Sentenza n. 236 del 2019

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SENTENZA N. 236

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, 9 e 10 della legge della Regione Liguria 12 settembre 2018, n. 17, recante «Modifiche alla legge regionale 25 gennaio 1984, n. 7 (Norme per la regolamentazione dell’attività di tassidermia e di imbalsamazione)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 16-21 novembre 2018, depositato in cancelleria il 20 novembre 2018, iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione Liguria;

udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2019 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Gabriele Pafundi per la Regione Liguria.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 16-21 novembre 2018, depositato in cancelleria il 20 novembre 2018, iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento, nel complesso, agli artt. 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 9 e 10 della legge della Regione Liguria 12 settembre 2018, n. 17, recante «Modifiche alla legge regionale 25 gennaio 1984, n. 7 (Norme per la regolamentazione dell’attività di tassidermia e di imbalsamazione)».

2. – Il ricorrente censura innanzitutto l’art. 4 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, che ha aggiunto all’art. 4 della legge della Regione Liguria 25 gennaio 1984, n. 7 (Norme per la regolamentazione dell’attività di tassidermia e di imbalsamazione), tra l’altro, il comma 2-bis, ai sensi del quale «[i] tassidermisti o imbalsamatori devono chiedere alla Regione il nullaosta alla preparazione di esemplari appartenenti a specie: - particolarmente protette ai sensi dell’articolo 2 della L. 157/1992 e successive modificazioni e integrazioni; - non cacciabili; - cacciabili, per i quali la richiesta di preparazione sia stata avanzata al di fuori dei periodi in cui ne è consentita la caccia».

Rileva l’Avvocatura che l’art. 30 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), «nel prevedere al comma primo, lettere a), b), c), g), h) e l), sanzioni penalmente rilevanti per l’abbattimento, la cattura o la detenzione delle diverse tipologie di esemplari di specie particolarmente protette (ex art. 2 della stessa legge) e/o non cacciabili, nonché per il commercio o la detenzione per il commercio degli stessi, al successivo comma secondo stabilisce che “per la violazione delle disposizioni della presente legge in materia di imbalsamazione e tassidermia si applicano le medesime sanzioni che sono comminate per l’abbattimento degli animali le cui spoglie sono oggetto del trattamento descritto”».

Secondo l’Avvocatura la disposizione impugnata comporterebbe, «pertanto, una illegittima depenalizzazione di divieti statali sanzionati penalmente», determinando il «contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che attribuisce allo Stato potestà legislativa esclusiva in materia di “ordinamento penale” andando di fatto ad incidere su fattispecie penali vigenti, modificando i presupposti per l’applicazione di tali norme e introducendo nuove cause di esenzione della responsabilità penale».

3. – La seconda disposizione censurata è l’art. 9 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, che sostituisce l’art. 9 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984, stabilendo che «[c]oloro che detengono a qualsiasi titolo preparati tassidermici (animali “imbalsamati” o “impagliati”) realizzati antecedentemente al 25 gennaio 1984 e non dichiarati alle amministrazioni provinciali sono tenuti a fornirne l’elenco dettagliato alla Regione, con lettera raccomandata o con posta elettronica certificata (PEC)».

Nella formulazione precedente, l’art. 9 prevedeva che «[c]oloro che detengono a qualsiasi titolo animali imbalsamati debbono fornire l’elenco dettagliato alla Provincia, con lettera raccomandata, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge».

La norma impugnata, dunque, secondo l’Avvocatura dello Stato, abroga il termine – di centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge reg. Liguria n. 7 del 1984 – in precedenza previsto ai fini della presentazione dell’elenco all’ente territoriale competente e introduce quello del 25 gennaio 1984 entro il quale il preparato tassidermico detenuto è stato realizzato.

In tal modo, essa «prevede, di fatto, un meccanismo condonatorio a favore di chiunque detenga animali “imbalsamati” o “impagliati” tassidermizzati (senza distinzione tra specie protette o cacciabili e realizzati prima del 25 gennaio 1984), attivabile nei rapporti con la Regione attraverso modalità comunicative standardizzate (raccomandata o PEC) e tale da consentire di legittimare impropriamente sine die il possesso di esemplari, anche di specie protette, di cui non si potrebbe nemmeno documentare la datazione, in assenza della previsione di specifici accertamenti/perizie».

Il descritto «quadro normativo», prosegue l’Avvocatura, si porrebbe in contrasto con i divieti e le correlate sanzioni penali disciplinati dagli artt. 21, comma 1, lettera ee), e 30, commi 1, lettere b), c), g), h) ed l), e 2, della legge n. 157 del 1992 a carico di chiunque detiene specie protette a vario titolo e/o le prepara con trattamento tassidermico. La perdurante vigenza di questa disciplina, ad avviso della difesa statale, precluderebbe alle Regioni la facoltà di potervi derogare attraverso l’introduzione di «meccanismi regolarizzativi di qualsivoglia natura».

La disciplina statale indicata, a parere dell’Avvocatura, costituirebbe un limite invalicabile per l’attività legislativa della Regione, «dettando norme imperative che devono essere rispettate sull’intero territorio nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale»; limite ulteriormente ribadito dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992, relativo alle specie cacciabili e ai periodi di attività venatoria, che garantirebbe, nel rispetto degli obblighi comunitari contenuti nella direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, standard minimi e uniformi della tutela della fauna sull’intero territorio nazionale, assumendo natura di norma fondamentale di riforma economico-sociale.

Di qui, secondo la difesa statale, la norma impugnata, «oltre a violare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, tende a ridurre in peius il livello di tutela della fauna selvatica stabilito dalla [citata] legislazione nazionale, invadendo illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia penale e di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», così violando l’art. 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), Cost.

4. – La terza disposizione censurata è l’art. 10 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, che modifica l’art. 10 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984, adeguando in euro le sanzioni previste per le violazioni alle disposizioni della medesima legge regionale e stabilendo, in particolare alla lettera d), «la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20,00 a euro 200,00 per inosservanza dell’obbligo di notizia previsto dall’articolo 6» in capo al tassidermista.

A parere dell’Avvocatura, tale disposizione, nel riformulare in euro gli importi sanzionatori, non menzionerebbe la sanzione della revoca dell’autorizzazione a svolgere l’attività, così ponendosi in contrasto con il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 6 della legge n. 157 del 1992, che recitano: «2. I tassidermisti autorizzati devono segnalare all’autorità competente le richieste di impagliare o imbalsamare spoglie di specie protette o comunque non cacciabili ovvero le richieste relative a spoglie di specie cacciabili avanzate in periodi diversi da quelli previsti nel calendario venatorio per la caccia della specie in questione. 3. L’inadempienza alle disposizioni di cui al comma 2 comporta la revoca dell’autorizzazione a svolgere l’attività di tassidermista, oltre alle sanzioni previste per chi detiene illecitamente esemplari di specie protette o per chi cattura esemplari cacciabili al di fuori dei periodi fissati nel calendario venatorio».

Secondo la difesa dello Stato, la nuova formulazione violerebbe, dunque, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in materia di «tutela dell’ambiente».

5.– La Regione Liguria si è costituita con atto depositato il 21 dicembre 2018.

5.1.– Essa sostiene che la censura concernente l’art. 4 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018 è «destituita di fondamento […], posto che la norma non introduce alcuna depenalizzazione rispetto all’art. 30 comma 2 della L. 157/92», ma «riguarda il comportamento preteso dal tassidermista».

A questo riguardo, ad avviso della difesa regionale, la norma impugnata non eliminerebbe affatto l’obbligo del tassidermista, disciplinato dal citato art. 6, comma 2, della legge n. 157 del 1992, di segnalazione all’autorità locale competente delle richieste di imbalsamare specie protette o non cacciabili.

Il nullaosta regionale, infatti «non è finalizzato a legittimare una detenzione di specie non consentita […] giacché riguarda i casi in cui: a) non vi è abbattimento, in quanto il decesso dell’animale da imbalsamare è avvenuto per cause naturali o accidentali; b) vi è abbattimento lecito, in quanto le spoglie appartengono a specie cacciate legittimamente e per l’animale sottoposto a trattamento di lunga conservazione si richiede il trattamento tassidermico in periodo diverso da quello di caccia alla specie»: tali casi non rientrano quindi nella sfera di applicazione dell’art. 30 della legge n. 157 del 1992, che si riferisce «all’abbattimento o alla detenzione di animali vivi e non morti».

Più precisamente, la Regione ritiene che gli animali appartenenti alla fauna selvatica, a norma dell’art. 2, comma 1, della legge n. 157 del 1992, «cessano di far parte del patrimonio indisponibile dello Stato per divenire proprietà del cacciatore», sia in conseguenza di un abbattimento rispettoso delle disposizioni della stessa legge appena citata, sia in caso di decesso naturale o accidentale. In tale ultima ipotesi, infatti, il bene perderebbe il carattere di indisponibilità, uscendo dalla sfera di applicabilità delle norme sulla tutela della fauna selvatica per divenire oggetto della normativa in materia di smaltimento dei rifiuti, ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Conseguentemente, la censura dell’Avvocatura sarebbe infondata poiché la detenzione di spoglie animali non originate da atti di cattura e lecitamente abbattute sarebbe consentita, come «indirettamente confermato dalla lettura dell’art. 21 comma 1 lett. ee), della L. n. 157/1992».

5.2.– In ordine alle questioni concernenti l’art. 9 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, la Regione contesta la ricostruzione dell’Avvocatura, precisando che la finalità di tale articolo è quella di effettuare una ricognizione dei preparati tassidermici più datati ancora esistenti. Secondo la difesa regionale, infatti, «a distanza di oltre 34 anni dall’entrata in vigore della l.r. n. 7/1984, molti degli esemplari all’epoca segnalati alle Amministrazioni provinciali sono verosimilmente transitati nella disponibilità di altri soggetti (ad esempio, a causa di passaggi ereditari) senza essere stati dichiarati da proprietari oggi defunti».

A parere della Regione, pertanto, la norma censurata «non è un’impropria sanatoria sine die, in quanto chi abbatte e prepara o fa preparare illegittimamente fauna selvatica, protetta o meno, ben difficilmente si esporrà ai controlli della vigilanza e ad eventuali perizie comunicando, una o addirittura più volte, l’elenco degli esemplari detenuti».

5.3.– Con riferimento alla terza questione, infine, la Regione sostiene «l’assoluta inconsistenza del rilievo statale» poiché la norma censurata si limiterebbe a convertire in euro l’importo di sanzioni pecuniarie. In particolare, la revoca dell’autorizzazione a svolgere l’attività di tassidermista (qualora non sia segnalata la richiesta di preparare spoglie di specie protette, non cacciabili o cacciabili avanzate in periodi diversi da quelli previsti nel calendario venatorio) «esiste e viene applicata non con riferimento alle previsioni di cui al cit. art. 10, ma in virtù dell’articolo 46 della legge regionale 29/94, attuativa della Legge n. 157/1992», che stabilisce: «[l]’attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei sono disciplinate dalla legge regionale 25 gennaio 1984, n. 7, integrata dalle sanzioni previste dalla legge n. 157/1992».

6.– Con memoria tempestivamente depositata la Regione Liguria ha insistito nella reiezione integrale del ricorso.

In particolare, quanto alla prima questione, relativa al censurato effetto di depenalizzazione, la Regione ribadisce, per un verso, che la disciplina dettata dai commi 2-bis e seguenti dell’art. 4 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, concernerebbe i casi in cui «non si è verificato alcun abbattimento, giacché l’animale è deceduto per cause naturali o accidentali» o «l’abbattimento è avvenuto lecitamente (in quanto riguardante specie venabili prelevate in periodo di caccia) e le relative spoglie sono state sottoposte a trattamento di lunga conservazione»; per altro verso, che, tra i divieti elencati nell’art. 21 della legge n. 157 del 1992 (sanzionati tramite il successivo art. 30 della medesima legge), «non appare inclusa la detenzione di spoglie di animali non originate da atti di cattura o di abbattimento».

La difesa regionale evidenzia, inoltre, che da una lettura complessiva del citato art. 4 si ricaverebbe l’assenza di «possibilità elusive delle norme penali», dal momento che «le richieste di nulla osta che l’imbalsamatore deve presentare [alla] Regione per la preparazione degli esemplari […] “devono essere accompagnate da idonea documentazione rilasciata da medico veterinario attestante che il decesso è avvenuto per cause naturali o accidentali o, nel caso di specie cacciabili di cui si richiede il trattamento in periodo diverso da quello della caccia alla specie, che l’esemplare è stato abbattuto lecitamente e sottoposto a trattamento di lunga conservazione”».

Insiste d’altro canto la Regione nel sottolineare che «[u]lteriore livello di garanzia» sarebbe dato dalla circostanza che il tassidermista, a cui venisse richiesta una preparazione riguardante esemplari protetti o comunque non cacciabili o cacciati in periodi diversi da quelli previsti nel calendario venatorio, sarebbe comunque tenuto a segnalare il fatto all’autorità regionale, pena la sottoposizione alle sanzioni previste.

Infine, la Regione rileva «come molte regioni annoverino da molti anni nei propri ordinamenti norme simili a quelle oggetto dell’odierna impugnativa».

7.– Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, insistendo nell’accoglimento del ricorso.

In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce le censure aventi ad oggetto l’art. 4 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, osservando che «[l]a normativa vigente riconosce alle Regioni la sola possibilità di disciplinare le “modalità” inerenti all’attività di tassidermia e imbalsamazione e non anche rilasciare autorizzazioni volte a superare ciò che viene sanzionato dalla legge statale».

Inoltre, la difesa statale sostiene che, contrariamente a quanto argomentato al riguardo dalla Regione, il termine «esemplari» menzionato al comma 1, lettera ee), dell’art. 21 della legge n. 157/1992 – rubricato “divieti” – deve intendersi riferito anche alle spoglie, poiché «altrimenti, se così non fosse, il legislatore avrebbe inserito l’aggettivo “vivo” (o “vivente”) proprio come ha fatto per le restanti lettere, come ad es. lettera p), q), r), t), bb), cc)».

Per quanto concerne la questione avente ad oggetto l’art. 9 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, l’Avvocatura ribadisce, da un lato, che la norma censurata «prevede di fatto un nuovo termine il quale, come diretta conseguenza, comporta un meccanismo condonatorio a favore di tutti coloro che possiedono preparati tassidermici realizzati antecedentemente al 25 gennaio 1984 e mai dichiarati alle autorità competenti»; dall’altro, che la Regione non potrebbe emanare leggi che permettono di sanare le condotte illecite tenute in violazione di norme penali volte alla tutela della fauna sull’intero territorio nazionale.

Quanto, infine, all’impugnato art. 10 della medesima legge reg. Liguria, l’Avvocatura osserva che la tesi prospettata dalla Regione «appare in evidente contrasto col principio di precisione, corollario del più generale principio di legalità ex art. 25 Cost., che impone al legislatore di formulare norme chiare e precise».

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento, nel complesso, agli artt. 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 9 e 10 della legge della Regione Liguria 12 settembre 2018, n. 17, recante «Modifiche alla legge regionale 25 gennaio 1984, n. 7 (Norme per la regolamentazione dell’attività di tassidermia e di imbalsamazione)».

2.– Il ricorrente censura innanzitutto l’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, che ha aggiunto all’art. 4 della legge della Regione Liguria 25 gennaio 1984, n. 7 (Norme per la regolamentazione dell’attività di tassidermia e di imbalsamazione), tra l’altro, il comma 2-bis, ai sensi del quale «[i] tassidermisti o imbalsamatori devono chiedere alla Regione il nullaosta alla preparazione di esemplari appartenenti a specie: - particolarmente protette ai sensi dell’articolo 2 della L. 157/1992 e successive modificazioni e integrazioni; - non cacciabili; - cacciabili, per i quali la richiesta di preparazione sia stata avanzata al di fuori dei periodi in cui ne è consentita la caccia».

L’Avvocatura ritiene che tale previsione si ponga in contrasto con l’art. 30, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), ai sensi del quale «[p]er la violazione delle disposizioni della presente legge in materia di imbalsamazione e tassidermia si applicano le medesime sanzioni che sono comminate per l’abbattimento degli animali le cui spoglie sono oggetto del trattamento descritto», ovverosia quelle previste dal medesimo art. 30, comma 1, lettera a), b), c), g) e l), che dispone sanzioni penali per l’abbattimento, la cattura, o la detenzione delle diverse tipologie di esemplari di specie particolarmente protette e/o non cacciabili, nonché per il commercio o la detenzione per il commercio degli stessi. La norma regionale impugnata, infatti, determina, ad avviso della difesa statale, una depenalizzazione delle fattispecie criminose appena menzionate, così violando l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva allo Stato la materia dell’ordinamento penale.

2.1.– La questione, così come prospettata, è inammissibile.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorso in via principale, per superare lo scrutinio di ammissibilità, deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva (sentenze n. 315 del 2009, n. 322 del 2008, n. 38 del 2007 e n. 233 del 2006). Tale esigenza di motivazione si pone «in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che non in quelli incidentali» (n. 218 del 2015; n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005; nello stesso senso, sentenze n. 261 e n. 81 del 2017).

Il ricorso statale, invece, a fronte della dichiarata impugnazione dell’intero art. 4 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, circoscrive tutte le sue argomentazioni alla sola parte che introduce il comma 2-bis nel previgente art. 4 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984, trascurando del tutto che detto comma si colloca nel contesto normativo di un articolo ampiamente strutturato in una pluralità di precetti (i commi da 1 a 2-quinquies) che – come evidenziato dalla Regione – disciplinano l’attività di imbalsamazione e tassidermia, limitando poi il procedimento di nullaosta a determinate fattispecie e a specifiche condizioni.

Da una lettura complessiva di tale articolata disciplina viene infatti immediatamente in rilievo che la fattispecie di cui al comma 2-bis si completa necessariamente con il disposto del comma 2-ter e seguenti – del tutto ignorati dall’Avvocatura dello Stato nella sua ricostruzione a fondamento del motivo di ricorso – dai quali si desume che la richiesta di nullaosta è limitata a casi (decesso per cause naturali o accidentali e legittimo abbattimento di esemplare sottoposto a trattamento di lunga conservazione) diversi dall’abbattimento illecito.

Secondo l’art. 4, comma 2-ter, infatti: «[l]e richieste di nullaosta devono essere presentate alla competente struttura regionale accompagnate da idonea documentazione rilasciata da medico veterinario, attestante che il decesso è avvenuto per cause naturali o accidentali o, nel caso di specie cacciabili di cui si richiede il trattamento in periodo diverso da quello di caccia alla specie, che l’esemplare è stato abbattuto legittimamente e sottoposto a trattamento di lunga conservazione».

Peraltro, il comma 2-quinquies, stabilisce che «[p]er le specie particolarmente protette o di rilevante interesse scientifico, il nullaosta è rilasciato sentito il Civico Museo di Storia naturale di Genova».

2.2.– Va altresì rilevato che la sopra riportata disciplina dell’art. 4 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984 non sottrae, in ogni caso, il tassidermista e l’imbalsamatore all’obbligo di denuncia all’autorità amministrativa competente prescritto dall’art. 6, commi 2 e 3, della legge n. 157 del 1992, che attribuisce a tali soggetti una funzione di controllo pubblico; si tratta, infatti, di un obbligo anche autonomamente previsto dall’art. 6 della medesima legge reg. Liguria n. 7 del 1984, che dispone: «[i]l tassidermista od imbalsamatore, nel caso gli pervengano esemplari appartenenti a specie delle quali è vietata la caccia o per i quali ritenga che la detenzione costituisca violazione di norme venatorie o di altra natura, deve darne immediata notizia alla Regione, indicando le generalità del cliente o le diverse circostanze nelle quali sia venuto in possesso dell’animale».

2.3.– Né appare idonea a sanare la sopra evidenziata carenza del ricorso statale la deduzione dell’Avvocatura dello Stato secondo cui il termine «esemplari», menzionato al comma 1, lettera ee), dell’art. 21 della legge n. 157/1992, rubricato “divieti”, dovrebbe intendersi riferito anche alle spoglie, poiché «altrimenti, se così non fosse, il legislatore avrebbe inserito l’aggettivo “vivo” (o “vivente”) proprio come ha fatto per le restanti lettere, come ad es. lettera p), q), r), t), bb), cc)»: tale argomento non tiene conto che lo stesso divieto di detenzione, acquisto e vendita di esemplari di fauna selvatica, prescritto alla citata lettera ee), opera «ad eccezione […] della fauna selvatica lecitamente abbattuta, la cui detenzione viene regolamentata dalle regioni anche con norme sulla tassidermia».

2.4.– In conclusione, il ricorso statale, omettendo di esaminare nel complesso il novellato art. 4 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984, non fornisce sufficienti elementi che consentano di comprendere le ragioni in base alle quali la nuova disciplina determinerebbe l’asserito effetto di una depenalizzazione in contrasto con le disposizioni penali della legge n. 157 del 1992.

L’incompleta ricostruzione della fattispecie normativa si risolve, dunque, in un vizio di motivazione (sentenza n. 153 del 2015) della censura formulata, con la conseguenza che la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., avente ad oggetto l’art. 4 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, è inammissibile.

3.– Il ricorrente censura anche l’art. 9 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, che stabilisce: «[c]oloro che detengono a qualsiasi titolo preparati tassidermici (animali “imbalsamati” o “impagliati”) realizzati antecedentemente al 25 gennaio 1984 e non dichiarati alle amministrazioni provinciali sono tenuti a fornirne l’elenco dettagliato alla Regione, con lettera raccomandata o con posta elettronica certificata (PEC)».

Tale disposizione sostituisce l’art. 9 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984, ai sensi del quale: «[c]oloro che detengono a qualsiasi titolo animali imbalsamati debbono fornire l’elenco dettagliato alla Provincia, con lettera raccomandata, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge».

La norma impugnata, secondo l’Avvocatura dello Stato, abrogando il termine di centottanta giorni in precedenza previsto e riferendosi ai preparati tassidermici realizzati antecedentemente al 25 gennaio 1984, «prevede di fatto un meccanismo condonatorio a favore di chiunque detenga animali “imbalsamati” o “impagliati” tassidermizzati (senza distinzione tra specie protette o cacciabili e realizzati prima del 25 gennaio 1984), attivabile nei rapporti con la Regione attraverso modalità comunicative standardizzate (raccomandata o PEC) e tale da consentire di legittimare impropriamente sine die il possesso di esemplari, anche di specie protette, di cui non si potrebbe nemmeno documentare la datazione, in assenza della previsione di specifici accertamenti/perizie».

In questi termini, secondo l’Avvocatura, la suddetta norma si porrebbe in contrasto con i divieti e le correlate sanzioni penali previsti, nei confronti di chiunque detiene specie protette a vario titolo e/o le prepara con trattamento tassidermico, dagli artt. 21, comma 1, lettera ee), e 30, commi 1, lettere b), c), g), h) ed l), e 2, della legge n. 157 del 1992. Tali disposizioni, «dettando norme imperative che devono essere rispettate sull’intero territorio nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale», costituirebbero un limite invalicabile per l’attività legislativa della Regione, ulteriormente ribadito dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992, relativo alle specie cacciabili e ai periodi di attività venatoria, diretto a garantire standard minimi e uniformi della tutela della fauna sull’intero territorio nazionale.

Secondo la difesa statale, quindi, la norma impugnata, «oltre a violare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, tende a ridurre in peius, il livello di tutela della fauna selvatica stabilito dalla [citata] legislazione nazionale, invadendo illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia penale e di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», in tal modo ponendosi in contrasto con l’art. 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), Cost.

3.1.– Le questioni non sono fondate.

Premesso che l’art. 6, comma 1, della legge n. 157 del 1992 dispone che le Regioni «disciplinano l’attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei» – attribuendo quindi alle stesse Regioni, fin da allora, la facoltà di dettare specifiche disposizioni in una materia che, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, è venuta poi a collocarsi, pur con i medesimi limiti trasversali inerenti l’attività venatoria (sentenza n. 7 del 2019) cui è strettamente collegata, all’interno della competenza residuale regionale –, si deve constatare che l’originaria formulazione del citato art. 9 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984 prevedeva il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa affinché coloro che detenevano a qualsiasi titolo animali imbalsamati fornissero l’elenco dettagliato alla Provincia (ente competente pro tempore) con lettera raccomandata. Alla mancata presentazione dell’elenco nei predetti termini seguiva, a norma del successivo art. 10 della medesima legge, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 10, lettera g).

La comunicazione degli elenchi da parte di coloro che detenevano esemplari trattati prima dell’entrata in vigore della legge regionale aveva quindi scopo ricognitivo: infatti, successivamente alla data di entrata in vigore della citata legge reg. Liguria n. 7 del 1984, gli esemplari lecitamente preparati dovevano recare una specifica etichetta, pena, anche in questo caso, l’applicazione di una sanzione amministrativa (art. 10, lettera e).

Il citato art. 9, così come riformulato dalla legge reg. Liguria n. 17 del 2018, si è inserito successivamente in questa disciplina, con la finalità di consentire una regolarizzazione amministrativa tardiva degli esemplari a loro tempo non denunciati tempestivamente alla Provincia, limitando l’ambito di applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 10, lettera g), della menzionata legge reg. Liguria n. 7 del 1984.

Va tuttavia chiarito che la segnalazione da parte del detentore che non abbia a suo tempo regolarizzato la sua posizione ben potrà comunque comportare l’attivazione dei relativi controlli da parte dell’autorità competente, che potranno, a loro volta, sfociare in una segnalazione all’autorità giudiziaria per l’eventuale valutazione della rilevanza penale delle condotte.

Infatti, mette conto precisare che, in attuazione della legge n. 157 del 1992, la resistente ha emanato la legge della Regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), che all’art. 46 dispone che «[l]’attività di tassidermia ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei sono disciplinate dalla legge regionale 25 gennaio 1984, n. 7, integrata dalle sanzioni previste dalla legge n. 157 del 1992».

Poiché tale disposizione – che la stessa Avvocatura del resto menziona nel ricorso – è tuttora in vigore, la nuova formulazione dell’art. 9 non è idonea a costituire un meccanismo condonatorio degli effetti penali: questi, infatti, restano disciplinati, per effetto del citato art. 46, dalla legge statale.

Tanto precisato, risulta quindi plausibile la giustificazione addotta dalla difesa regionale, che chiarisce come lo scopo della modifica normativa sia meramente quello di permettere «a distanza di oltre 34 anni dall’entrata in vigore della l.r. n. 7/1984» di regolarizzare le situazioni relative a preparati transitati nella disponibilità di altri soggetti (ad esempio, a causa di passaggi ereditari) senza essere stati dichiarati da proprietari oggi defunti.

Così interpretata, la impugnata disposizione regionale, lasciando impregiudicata la sanzionabilità penale delle condotte e consentendo un’ulteriore attività di controllo sulle nuove comunicazioni, non riduce in peius il livello di tutela della fauna selvatica stabilito, anche in attuazione della direttiva 79/409/CEE, dalla legislazione nazionale, risultando conseguentemente non fondate le questioni promosse in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), Cost.

4.– La terza disposizione censurata è l’art. 10 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, che ha modificato l’art. 10 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984, adeguando in euro le sanzioni previste per le violazioni alle disposizioni della medesima legge regionale e stabilendo, in particolare alla lettera d), «la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20,00 a euro 200,00 per inosservanza dell’obbligo di notizia previsto dall’articolo 6» in capo al tassidermista.

A parere l’Avvocatura, tale disposizione, da un lato riformulando in euro gli importi sanzionatori, ma dall’altro non menzionando la sanzione della revoca dell’autorizzazione a svolgere l’attività, si porrebbe in contrasto con il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 6 della legge n. 157 del 1992.

Da qui la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in ragione dell’invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

4.1.– Anche questa censura non è fondata.

La legge reg. Liguria n. 17 del 2018 si è, difatti, limitata a introdurre delle modifiche alla previgente legge reg. Liguria n. 7 del 1984, con la conseguenza che – come osservato dalla difesa regionale – resta ancora pienamente efficace la prescrizione di cui al citato art. 46 della legge reg. Liguria n. 29 del 1992 (come già ricordato nel precedente punto 3.1. del Considerato in diritto). Questa disposizione prescrive l’integrazione della disciplina della legge regionale con le sanzioni previste dalla legge n. 157/1992; ne discende quindi che la revoca dell’autorizzazione del tassidermista in caso di mancata segnalazione è tuttora disciplinata dal rinvio implicito all’art. 6, comma 3, della legge n. 157 del 1992.

Alla luce delle considerazioni che precedono, anche tale questione, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non è fondata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Liguria 12 settembre 2018, n. 17, recante «Modifiche alla legge regionale 25 gennaio 1984, n. 7 (Norme per la regolamentazione dell’attività di tassidermia e di imbalsamazione)», che modifica l’art. 4 della legge della Regione Liguria 25 gennaio 1984, n. 7 (Norme per la regolamentazione dell’attività di tassidermia e di imbalsamazione), promossa – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione – dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, che sostituisce l’art. 9 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984, promosse – in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), Cost. – dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge reg. Liguria n. 17 del 2018, che modifica l’art. 10 della legge reg. Liguria n. 7 del 1984, promossa – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta l’8 ottobre 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2019.