Sentenza n. 280 del 2019

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SENTENZA N. 280

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera d), numero 2), del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 (Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari), convertito, con modificazioni, nella legge 2 agosto 2011, n. 129, promossi dalla Corte di cassazione, sezione prima civile, con ordinanze del 7 settembre 2018, iscritte ai numeri 187 e 188 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione di A. U. e F. B., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 novembre 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò;

uditi l’avvocato Alessandro Ferrara per A. U. e F. B. e l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con due ordinanze del 7 settembre 2018, di identico tenore, iscritte ai numeri 187 e 188 del registro ordinanze 2018, la Corte di cassazione, sezione prima civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 13 e 24, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera d), numero 2), del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 (Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari), convertito, con modificazioni, nella legge 2 agosto 2011, n. 129, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida dell’obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente «si svolga in udienza, con la partecipazione necessaria del difensore dell’interessato, eventualmente nominato d’ufficio».

1.1.– La Corte di cassazione è investita di due ricorsi, presentati rispettivamente da A. U. e da F. B. – l’uno cittadino del Bangladesh, l’altro del Senegal – avverso distinti provvedimenti del Giudice di pace di Roma, che hanno convalidato la misura della «consegna del passaporto, con obbligo di firma due giorni alla settimana presso un ufficio di polizia», disposta nei confronti degli interessati, attinti da decreti prefettizi di espulsione.

Il rimettente premette che, in entrambi i giudizi a quibus, i ricorrenti hanno censurato l’emissione del decreto di convalida senza il previo svolgimento di un’udienza con la partecipazione necessaria di un difensore dell’interessato, affermando che un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, imporrebbe di ritenere necessaria, nell’ambito del procedimento di convalida delle misure alternative al trattenimento in un centro di permanenza per i rimpatri (di seguito, CPR), la celebrazione di un’udienza con la partecipazione necessaria del difensore. I ricorrenti hanno altresì denunciato l’apoditticità e la sostanziale inesistenza della motivazione dei decreti di convalida, che si sostanzia nella mera constatazione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli interessati.

A fronte di dette censure, il rimettente solleva, con le due ordinanze di rimessione in epigrafe, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, ravvisandone la contrarietà al disposto degli artt. 13 e 24, secondo comma, Cost.

1.2.– In punto di rilevanza delle questioni, la Corte di cassazione afferma che non sarebbe possibile ritenere, in via d’interpretazione conforme, che l’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione richieda la celebrazione dell’udienza. Invero, la disposizione censurata prevede la facoltà per l’interessato di «presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida», così inequivocabilmente delineando un procedimento alternativo rispetto alla celebrazione dell’udienza di convalida con partecipazione del difensore, invece prevista, rispettivamente dagli artt. 14, comma 4, e 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, in relazione alla convalida del trattenimento in un CPR e dell’accompagnamento alla frontiera. Non potrebbero trarsi elementi di segno contrario dalla pronuncia della Corte di cassazione, sezione sesta civile, 7 febbraio 2018, n. 2297 [recte: 2997], poiché l’affermazione, ivi contenuta, della necessità che si svolga un’udienza di convalida anche in relazione all’adozione di misure ai sensi dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, non sarebbe in alcun modo motivata.

1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il giudice a quo rammenta che, nella sentenza n. 144 del 1997, questa Corte – chiamata a vagliare la legittimità della disciplina della convalida dell’obbligo di comparizione presso un ufficio di polizia, negli orari in cui si svolgono manifestazioni sportive, misura adottabile dal questore nei confronti di persone distintesi per comportamenti violenti in occasione di dette manifestazioni – ha affermato la necessità di attuare il diritto di difesa e la garanzia dell’assistenza del difensore in forme «adeguate sia alla struttura del singolo procedimento o dell’atto che va adottato (sentenza n. 160 del 1995), sia alle esigenze sostanziali del caso sottoposto all’esame del giudice». In base al rilievo che il provvedimento di convalida allora in discussione aveva «portata e conseguenze molto più limitate sulla libertà personale del destinatario» rispetto alla convalida dell’arresto e del fermo di polizia giudiziaria e che «la necessità di garantire all’interessato una adeguata difesa va coniugata con la celerità nell’applicazione della misura», nella citata sentenza n. 144 del 1997 questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 3, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche), nella sola parte in cui non prevedeva che la notifica del provvedimento del questore contenesse l’avviso della facoltà dell’interessato di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice per le indagini preliminari, nell’ambito del giudizio di convalida.

Del resto – prosegue il rimettente – dalla giurisprudenza costituzionale risulterebbe che l’obbligatorietà della difesa tecnica – con conseguente necessità che il giudice nomini un difensore d’ufficio in mancanza del difensore di fiducia – opera solo in riferimento al processo penale, agli incidenti di esecuzione penale, al processo per l’applicazione delle misure di sicurezza e a quello per l’applicazione delle misure di prevenzione, ossia a procedimenti preordinati all’adozione di misure penali o che trovano causa nella pericolosità sociale-criminale dell’interessato (sono citate le sentenze n. 160 del 1995 e n. 160 del 1982).

Secondo il giudice a quo, tuttavia, le conclusioni cui è pervenuta questa Corte nella sentenza n. 144 del 1997 non sarebbero trasponibili al procedimento di convalida previsto dall’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione. In primo luogo, infatti, la misura dell’obbligo di presentazione presso un ufficio di polizia sarebbe finalizzata, nel caso in esame, ad assicurare l’espulsione dell’interessato con accompagnamento alla frontiera, e dunque costituirebbe un provvedimento di ben altro impatto rispetto al divieto di assistere a manifestazioni sportive, che veniva in rilievo nella citata pronuncia della Corte. In secondo luogo, l’avviso della facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice della convalida, giudicato nella sentenza n. 144 del 1997 sufficiente ad assicurare all’interessato una «concreta ed effettiva conoscenza delle facoltà di difesa di cui può fruire», non potrebbe ritenersi tale in relazione al procedimento di convalida disciplinato dall’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, atteso che il destinatario della misura è un cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea (in seguito, extracomunitario), «presumibilmente inibito da limiti culturali e sociali che ne ostacolano le consapevolezze, nonché le capacità di autodifesa».

Si giustificherebbe pertanto il dubbio di compatibilità dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione – nella parte in cui non prevede la celebrazione, nel giudizio di convalida della misura dell’obbligo di presentazione, di un’udienza con la partecipazione necessaria del difensore dell’interessato, anche nominato d’ufficio – con «la garanzia giurisdizionale di cui all’art. 13 Cost. in tema di provvedimenti limitativi della libertà personale e con il diritto di difesa in giudizio riconosciuto dall’art. 24, comma secondo».

2.– È intervenuto in entrambi i giudizi, con atti di identico tenore, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate manifestamente infondate.

L’interveniente rammenta che il comma 1-bis dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 è stato introdotto dal d.l. n. 89 del 2011, allo scopo di trasporre nell’ordinamento interno l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, che, nel disciplinare il trattenimento ai fini dell’allontanamento, fa salvo il caso in cui «possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive».

2.1.– Le misure alternative al trattenimento adottabili ai sensi delle lettere a), b) e c) del censurato art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione (rispettivamente, obbligo di consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove lo straniero possa essere agevolmente rintracciato; obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente), inciderebbero in misura assai minore sulla libertà personale del cittadino extracomunitario, rispetto al trattenimento presso un CPR.

Tale minore incidenza sulla libertà personale, unitamente all’esigenza di celerità del procedimento, giustificherebbe la previsione della sola facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie e deduzioni al giudice della convalida, diversamente da quanto avviene in relazione al trattenimento presso il CPR, per la cui convalida, invece, è previsto lo svolgimento di un’udienza in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito (art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998).

La scelta legislativa di prevedere due distinti procedimenti di convalida, applicabili l’uno al trattenimento dello straniero, l’altro alle misure ad esso alternative, sarebbe ispirata al principio di proporzionalità – richiamato anche dal sedicesimo considerando della direttiva 2008/115/CE –, al principio di gradualità – essendo i destinatari delle misure alternative al trattenimento gli stranieri in possesso di passaporto o altro documento di identità equipollente in corso di validità, destinatari di un’espulsione con accompagnamento alla frontiera non adottata per motivi di pericolosità – e al principio di contemperamento del diritto di difesa in relazione a situazioni incidenti in misura differente sulla libertà personale.

A parere dell’Avvocatura generale dello Stato, non sussisterebbe un’apprezzabile differenza tra la convalida dell’obbligo di presentazione previsto dall’art. 6, comma 3, della legge n. 401 del 1989, oggetto della sentenza n. 144 del 1997 di questa Corte, e la convalida delle misure alternative al trattenimento dello straniero.

E invero, le misure previste dal censurato art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione non porrebbero in questione la legittimità del provvedimento di espulsione dello straniero, essendo adottate dopo la pronuncia di quest’ultimo; né inciderebbero sul diritto di difesa dell’interessato in relazione al provvedimento di espulsione, che è autonomamente ricorribile innanzi all’autorità giudiziaria, con l’assistenza obbligatoria di un difensore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998, e 18 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69). Le verifiche da compiersi da parte del giudice che convalida le misure alternative al trattenimento dello straniero, adottate ai sensi dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, sarebbero limitate alla condizione della sussistenza di un provvedimento di espulsione dotato di efficacia esecutiva (è citata Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 30 ottobre 2018, n. 27692). Nella valutazione circa il grado di incidenza sulla libertà personale delle misure previste dall’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, occorrerebbe dunque considerare dette misure in sé e per sé, e non sotto il profilo della finalità di attuazione dell’espulsione dello straniero.

E le misure in questione, di per sé considerate, comporterebbero «esigenze sostanziali e di accertamento […] piuttosto circoscritte», nonché un grado di afflittività assai minore rispetto al trattenimento, sicché non sarebbe irrazionale, né contrastante con l’art. 13 Cost., la previsione di un controllo giurisdizionale da espletarsi mediante un contraddittorio “cartolare”, attuato con la previsione della facoltà dell’interessato di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida.

2.2.– La disciplina censurata non lederebbe nemmeno il diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost.

In primo luogo, infatti, il provvedimento del giudice di pace che dispone la convalida risulterebbe ricorribile per cassazione.

In secondo luogo, l’art. 3, comma 3, del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), espressamente richiamato dall’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, stabilisce che «i provvedimenti restrittivi di cui il cittadino straniero può essere destinatario» debbano essere comunicati mediante consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato, contenente l’indicazione delle eventuali modalità di impugnazione, e, ove lo straniero non comprenda la lingua italiana, debbano essere accompagnati da una sintesi del contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall’interessato.

Tali previsioni garantirebbero anche al destinatario delle misure di cui all’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione una «concreta ed effettiva conoscenza delle facoltà di difesa», rimuovendo gli ostacoli culturali e sociali cui fa riferimento l’ordinanza di rimessione.

Sarebbe inoltre di norma assicurata, presso le questure, la presenza di mediatori linguistico-culturali, la cui assistenza ai soggetti stranieri garantirebbe il superamento di eventuali difficoltà linguistiche durante la fase del cosiddetto contraddittorio cartolare.

Le memorie e deduzioni dell’interessato, ove presentate in lingua straniera, sarebbero comunque soggette, ai sensi degli artt. 122 e 123 del codice di procedura civile, a traduzione da parte di un ausiliario del giudice, il che consentirebbe di assicurare «il superamento del limite linguistico e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’interessato».

3.– Si sono costituiti nei rispettivi giudizi A. U. e F. B., svolgendo deduzioni di identico tenore.

3.1.– In via principale, le parti private prospettano la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, nel senso della necessità che il giudizio di convalida della misura dell’obbligo di presentazione si celebri in udienza, con la partecipazione del difensore dell’interessato.

Tale interpretazione sarebbe imposta dalla giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la titolarità, in capo allo straniero, dei diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione (sono citate le sentenze n. 120 del 1967 e n. 104 del 1969) e affermato che la discrezionalità di cui lo Stato gode nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini stranieri è soggetta ai limiti derivanti dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti e dai trattati internazionali applicabili (tra cui la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), rilevanti nell’ordinamento ex art. 117, primo comma, Cost. (sono richiamate le sentenze n. 148 del 2008, n. 348 e n. 349 del 2007 e n. 206 del 2006, nonché l’ordinanza n. 361 del 2007). Essa sarebbe conforme al «modello costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.)», che «non può prescindere, almeno quando si controverta in tema di diritti umani fondamentali, dal principio del contraddittorio con assistenza tecnica di un difensore e fissazione di udienza», e sarebbe peraltro già stata sperimentata, in diverso ambito, dalla Corte di cassazione, che, a partire dalla sentenza della sezione prima civile, 24 febbraio 2010, n. 4455 [recte: 4544], ha esteso in via interpretativa alla proroga del trattenimento dello straniero la garanzia della celebrazione dell’udienza camerale con partecipazione del difensore, prevista dall’art. 14, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998 per il giudizio di convalida del trattenimento.

Le esigenze di speditezza e celerità del procedimento sarebbero comunque garantite dalle caratteristiche del rito camerale di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile, già applicabile alla convalida del trattenimento dello straniero e alla sua proroga, che – nella lettura offertane dalla Corte di cassazione nella sentenza delle sezioni unite civili del 19 giugno 1996, n. 5629, e da questa stessa Corte nell’ordinanza n. 35 del 2002 – coniugherebbe l’immediatezza e concentrazione del procedimento con il rispetto del contraddittorio e con l’esercizio, da parte del giudice, di adeguati poteri istruttori.

L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione si giustificherebbe anche in base al rilievo dell’«identità funzionale» tra il trattenimento del cittadino straniero e le misure ad esso alternative, che incidono entrambi sulla libertà personale dell’interessato. La giurisprudenza di legittimità avrebbe infatti chiarito che le misure alternative al trattenimento costituiscono una restrizione della libertà personale dello straniero, sotto il profilo della libertà di movimento e circolazione interna, per tal motivo riconoscendo la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante all’accertamento della legittimità del relativo provvedimento di convalida, anche dopo la definitiva cessazione dell’efficacia dell’espulsione, in relazione a possibili iniziative risarcitorie dell’interessato, a fronte di una palese illegittimità dell’applicazione delle misure medesime (è citata Cass., n. 27692 del 2018).

L’interpretazione conforme prospettata dalle parti private sarebbe altresì imposta dai «criteri del minor sacrificio, della proporzionalità e residualità» che governerebbero – in base alla direttiva 2008/155/CE, recepita nell’ordinamento italiano con il d.l. n. 89 del 2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 129 del 2011 – l’adozione di misure di allontanamento del cittadino extracomunitario il cui soggiorno sia irregolare.

Le misure di cui al censurato art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione concreterebbero delle vere e proprie restrizioni della libertà personale anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (è citata la sentenza 6 novembre 1980, Guizzardi [recte: Guzzardi] contro Italia), sicché esse non sarebbero legittimamente attuabili «tramite un giudizio meramente cartolare».

3.2.– In subordine, ove questa Corte ritenesse di non poter accedere a un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, le parti private insistono per l’accoglimento delle questioni sollevate dal giudice a quo.

Le misure alternative al trattenimento, in quanto finalizzate alla tutela della procedura di allontanamento o di rimpatrio dello straniero, sarebbero qualificabili come misure cautelari di polizia, dal contenuto e dai presupposti analoghi alle misure precautelari disciplinate dal codice di procedura penale, sicché esse dovrebbero essere assistite dalle garanzie della riserva di legge e della riserva di giurisdizione di cui all’art. 13, secondo e terzo comma, Cost.

Stante la preminenza costituzionale del diritto di difesa (sono citate le sentenze n. 238 del 2014 e n. 98 del 1965), la sua completa attuazione non potrebbe essere «rimessa alla volontà della parte», tramite l’esercizio di un contraddittorio solamente eventuale, tanto più ove l’interessato sia un soggetto straniero, «in condizioni di precarietà assoluta, con scarse cognizioni giuridico-culturali ed una scarsa, se non nulla, conoscenza della lingua italiana e del nostro sistema giuridico».

Le misure alternative al trattenimento costituirebbero modalità meramente esecutive dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, misura, quest’ultima, che, secondo la sentenza n. 105 del 2001 di questa Corte, inerisce alla materia regolata dall’art. 13 Cost. Anche con riferimento alle misure alternative occorrerebbe pertanto assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, di cui all’art. 111 Cost., nonché la piena esplicazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.

L’art. 1 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98, prevederebbe delle «garanzie minime irrinunciabili» in relazione all’espulsione dello straniero, e segnatamente il diritto di far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione (alla lettera a) e di far esaminare il proprio caso (alla lettera b). Secondo la giurisprudenza della Corte EDU – rilevante quale ausilio interpretativo e parametro integratore delle disposizioni costituzionali, secondo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 di questa Corte – tali garanzie debbono essere effettive e non meramente formali (è citata la sentenza 2 settembre 2010, Kaushal e altri contro Bulgaria). Allo straniero attinto da un provvedimento di espulsione, pur se disposto per ragioni di sicurezza nazionale, spetterebbe inoltre il diritto a un ricorso effettivo, di cui all’art. 13 CEDU (è citata la sentenza 24 aprile 2008, G. C. e altri contro Bulgaria).

Nel caso di specie, il procedimento di convalida delineato dall’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione realizzerebbe un contraddittorio meramente formale, «potendo il Giudice di Pace […] limitarsi ad accertare che non sia pervenuta da parte dello straniero alcuna nomina del difensore di fiducia né tantomeno memorie difensive» e non dovendo egli verificare che il provvedimento che dispone la misura, il relativo avviso della facoltà di far pervenire memorie e la relata di notifica siano state tradotte in lingua comprensibile all’interessato; il che contrasterebbe con la garanzia della riserva di giurisdizione così come ricostruita dalla giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 85 del 2013).

Le parti private evidenziano infine come la disposizione censurata sia affetta da manifesta irragionevolezza – come tale censurabile dalla Corte, secondo le sentenze n. 175 del 1997, n. 416 [recte: 417] del 1996, n. 295 e n. 188 del 1995 – «essendo l’intervento legislativo volto a modulare al ribasso l’esercizio del diritto di difesa senza che a ciò corrisponda un considerevole ed apprezzabile incremento di tutela di altro e paritario interesse costituzionale». La mancata previsione della garanzia dell’udienza camerale non potrebbe infatti essere giustificata in un’ottica di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale e di efficiente e rapida regolamentazione dei flussi migratori, atteso che non sussiste «alcun ostacolo organizzativo, logistico né meramente temporale alla celebrazione dell’udienza, potendosi traslare tout cour[t] il modello predisposto per l’udienza di convalida e/o di proroga del trattenimento alla convalida delle misure ad esso alternative, senza che ciò comporti dispendio ulteriore di risorse, mezzi e personale».

4.– In prossimità dell’udienza pubblica, le parti private hanno depositato memorie integrative di identico tenore, richiamando la giurisprudenza costituzionale sull’inviolabilità del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost. (sono citate le pronunce n. 67 del 1990, n. 26 del 1999, n. 29 del 2003, n. 386 del 2004 e n. 120 del 2014) ed evidenziando l’incomprimibilità del nucleo essenziale di detto diritto, costituito dalla garanzia del contraddittorio, di cui all’art. 111 Cost. L’eliminazione di quest’ultima garanzia darebbe luogo a un processo «non giusto», in cui il diritto di difesa diverrebbe «solo apparente» (sono richiamate le sentenze n. 317 del 2009 e n. 127 del 1979).

Nella sentenza n. 144 del 1997, questa Corte avrebbe riconosciuto che gli «ordini di firma presso l’ufficio di polizia» costituiscono misure incidenti sulla libertà personale del destinatario; alla luce degli stessi principi enucleabili da tale pronuncia, si giustificherebbe la necessità di prevedere, in materia di convalida delle misure alternative al trattenimento dello straniero, la garanzia dell’udienza partecipata dal difensore dell’interessato, eventualmente nominato d’ufficio. Tale garanzia sarebbe infatti la sola adeguata alla «struttura del singolo procedimento o dell’atto che va adottato» e alle «esigenze sostanziali del caso sottoposto all’esame del giudice» – criteri questi enunciati nella sentenza n. 144 del 1997 – atteso che, da un lato, le misure alternative al trattenimento si rivolgono a un soggetto straniero «inibito da limiti culturali e sociali» e sono finalizzate all’accompagnamento alla frontiera, e che, d’altro lato, il sindacato del giudice potrebbe estendersi alla valutazione del provvedimento presupposto di espulsione, ancorché solo se manifestamente illegittimo (è citata Corte di cassazione, sezione sesta civile, sentenza 30 novembre 2015, n. 24415).

Il «diritto al contraddittorio», così come declinato nel censurato art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, rendendo «in pratica effettivamente difficile, se non impossibile, l’esercizio del diritto di difesa», lederebbe inoltre i principi di effettività ed equivalenza ai rimedi interni, cui gli Stati membri dell’Unione europea debbono ottemperare nel predisporre i «modelli processuali» volti alla tutela dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione (è citata la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, 14 gennaio 2016, in causa C-74/14, “Eturas” UAB e altri).

Le parti private, nel reiterare la propria tesi circa l’«identità funzionale» tra il trattenimento e le misure a esso alternative, soggiungono che sovente la scelta tra l’una o l’altra misura dipenderebbe esclusivamente dalla sussistenza o meno di posti disponibili nei CPR, sicché una disparità di trattamento – sotto il profilo delle garanzie del diritto alla difesa – tra il procedimento di convalida del trattenimento e quello di convalida delle misure alternative sarebbe «irragionevolmente discriminatoria nei confronti dei destinatari».

Considerato in diritto

1.– Con due ordinanze di identico tenore la Corte di Cassazione, sezione prima civile, ha censurato, in riferimento agli artt. 13 e 24, secondo comma, Cost., l’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera d), numero 2), del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 (Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari), convertito, con modificazioni, nella legge 2 agosto 2011, n. 129, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida della misura dell’obbligo di presentazione all’ufficio della forza pubblica territorialmente competente «si svolga in udienza con la partecipazione necessaria del difensore dell’interessato, eventualmente nominato d’ufficio».

2.– Preliminarmente va disposta la riunione dei giudizi, relativi a identiche questioni.

3.– Prima di affrontare il merito delle questioni prospettate, conviene sinteticamente ricostruire il complesso quadro normativo nel quale esse si inseriscono.

3.1.– L’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, in questa sede censurato, è stato introdotto nel corpo del t.u. immigrazione dal d.l. n. 89 del 2011, allo scopo di trasporre nell’ordinamento interno l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, secondo cui gli Stati membri procedono al trattenimento del cittadino di un paese terzo destinatario di una decisione di rimpatrio, «salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive» (v. relazione al disegno di legge C. 4449, di conversione del d.l. n. 89 del 2011, presentato alla Camera dei deputati il 23 giugno 2011).

3.2.– Presupposto per l’adozione delle misure contemplate dalla disposizione censurata è che lo straniero – in possesso del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validità – sia stato attinto da un provvedimento di espulsione adottato per motivi diversi da quelli previsti dall’art. 13, commi 1 e 2, lettera c), t.u. immigrazione e da quelli contemplati dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2005, n. 155. Deve dunque trattarsi di un soggetto espulso dal prefetto, per ragioni non legate alla tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza dello Stato, né alla pericolosità sociale dello straniero, né – ancora – a esigenze di prevenzione e repressione di fenomeni terroristici.

Al contempo, dall’espressa previsione dell’alternatività delle misure di cui al censurato art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione rispetto al trattenimento in un centro per i rimpatri (di seguito, CPR), si ricava che l’espulsione deve essere stata disposta con prescrizione prefettizia – da eseguirsi ad opera del questore – di accompagnamento dell’interessato alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4, t.u. immigrazione), e senza concessione di un termine per la partenza volontaria dell’interessato (art. 13, commi 5, 5.1. e 5.2., t.u. immigrazione). E invero, solo rispetto allo straniero da accompagnarsi coattivamente alla frontiera può essere disposto – in caso di impossibilità di esecuzione immediata dell’espulsione mediante l’accompagnamento stesso – il trattenimento in un CPR (art. 14, comma 1, t.u. immigrazione); trattenimento che può essere sostituito dalle misure di cui al comma 1-bis della medesima disposizione, alle condizioni ivi delineate.

3.3.– Le misure alternative al trattenimento possono consistere nella consegna del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza (art. 14, comma 1-bis, lettera a, t.u. immigrazione); nell’obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove lo straniero possa essere agevolmente rintracciato (art. 14, comma 1-bis, lettera b, t.u. immigrazione); nonché nell’obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente (art. 14, comma 1-bis, lettera c, t.u. immigrazione): misura, quest’ultima, che unicamente è oggetto delle questioni di costituzionalità qui prospettate.

3.4.– Le misure in questione, adottate con provvedimento motivato del questore, sono notificate all’interessato nelle forme di cui all’art. 3, commi 3 e 4, del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

Ai sensi del comma 3 della predetta disposizione regolamentare, il provvedimento deve essere consegnato a mani dell’interessato o notificato con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto dell’atto; deve contenere l’indicazione delle eventuali modalità di impugnazione; ove lo straniero non comprenda la lingua italiana, esso deve essere accompagnato da una sintesi del contenuto del provvedimento in lingua comprensibile all’interessato o, se ciò non sia possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione, in inglese, francese o spagnolo, secondo la preferenza indicata dall’interessato. L’obbligo di indicazione delle modalità di impugnazione e di traduzione del provvedimento in una lingua nota all’interessato o in una delle lingue veicolari si ricava del resto anche dall’art. 13, comma 7, t.u. immigrazione, il quale si applica non solo al decreto di espulsione e al provvedimento di trattenimento, ma anche a «ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione» e che tali garanzie espressamente prevede.

3.5.– L’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione dispone espressamente che «la notifica reca altresì l’avviso che lo straniero ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida».

Secondo l’art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 394 del 1999, parimenti richiamato dal censurato art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, «lo straniero è altresì informato del diritto di essere assistito da un difensore di fiducia, con ammissione, qualora ne sussistano i presupposti, al gratuito patrocinio a spese dello Stato a norma della legge 30 luglio 1990, n. 217, e successive modificazioni, ed è avvisato che, in mancanza di difensore di fiducia, sarà assistito da un difensore di ufficio designato dal giudice tra quelli iscritti nella tabella di cui all’art. 29 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e che le comunicazioni dei successivi provvedimenti giurisdizionali saranno effettuate con l’avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato di ufficio».

Il provvedimento del questore deve essere comunicato entro quarantotto ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio, il quale ne deve disporre con decreto la convalida nelle successive quarantotto ore.

Quanto alla natura dell’accertamento da svolgersi da parte del giudice di pace, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che in sede di convalida delle misure di cui all’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione il sindacato del giudice è limitato all’esame dei presupposti di adozione delle misure medesime e dell’esistenza di un provvedimento di espulsione dotato di efficacia esecutiva, potendo estendersi alla valutazione di quest’ultimo solo nel caso in cui «esso sia manifestamente illegittimo e lo straniero possa qualificarsi inespellibile» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 30 ottobre 2018, n. 27692).

Le misure, su istanza dell’interessato, sentito il questore, possono d’altra parte essere modificate o revocate dal giudice di pace.

3.6.– L’osservanza delle misure alternative al trattenimento è presidiata dalla sanzione penale della multa da 3.000 a 18.000 euro. In caso di trasgressione, ai fini dell’espulsione dello straniero non occorre il rilascio del nulla osta – normalmente necessario per l’espulsione di soggetti sottoposti a procedimento penale, ai sensi dell’art. 13, comma 3, t.u. immigrazione – da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato, e, qualora non sia possibile l’accompagnamento immediato alla frontiera, il questore provvede al trattenimento dello straniero in un CPR, ai sensi dell’art. 14, comma 1, t.u. immigrazione, oppure all’emissione di ordine di allontanamento ai sensi del comma 5-bis della medesima disposizione.

4.– Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, occorre anzitutto convenire con il rimettente circa l’impossibilità di ritenere, in via interpretativa, che la convalida delle misure alternative al trattenimento dello straniero debba avvenire in udienza, con la partecipazione necessaria del difensore dell’interessato.

Il censurato art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione prevede la facoltà per l’interessato di «presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida», delineando così un procedimento alternativo rispetto alla celebrazione dell’udienza di convalida alla presenza del difensore, che è invece espressamente prevista per le misure – più severamente incidenti sulla libertà personale – del trattenimento in un CPR e dell’accompagnamento alla frontiera rispettivamente dagli artt. 14, comma 4, e 13, comma 5-bis, t.u. immigrazione, i quali all’unisono recitano: «l’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito».

Risulta, dunque, inequivocabile la volontà del legislatore di prevedere due distinte forme di convalida, l’una con svolgimento dell’udienza (in relazione al trattenimento e all’accompagnamento coattivo alla frontiera), l’altra con contraddittorio solo cartolare (in relazione alle misure della consegna del passaporto, dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di firma).

Né – come giustamente sottolinea il giudice a quo – possono trarsi elementi di segno contrario dalla sinora isolata pronuncia della Corte di cassazione, sezione sesta civile, 7 febbraio 2018, n. 2997, secondo cui la convalida delle misure di cui all’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione dovrebbe svolgersi in udienza, atteso che tale affermazione non è specificamente motivata, né risulta supportata dal dato testuale della disposizione in parola.

5.– Ciò premesso, deve tuttavia ritenersi che la disciplina della convalida delle misure alternative al trattenimento dello straniero si sottragga alle censure di illegittimità costituzionale prospettate dal rimettente; censure che devono essere esaminate sulla base dei soli parametri evocati nell’ordinanza di rimessione (artt. 3 e 24 Cost.), che definiscono il perimetro dell’odierna questione di legittimità costituzionale.

5.1.– Come correttamente evidenzia lo stesso giudice a quo, questa Corte ha già esaminato il tema delle garanzie costituzionali applicabili alla convalida della misura dell’obbligo di presentazione agli uffici di polizia disposto dal questore, che viene in rilievo nelle ordinanze di rimessione all’esame, sia pure nel diverso contesto del vaglio dell’art. 6, comma 3, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche), che prevede tale misura a carico di persone resesi responsabili di comportamenti violenti durante manifestazioni sportive e che, originariamente, disponeva che il provvedimento del questore fosse convalidato dal giudice per le indagini preliminari senza possibilità di interlocuzione da parte del destinatario della misura.

Nella sentenza n. 144 del 1997, questa Corte ha affermato che la misura dell’obbligo di presentazione incide sulla libertà personale dell’interessato, e, come tale, deve essere assistita dalle garanzie di cui agli artt. 13 e 24, secondo comma, Cost.

Al contempo, la Corte ha rammentato che «il diritto di difesa […] ammette una molteplicità di discipline, in rapporto alla varietà dei contesti, delle sedi e degli istituti processuali in cui esso è esercitato (sentenza n. 48 del 1994), al punto che la stessa assistenza del difensore può e deve trovare svolgimento in forme adeguate sia alla struttura del singolo procedimento o dell’atto che va adottato (sentenza n. 160 del 1995), sia alle esigenze sostanziali del caso sottoposto all’esame del giudice» (sentenza n. 144 del 1997).

In quella stessa occasione si è osservato, da un lato, che l’obbligo di presentazione presso gli uffici della forza pubblica incide sulla libertà personale dell’interessato in misura assai minore rispetto all’arresto o al fermo di polizia giudiziaria; e, d’altro lato, che nella fattispecie di cui all’art. 6, comma 3, della legge n. 401 del 1989 «la necessità di garantire all’interessato una adeguata difesa va coniugata con la celerità nell’applicazione della misura, condizione necessaria perché la stessa possa rivelarsi efficace, sì da giustificare, in un equilibrato rapporto fra esigenze in giuoco, l’adozione di forme semplificate attraverso le quali possa esplicarsi il contraddittorio».

Si è così ritenuto che, a fronte di un provvedimento del questore che imponga l’obbligo di presentazione agli uffici della forza pubblica, le garanzie di cui agli artt. 13 e 24, secondo comma, Cost. siano sufficientemente tutelate dalla facoltà dell’interessato – desumibile dal disposto dell’art. 121 del codice di procedura penale – di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, appositamente nominato, memorie o deduzioni al giudice per le indagini preliminari. Conseguentemente, l’art. 6, comma 3, della legge n. 401 del 1989 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella sola parte in cui non prevedeva che il destinatario della misura fosse avvisato di tale facoltà di difesa (sentenza n. 144 del 1997).

5.2.– Le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza da ultimo citata si prestano a essere trasposte al caso di specie, con le precisazioni che seguono.

5.2.1.– L’obbligo di presentazione presso il competente ufficio della forza pubblica in giorni e orari stabiliti, di cui alla lettera c) dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, pur essendo finalizzato all’espulsione dello straniero, incide sulla libertà personale di quest’ultimo in misura ben più limitata non soltanto rispetto all’arresto e al fermo di polizia, ma anche rispetto al trattenimento in un CPR previsto dall’art. 14, comma 1, t.u. immigrazione e all’accompagnamento coattivo alla frontiera, contemplato dall’art. 13, comma 4, del medesimo testo normativo; provvedimenti, questi ultimi, la cui convalida avviene in udienza, con la partecipazione necessaria di un difensore, rispettivamente a norma degli artt. 14, comma 4, e 13, comma 5-bis, t.u. immigrazione e in ossequio ai principi stabiliti da questa Corte nella sentenza n. 222 del 2004, secondo cui l’art. 24, secondo comma, Cost. esige che lo straniero destinatario del decreto di accompagnamento coattivo sia «ascoltato dal giudice, con l’assistenza di un difensore».

La più limitata incidenza sulla libertà personale della misura qui all’esame induce a ritenere – sulla scorta della citata sentenza n. 144 del 1997 – non incompatibile con gli artt. 13 e 24, secondo comma, Cost. il procedimento disegnato dalla disposizione censurata, che prevede un contraddittorio meramente eventuale e cartolare. Ciò anche in ragione del delimitato oggetto del giudizio di convalida, ove il giudice di pace è chiamato a verificare unicamente la sussistenza dei presupposti di adozione della misura e l’esistenza di un provvedimento di espulsione dotato di efficacia esecutiva, con il solo limite già rammentato dell’eventuale «manifesta illegittimità» di quest’ultimo e dell’eventuale sussistenza di ragioni ostative all’espulsione (supra, punto 3.5.).

5.2.2.– Nel delineare il procedimento di convalida di cui all’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, il legislatore non ha d’altra parte trascurato di considerare le difficoltà linguistiche, sociali e culturali – difficoltà sulle quali, pure, non a torto insiste il rimettente – che possono ostacolare le capacità di difesa del cittadino straniero.

Di tali difficoltà, in effetti, il legislatore si fa carico attraverso il richiamo alla normativa regolamentare di cui all’art. 3, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 394 del 1999, prescrivendo in particolare: che il provvedimento di applicazione della misura dell’obbligo di presentazione sia notificato all’interessato unitamente alla traduzione di una sintesi del suo contenuto in una lingua a lui nota o in lingua inglese, francese o spagnola; che lo straniero sia «informato del diritto di essere assistito da un difensore di fiducia, con ammissione, qualora ne sussistano i presupposti, al gratuito patrocinio a spese dello Stato a norma della legge 30 luglio 1990, n. 217, e successive modificazioni»; e che sia reso edotto che «in mancanza di difensore di fiducia, sarà assistito da un difensore di ufficio designato dal giudice tra quelli iscritti nella tabella di cui all’art. 29 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e che le comunicazioni dei successivi provvedimenti giurisdizionali saranno effettuate con l’avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato di ufficio».

Due profili di tale disciplina meritano in proposito di essere specialmente evidenziati in questa sede.

Da un lato, la traduzione del provvedimento del questore, in lingua nota all’interessato o in una delle lingue “veicolari”, risponde a «criteri ragionevolmente funzionali, e nella loro necessaria astrattezza idonei a garantire che, nella generalità dei casi, gli atti della pubblica amministrazione concernenti questa materia siano conoscibili dai destinatari, nel loro contenuto e in ordine alle possibili conseguenze derivanti dalla loro violazione», restando comunque salva la possibilità per il giudice penale di considerare non integrato il delitto di trasgressione delle prescrizioni imposte con il provvedimento in parola, in conseguenza della mancata comprensione del medesimo da parte del suo destinatario (sentenza n. 257 del 2004).

Dall’altro lato, l’avviso circa la possibilità di beneficiare dell’assistenza del difensore d’ufficio e del patrocinio a spese dello Stato, oggi regolato dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», risulta funzionale a consentire al cittadino straniero di determinarsi con sufficiente consapevolezza – sia pure con la ristretta tempistica imposta dal procedimento di convalida – in ordine allo svolgimento di attività difensiva e al ricorso alla difesa tecnica. Ciò naturalmente a condizione che all’avviso si accompagni la comunicazione da parte delle questure, con modalità effettivamente comprensibili per l’interessato (eventualmente anche grazie all’intervento dei mediatori culturali, sulla cui normale presenza presso le questure insiste la stessa Avvocatura generale dello Stato), dei recapiti dei difensori d’ufficio ai quali in concreto rivolgersi nell’ipotesi in cui egli intenda esercitare il proprio diritto a presentare memorie o deduzioni al giudice di pace, anche in relazione alla possibile manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione o alla sussistenza di ragioni ostative, ancorché sopravvenute, all’esecuzione del provvedimento medesimo; sì da assicurare piena effettività al diritto alla difesa tecnica, che l’art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 394 del 1999 riconosce allo straniero sottoposto alle misure di cui alla disposizione censurata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera d), numero 2), del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 (Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari), convertito, con modificazioni, nella legge 2 agosto 2011, n. 129, sollevate, in riferimento agli artt. 13 e 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione prima civile, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2019.

F.to:

Aldo CAROSI, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2019.