SENTENZA N.
298
(per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
composta dai signori:
- Carlo MEZZANOTTE Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della
deliberazione della Camera dei deputati del 7 marzo 2000 relativa alla
insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle
opinioni espresse dagli onorevoli Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo nei
confronti del dott. Gian Carlo Caselli, promosso con ricorso del Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, notificato il 30 novembre 2000,
depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2000 ed iscritto al n. 57 del registro
conflitti 2000.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 2004 il Giudice relatore
Francesco Amirante;
udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1.― Con
ricorso del 2 giugno 2000 (depositato presso la cancelleria di questa Corte il
successivo 12 luglio) il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma
ha sollevato conflitto di attribuzione avverso la delibera della Camera dei
deputati – adottata dall’Assemblea in data 7 marzo 2000 con separate votazioni
(doc. IV-quater n. 112) – con la
quale si è stabilito che i fatti per i quali è in corso procedimento penale per
il reato di diffamazione a carico dei deputati Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo
concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle
sue funzioni, ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione.
Premette in punto
di fatto il ricorrente che, a seguito di atto di querela presentato il 17
luglio 1998 dal dott. Gian Carlo Caselli, all’epoca Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Palermo, ha avuto inizio un procedimento
penale a carico dei deputati Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo (oltre che del
senatore Centaro) per il delitto di cui sopra.
In particolare,
l’onorevole Mancuso è accusato di diffamazione in conseguenza di una serie di
dichiarazioni rese nel corso della conferenza stampa del 9 luglio 1998, indetta
dal partito politico “Forza Italia”, del seguente tenore: «Con un sistematico
autore di insulti al Parlamento e a Forza Italia, come Gian Carlo Caselli, noi
non sediamo nemmeno in un convegno scientifico…; autore di insulti al
Parlamento è un soggetto politico a tutti gli effetti che però con la tecnica
del manifesto non vuole essere oggetto di critica» (così riportato dall’agenzia
ADNKRONOS); «Quel personaggio che fino a ieri ha rivolto insulti al Parlamento,
si comporta come soggetto politico a
tutti gli effetti, illegittimo perché il suo ruolo pubblico non è politico,
questo personaggio è Gian Carlo Caselli» (così riportato dall’agenzia AGI);
«Accanto a personaggi di questo tipo, che sfruttano il potere di cattura che
hanno e ai quali non si può replicare senza rischiare il reato di oltraggio …
io non posso neanche sedere accanto» (così riportato dall’agenzia ANSA).
Quanto
all’onorevole Maiolo, invece, l’ipotesi di diffamazione prospettata dall’accusa
si collega a dichiarazioni rese, nel medesimo contesto ed in pari data, del
seguente tenore: «Il convegno sarebbe stato un’ottima occasione per continuare
una sacrosanta battaglia politica contro l’uso politico delle istituzioni
giudiziarie che fa il Procuratore Caselli» e inoltre «Esiste un’associazione a
delinquere di tipo istituzionale pericolosa quanto Cosa Nostra».
Nel riportare
ampi stralci della motivazione con la quale la Giunta per le autorizzazioni a
procedere ha proposto all’Assemblea della Camera dei deputati di ritenere
siffatte dichiarazioni coperte dalla prerogativa di cui all’art. 68 Cost., il
giudice ricorrente ricorda che la vicenda trae origine da una manifestazione
promossa dalla Commissione parlamentare antimafia a Palermo, alla quale
l’onorevole Mancuso avrebbe dovuto partecipare in qualità di vicepresidente
della Commissione medesima. Tuttavia quest’ultimo aveva manifestato il proprio
dissenso rispetto alla predetta manifestazione, comunicando che non vi avrebbe
preso parte in segno di protesta verso una serie di comportamenti del dott.
Caselli; tale decisione era stata condivisa dal gruppo parlamentare di “Forza
Italia” che aveva indetto la conferenza stampa nel corso della quale erano
state pronunciate le frasi sopra riportate. L’onorevole Maiolo, da parte sua,
aveva invece scritto una lettera al presidente del gruppo parlamentare,
affermando di non condividere la scelta di non partecipare al predetto convegno
e diffondendo il contenuto della lettera nella sala stampa di Montecitorio.
Sulla base di
queste premesse il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma
sostiene che nel caso specifico la Camera dei deputati ha erroneamente ritenuto
esistente la prerogativa dell’insindacabilità, alla luce della più recente
giurisprudenza costituzionale ed ordinaria. Richiamate, al riguardo, le sentenze n. 329 del
1999, n. 10,
n. 11 e n. 56 del 2000 di
questa Corte, nonché alcune sentenze emesse dalla Corte di cassazione, il
ricorrente osserva che per aversi insindacabilità occorre una connessione tra
le opinioni espresse dal parlamentare e l’esercizio delle relative funzioni,
rimanendone quindi escluse tutte le attività estranee, come l’attività
extraparlamentare esplicata all’interno dei partiti. In altre parole, ciò che
il parlamentare dice ed esprime fuori del Parlamento non rientra di per sé
nell’ambito dell’art. 68 Cost., essendo piuttosto manifestazione della libertà
di pensiero riconosciuta a tutti i cittadini. Proprio le sentenze
costituzionali appena citate hanno chiarito, infatti, che, in caso di
dichiarazioni rese all’esterno tramite i mezzi di comunicazione o in occasione
di dibattiti pubblici, il parlamentare gode della prerogativa
dell’insindacabilità non quando vi sia una generica comunanza di argomento tra
le dichiarazioni rese pubblicamente e le opinioni espresse in Parlamento, bensì
solo quando le prime siano «sostanzialmente riproduttive» delle seconde.
Ciò posto, il
ricorrente, trattandosi nel caso in esame di affermazioni divulgate non in
ambito parlamentare, passa in rassegna gli atti di funzione addotti a propria
difesa dagli imputati, ritenendo che nessuno di questi possa supportare
adeguatamente la dichiarazione di insindacabilità, poiché le esternazioni
oggetto del capo di imputazione non risultano, a suo parere, sostanzialmente
riproduttive delle opinioni espresse in sede parlamentare.
Il ricorrente,
quindi, afferma che la delibera presa dalla Camera dei deputati è da ritenere
arbitraria, poiché i rilievi compiuti dalla Giunta (e poi recepiti
nell’impugnata delibera), secondo cui le frasi proferite costituivano un
giudizio ed una critica di natura politica, attengono piuttosto ad un diritto
spettante a tutti i cittadini (quello di critica, appunto), che nulla ha a che
vedere con l’art. 68 della Costituzione.
Egli chiede,
pertanto, che la Corte dichiari che non spetta alla Camera dei deputati
affermare che i fatti per i quali è in corso il procedimento penale a carico
dei deputati Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo concernono opinioni espresse da
un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art.
68 Cost., con conseguente annullamento della delibera del 7 marzo 2000.
2.― Il
conflitto così proposto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 492 depositata
il 14 novembre 2000. Il ricorrente ha provveduto quindi a notificare il ricorso
il successivo 30 novembre ed a depositarlo nella cancelleria di questa Corte in
data 6 dicembre 2000.
3.― Si è
costituita in giudizio la Camera dei deputati, con apposito atto difensivo, sostenendo
in rito l’irricevibilità del ricorso e nel merito l’infondatezza del medesimo,
con conseguente riconoscimento della spettanza alla Camera del potere di
dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse dai deputati Mancuso e
Maiolo.
3.1― Quanto
all’irricevibilità, essa deriverebbe, secondo la Camera, dal fatto che l’atto
introduttivo del conflitto, benché intestato come “ricorso”, assume in realtà
la forma dell’ordinanza, il che pone l’autorità giudiziaria in una situazione
di indebito vantaggio rispetto agli altri poteri dello Stato. In tal modo,
infatti, il ricorrente si è esentato dal rispetto dell’art. 6 delle norme
integrative per i giudizi davanti a questa Corte, applicabile anche ai
conflitti di attribuzione in base al richiamo del successivo art. 26, secondo
cui devono essere presentate nella cancelleria tante copie quanti sono i
componenti della Corte.
3.2― Nel
merito, l’assunto fondamentale della difesa della Camera è che la delibera di
insindacabilità si giustifica pienamente in riferimento alla battaglia politica
costantemente compiuta in quel periodo dai due deputati nei confronti di una
parte della magistratura – impersonata fra gli altri dal dott. Caselli –
ritenuta responsabile dello svolgimento di una vera e propria attività politica
tramite lo strumento giudiziario.
In riferimento
alle singole posizioni, la Camera distingue quella dell’onorevole Mancuso da
quella dell’onorevole Maiolo, richiamando diversi atti di funzione per l’uno e
per l’altra parlamentare, dai quali discenderebbe, comunque, la correttezza
rispetto ad entrambi della delibera di insindacabilità di cui all’art. 68 della
Costituzione.
Quanto
all’onorevole Mancuso, la Camera richiama l’interpellanza n. 2/00252 del 21
ottobre 1996, l’interrogazione n. 2/00950 presentata dallo stesso nella seduta
dell’11 marzo 1998, la replica al Ministro della giustizia nella seduta del 15
aprile 1998, la dichiarazione di voto del successivo 10 giugno 1998 e la
dichiarazione di voto del 9 luglio 1998. Anche dopo l’esternazione delle dichiarazioni
oggetto del conflitto l’onorevole Mancuso avrebbe compiuto altri atti di
funzione che dimostrano una volta di più il suo atteggiamento fortemente
critico verso il dott. Caselli ed il suo ufficio, fra i quali la difesa della
Camera ricorda l’interrogazione n. 3/04305 del 12 gennaio 1999 e quella n.
3/04680 del 23 novembre 1999. La Camera è del parere che ai fini
dell’insindacabilità debba essere valutata anche la missiva inoltrata
all’onorevole Del Turco, Presidente della Commissione parlamentare antimafia,
nella quale venivano illustrate le ragioni della mancata partecipazione al
convegno palermitano dal quale trae origine l’intera vicenda, anche se siffatte
ragioni sono espresse con parole in parte diverse da quelle contenute nelle
dichiarazioni oggetto di conflitto.
3.3― Così
riepilogati gli atti dai quali discenderebbe la fondatezza della delibera di
insindacabilità, la Camera dei deputati osserva che c’è corrispondenza quasi
integrale fra le dichiarazioni rese dall’onorevole Mancuso e quelle contenute
nei richiamati atti parlamentari, il che dovrebbe dimostrare la correttezza
della delibera oggetto del presente conflitto.
A sostegno
ulteriore della propria tesi, la Camera si sofferma sulla più recente
giurisprudenza costituzionale relativa all’art. 68 Cost., richiamando le sentenze n. 417 del
1999 e nn.
10, 11, 320 e 321 del 2000.
Le sentenze del 2000, innovando rispetto all’orientamento precedente, hanno ridisegnato
l’ambito di operatività della prerogativa in questione, precisando che
l’insindacabilità può scattare solo quando sussiste una corrispondenza
sostanziale tra l’opinione manifestata all’esterno e le dichiarazioni rese in
ambito parlamentare. Ne consegue che tra le dichiarazioni rese extra moenia soltanto quelle connesse
alla politica parlamentare debbono godere di detta prerogativa, poiché la
libertà di azione (e, quindi, di opinione) politica spetta a tutti i cittadini
e non sono ammissibili diversità di trattamento. D’altra parte l’attività
parlamentare, come la Corte ha riconosciuto nelle due sentenze in ultimo
citate, è per sua stessa natura destinata a proiettarsi all’esterno del
Parlamento, non potendo esaurirsi nel compimento dei soli atti tipici, perché
il collegamento tra rappresentante e rappresentato è garanzia di buon
funzionamento del sistema democratico. In questo quadro la verifica che la
Corte è chiamata a compiere non può risolversi in un controllo minuto e
puntiglioso della corrispondenza esatta tra dichiarazioni esterne ed attività
parlamentare, dovendo piuttosto indirizzarsi a verificare l’esistenza di una
«corrispondenza sostanziale», in ossequio alle regole della vita democratica
che trova nel Parlamento il centro rappresentativo del Paese.
3.4―
Concluso l’esame della posizione dell’onorevole Mancuso, la Camera dei deputati
passa a verificare quella dell’onorevole Maiolo, evidenziando l’esistenza di
numerosi atti di funzione dai quali discenderebbe la correttezza della delibera
di insindacabilità oggetto del conflitto.
A tale proposito
viene richiamata innanzitutto la già menzionata interpellanza del 21 ottobre
1996, sottoscritta assieme all’onorevole Mancuso, cui si affiancano numerose
interrogazioni, rispettivamente in data 30 settembre 1997 (n. 3/01517), 22
ottobre 1997 (n. 4/13282), 9 dicembre 1997 (n. 3/01776), 10 dicembre 1997 (n.
3/01783, n. 3/01779 e n. 3/01784). A tali atti se ne accompagnano altri
successivi alle dichiarazioni oggetto del conflitto, fra i quali la difesa della
Camera indica l’interpellanza n. 2/01335 del 30 luglio 1998.
In ordine al
legittimo uso della prerogativa dell’insindacabilità, la Camera non si limita a
ribadire, per l’onorevole Maiolo, quanto già osservato a proposito
dell’onorevole Mancuso, ma aggiunge un ulteriore elemento a suo dire decisivo,
e cioè il fatto che le dichiarazioni in contestazione sono state rese
all’interno della sala stampa di Montecitorio; in particolare, infatti, era
stato reso pubblico il contenuto della lettera inviata al presidente del suo
gruppo parlamentare. Si osserva, al riguardo, che la giurisprudenza
costituzionale relativa all’art. 68 Cost. si deve ritenere applicabile alle
sole dichiarazioni extra moenia,
mentre non c’è dubbio che tutto ciò che avviene «all’interno del recinto
parlamentare» deve necessariamente rientrare sotto l’ombrello protettivo
dell’insindacabilità; diversamente opinando l’autonomia costituzionale del
Parlamento verrebbe ad essere gravemente colpita. Nessun rilievo può assumere,
d’altra parte, il fatto che la missiva fosse diretta al presidente di un gruppo
parlamentare, perché la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni
ribadito la fondamentale importanza di tali gruppi come manifestazione
istituzionale del pluralismo politico (sentenze n. 1130
del 1988 e n.
49 del 1998).
3.5 ― In
prossimità dell’udienza la difesa della Camera dei deputati ha presentato
un’ulteriore memoria, insistendo per l’accoglimento delle già rassegnate
conclusioni. A suo parere, infatti, la pretesa avanzata dall’autorità
giudiziaria ricorrente è assolutamente priva di fondamento, poiché le
dichiarazioni rese dai due deputati rientrano senza dubbio nella prerogativa
dell’insindacabilità.
Dopo aver
ricordato che l’attività parlamentare, secondo quanto affermato in più
occasioni da questa Corte, è per sua natura destinata a proiettarsi
all’esterno, la Camera fa presente che le dichiarazioni oggetto del processo
penale in corso si collegano a tipiche forme di esternazione dell’attività
parlamentare, ossia la conferenza stampa ed il comunicato stampa.
Ciò posto, la
Camera passa nuovamente in rassegna tutti gli atti di funzione già indicati
nella memoria di costituzione, osservando come gli stessi dimostrino senza
possibilità di dubbio quella corrispondenza tra atto tipico ed atto divulgativo
che la giurisprudenza della Corte richiede come condizione per l’applicabilità
della prerogativa dell’insindacabilità. La difesa produce anche ulteriore
documentazione già indicata (ma non allegata) nel primo atto difensivo, e cioè:
la lettera inviata dall’onorevole Mancuso, in data 30 giugno 1998, al
Presidente della Commissione parlamentare antimafia, senatore Ottaviano Del
Turco, contenente le ragioni della propria mancata partecipazione alla
manifestazione di Palermo, la risposta del senatore Del Turco e la lettera,
datata 9 luglio 1998, inviata dall’onorevole Maiolo al Presidente del gruppo
parlamentare di “Forza Italia” onorevole Pisanu (di dissenso rispetto
all’intenzione di non partecipare al convegno di Palermo), il cui contenuto è
stato divulgato nella sala stampa di Montecitorio ed è alla base dell’accusa di
diffamazione.
Proprio in
relazione a quest’ultima lettera, la Camera nota che l’onorevole Maiolo non ha
reso alcuna dichiarazione alla stampa, essendo stato soltanto emesso un
comunicato in pari data nel quale si dava notizia del dissenso del parlamentare
rispetto alla decisione presa dal gruppo di “Forza Italia”, divulgando il
contenuto della lettera medesima.
Da tanto
conseguirebbe l’infondatezza del ricorso e la correttezza della delibera
oggetto del conflitto.
Considerato in diritto
1.― Il
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha sollevato conflitto
di attribuzioni tra poteri dello Stato, in relazione alla deliberazione
adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 7 marzo 2000 (doc IV-quater n. 112), con la quale l’Assemblea
ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere di
dichiarare che i fatti per i quali pende procedimento penale nei confronti dei
deputati Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo davanti al medesimo Giudice,
concernono opinioni espresse dai suddetti quali membri del Parlamento nell’esercizio
delle loro funzioni e ricadono pertanto nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo
comma, della Costituzione.
Il GUP ricorrente
ha premesso, in fatto, che nei confronti dei suindicati deputati era stata
formulata richiesta di rinvio a giudizio quali imputati del delitto di
diffamazione a mezzo stampa per aver offeso la reputazione del dottor Gian
Carlo Caselli, all’epoca Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Palermo. In particolare, il rinvio a giudizio del deputato Filippo Mancuso era
stato richiesto per avere – nel corso della conferenza stampa indetta da “Forza
Italia” e tenutasi a Roma il 9 luglio
Nei confronti del
deputato Maiolo il medesimo reato era stato ipotizzato per avere, con un
comunicato stampa letto nella citata conferenza stampa, offeso la reputazione
del dottor Gian Carlo Caselli con la dichiarazione, diffusa dall’ANSA, del
seguente tenore: «Il convegno sarebbe stata un’ottima occasione per continuare
una sacrosanta battaglia politica contro l’uso politico delle istituzioni
giudiziarie che fa il Procuratore Caselli… Esiste un’associazione a delinquere
di tipo istituzionale, pericolosa quanto Cosa Nostra».
Secondo il
giudice ricorrente sia per le dichiarazioni rese dal deputato Mancuso, sia per
quelle del deputato Maiolo, esisteva soltanto una generica connessione politica
di temi con l’attività da loro precedentemente svolta, ed in particolare con
gli atti con i quali la Giunta per le autorizzazioni a procedere aveva motivato
la proposta di deliberazione all’Assemblea, ma non una specifica relazione con
atti della funzione parlamentare, relazione da escludere anche con riguardo
alle lettere inviate dall’on. Mancuso al Presidente della Commissione antimafia
e dall’on. Maiolo al deputato Pisanu, all’epoca capogruppo di “Forza Italia”,
per comunicare loro le ragioni della mancata partecipazione al convegno che si
sarebbe svolto a Palermo.
2.–– In via
preliminare si rileva l’infondatezza dell’eccezione di irricevibilità sollevata
dalla difesa della Camera.
È, infatti,
principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che non ha
rilievo, riguardo ai conflitti proposti da autorità giudiziarie, il fatto che
l’atto introduttivo abbia anziché la forma del ricorso quella dell’ordinanza,
qualora quest’ultima abbia i requisiti di sostanza del ricorso. Nel caso in
esame, come del resto non è contestato dalla difesa della Camera, il remittente
ha enunciato chiaramente le ragioni del conflitto, ha lamentato la violazione
dell’art. 68, primo comma, Cost. e la menomazione delle proprie attribuzioni
(v., ex plurimis, le sentenze n. 10
e n. 11 del 2000,
n. 421 del 2002).
3.–– Nel merito
il conflitto non è fondato.
Questa Corte ha
ripetutamente affermato e di recente ribadito, dopo l’entrata in vigore della
legge 20 giugno 2003, n. 140, da un lato, che non ogni opinione espressa da un
parlamentare rientra nella previsione dell’art. 68, primo comma, Cost., perché
altrimenti l’immunità si risolverebbe in un privilegio personale confliggente
in modo irrimediabile con principi costituzionali fondamentali e diritti di
altri soggetti; dall’altro, che non soltanto «rientrano nella sfera
dell’insindacabilità tutte le opinioni manifestate con atti tipici nell’ambito
dei lavori parlamentari», ma pure che le attività non tipizzate «si debbono
considerare “coperte” dalla garanzia di cui all’art. 68, nei casi in cui si
esplicano mediante strumenti, atti e procedure, anche “innominati”, ma comunque
rientranti nel campo di applicazione del diritto parlamentare, che il membro
del Parlamento è in grado di porre in essere e di utilizzare proprio solo e in
quanto riveste tale carica» (v. sentenza n. 120 del
2004, ma anche sentenze n. 56 del
2000, n. 509
del 2002 e n.
219 del 2003).
Ciò che conta è
pur sempre l’esistenza del nesso funzionale tra opinione espressa ed attività non
genericamente politica bensì parlamentare, anche se le caratteristiche di
quest’ultima e di conseguenza quelle dello stesso nesso funzionale non possono
essere rigorosamente definite in astratto «in ragione dell’inscindibile legame
tra conflitto e singola fattispecie» (v. la citata sentenza n. 120 del
2004).
Nell’ambito di
tale orientamento giurisprudenziale si è altresì affermato che non è decisiva
la localizzazione dell’attività in questione all’interno o all’esterno dei
palazzi del Parlamento e che, per quanto concerne la divulgazione delle
opinioni espresse da parlamentari, quel che rileva è la sostanziale identità di
contenuti fra l’opinione come espressa in un atto tipico inteso nei sensi
suindicati, e quindi caratterizzata dal nesso funzionale, ed il messaggio che
siffatta opinione divulga.
4.–– Ciò
premesso, si osserva che la mancata partecipazione dei componenti il gruppo di
“Forza Italia” al convegno di Palermo sul riciclaggio riguardò non soltanto i
deputati, ma anche i senatori e che il loro rappresentante in seno alla
Commissione parlamentare, senatore Roberto Centaro, per giustificare
l’astensione inviò una lettera al Presidente della Commissione antimafia, di
contenuto non dissimile dalle opinioni espresse dai deputati Mancuso e Maiolo,
lettera poi divulgata nel corso della stessa conferenza stampa in cui furono
rese pubbliche le opinioni di questi ultimi; tanto che davanti allo stesso
Tribunale di Roma pendeva analogo procedimento penale quando il Senato della
Repubblica, con deliberazione del 27 gennaio 2000, dichiarò che le opinioni
espresse dal senatore Centaro dovevano considerarsi coperte dalla immunità di
cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione. Il conflitto di attribuzioni
promosso dall’attuale ricorrente fu risolto in senso favorevole al Senato della
Repubblica con la sentenza
n. 219 del 2003.
Con tale
pronuncia questa Corte, facendo applicazione dei principi sopra enunciati, ha
ritenuto che le Commissioni parlamentari d’inchiesta, quale la Commissione
antimafia, siano anch’esse articolazioni del Parlamento, sicché parlamentari
sono le attività che si svolgono nel loro seno o con riguardo al loro
funzionamento. Da tanto la Corte ha dedotto che la lettera inviata dal senatore
suddetto al Presidente della Commissione per esprimere le ragioni politiche che
avevano motivato la scelta di “Forza Italia” di astenersi dalla partecipazione
al convegno sul riciclaggio era esercizio di funzioni parlamentari, ancorché
espresse in un atto (la lettera) in senso stretto non tipico dell’attività
parlamentare. La Corte ha concluso che ad essere divulgate erano opinioni
espresse da un parlamentare in un atto legato dal nesso funzionale con
l’attività parlamentare, ed in quanto tale rientrante nella sfera di immunità
di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.
I principi
suindicati conducono alla stessa valutazione per quanto concerne la condotta
del deputato Mancuso. Questi, infatti, durante la conferenza stampa ha espresso
propositi ed opinioni nella sostanza non diversi da quelli già comunicati al
Presidente della Commissione antimafia e la cui essenza era costituita dal
rifiuto di partecipare ad una manifestazione insieme con un magistrato che a
suo dire distorceva a finalità politiche la funzione connessa all’incarico di
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.
Alla medesima
conclusione si perviene riguardo al comportamento addebitato al deputato
Maiolo, della quale fu divulgata la lettera inviata al capo del gruppo di
appartenenza. Comunque, infatti, si vogliano definire i gruppi parlamentari,
non si può dubitare che essi costituiscano uno dei modi, se non il principale,
di organizzazione delle forze politiche in seno al Parlamento, sicché questa
Corte li ha indicati come il riflesso istituzionale del pluralismo politico (sentenza n. 49 del
1998).
Ne consegue che
la lettera indirizzata al capo del gruppo parlamentare di “Forza Italia”, con
lo scopo di rendere nota al destinatario l’opinione dell’autrice sul
comportamento da tenere nella Commissione antimafia in occasione del convegno
di Palermo, costituisce esplicazione di attività parlamentare nel senso che qui
rileva e rientra pertanto nella previsione dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione.
Si deve quindi
dichiarare che spetta alla Camera affermare che le dichiarazioni rese dai
deputati Mancuso e Maiolo, per le quali pende procedimento penale davanti al
GUP del Tribunale di Roma, concernono opinioni espresse da membri del
Parlamento nell’esercizio delle loro funzioni.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spetta alla Camera dei deputati affermare che le
dichiarazioni rese dai deputati Filippo Mancuso e Tiziana Maiolo, oggetto del
procedimento penale pendente davanti al Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Roma, concernono opinioni espresse da membri del Parlamento
nell’esercizio delle loro funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2004.
Carlo MEZZANOTTE, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29
settembre 2004.