Sentenza n. 56/2000

SENTENZA N. 56

ANNO 2000

 

Commento alla decisione di

Pasquale Costanzo

La “giurisprudenza Sgarbi” alla ricerca di un punto fermo

(nella Rubrica Studi e Commenti della Sezione Studi 2002-2000 di questa Rivista)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

- Dott. Franco BILE    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 22 ottobre 1997, relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dottor Luigi Esposito, promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno, notificato il 14 gennaio 1999, depositato in cancelleria il 2 febbraio 1999 e iscritto al n. 6 del registro conflitti 1999.

  Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

  udito nell’udienza pubblica del 9 novembre 1999 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

  udito l’avvocato Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati

Ritenuto in fatto

  1. — Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato a seguito della delibera con cui la Camera dei deputati, nella seduta del 22 ottobre 1997, aveva affermato la sussistenza della insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, per affermazioni rese dal deputato Vittorio Sgarbi, dopo che erano decaduti, per mancata conversione, i decreti-legge emanati per dare attuazione al nuovo testo dell’art. 68 della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3.

  Il Procuratore della Repubblica di Salerno, con richiesta depositata presso il Giudice per le indagini preliminari il 26 luglio 1997, aveva chiesto il rinvio a giudizio del deputato Sgarbi per il delitto previsto e punito dagli artt. 595 del codice penale, 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223, poichè nel corso della trasmissione televisiva "Sgarbi quotidiani" del 24 gennaio 1995, in onda sull’emittente Canale 5, il parlamentare avrebbe offeso la reputazione del sostituto procuratore della Repubblica Luigi Esposito, affermando che "c’é una guerra contro le vittime, contro le persone, che viene combattuta con l’arma impropria della Magistratura, con l’indifferenza di un magistrato, di un giudice, alla vita di un uomo... questi magistrati tengono la gente in carcere come cani e non vanno a vedere in che condizioni sono". Collegatosi telefonicamente con la moglie di un detenuto, rinviato a giudizio per il reato di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, il deputato Sgarbi asseriva che "Esposito é il magistrato che ha impedito ad un prete di andare in carcere a visitare il dottor Gamberale"; egli formulava quindi una serie di domande ("Ma suo marito sta male? Ma suo marito é un uomo? Non ha risposto alle sue lettere Esposito? Ma non é andato in carcere a trovare suo marito? Ma suo marito é un uomo? Esposito é un uomo? E’ andato in carcere a parlare con suo marito? Ha visto in che condizioni é?") tutte chiaramente finalizzate, prosegue il GIP, a sottolineare un presunto comportamento omissivo del magistrato. Il deputato Sgarbi concludeva rilevando che "Esposito non deve continuare a non mandare preti in carcere... e non può continuare a tenere in carcere chi é malato. Questa é una questione che riguarda gli uomini, che riguarda la dignità dell’uomo".

  Successivamente, nel corso dell’udienza preliminare del 22 aprile 1998, la difesa parlamentare ha fatto presente che il 22 ottobre 1997 la Camera dei deputati, su conforme proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha ritenuto sussistente la prerogativa dell’insindacabilità introdotta dall’art. 68, primo comma, della Costituzione; di qui la richiesta, ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale, della declaratoria di improcedibilità dell’azione penale.

  2. — Nell’ordinanza con cui promuove il conflitto, il Giudice per le indagini preliminari sottolinea, in primo luogo, che la fattispecie al suo esame ha carattere peculiare, dal momento che la deliberazione della Camera dei deputati é intervenuta dopo la decadenza del decreto-legge n. 555 del 1996, volto ad attuare la nuova disciplina dell’immunità parlamentare quale risulta dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3; per cui si deve allora accertare, ad avviso del ricorrente, se persista il potere parlamentare di valutazione della condotta al fine di stabilire se essa rientri nell’ambito protetto dalla prerogativa costituzionale, con inibizione di difforme pronuncia giurisdizionale.

  Il Giudice per le indagini preliminari richiama la giurisprudenza di questa Corte sul controllo delle deliberazioni parlamentari affermative della insindacabilità, che possono essere censurate per vizi in procedendo o quando manchino i presupposti richiesti dalla Costituzione, fra i quali deve ritenersi essenziale il collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare, o nel caso di arbitraria valutazione di detti presupposti.

  Per quanto attiene ai vizi in procedendo, il ricorrente afferma che la Camera dei deputati ha deliberato secondo una procedura disciplinata da un decreto-legge decaduto. Egli denuncia, altresì, la carenza (o arbitraria valutazione) dei presupposti per l’applicazione della prerogativa, ricordando a tal riguardo l’orientamento della Corte di cassazione secondo cui non rientrano nell’ambito coperto dalla prerogativa le manifestazioni del pensiero che, espresse in comizi, cortei, trasmissioni radiotelevisive o durante lo svolgimento di scioperi, non abbiano alcun collegamento funzionale con l’attività parlamentare se non quello meramente soggettivo, in quanto poste in essere da persona fisica che é anche membro del Parlamento (Corte di cassazione, V sezione penale, 16 dicembre 1997, n. 11667).

  3. — Il conflitto é stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 469 del 1998.

  4. — Si é costituita la Camera dei deputati, ritenendo che il conflitto debba essere rigettato.

  Attraverso la rappresentanza parlamentare - osserva la Camera - la collettività controlla il buon funzionamento dei singoli apparati pubblici, ed é la legge che regola ogni potestà dello Stato. E infatti la denuncia compiuta dal deputato Sgarbi, e l’addebito rivolto al magistrato di non occuparsi delle condizioni di vita in carcere, attengono entrambi all’esercizio della funzione giudiziaria, all’esecuzione delle pene, alle condizioni di coloro i quali si trovano nello stato di custodia cautelare. Nè vale qui l’esigenza di salvaguardare la personalità di chi é investito dell’ufficio pubblico, perchè risulta prevalente - prosegue la memoria - l’interesse generale al corretto esercizio della funzione.

  Dopo aver ricordato il contenuto degli articoli 5, 18 e 21 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sottoscritta infine dall’Italia con numerosissimi altri Stati, la Camera richiama la recente giurisprudenza costituzionale, in particolare le sentenze nn. 129 e 379 del 1996, nn. 375 del 1997 e 289 del 1998, rilevando come l’attività parlamentare non si risolva - per riconoscimento della stessa Corte - negli "atti tipici", anche se non ricomprende l’intera azione politica svolta da deputati e senatori. Applicando tali principi al presente conflitto, si dovrebbe concludere che il comportamento del deputato Sgarbi, mosso da una fondamentale istanza di salvaguardia della persona umana, rientra nell’esercizio del mandato politico e segnatamente nel "diritto di critica": la quale, per poter avere una qualche efficacia, ben poteva essere formulata rivolgendosi direttamente all’opinione pubblica.

  L’Assemblea della Camera, accogliendo la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha quindi ritenuto che il proprio componente sia rimasto nei limiti del mandato parlamentare, esprimendo un’istanza - conclude la memoria - che é riferibile all’intera comunità civile.

  Nell’imminenza dell’udienza, la Camera dei deputati ha presentato memoria, sottolineando come le affermazioni del deputato Sgarbi denuncino una disfunzione giudiziaria e rientrino nel diritto-dovere del parlamentare di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle inefficienze degli apparati pubblici; e a tal riguardo richiama il disposto dell’art. 67 della Costituzione e le valenze del mandato rappresentativo, che é rappresentanza di interessi, nel senso più lato del termine, e non si esercita soltanto attraverso la partecipazione all’iter formativo della volontà dello Stato, ma si estende fin dove detti interessi lo richiedano.

Considerato in diritto

  1. — Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati che, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, aveva affermato, il 22 ottobre 1997, l’insindacabilità di opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nel corso di una trasmissione televisiva, oggetto di procedimento penale pendente innanzi ad esso.

  Nell’ordinanza con la quale promuove il conflitto, il Giudice sostiene che la delibera parlamentare sarebbe affetta da un vizio in procedendo, giacchè la Camera dei deputati ha seguito una procedura disciplinata da un decreto-legge, il n. 555 del 1996, decaduto per mancata conversione; tale deliberazione sarebbe comunque priva del presupposto giustificativo, e cioé del necessario collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare (a quest’ultimo riguardo egli richiama una pronuncia della Corte di cassazione, V sezione penale, 16 dicembre 1997, n. 11667).

  Costituitasi in giudizio, la Camera ha replicato che la delibera d’insindacabilità é legittima, dal momento che le opinioni manifestate dal parlamentare rientrano nella funzione di controllo del buon funzionamento degli apparati pubblici e vanno ricondotte al mandato politico garantito dall’art. 68, primo comma, della Costituzione.

  2. — Deve essere innanzitutto dichiarata l’ammissibilità del conflitto, benchè promosso con ordinanza e non con ricorso. E’ ben vero che nel conflitto di attribuzione fra poteri il giudice, quale titolare della funzione giurisdizionale, si fa promotore del giudizio, come parte ricorrente, per tutelare il proprio ambito di attribuzioni. L’atto introduttivo é dunque atto del giudizio costituzionale, ne assume i contenuti e le forme, e segue le sue regole procedurali. Ma da ciò non deriva l’irricevibilità del presente conflitto perchè promosso con ordinanza. Sussistono infatti, nella specie, i requisiti sostanziali di un valido ricorso, come definiti dall’art. 37 della legge n. 87 del 1953 e dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, essendo indicati con sufficiente chiarezza i motivi del ricorso, l’atto da cui si afferma discendere la lesione delle attribuzioni e il vizio che - ad avviso del Giudice - inficierebbe la delibera di insindacabilità. L’atto é pervenuto alla cancelleria di questa Corte in forma che é assimilabile al deposito di cui al citato art. 26 ed é stato, dopo l’ordinanza di ammissibilità, regolarmente notificato e depositato.

  Si deve quindi passare al merito.

  3. —    Questa Corte é chiamata ad accertare se le dichiarazioni rese dal deputato Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva del 24 gennaio 1995, in precedenza citata, possano essere legittimamente ricomprese nelle funzioni parlamentari, e se l’affermazione della prerogativa da parte delle Camere rispetti il nesso funzionale tra la dichiarazione e l’attività parlamentare richiesto dall’art. 68, primo comma. Spetta invece al giudice ordinario il compito di verificare se tali esternazioni integrino gli estremi del reato ascritto al deputato, o siano manifestazione del diritto di critica politica anche nei confronti di atti e comportamenti dei titolari degli organi giudiziari.

  E’ pacifico che costituiscono opinioni formulate nell’esercizio della funzione quelle espresse nel corso dei lavori della Camera e dei suoi organi, in occasione dell’espletamento di una qualsiasi funzione di cui la Camera é titolare, o manifestate in atti, anche individuali, che siano estrinsecazione delle facoltà proprie di deputati e senatori. Nel normale svolgimento della vita democratica, le opinioni che il parlamentare espone al di fuori dell’ ambito funzionale rappresentano esercizio della libertà di espressione comune a tutti i consociati, alle quali non può quindi estendersi (senza snaturarla) la prerogativa introdotta dall’art. 68, primo comma, della Costituzione.

  Non é infatti compatibile con l’impianto della nostra Carta costituzionale un’accezione della funzione parlamentare che ricomprenda l’attività politica svolta in qualsiasi sede e nella quale sia irrilevante la qualità di membro delle Camere. In proposito va considerato che le funzioni conferite agli organi costituzionali non designano generiche finalità, ma poteri giuridicamente definiti; e questo vale altresì per la funzione parlamentare, che ha natura generale. Ciò che la differenzia da altre funzioni costituzionalmente tutelate, ma a carattere specializzato (v. sentenze nn. 10 e 11 del 2000 e, nella giurisprudenza risalente, le sentenze nn. 375 del 1997 e 148 del 1983).

  Occorre dunque che la prerogativa trovi una sua delimitazione funzionale: senza di essa, la prassi attuativa trasformerebbe l’istituto in una sorta di privilegio personale, conferendo a deputati e senatori uno statuto personale di favore circa l’ambito e i limiti della libertà di manifestazione del pensiero. Con evidente distorsione del principio di eguaglianza e di pari opportunità fra i cittadini nella dialettica politica.

  4. — La semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di comunicazione o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede parlamentare non basta a estendere alla prima l’insindacabilità che copre le seconde. Nè si può invocare a tal fine l’esistenza di un "contesto" politico in cui la dichiarazione si inserisca, giacchè siffatto tipo di collegamenti non vale, di per sè, a conferire il carattere di attività parlamentare a manifestazioni di pensiero oggettivamente estranee ad essa.

   Deve esservi, dunque, un preciso nesso funzionale fra la dichiarazione e l’attività parlamentare: nesso che può legittimamente essere affermato dalle Camere anche quando le dichiarazioni siano sostanzialmente riproduttive dell’opinione sostenuta in sede parlamentare. La prerogativa costituzionale rileva, infatti, non soltanto per l’occasione specifica in cui l’opinione é espressa in ambito parlamentare, ma riguarda il contenuto storico di essa, pure quando ne sia realizzata la diffusione pubblica. Perchè la pubblicità accompagna l’attività parlamentare, necessariamente, assicurando il ruolo fondamentale delle Camere nella libera dialettica politica.

  L’insindacabilità si estende, quindi, a tutte le altre sedi, e occasioni, in cui l’opinione sia riprodotta nel suo contenuto sostanziale (v. ancora le sentenze nn. 10 e 11 del 2000).

  5. — Ciò premesso, si può analizzare la delibera di insindacabilità impugnata attraverso il presente conflitto di attribuzione.

  L’esame della relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera (XIII legislatura, doc. IV-ter, n. 38-A, del 12 febbraio 1997) e del successivo dibattito in Assemblea (22 ottobre 1997) dimostra che la delibera é stata adottata sulla base di un generico riferimento alla "azione politica" svolta dal deputato Sgarbi, "dentro e fuori il Parlamento", sui temi attinenti all’amministrazione della giustizia e alla tutela dei soggetti sottoposti a carcerazione preventiva. E qui va osservato che non vi é alcun richiamo di atti tipici di funzione con riguardo alla vicenda oggetto dell’esternazione in esame. Anzi, la relazione riconosce che essa é stata resa extra moenia; e il precedente rilievo sul "carattere divulgativo" é presente nella relazione della Giunta quale mero argomento di stile che non trova alcun conforto nei dati di fatto offerti al vaglio della Giunta e, poi, del plenum (v. il documento IV-ter, n. 38-A e il dibattito in Assemblea, entrambi citati).

  Anche le circostanze in cui ha avuto luogo la dichiarazione dell’onorevole Sgarbi confermano la sua estraneità all’ambito funzionale: si tratta di valutazioni compiute quale "opinionista" nel corso di una trasmissione televisiva, senza alcuna specifica connessione con dibattiti parlamentari, interrogazioni, inchieste, discussioni di progetti di legge; nè si può far richiamo, per sorreggere la delibera d’insindacabilità, ad altri interventi del parlamentare sui temi della giustizia e su diverse vicende individuali. Del resto, non risulta nemmeno che abbia fatto uso della facoltà contemplata dall’art. 67 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario, di visitare gli istituti penitenziari per accertare in concreto le condizioni di detenzione, al fine di esercitare eventualmente, nelle forme appropriate, il sindacato ispettivo che la Costituzione gli riconosce.

  Mancando palesemente il nesso funzionale richiesto dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, la delibera della Camera dei deputati del 22 ottobre 1997 risulta illegittima e deve essere annullata per invasione dell’ambito di attribuzioni costituzionalmente garantito all’autorità giudiziaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara che non spetta alla Camera dei deputati statuire che i fatti per i quali é in corso presso il Tribunale di Salerno il procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi per il delitto previsto e punito dagli artt. 595 del codice penale, 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223, concernono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione; di conseguenza annulla la deliberazione in tal senso adottata dalla Camera dei deputati il 22 ottobre 1997.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2000.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 febbraio 2000.