Sentenza n. 417/99

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SENTENZA N. 417

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv. Massimo VARI 

- Dott. Cesare RUPERTO 

- Dott. Riccardo CHIEPPA 

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY 

- Prof. Valerio ONIDA 

- Prof. Carlo MEZZANOTTE 

- Avv. Fernanda CONTRI 

- Prof. Guido NEPPI MODONA 

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Tribunale di Roma - sez. 10a penale, notificato il 13 luglio 1998, depositato in cancelleria il 17 successivo, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 22 ottobre 1997, con la quale è stata dichiarata l’insindacabilità delle opinioni espresse dall’on. Tiziana Parenti nei confronti del dott. Paolo Ielo, ed iscritto al n. 20 del registro conflitti 1998.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati nonché l’atto di intervento del dott. Paolo Ielo;

udito nell’udienza pubblica del 9 dicembre 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

udito l’avvocato Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

 Il Tribunale di Roma ha proposto ¾ con ordinanza emanata il 23 gennaio 1998 nel corso di un giudizio penale promosso nei confronti dell'on. Tiziana Parenti per il reato di diffamazione a mezzo stampa in danno del dott. Paolo Ielo ¾ ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati chiedendo l’annullamento della deliberazione, adottata dall’Assemblea nella seduta del 22 ottobre 1997, con la quale è stata dichiarata l’insindacabilità di dichiarazioni rese alla stampa dalla stessa parlamentare e per le quali si procedeva penalmente.

Il Tribunale di Roma ritiene che la Camera dei deputati abbia illegittimamente esercitato il proprio potere, valutando arbitrariamente il presupposto del collegamento delle opinioni espresse dall’on. Parenti con la funzione parlamentare; chiede quindi che si dichiari che non spettava alla Camera la valutazione della condotta attribuita alla parlamentare, in quanto estranea alla previsione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

 Le critiche che l’on. Parenti avrebbe rivolto alle motivazioni con le quali il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, dott. Ielo, aveva chiesto l’archiviazione di un procedimento penale, conterrebbero apprezzamenti sulla correttezza, professionalità ed onestà nella conduzione di un specifica inchiesta penale istruita in passato dalla stessa parlamentare. Queste dichiarazioni non sarebbero state rese nell’ambito di un’attività parlamentare tipica, né in una occasione connessa all’attività parlamentare tipica, mentre costituirebbero, invece, critiche mosse nell’ambito di una polemica tra un parlamentare ex magistrato ed un magistrato.

 Ad avviso del Tribunale ricorrente, anche se si seguisse una interpretazione ampia dell’art. 68 della Costituzione, nel caso in esame non si tratterebbe di opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, bensì di affermazioni prive di retroterra, finalità e addentellati parlamentari o politici. La Camera dei deputati, deliberando l’insindacabilità di queste dichiarazioni, avrebbe esercitato illegittimamente il proprio potere ed avrebbe valutato arbitrariamente il presupposto del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare. In tal modo sarebbe stato leso il potere di esercitare le funzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantite, impedendo al Tribunale di Roma di decidere nel merito delle imputazioni mosse all’on. Parenti. Per porre rimedio a tale lesione, il Tribunale ha sollevato conflitto di attribuzione.

 2. ¾ Nel giudizio preliminare di delibazione in camera di consiglio (art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87) il conflitto è stato dichiarato ammissibile (ordinanza n. 254 del 30 giugno 1998).

  Dopo l’avvenuta notifica alla Camera dei deputati, il 13 luglio 1998, ed il deposito in cancelleria, il 17 luglio 1998, il ricorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, del 23 settembre 1998.

 3. ¾ Si è tempestivamente costituita in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo che il ricorso sia rigettato.

La Camera avrebbe esercitato correttamente le sue attribuzioni, agendo nei limiti delle proprie funzioni e senza estendere in alcun modo l’area di insindacabilità prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Dovendosi considerare insindacabili le opinioni espresse non solo all’interno della Camera, ma nell’esercizio delle funzioni parlamentari, solo l’Assemblea di appartenenza potrebbe stabilire, nei singoli casi, se si siano ecceduti i limiti delle funzioni cui il singolo parlamentare è legittimato in forza del mandato ricevuto dagli elettori.

Spetterebbe soltanto alla Camera di appartenenza individuare, in concreto, i limiti nei quali il parlamentare si deve attenere nell'esercizio del suo mandato, e questa valutazione potrebbe essere superata solo in caso di manifesta arbitrarietà.

 In relazione al fatto addebitato all’on. Parenti, la deliberazione adottata dalla Camera non sarebbe implausibile o arbitraria, né vi sarebbe stato eccesso dalle funzioni parlamentari. La relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere avrebbe, difatti, esaminato in modo approfondito i termini nei quali si era espressa l'on. Parenti, rilevando che le sue dichiarazioni rientravano in un contesto politico e nell’esercizio delle funzioni parlamentari: si sarebbe trattato di una critica nei confronti del potere giudiziario, che in quel lasso di tempo aveva dato adito a censure svolte anche in sede parlamentare circa il corretto uso dei poteri di indagine, rivolti spesso verso determinate fazioni o partiti politici e senza intaccare altre aree politiche.

La diffusione degli apprezzamenti espressi attraverso i mezzi di informazione non comporterebbe un eccesso rispetto al corretto esercizio del mandato parlamentare, che, in quanto mandato politico, va svolto anzitutto parlando, anche attraverso gli strumenti di comunicazione sociale, a coloro che l’hanno conferito, cioè agli elettori ed al popolo cui appartiene la sovranità.

La funzione parlamentare di controllo e di indirizzo politico si svolgerebbe anche attraverso le critiche ritenute necessarie per migliorare il funzionamento delle istituzioni. Questa funzione di controllo deve poter essere svolta in piena indipendenza, altrimenti risulterebbe impedita, perché se venisse meno l’immunità il parlamentare sarebbe portato ad astenersi.

L'on. Parenti, con le sue critiche, avrebbe inteso difendere una fondamentale istanza di giustizia ed il suo comportamento rientrerebbe nell’esercizio del mandato politico insindacabile, diretto a riaffermare l'istanza di una giustizia uguale per tutti.

4. ¾ Il dott. Paolo Ielo ha depositato, il 18 novembre 1998, un atto di intervento, chiedendo preliminarmente che esso sia ritenuto ammissibile, nonostante si tratti di un giudizio per conflitto tra poteri dello Stato, in quanto l’intervento è proposto dal soggetto che è parte nel processo pregiudicato dal conflitto.

La parte privata intenderebbe, attraverso l’intervento, difendere un suo bene giuridico fondamentale, la dignità e l’onore lesi da espressioni ritenute diffamatorie, la cui tutela sarebbe irrimediabilmente compressa dalla dichiarazione di insindacabilità. L'intervento adesivo del terzo, che non è parte "costituzionale" ma è parte del processo penale ed ha interesse nella contestazione, dovrebbe essere ammesso in base al regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (art. 37 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642), al quale rinviano le norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale (art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87).

 Nel merito la parte privata sostiene che le dichiarazioni dell'on. Parenti sono estranee alla funzione parlamentare, essendo inserite in una polemica tra un ex magistrato ed un magistrato. Inoltre la deliberazione della Camera dei deputati difetterebbe di motivazione e sarebbe viziata da sviamento del potere di dichiarare l’insindacabilità.

5. ¾ In prossimità dell’udienza, la difesa della Camera dei deputati ha depositato una memoria per sostenere, anzitutto, l'inammissibilità dell’intervento del dott. Ielo, perché il giudizio per conflitto di attribuzione riguarda solamente sfere di potestà costituzionali e non gli interessi di un privato, sia esso pure il querelante o la parte civile nel giudizio pendente dinanzi al tribunale che ha sollevato il conflitto. Né potrebbe trovare applicazione l'art. 37 del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato, che ammette l'intervento di chi ha un interesse nella contestazione, perché nel processo amministrativo le parti e gli intervenienti sono portatori di interessi propri, mentre nei conflitti di attribuzione si discute di sfere di potestà e di funzioni determinate da norme costituzionali. La qualità degli interessi di cui sono portatori i soggetti legittimati ad agire e resistere in giudizio escluderebbe che possano essere presi in considerazione atti di intervento di singoli individui. In ogni caso l’intervento del dott. Ielo sarebbe tardivo, perché depositato dopo la scadenza dei termini previsti dall'art. 37, quinto comma, della legge n. 87 del 1953, che rinvia agli artt. 23, 25 e 26 della stessa legge.

 Nel merito la difesa della Camera dei deputati sostiene che la funzione ispettiva del parlamentare può consistere in una pubblica denuncia, senza che questa debba assumere particolari forme per rientrare nell'area dell'insindacabilità: è sufficiente che rimanga nei limiti del controllo che il rappresentante del popolo può esercitare, specialmente attraverso la pubblica denuncia dei fatti, sull’attività degli altri poteri dello Stato. Se si negasse la legittimità di queste denunce, verrebbe meno uno degli aspetti più significativi del mandato politico, che esprime rappresentanti interposti tra la comunità e gli apparati, con una funzione di cerniera, tale da assicurare la continuità del collegamento, indispensabile per dare reali contenuti alle istituzioni democratiche.

 Se il parlamentare non potesse denunciare all’opinione pubblica che l’iniziativa per l’azione penale di un determinato ufficio del pubblico ministero gli risulta orientata in una certa direzione, verrebbe meno una garanzia reale di buon funzionamento della giustizia, sotto il profilo dell'imparzialità e dell'effettivo esercizio dell'azione penale.

 L'on. Parenti avrebbe esercitato il diritto di ogni parlamentare di criticare le disfunzioni di qualsiasi tipo di istituzione, denunciando, nell’ambito dell’attività politica condotta sui temi della giustizia nel corso della sua attività di deputato, la unidirezionalità delle iniziative di una determinata procura.

 Inoltre l’unica condizione per l’insindacabilità sarebbe costituita dall’accertamento, da parte della Camera di appartenenza, della riferibilità del comportamento del proprio componente all’esercizio delle attribuzioni del potere legislativo e della funzione parlamentare; questa non si risolve solo negli atti tipici, giacché l’attività del parlamentare sarebbe libera nel fine, non essendo configurabili a priori scopi e forme degli interventi che di volta in volta l’esercizio del mandato politico possa richiedere.

La Giunta per le autorizzazioni a procedere avrebbe posto in evidenza, nella sua motivata relazione approvata dall'Assemblea, che l'azione svolta dall'on. Parenti va inquadrata nell'esercizio della funzione parlamentare di controllo, trattandosi di una critica politica nei confronti del potere giudiziario circa il corretto uso del potere di indagine.

Considerato in diritto

1.  ¾ Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato riguarda la deliberazione con la quale la Camera dei deputati, nella seduta del 22 ottobre 1997, ha dichiarato che i fatti per i quali era in corso il procedimento penale dinanzi al Tribunale di Roma concernono opinioni espresse dalla parlamentare Tiziana Parenti nell'esercizio delle sue funzioni e quindi coperte dall'insindacabilità prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.

 Il Tribunale di Roma ritiene che questa deliberazione violi la sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale, giacché non spettava alla Camera dei deputati la valutazione della condotta attribuita all'on. Parenti. Difatti le dichiarazioni per le quali si procedeva penalmente, con l'imputazione di diffamazione, non sarebbero state rese nell'ambito di un'attività parlamentare tipica né in occasione di un'attività connessa all'attività parlamentare tipica: la Camera dei deputati avrebbe fatto un uso non corretto del proprio potere di dichiararne l'insindacabilità, avendo arbitrariamente valutato il presupposto del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare. Di conseguenza il Tribunale ricorrente chiede che sia annullata la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera.

 2. ¾ L'intervento del dott. Paolo Ielo è irricevibile.

 Difatti, ancor prima di valutare se possa essere legittimato ad intervenire nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato un soggetto che non rivesta tale qualità, ma che assuma di essere titolare di una situazione giuridica che può essere pregiudicata dalla decisione del conflitto, è da rilevare che l'atto con il quale il dott. Ielo è intervenuto nel giudizio è stato depositato tardivamente, il 18 novembre 1998, oltre i termini previsti dalle norme che disciplinano il giudizio dinanzi alla Corte costituzionale (art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, cui espressamente rinvia, per i giudizi sui conflitti tra poteri dello Stato, l’art. 37 della stessa legge).

 3. ¾ Il ricorso proposto dal Tribunale di Roma non è fondato.

L'art. 68, primo comma, della Costituzione, nello stabilire che i membri del Parlamento «non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse», prevede una immunità ma ne delimita immediatamente la estensione, restringendola alle opinioni manifestate dai parlamentari «nell'esercizio delle loro funzioni». Tale prerogativa non costituisce una condizione della persona, sia essa pure investita delle più elevate funzioni elettive, che conferiscono la rappresentanza della Nazione (art. 67 Cost.); se così fosse vi sarebbe incoerenza con il principio fondamentale che afferma la pari dignità di tutti ed esclude ogni diseguaglianza tra cittadini basata su condizioni personali e sociali (art. 3 Cost.). L’immunità si caratterizza, invece, come una oggettiva garanzia per l’esercizio delle funzioni parlamentari, espressione di sovranità, da svolgere senza remore o vincoli da parte di chi ne sia investito, in modo da assicurare la libertà politica del Parlamento (sentenza n. 379 del 1996).

Il divieto di chiamare a rispondere i membri del Parlamento per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni non si atteggia dunque come un privilegio personale, ma configura una garanzia per il libero esercizio della funzione parlamentare. Ma perché la immunità non si trasformi, da esenzione da responsabilità legata alla funzione, in condizione personale, essa deve trovare il suo limite nella stessa ragione che la giustifica: l’atto o le opinioni per le quali non si può essere chiamati a rispondere devono integrare manifestazioni dell’esercizio di funzioni parlamentari, le quali non si estrinsecano in ogni attività, sia essa pure politica, del soggetto titolare di quelle funzioni (sentenze n. 375 del 1997 e n. 289 del 1998).

Ciò implica e presuppone come indispensabile, perché immunità possa esservi, il collegamento tra la manifestazione dell’opinione e la funzione parlamentare; collegamento che se non dipende da criteri formali, propri dell’atto nel quale la opinione si manifesta, d’altro lato non sussiste per ogni dichiarazione, giudizio o critica che abbia una connotazione politica (da ultimo, sentenza n. 329 del 1999).

Il discrimine tra i giudizi e le critiche che anche il parlamentare manifesta nel più esteso ambito dell’attività politica, per le quali non vale l’immunità, e le opinioni coperte da tale garanzia, è dunque costituito dalla inerenza delle opinioni all’esercizio delle funzioni parlamentari.

4. ¾ Nel valutare la inerenza all’esercizio delle funzioni parlamentari delle dichiarazioni per le quali l’on. Parenti è stata chiamata a rispondere penalmente, la Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio ha messo in evidenza, nella relazione scritta il cui contenuto è stato ribadito in Assemblea dal relatore, il complessivo contesto parlamentare nel quale erano state manifestate le espressioni di critica nei confronti del potere giudiziario in relazione all’uso dei poteri di indagine. E’ stato in tal modo sottolineato che la dichiarazione dell’on. Parenti è stata enunciata nel corso di un dibattito politico, anche in replica all’attacco che le era stato recato, in sede di Commissione parlamentare antimafia, nella sua qualità di presidente di quella Commissione. Circostanze queste che hanno fatto non irragionevolmente considerare le dichiarazioni dell’on. Parenti come rientranti nell’esercizio delle funzioni proprie della parlamentare. Sussistendo, quindi, i presupposti previsti dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, spettava alla Camera dichiararne la insindacabilità.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava alla Camera dei deputati dichiarare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dalla parlamentare Tiziana Parenti, secondo quanto deliberato dall’Assemblea della Camera il 22 ottobre 1997.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 4 novembre 1999.