Sentenza n. 15 del 2010

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SENTENZA N. 15

ANNO 2010

 

 

Commento alla decisione di

Giovanni Coinu

 

Il Suap nel riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni  

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco               AMIRANTE                 Presidente

- Ugo                        DE SIERVO                   Giudice

- Paolo                      MADDALENA                   "

- Alfio                      FINOCCHIARO                 "

- Franco                    GALLO                               "

- Luigi                      MAZZELLA                       "

- Gaetano                 SILVESTRI                         "

- Sabino                    CASSESE                            "

- Maria Rita              SAULLE                             "

- Giuseppe                TESAURO                          "

- Paolo Maria            NAPOLITANO                   "

- Giuseppe                FRIGO                                 "

- Alessandro             CRISCUOLO                      "

- Paolo                      GROSSI                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 38, comma 3, e 43, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, promossi dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto con due ricorsi entrambi notificati il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22 ottobre 2008 e rispettivamente iscritti ai nn. 69 e 70 del registro ricorsi 2008.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 novembre 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi gli avvocati Luigi Manzi per le Regioni Emilia-Romagna e Veneto, Mario Bertolissi per la sola Regione Veneto e gli avvocati dello Stato Maria Letizia Guida e Guido Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 20 ottobre 2008, la Regione Emilia-Romagna ha promosso questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni contenute nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

Fra le disposizioni oggetto di censura si trovano gli artt. 38, comma 3, e 43, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, come modificati dalla legge di conversione n. 133 del 2008, della cui legittimità la Regione ricorrente dubita in riferimento al principio di leale collaborazione.

1.1.– Con riguardo alla prima delle due disposizioni censurate la ricorrente Regione, dopo aver sinteticamente esposto il contenuto dei primi due commi, osserva che il comma 3 prevede che con regolamento di delegificazione, adottato su proposta del Ministro per lo sviluppo economico e di quello per la semplificazione normativa, sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-Città, «si procede alla semplificazione e al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive di cui al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica» 20 ottobre 1998, n. 447.

Siffatta previsione, secondo la ricorrente Regione – nonostante la indicazione contenuta nel comma 2 dell’art. 38, in base alla quale essa sarebbe volta ad assicurare l’efficienza del mercato, la libera concorrenza ed i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali – inciderebbe, invece, sulle materie, di competenza regionale, attinenti alla disciplina delle attività produttive, risultando in tal modo illegittima in quanto violativa, atteso il coinvolgimento della Conferenza unificata solo ai fini della acquisizione del parere e non della previa intesa, del principio della leale collaborazione.

La illegittimità costituzionale sarebbe riscontrabile, d’altra parte, aggiunge la ricorrente, anche se si intendesse ricondurre la disposizione censurata a materie di competenza esclusiva statale; infatti, essendo innegabile la interferenza della medesima con le richiamate competenze regionali, secondo i principi stabiliti dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 31 del 2005, sarebbe in ogni caso, necessaria la acquisizione dell’intesa con la Conferenza unificata e non l’acquisizione del solo parere.

1.2.– Riguardo all’art. 43, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, come modificato, in sede di conversione, dalla legge n. 133 del 2008, la Regione ricorrente osserva che esso, nel prevedere la adozione di un decreto ministeriale a contenuto non regolamentare volto a stabilire criteri, condizioni e modalità per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi funzionali, riguarda le imprese in generale, venendo in tal modo ad incidere su materie, attinenti alle attività produttive, di competenza regionale “piena”. Pertanto, sarebbe illegittimo prevedere che, in contrasto con la nota giurisprudenza costituzionale sulla “chiamata in sussidiarietà”, il ricordato decreto ministeriale sia adottato «sentita la Conferenza Stato-Regioni» e non d’intesa con questa.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo, per ciò che concerne le doglianze ora in esame, per la infondatezza del ricorso.

2.1.– In particolare, con riferimento alla impugnazione dell’art. 38, comma 3, la difesa erariale rileva che l’obiettivo della disposizione è l’elaborazione di un procedimento trasparente, unitario ed efficace volto a rimuovere gli ostacoli regolamentari ed amministrativi posti dai singoli enti territoriali e finalizzato ad assicurare regole paritarie di accesso al mercato.

Si tratta, pertanto, di norma a garanzia della trasparenza, concorrenzialità e libertà del mercato rientrante, quindi, nella materia tutela della concorrenza, attribuita alla legislazione statale esclusiva dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

Aggiunge la parte resistente che il riordino della disciplina dello sportello unico costituisce adempimento di un obbligo comunitario; infatti la direttiva n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi del mercato interno), all’art. 6, paragrafo 1, impone agli Stati dell’Unione la predisposizione delle misure necessarie per consentire ai prestatori di servizi di avvalersi, per l’espletamento di procedure e formalità, di “sportelli unici”.

2.2.– Riguardo alle doglianze relative all’art. 43, comma 1, la resistente contesta la pertinenza al caso del precedente – richiamato, invece, dalla ricorrente – costituito dalla sentenza n. 63 del 2008 di questa Corte. Infatti in quella occasione la Corte dichiarò la illegittimità costituzionale di diversa disposizione la quale non prevedeva alcuna forma di raccordo fra l’organismo statale e la realtà regionale; ma con la sentenza in questione, afferma la Avvocatura, non si affermò che l’unico livello di coinvolgimento rispettoso del principio di leale collaborazione fosse l’intesa.

La disposizione censurata, la quale, in quanto finalizzata al sostegno di imprese in difficoltà ubicate nelle zone svantaggiate, giustifica la “attrazione in sussidiarietà” in deroga al normale riparto delle competenze, appare rispettare, data la previsione della acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni, il dettato della citata decisione della Corte.

3.– Con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 20 ottobre 2008, anche la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni contenute nel decreto legge n. 112 del 2008.

3.1.– Fra le disposizioni oggetto di censura si trova l’art. 43, comma 1, del citato d.l. n. 112 del 2008, come modificato dalla legge di conversione n. 133 del 2008, della cui legittimità la Regione ricorrente dubita in relazione all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione e in relazione al principio di leale collaborazione.

La ricorrente Regione, in particolare, osserva che con la disposizione censurata il legislatore ha previsto che, con decreto – di carattere non regolamentare – del Ministro dello sviluppo economico, emanato sentita la Conferenza Stato-Regioni, siano stabiliti i criteri per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno di investimenti privati, destinati a favorire l’attrazione e la realizzazione di progetti di sviluppo di impresa.

Si tratta, pertanto, di aiuti finanziari ad imprese che possono operare in svariati settori, molti dei quali (come industria, commercio, turismo, servizi, pesca, allevamento, agricoltura) afferenti a materie rientranti nella competenza legislativa – ora residuale, ora concorrente – regionale. L’intervento legislativo statale, se destinato ad incidere su materie di esclusiva competenza regionale si porrebbe in contrasto con l’art. 117, quarto comma, della Costituzione; se, invece, riferito a materie di potestà concorrente, non limitandosi a porre “principi fondamentali”, violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Aggiunge la ricorrente che, essendo rimessa la determinazione di criteri, condizioni e modalità dei predetti interventi ad un decreto ministeriale, non regolamentare, la violazione dell’art. 117 della Costituzione sarebbe ancora più grave.

Infine, anche se si ritenesse che l’intervento legislativo statale, poiché finalizzato al «rafforzamento della struttura produttiva del Paese», possa giustificare una deroga al riparto di competenze fissato dall’art. 117 della Costituzione, nondimeno esso sarebbe viziato da illegittimità costituzionale, non essendo state previste adeguate forme di raccordo e di leale collaborazione fra Stato e Regioni.

Infatti, la semplice previsione della acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni, in luogo della più intensa forma di raccordo costituita dalla intesa, non sarebbe mezzo idoneo a giustificare la deroga al normale riparto di competenze fra Stato e Regioni e la attrazione in sussidiarietà in favore del primo.

Ciò, tanto più ove si consideri che, non essendo prevista l’intesa con la Conferenza permanente, lo Stato potrà in futuro modificare le regole fissate con decreto ministeriale, senza un ulteriore coinvolgimento della Conferenza stessa.

4.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo, per ciò che concerne le doglianze ora in esame, per la infondatezza del ricorso.

4.1.– In particolare, la difesa erariale osserva che il censurato intervento normativo è volto all’«incremento del prodotto interno lordo in quanto destinat[o] a rafforzare la struttura produttiva del Paese»: esso, quindi, – sempre secondo l’Avvocatura – pertiene alla competenza legislativa dello Stato.

Con la disposizione censurata si è, peraltro, provveduto a realizzare il coinvolgimento delle Regioni in quanto è previsto per un verso che il decreto ministeriale col quale sono fissati criteri, condizioni e modalità di concessione delle agevolazioni sia adottato sentita la Conferenza Stato-Regioni e, per altro verso, che la fase della programmazione e realizzazione delle opere infrastrutturali sia eseguita con la cooperazione di Regioni ed enti locali interessati.

Rileva, infine, la Avvocatura che la Regione ricorrente, nel richiedere il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni nelle forme della intesa non tiene nel dovuto conto la circostanza che le agevolazioni finanziarie rientrano nella competenza legislativa statale e vengono realizzate attingendo a risorse dello Stato.

5.– In prossimità della data fissata per l’udienza pubblica sia l’Emilia-Romagna che il Veneto hanno depositato memorie illustrative contenenti ulteriori argomentazioni difensive.

5.1.– La prima, con riferimento all’art. 38 del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, rileva che il comma 2 è stato oggetto di modificazioni per effetto sia dell’art. 40, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), sia dell’art. 11-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga dei termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. Esse concernono il comma 2, non impugnato – nel quale è stato inserito l’espresso riferimento sia alle materie di cui alle lettere e) ed r) dell’art. 117, secondo comma, Cost. sia alla direttiva comunitaria 2006/123/CE –, ed il comma 3, il quale, nel testo attualmente vigente, prevede che il regolamento di delegificazione ivi previsto, sia adottato col concerto anche del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione.

Si tratta di modifiche che, ad avviso della Regione, comunque non incidono significativamente sui termini della questione.

Ciò detto, la Regione contesta che la norma impugnata possa essere ascritta alla materia della tutela della concorrenza, attenendo ad aspetti organizzativi dello “sportello unico” ed automatizzandone le modalità di accesso, ma lasciando inalterata la sottostante disciplina sostanziale. A tale proposito, osserva come lo schema di decreto di delegificazione predisposto in sede governativa, si limita ad abrogare il solo d.P.R. n. 447 del 1998, che detta la attuale disciplina dello “sportello unico”. Da quanto sopra la ricorrente deduce, non risultando possibile individuare una materia prevalente, la interferenza della norma censurata con quelle, di competenza regionale, relative alle attività produttive.

Da ciò, ribadisce la Regione, deriverebbe la illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui essa non prevede la previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Né ad una diversa conclusione si giungerebbe ove si valorizzasse l’aspetto legato alla affermata attuazione della direttiva comunitaria 2006/123/CE, posto che la medesima direttiva, all’art. 6, paragrafo 2, prevede che la istituzione degli sportelli unici non pregiudica la ripartizione delle funzioni propria dei singoli Stati dell’Unione.

5.2.– Riguardo all’art. 43, comma 1, la Regione ritiene che non sia corretto far derivare, come invece ha fatto la Avvocatura erariale, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2008 la non necessità della intesa al fine di rendere legittima la, pur riconosciuta, chiamata in sussidiarietà operata dallo Stato. Quest’ultima, come si ricava dalla giurisprudenza della Corte a partire dalla sentenza n. 303 del 2003, è, viceversa, legittimamente  esercitata solo attraverso lo strumento dell’intesa. Dalla sentenza inizialmente citata, semmai, prosegue la ricorrente, si ricava che le attività di impresa, nella loro varietà, afferiscono complessivamente, alle materia agricoltura, commercio, industria, pesca, turismo ed altre, tutte essenzialmente di competenza regionale.

Stante, pertanto, il coinvolgimento delle competenze regionali, l’attuazione della disposizione legislativa impugnata deve avvenire tramite il preventivo esperimento della intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

5.3.– La Regione Veneto, a sua volta, contestando la ascrivibilità della disciplina dettata dall’art. 43 del d.l. n. 112 del 2008 alle tematiche connesse al rafforzamento della struttura produttiva del Paese, rileva come essa, invece, incide su svariati settori materiali di competenza legislativa, sia concorrente che esclusiva, regionale. Irrilevante è, poi, la circostanza che le risorse impiegate per il finanziamento alle imprese siano di provenienza statale; è, infatti, nota la giurisprudenza della Corte in tema di fondi a destinazione vincolata da cui deriva l’illegittimità delle disposizioni che li istituiscono ove essi siano relativi ad ambiti di competenza regionale.

La ricorrente non ritiene, quindi, riconducibile la normativa censurata alla materia della tutela della concorrenza, trattandosi di disposizioni dal contenuto piuttosto indeterminato, destinate ad essere precisate solo tramite l’emanando decreto del Ministro dello sviluppo economico, come tali non idonee ad incidere sull’equilibrio economico generale.

Quanto, infine, alla violazione del principio di leale collaborazione, essa sarebbe rinvenibile sia in relazione alla fase di adozione del citato decreto ministeriale, incidendo questo in ambiti materiali di competenza regionale – posto che la acquisizione del mero parere della Conferenza unificata lascerebbe aperta la possibilità per lo Stato di provvedere, successivamente, anche in contrasto col parere stesso – sia in relazione alla fase di programmazione e realizzazione delle infrastrutture, in quanto, ove non venga raggiunto l’accordo in sede di conferenza di servizi entro il termine di cui all’art. 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il Ministero potrebbe provvedere autonomamente approvando i progetti per cui è previsto il finanziamento.

Considerato in diritto

1.– Con distinti ricorsi la Regione Emilia-Romagna e la Regione Veneto hanno sollevato diverse questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni contenute nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

2.– Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel d.l. n. 112 del 2008, vengono in esame in questa sede le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento al principio di leale collaborazione, degli artt. 38, comma 3, e 43, comma 1, del citato decreto-legge, come modificato dalla legge di conversione n. 133 del 2008, e dell’art. 43, comma 1, del ricordato decreto-legge n. 112 del 2008, come risultante a seguito della conversione in legge, sollevate dalla Regione Veneto, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione e al principio di leale collaborazione.

2.1.– Attesa la connessione esistente fra i due ricorsi ora in esame, i relativi giudizi vanno riuniti così che possano essere decisi con un’unica sentenza.

3.– L’art. 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 è impugnato dalla Regione Emilia-Romagna in quanto, a suo avviso, esso, nella parte in cui prevede che, con regolamento di delegificazione adottato su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per la semplificazione normativa, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e successive modificazioni (di seguito: Conferenza unificata), si procede alla semplificazione ed al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive di cui al regolamento previsto dal d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447 (Regolamento recante norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l’ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l’esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonché per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59), violerebbe il principio di leale collaborazione poiché, incidendo direttamente, o comunque, interferendo sulle materie di competenza regionale piena attinenti alle attività produttive (industria, commercio, agricoltura, artigianato, turismo etc.), considera sufficiente la espressione del solo parere da parte della Conferenza unificata e non anche il raggiungimento della previa intesa con questa.

3.1.– L’art. 43, comma 1, a sua volta, è impugnato sia dalla Regione Emilia-Romagna che dalla Regione Veneto.

3.2.– In particolare, la prima Regione si duole che detta disposizione – nello stabilire che, «per favorire l’attrazione degli investimenti e la realizzazione di progetti di sviluppo di impresa rilevanti per il rafforzamento della struttura produttiva del Paese, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, sono stabiliti i criteri, le condizioni e le modalità per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali» – preveda che il citato decreto, emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e con il Ministro della semplificazione normativa, sia adottato – in asserito contrasto col principio di leale collaborazione – “sentita” la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e di Bolzano (di seguito: Conferenza Stato-Regioni) e non sia acquisita l’intesa con questa. Ciò nonostante che, avendo la disposizione medesima ad oggetto le materie di competenza regionale piena concernenti le attività produttive (industria, commercio, agricoltura, artigianato, turismo etc.), sarebbe stata necessaria la più intensa forma di coinvolgimento regionale nella adozione del ricordato decreto.

3.3.– La seconda Regione lamenta che il ricordato intervento legislativo, «se destinato a trovare attuazione in ambiti di potestà legislativa regionale esclusiva, configura una lesione all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, se attuato in materia di potestà concorrente», posto che non si limita a dettare una normativa di principio, viola l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Aggiunge la ricorrente che, seppure si ritenesse che l’intervento legislativo sia conforme al riparto di competenza fissato dall’art. 117 Cost., esso, comunque, non sarebbe rispettoso del principio di leale collaborazione, essendo invece necessario, al fine di legittimare l’operata attrazione in sussidiarietà, che il raccordo fra lo Stato e le Regioni si realizzi nella forma dell’intesa, ciò anche per evitare che, in futuro, lo Stato possa intervenire, modificando la regolamentazione, senza coinvolgere la Conferenza Stato-Regioni.

4.– La questione di legittimità costituzionale riguardante l’art. 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008 non é fondata.

4.1.– Deve, preliminarmente, darsi atto che, successivamente alla proposizione del ricorso della Regione Emilia-Romagna, l’art. 38 del decreto-legge n. 112, già, peraltro, oggetto di modificazioni in sede di conversione in legge, è stato ulteriormente modificato. Una prima volta a seguito della entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che, all’art. 40, ha previsto, oltre alla integrale sostituzione del comma 2 del ricordato art. 38 del decreto-legge n. 112 del 2008, anche l’inserimento di talune interpolazioni al testo del comma 3 della medesima norma. Una seconda volta per effetto della legge 3 agosto 2009, n. 102, con la quale è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), il cui testo contiene l’art. 11-ter – inserito, appunto, in sede di conversione in legge – il quale ha previsto la soppressione di una delle interpolazioni introdotte nel comma 3 dell’art. 38 del decreto-legge n. 112 col ricordato art. 40 della legge n. 69 del 2009.

Poiché le sopravvenute modificazioni, dato il loro carattere sostanzialmente marginale, come riconosciuto dalla stessa parte ricorrente, non modificano in modo significativo il quadro normativo, e certamente non in modo satisfattivo delle istanze della Regione ricorrente, e tenuto, altresì, conto del fatto che la disposizione censurata non ha avuto alcuna applicazione nella sua versione originaria, la questione come proposta si intende trasferita sul testo attualmente vigente dell’art. 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008.

4.2.– Ciò premesso, questa Corte osserva che la materia nell’ambito della quale è stata emanata la disposizione censurata deve essere rinvenuta, non nel coacervo, peraltro indeterminato, di materie afferenti a industria, commercio, agricoltura, artigianato, turismo etc., complessivamente compendiato dalla Regione sotto la generica denominazione di “attività produttive”, ma in quella, affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione, del «coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati della amministrazione statale, regionale e locale».

Già in passato questa Corte ha avuto modo di chiarire che la disciplina dello sportello unico per le attività produttive è fondata «sulla concentrazione in una sola struttura […] della responsabilità dell’unico procedimento attraverso cui i soggetti interessati possono ottenere l’insieme dei provvedimenti abilitativi necessari per la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi, nonché sulla concentrazione nello “sportello unico” […] dell’accesso a tutte le informazioni da parte dei medesimi soggetti interessati: ciò al fine di evitare che la pluralità delle competenze e degli interessi pubblici oggetto di cura in questo ambito si traduca per i cittadini in tempi troppo lunghi e in difficoltà di rapporti con le amministrazioni» (sentenza n. 376 del 2002).

Si tratta di un’esigenza che è stata avvertita anche in sede comunitaria, di talché l’art. 6 della direttiva 2006/123/CE ha previsto al paragrafo 1 che «Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori possano espletare le procedure e le formalità seguenti, mediante i punti di contatto denominati sportelli unici:

a) tutte le procedure e le formalità necessarie per poter svolgere le loro attività di servizi, in particolare le dichiarazioni, notifiche o istanze necessarie ad ottenere l’autorizzazione delle autorità competenti, ivi comprese le domande di inserimento in registri, ruoli, banche dati, o di iscrizione ad organismi o ordini ovvero associazioni professionali;

b) le domande di autorizzazione necessarie all’esercizio delle loro attività di servizi».

Se è vero che il paragrafo 2 dello stesso articolo prevede che «L’istituzione degli sportelli unici non pregiudica la ripartizione di funzioni e competenze tra le autorità all’interno dei sistemi nazionali», tuttavia non sarebbe certo funzionale alle previste esigenze «di semplificare ulteriormente la procedura amministrativa» (punto 48 del “considerando”) un sistema che unificasse gli sportelli con riferimento alle attività che vengono ad essere svolte ma che prevedesse una diversità di procedure a seconda della Regione in cui quelle attività sono effettuate. Ed infatti nel suddetto punto 48 del “considerando” della direttiva è precisato che «Quando la competenza spetta a diverse autorità a livello regionale o locale» possono essere esercitate funzioni di coordinamento. Si evocano, quindi, proprio quelle attività di coordinamento che il nostro ordinamento costituzionale attribuisce, come competenza legislativa esclusiva, allo Stato con la lettera r) del secondo comma dell’art. 117 Cost. È altresì previsto, sempre nel citato “considerando”, che «Gli sportelli unici sono destinati a svolgere un ruolo importante di assistenza al prestatore sia come autorità direttamente competente a rilasciare i documenti necessari per accedere ad un’attività di servizio sia come intermediario tra il prestatore e le autorità direttamente competenti».

Palese è, quindi, la funzione di coordinamento perseguita dalla normativa che disciplina compiti e funzionamento dello “sportello unico per le imprese”, attraverso la istituzione di un procedimento amministrativo uniforme volto a consentire ai soggetti in possesso dei requisiti di legge la intrapresa della attività economica. Ciò non solo al fine di garantire, attraverso la uniformità e la ragionevole snellezza del procedimento, la maggiore trasparenza ed accessibilità del mercato, sì da assicurare le migliori condizioni di concorrenza, ma anche al fine di dare contenuto al precetto di cui all’art. 41 della Costituzione, il quale assegna, fra l’altro, alla legge dello Stato il compito di determinare i controlli opportuni affinché la iniziativa economica, anche privata, sia coordinata a fini sociali.

4.3.– La attribuzione allo Stato dell’ambito materiale in cui è stata adottata la norma censurata rende chiara la infondatezza della censura avente ad oggetto la violazione del principio di leale collaborazione, posto che, stante l’imputazione dell’intervento normativo alla competenza esclusiva dello Stato, le esigenze di raccordo che quest’ultimo ha ravvisato con le istanze regionali sono adeguatamente tutelate già attraverso la necessaria acquisizione del parere della Conferenza unificata.

5.– Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, con legge n. 133 del 2008 non è fondata per quanto concerne la asserita violazione del principio di leale collaborazione, mentre è inammissibile per ciò che attiene la violazione, lamentata dalla sola Regione Veneto, del terzo e quarto comma dell’art. 117 della Costituzione.

5.1.– Con riferimento specifico a quest’ultima censura, rileva questa Corte che non solo la Regione Veneto solleva il dubbio di costituzionalità evocando, in un rapporto di alternatività irrisolta, i citati due commi della suddetta disposizione costituzionale, senza chiarire se, nella sua prospettazione, la norma censurata sia riferibile ad ambiti di competenza regionale concorrente oppure residuale, ma anche omette di indicare quale sarebbe, a suo avviso, l’ambito di competenza regionale (vuoi residuale, vuoi concorrente) invaso dalla normativa statale. Siffatta vaghezza argomentativa, rendendo incerti i termini della doglianza regionale, cagiona la inammissibilità, sotto il descritto profilo, della questione.

5.2.– Riguardo, invece, alla violazione del principio di leale collaborazione – consistente, secondo l’avviso di ambedue le Regioni ricorrenti, nel fatto che la norma impugnata preveda che la adozione del decreto ministeriale col quale sono fissati criteri, modalità e condizioni per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti aventi lo scopo di rafforzare la struttura produttiva del Paese, con particolare riferimento alle aree svantaggiate del Mezzogiorno d’Italia, sia preceduta dalla sola acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni e non dalla previa intesa – questa Corte osserva che la doglianza regionale non è giustificata, posto che, anche in questo caso, la competenza legislativa, nell’esercizio della quale è stata emanata la disposizione censurata, risulta essere esclusivamente statale.

Siffatta disposizione è, infatti, riconducibile all’utilizzo di «strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico» (sentenza n. 14 del 2004). Va, infatti, osservato che la particolare destinazione dei benefici di cui al decreto ministeriale in discorso alle aree del Mezzogiorno, rende palese la finalità dell’intervento come volto «a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (sentenza n. 175 del 2005), di talché esso può, a giusta ragione, essere inquadrato nell’ambito delle azioni positive volte a rimuovere gli squilibri economici e sociali, di cui all’art. 119, quinto comma, della Costituzione.

Siffatto inquadramento esclude che possa ritenersi violato il principio della leale collaborazione là dove la disposizione statale prevede che il coinvolgimento delle istanze regionali che essa stessa ravvisa – istanze peraltro richiamate anche in sede di materiale redazione del decreto ministeriale in questione, dato che si afferma che questo deve stabilire le modalità di cooperazione con le Regioni e gli altri enti locali interessati nella gestione degli interventi finanziari considerati dalla norma – si realizzi a livello di acquisizione di parere e non di intesa.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi e riservata a separate pronunce la decisione sulle questioni sollevate relativamente ad altre disposizioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dai ricorsi in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, sollevata, con riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe (ric. n. 69 del 2008);

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata, con riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe (ric. n. 70 del 2008);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata, con riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Regione Veneto con i ricorsi in epigrafe (ric. n. 69 del 2008 e n. 70 del 2008).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2010.