1, 2, 3 (rideterminazione delle piante organiche nel rispetto del “principio della invarianza della spesa” e loro tendenziale “congelamento”) da applicare alle Regioni ed agli enti locali, e che anche tali contenuti dell’accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata ben possono essere trasfusi nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

  Le medesime ragioni, che impongono il rigetto delle censure mosse alle disposizioni del comma 11 fin qui esaminate, comportano l’accoglimento di quelle rivolte alla previsione per cui le assunzioni a tempo indeterminato, «fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilità, devono, comunque, essere contenute, fatta eccezione per il personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2002».

  Si tratta, infatti, di una disposizione che non si limita a fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo che tale copertura non sia superiore al 50 per cento: precetto che, proprio perché specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area (organizzazione della propria struttura amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri (ad esempio, di privilegiare il ricorso alle procedure di mobilità: sentenza n. 388 del 2004) ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

  5.– Quanto ai ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2004 valgono mutatis mutandis – attesa la sostanziale identità di disciplina recata dall’art. 3, commi 53-60, della legge n. 350 del 2003 – le medesime conclusioni appena esposte con riguardo all’art. 34 della legge n. 289 del 2002.

  Va quindi ribadito che né il comma 53 (ove è previsto il divieto di assunzioni a tempo indeterminato) né i commi 54 e 55 (che disciplinano deroghe, e relative procedure, a quel divieto) riguardano, in quanto tali, le Regioni, come chiarisce l’ultimo alinea del comma 58 stabilendo che «per le regioni e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale (…) si applicano le disposizioni del comma 60».

  Analoga esplicita previsione è contenuta nel comma 65 (limiti all’assunzione di personale a tempo determinato), mentre implicita, ma inequivoca, è l’estraneità delle Regioni a quanto dispone il comma 61 in ordine alla proroga del termine di validità delle graduatorie, dal momento che la norma riguarda esclusivamente “le amministrazioni pubbliche che per l’anno 2004 sono soggette a limitazioni delle assunzioni”.

  Respinte, pertanto, le censure che investono i commi 53, 54, 55, 58, 61 e 65, occorre passare all’esame di quelle che concernono il comma 60: norma pressoché identica a quella contenuta nel comma 11 dell’art. 34 della legge n. 289 del 2002, e per la quale vale quanto si è precisato supra, n. 4, ribadendo l’infondatezza delle censure relative alla parte in cui si prevede che l’accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata sia trasfuso in un d.P.C.m. che fissi criteri e limiti delle assunzioni a tempo indeterminato, nonché l’infondatezza di quelle relative alla disposizione a tenore della quale «fino all’emanazione dei decreti trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 53»; l’illegittimità costituzionale della disposizione a norma della quale le assunzioni a tempo indeterminato «devono comunque essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2003».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i ricorsi numeri 14, 15, 18, 19, 21, 22, 25 e 26 del 2003 nonché i ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2004, e riservata a separate pronunce la decisione delle questioni in tali ricorsi sollevate relativamente a norme diverse dall’art. 34 della legge n. 289 del 2002 e dall’art. 3, commi 53-65, della legge n. 350 del 2003;

  dichiara estinti per rinuncia i giudizi di cui al ricorso n. 18 del 2003 proposto dalla Regione Piemonte e n. 19 del 2003 proposto dalla Regione Valle d’Aosta;

  dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 11, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  – legge finanziaria 2003), limitatamente alla parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indeterminato «devono, comunque, essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2002»;

  dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte, in riferimento agli articoli 3, 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, nei confronti dell’art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 10, 13 e 22 della predetta legge n. 289 del 2002;

  dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 60, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), limitatamente alla parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indeterminato «devono, comunque, essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2003»;

  dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, nei confronti dell’art. 3, commi 53, 54, 55, 58, 61 e 65, della suddetta legge n. 350 del 2003.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2004.