Sentenza n. 252 del 1983

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SENTENZA N. 252

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

P            rof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 58 e 65 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni degli immobili urbani), in relazione agli artt. 27, 28 e 29 della stessa legge e degli artt. 657 e segg. del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse in data 26 ottobre 1981 dal Pretore di Cirié, 23 gennaio 1982 dal Pretore di Torino, 2 febbraio, 29 gennaio, 6 marzo, 9 aprile 1982 (n. 5 ordinanze) dal Pretore di Cirié, 15 aprile (n. 2 ordinanze), 6 e 24 maggio, 1 e 17 giugno 1982 dal Pretore di Roma, 30 aprile, 26 giugno 1982 (n. 2 ordinanze) dal Pretore di Cirié, 8 giugno 1982 dal Pretore di Roma, 24 agosto e 27 luglio 1982 (n. 3 ordinanze) dal Pretore di Carrara e 3 settembre 1982 dal Pretore di Udine, rispettivamente iscritte al n. 805 del registro ordinanze 1981 ed ai nn. 177, 243, 244, da 402 a 407, 424, 425, 426, 501, 528, 559, 561, 663, 664, 689, 719, 739, 740, 741 e 776 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 96, 248, 262, 317, 324, 331, 351 e 357 dell'anno 1982. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 febbraio 1983 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un processo civile tra Collovati Ida, locatrice, e Crepaldi Paolo, conduttore, avente per oggetto licenza per finita locazione ai sensi dell'art. 58 lett. c, della legge 27 luglio 1978 n. 392, il Pretore di Cirié, con ordinanza del 26 ottobre 1981 (in G. U. n. 96 del 7 aprile 1982, reg. ord. n. 805 del 1981), sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge citata per contrasto con gli artt. 3, 41, secondo e terzo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione.

Precisava il Pretore che l'impugnato art. 3 - nella parte in cui attribuisce al locatore il diritto di non rinnovare il contratto alla sua scadenza quadriennale, anche in assenza di una propria necessità - sembrava contrastare col principio di eguaglianza, non tutelando l'interesse del conduttore alla stabilità del rapporto e dando così luogo a "sperequazioni" in suo danno.

La norma appariva altresì in contrasto con il criterio dell'utilità sociale, a cui il secondo e terzo comma dell'art. 41 Cost. sottopongono l'iniziativa economica privata, nonché con la funzione sociale della proprietà di cui all'art. 42 secondo comma Cost.

2. - Il medesimo Pretore sollevava le stesse questioni di legittimità costituzionale, senza motivarne la rilevanza nei giudizi a quibus, con le ordinanze 2 febbraio 1982, in causa Valenti Antonino contro Tomei Ivo (in G. U. n. 262 del 22 settembre 1982, reg. ord. n. 243 del 1982); 6 marzo 1982, in causa Eterno Giovanni contro Boetani Raffaele (reg. ord. n. 402 del 1982 in G. U. n. 317 del 17 novembre 1982); con cinque ordinanze in data 9 aprile 1982, in causa Bertolino Renato contro Di Perna Ignazio (reg. ord. n. 403 del 1982); Bertolino Renato contro Dalena Francesco (reg. ord. n. 404 del 1982), tutt'e due pubblicate in G. U. n. 317 del 17 novembre 1982; Bertolino Renato contro Chiardola Giancarlo (reg. ord. n. 405 del 1982), Bria Franco contro Maestrello Alberto (reg. ord. n. 406 del 1982); Bria Franco contro Testa Mario (reg. ord. n. 407 del 1982), tutt'e tre pubblicate in G. U. n. 324 del 24 novembre 1982; 30 aprile 1982, in causa Regaldo Miranda contro Lipera Natale (in G. U. n. 351 del 22 dicembre 1982, reg. ord. n.561 del 1982); 26 giugno 1982, in causa Brach Prever Giampiero contro Salabrini Attilio (in G. U. n. 357 del 29 dicembre 1982, reg. ord. n. 633 del 1982), 26 giugno 1982, in causa Brach Prever Giampiero contro Di Benedetto Michelino (in G. U. n. 357 del 29 dicembre 1982, reg. ord. n. 664 del 1982).

Il Pretore, nell'ordinanza 29 gennaio 1982, in causa soc. Alfa Centauri contro Cardone Carmelo (in G. U. n. 262 del 22 settembre 1982, reg. ord. n. 244 del 1982) sollevava infine questione di legittimità costituzionale dell'art. 65 1. n. 392 del 1978, che richiama il precedente art. 3 per i contratti in corso all'entrata in vigore della legge stessa, rifacendosi, mutatis mutandis, ai motivi già addotti con l'ordinanza di cui al n. 1.

3. - Nel corso di un processo civile tra Faccioli Arturo, locatore, e Pofi Gino, conduttore, avente per oggetto sfratto per finita locazione, il Pretore di Torino, con ordinanza del 23 gennaio 1982 (in G. U. n. 248 dell'8 settembre 1982, reg. ord. n. 177 del 1982) sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 65 della legge n. 392 del 1978, nonché degli artt. "657 e ss." cod. proc. civ.

Il Pretore dubitava che le dette norme, in quanto permettevano al locatore di determinare lo scioglimento del rapporto locativo senza dimostrare un suo interesse prevalente sull'interesse del conduttore all'abitazione (artt. 1 e 3 l. n. 392 del 1978), anche nel caso di contratti in corso all'entrata in vigore della legge citata (art. 65) e servendosi di un procedimento speciale (art. 657 e ss. cod. proc. civ. cit.), contrastassero con gli artt. 2, 3, 41, 42, 47 Cost.

Osservava il giudice a quo che gli artt. 2 e 3 Cost., garantendo i diritti inviolabili della persona, esigendo l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale e sancendo il principio di eguaglianza, escludevano che il bene abitativo potesse essere sottratto al conduttore dal proprietario il quale avesse con altri immobili già soddisfatto le sue "esigenze abitative".

Il contrasto tra le disposizioni impugnate e l'art. 3 Cost., veniva prospettato altresì considerando il più favorevole (e ingiustificato) trattamento riservato nella materia ora detta dagli artt. 27, 28, 29 l. n. 392 del 1978 ai conduttori di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione.

Notava ancora il Pretore che, gli artt. 41 e 42 Cost. tutelavano l'iniziativa economica e la proprietà privata solo nei limiti dell'utilità sociale.

Riteneva infine il giudice rimettente che l'art. 47 Cost., parlando di accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, configurasse un diritto alla casa concettualmente distinto dal diritto di proprietà sulla medesima: ché, anzi, ove il soggetto avesse già soddisfatto il proprio interesse all'abitazione, il diritto di proprietà su una casa eccedente il suo bisogno avrebbe dovuto cedere rispetto all'interesse dell'inquilino ad abitare.

4. - Nel corso di un processo civile tra Malizia Saverio e Antognozzi Osvaldo, il Pretore di Roma, con ordinanza del 15 aprile 1982 (in G. U. n. 324 del 24 novembre 1982, reg ord. n. 424 del 1982) sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 58, 65, l. n. 392 del 1978, dubitando che essi, disciplinando l'istituto della finita locazione contrastassero: con l'art. 3 Cost., in quanto il "mancato accesso alla proprietà" di un alloggio discriminerebbe il cittadino; con l'art. 31 Cost., perché i detti articoli ostacolerebbero la formazione della famiglia; con l'art. 42 Cost., dato che essi ostacolerebbero altresì la proprietà "come aspirazione di coloro che non ne hanno ancora l'attuale godimento e non sono in grado di accedervi".

5. - Lo stesso Pretore emetteva le seguenti ordinanze di contenuto identico a quella di cui ora s'é detto: 15 aprile 1982, in causa Giuli Giulia contro Antonelli Gioacchino (reg. ord. n. 425 del 1982); 6 maggio 1982 in causa Marucci Americo contro Oreti Dante (reg. ord. n. 426 del 1982), entrambe in G. U. n. 324 del 24 novembre 1982; 24 maggio 1982, in causa Giorgi Giorgio contro Di Rosa Umberto (reg. ord. n. 501 del 1982); 1 giugno 1982, in causa Alfonso Salvatore contro Gianvincenzo Silvana (reg. ord. n. 528 del 1982), entrambe in G. U. n. 331 del 1 dicembre 1982; 17 giugno 1982, in causa Valli Giannetto contro Giustri Anna (in G. U. n. 351 del 22 dicembre 1982, reg. ord. n. 559 del 1982), 8 giugno 1982, in Causa Stramacci Maria Paola contro Serra Elena (in G. U. n. 357 del 29 dicembre 1982, reg. ord. n. 689 del 1982).

6. - Questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 58 l. n. 392 del 1978, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 Cost., con motivazione sostanzialmente coincidente con quella dell'ordinanza del Pretore di Torino, venivano sollevate dal Pretore di Carrara con quattro ordinanze di identico contenuto emesse in data 24 agosto 1982, in causa Ceccarelli Velia contro Gatti Bernardo (reg. ord. n. 719 del 1982) nonché in data 27 luglio 1982, in causa Landucci Vittorio contro Cecchi Mirella (reg. ord. n. 739 del 1982), in causa Boni Pietro contro Ricci Domenico (reg. ord. n. 740 del 1982) e in causa Musetti Nilde contro Antonio Enrico (rea. ord. n. 741 del 1982).

Le stesse questioni venivano sollevate altresì, ma impugnando il solo art. 3 l. cit., dal Pretore di Udine con ordinanza 3 settembre 1982, emessa in causa Colledan Ida contro soc. Rai-Radiotelevisione Italiana (reg. ord. n. 776 del 1982).

Tutte le dette ordinanze, regolarmente comunicate e notificate, venivano pubblicate nella G. U. n. 357 del 29 dicembre 1982.

7. - La Presidenza del Consiglio dei ministri interveniva in tutte le cause, eccependo preliminarmente la inammissibilità di alcune delle ordinanze perché motivate senza alcun riferimento alle fattispecie concrete. Nel merito l'interveniente osservava che l'insindacabile scelta da parte del locatore di non rinnovare la locazione esprimeva una facoltà compresa nel diritto di proprietà sulla casa e che la solidarietà sociale, di cui all'art. 2 della Costituzione, non comportava il consolidamento giuridico di ogni situazione di fatto, quale la detenzione dell'immobile da parte del conduttore.

Quanto all'art. 3 Cost., la Presidenza del Consiglio negava che l'inquilino si trovasse in una posizione di ineguaglianza rispetto al locatore, considerate complessivamente le disposizioni della legge n. 392 del 1978. Inoltre la situazione del conduttore di una casa d'abitazione non poteva parificarsi a quella del conduttore di un immobile non abitativo, che perseguiva finalità economiche diverse, operando in peculiari condizioni ed essendo soggetto ad un canone liberamente determinato: ciò che giustificava la diversità di trattamento lamentata in alcune delle ordinanze di rimessione.

Era infine da escludere che la funzione sociale attribuita dall'art. 42 Cost. alla proprietà privata potesse portare a svuotare questo diritto del suo contenuto (l'iniziativa economica privata, di cui all'art. 41, era estranea alla materia in esame), e che l'art. 47 Cost. conferisse una rilevanza pubblica alle abitazioni private.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze in epigrafe sollevano, sia pure sotto profili e con argomenti non sempre coincidenti, la medesima questione; pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Va poi rilevato che, dei provvedimenti di rimessione del Pretore di Cirié, risultano adeguatamente motivati soltanto quelli di cui ai nn. 805/81 e 244/82 reg. ord., mentre tutti gli altri (nn. 243, da 402 a 407, 561, 663 e 664/82) non danno affatto ragione della rilevanza della prospettata questione sulle fattispecie concrete che formano oggetto dei singoli giudizi di merito: pertanto, rispetto ad essi si impone una pronunzia di inammissibilità.

3. - I giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale degli artt. l, 3, 58 e 65 della legge 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. legge sull'equo canone), i quali considerano il contratto di locazione come contratto a tempo determinato, con la conseguenza che allo spirare del termine finale, pattuito convenzionalmente ovvero stabilito dalla legge, cessa il relativo rapporto (a meno che non vi sia stata volontaria rinnovazione). Secondo i predetti giudici, il legislatore ordinario avrebbe dovuto disciplinare il negozio in esame come contratto a tempo indeterminato e abilitare il locatore a riavere il godimento del bene esclusivamente in presenza di una "giusta causa". Al riguardo vengono invocati, come parametri, gli artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 Costituzione, ma in proposito é da osservare che alcuni di tali precetti sono richiamati nelle ordinanze di rimessione con affermazioni assiomatiche ovvero approssimative, per cui non é facile coglierne l'effettivo significato e la reale incidenza sulla questione prospettata.

4. - Ciò si verifica rispetto all'art. 2 prima parte della Costituzione, invocato dal Pretore di Torino sulla considerazione che la "stabilità della situazione abitativa" costituirebbe il "presupposto sine qua (rectius quo) non" per l'esercizio dei diritti inviolabili e perciò dovrebbe essere garantita dal legislatore "nel modo più lato".

Rileva in proposito la Corte che indubbiamente l'abitazione costituisce, per la sua fondamentale importanza nella vita dell'individuo, un bene primario il quale deve essere adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge (cfr. per qualche riferimento: sent. 20 marzo 1980 n. 33). Ciò va ribadito in un momento tanto delicato del mercato edilizio nazionale anche sulla scorta dell'art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre 1948) e dell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (approvato il 16 dicembre 1966 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificato dall'Italia il 15 settembre 1978 in seguito ad autorizzazione disposta con l. 25 ottobre 1977 n. 881) che auspicano l'accesso di tutti gli individui all'abitazione.

Né la Corte può omettere di osservare che il complesso ed annoso problema potrà essere avviato - almeno parzialmente - a soluzione soltanto se vi sarà quel necessario e indispensabile sviluppo dell'edilizia pubblica e privata che determini un adeguato incremento dell'offerta di alloggi. La disciplina dell'equo canone presupponeva appunto per il suo buon funzionamento un congruo aumento di case di abitazione, aumento che doveva conseguire alla contestuale legge 5 agosto 1978 n. 457, nota come "piano decennale per l'edilizia", la quale, invece, per varie ragioni, non ha avuto la necessaria attuazione.

Ma, ciò precisato, deve la Corte rilevare come non possa convenirsi con l'ordinanza di rimessione nel considerare l'abitazione come l'indispensabile presupposto dei diritti inviolabili previsti dalla l.a parte dell'art. 2 della Costituzione, trattandosi di una costruzione giuridica del tutto estranea al nostro ordinamento positivo. Se, invero, i diritti inviolabili sono, per giurisprudenza costante, quei diritti che formano il patrimonio irretrattabile della personalità umana, non é logicamente possibile ammettere altre figure giuridiche, le quali sarebbero dirette a funzionare da "presupposti" e dovrebbero avere un'imprecisata, maggiore tutela.

5. - Del pari non sembra puntuale il richiamo dello stesso Pretore all'art. 2 seconda parte Cost. relativo ai doveri inderogabili di solidarietà al cui adempimento i cittadini sono tenuti. Come questa Corte ha ripetutamente affermato, spetta al legislatore l'individuazione di tali doveri nonché dei modi e dei limiti relativi all'adempimento stesso (cfr. sent. n. 12/1972; n. 29/1977). E tale orientamento non può non essere confermato e seguito, essendo evidente come l'individuazione suddetta vada effettuata nell'ambito di un'ampia discrezionalità in quanto implica il necessario contemperamento di opposti interessi: essa pertanto esorbita dai compiti della Corte, alla quale spetta soltanto il giudizio di legittimità costituzionale con esclusione di ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento (art. 28 l. 11 marzo 1953 n. 87).

6. - Tutti i giudici rimettenti hanno invocato come parametro anche l'art. 3 Cost. in quanto le norme impugnate violerebbero, secondo l'assunto dei giudici stessi, il principio di eguaglianza sotto duplice profilo e cioè: a) perché trascurerebbero la tutela della parte meno abbiente, ossia più debole, quale il conduttore; b) perché rispetto alla durata del contratto riserverebbero al conduttore di immobile destinato ad abitazione un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto al conduttore di immobile destinato ad uso diverso.

Riguardo al primo aspetto, osserva la Corte che quanto dedotto dai giudici a quibus non concerne propriamente il principio di eguaglianza, per la chiara eterogeneità delle situazioni considerate, ma in effetti si risolve nella censura fondamentale, relativa ai limiti della proprietà edilizia nei rapporti intersoggettivi tra conduttore e locatore - di cui si dirà in seguito - e pertanto rimane in essa assorbita. Una propria autonomia ha invece il secondo profilo, con cui le ordinanze di rimessione lamentano una disparità di trattamento tra conduttore di immobile destinato ad uso di abitazione e conduttore di immobile destinato ad altro uso: a quest'ultimo, secondo le dette ordinanze, sarebbe riservato un trattamento migliore, in quanto egli, alla scadenza del contratto, ha diritto, in base agli artt. 28 e 29 cit. l. n. 392 del 1978, alla rinnovazione dello stesso (a meno che non ricorra una giusta causa per il locatore, come previsto appunto nel suddetto art. 29): rinnovazione che invece non é prevista per gli immobili destinati ad uso di abitazione, mentre l'ordinamento giuridico dovrebbe apprestare al conduttore di tali immobili una garanzia più energica ed efficace a tutela del bene primario costituito dall'abitazione.

La censura non può essere condivisa.

Per stabilire correttamente se vi sia la pretesa parità delle situazioni prospettate - parità che, com'è noto, sta alla base del principio di eguaglianza - e la corrispondente ingiustificata diseguaglianza di trattamento da parte delle norme impugnate, i giudici a quibus avrebbero dovuto comparare le stesse situazioni in base alla normativa applicabile complessivamente considerata e non già, come hanno fatto, sulla scorta di singole disposizioni, avulse dal sistema introdotto con la l. n. 392 del 1978.

Ora, in proposito é decisivo osservare come il regime dell'equo canone si applica soltanto agli immobili adibiti ad uso di abitazione (art. 12 e segg. l. cit.) e non pure a quelli destinati ad uso diverso, sicché tale differente regime, che incide in maniera assai rilevante nei rapporti tra locatore e conduttore (sono note le pressanti insistenze dei conduttori di immobili non destinati ad abitazione per estendere anche a loro la disciplina dell'equo canone) esclude già di per sé la possibilità di configurare la parità delle situazioni messe a raffronto.

Inoltre devesi aggiungere che, come già rilevato dalla Relazione ministeriale al Disegno di legge, il trattamento differenziato, quanto alla durata del contratto, trova fondamento anche nella eventualità che gli operatori economici debbano investire somme non indifferenti per utilizzare l'immobile ai fini dell'attività commerciale o industriale praticate.

E tutto ciò conferma che non sussiste la dedotta violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.

7. - Non sembra poi pertinente quanto dedotto esclusivamente dal Pretore di Roma, secondo cui la disciplina vigente in tema di durata del contratto di locazione contrasterebbe con l'art. 31 Costituzione, in quanto ostacolerebbe la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi.

A parte, invero, ogni considerazione sul carattere puramente direttivo della norma, va rilevato che essa può concernere soltanto quelle situazioni legate da un rapporto di necessità con la formazione della famiglia e non già tutto ciò che in maniera puramente indiretta ed eventuale può avere qualche riflesso su di essa. E necessario, in altri termini, un nesso di stretta conseguenzialità tra il fatto considerato e la formazione della famiglia e non soltanto una possibile mera influenza di carattere indiretto o riflesso. E proprio per ciò questa Corte ha già ritenuto, rispetto ad una fattispecie diversa ma riconducibile allo stesso principio, l'estraneità del suindicato precetto costituzionale (cfr. sent. n. 4 del 1976) relativamente alla materia delle locazioni.

8. - Parimenti non sembra pertinente il richiamo contenuto nelle ordinanze dei Pretori di Cirié, Torino, Roma, Carrara e Udine, all'art. 41 Cost., concernente l'iniziativa economica privata: infatti quest'ultima si sostanzia nella libertà di svolgere attività relative alla funzione imprenditoriale, mentre le norme impugnate si riferiscono soltanto al godimento di un bene non produttivo quale l'immobile destinato ad abitazione. Del resto, sembra che gli stessi giudici a quibus abbiano richiamato l'art. 41 non tanto in sé considerato quanto per trarre dal limite dell'utilità sociale, in esso sancito, un elemento per rafforzare le ragioni addotte a favore dell'impugnativa in base all'art. 42 Cost. su cui, come già si é accennato, si incentra il vero problema.

9. - Esso é prospettato in maniera sostanzialmente coincidente da tutte le ordinanze di rimessione, le quali pongono l'accento sul secondo comma del cit. art. 42 per dedurne che il diritto di proprietà deve adempiere ad una funzione sociale e che pertanto non sarebbe consentita la cessazione del rapporto di locazione per il mero spirare del termine finale: il contratto deve durare, secondo le predette ordinanze, a tempo indeterminato (a meno che non vi sia rinuncia da parte del conduttore) sin quando non intervenga "una giusta causa" che sola può consentire al locatore di riottenere la disponibilità dell'immobile.

La Corte non crede di poter consentire sull'interpretazione dell'art. 42 secondo comma Cost. data dai giudici a quibus, dovendo invece confermare il suo orientamento, numerose volte espresso.

La norma suddetta non ha, come pure si é sostenuto da una parte della dottrina, trasformato la proprietà privata in una funzione pubblica. Ciò inequivocabilmente risulta dal suo preciso tenore: "La proprietà privata é riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti". La Costituzione dunque ha chiaramente continuato a considerare la proprietà privata come un diritto soggettivo, ma ha affidato al legislatore ordinario il compito di introdurre, a seguito delle opportune valutazioni e dei necessari bilanciamenti dei diversi interessi, quei limiti che ne assicurano la funzione sociale.

Indubbiamente detta funzione, con il solenne riconoscimento avuto dalla Carta fondamentale, non può più essere considerata, come per il passato, quale mera sintesi dei limiti già esistenti nell'ordinamento positivo in base a singole disposizioni; essa rappresenta, invece, l'indirizzo generale a cui dovrà ispirarsi la futura legislazione. Ma - ripetesi - l'attuazione dell'indirizzo suddetto é riservata, per il testuale disposto costituzionale, al legislatore ordinario, il quale dovrà provvedervi secondo il criterio indicato dal Costituente.

Non si può quindi convenire nell'impostazione di fondo delle ordinanze di rimessione, che accolgono un'interpretazione non consentita dal dettato costituzionale.

10. - Va poi osservato che la disciplina del contratto di locazione fa parte di un complesso normativo (la c.d. legge sull'equo canone), in cui le singole disposizioni sono strettamente collegate, non solo sul piano giuridico ma anche - e forse ancor più - su quello economico e sociale: non é perciò possibile, come invece vorrebbero le ordinanze di rimessione, incidere su una singola disposizione, essenziale e qualificante nell'economia dell'assetto normativo, trascurando i riflessi e le necessarie conseguenze sull'intera disciplina. Ciò rende ancor più chiaro come si chieda alla Corte una pronunzia la quale sostanzialmente comporta una rielaborazione della materia, il che, all'evidenza, é compito esclusivo del legislatore.

Né ha consistenza il generico richiamo, di cui all'ordinanza del Pretore di Torino, alle legislazioni della Francia e della Repubblica federale tedesca, giacché quanto é avvenuto in quei Paesi con l'emanazione di nuove leggi (successive alla detta ordinanza: Loi n. 82-526 du 22 juin 1982 relative aux droits et obligations des locataires et des bailleurs; Gesetz zur Erhohung des Angebots an Mietwohnungen del 20 dicembre 1982) conferma che in questa materia vi é largo spazio per la discrezionalità delle scelte da parte del legislatore (il che in linea di principio non comporta, ben s'intende, che la scelta adottata sia sottratta all'osservanza dei principi costituzionali).

Neppure può considerarsi esatta l'asserzione dello stesso Pretore, secondo cui il principio della durata illimitata del contratto (salvo giusta causa di recesso) sarebbe stata accolta dalle predette legislazioni: e ciò perché il cosiddetto droit au maintien del conduttore trova, nella legislazione francese, numerosi e congrui strumenti di bilanciamento a favore del locatore, mentre il principio del berechtigtes Interesse, che nella legislazione tedesca legittimerebbe esso soltanto lo scioglimento del rapporto di locazione, é fortemente limitato, per non dire sostanzialmente accantonato, nella legge sopra citata, volta - come risulta anche dal suo titolo - a superare una situazione di stasi nel mercato degli affitti.

Si deve quindi concludere che le scelte operate dal legislatore italiano non appaiono incompatibili con la norma costituzionale ora considerata: ciò non significando, ovviamente, che, nell'ambito di discrezionalità lasciato dal Costituente alla legge ordinaria, le dette scelte siano le sole compatibili con la Carta fondamentale e che non possano essere mutate.

11. - A sostegno della proposta impugnativa il Pretore di Torino ha richiamato anche l'art. 47 secondo comma Cost. nella parte in cui dispone che la Repubblica "favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione". Ma il richiamo non sembra conferente in quanto la norma cit., come agevolmente si desume dal suo tenore, é diretta a promuovere e favorire la proprietà privata dell'abitazione; e ciò, non solo e non tanto al fine di rendere la proprietà accessibile a tutti, il che é già previsto nell'art. 42 secondo comma Cost., quanto, particolarmente, allo specifico scopo di accogliere e soddisfare un'aspirazione largamente diffusa nel nostro Paese, per cui la proprietà dell'abitazione é considerata una condizione di tranquillità e sicurezza (é noto come l'Italia abbia in Europa il maggior numero - che oscilla sul 60% - di case abitate da proprietari).

Quanto dedotto dall'ordinanza di rimessione risulta antitetico alla volontà della norma costituzionale, perché il suo accoglimento non porterebbe a favorire la formazione del risparmio quale mezzo di accesso alla proprietà dell'abitazione, ma al contrario, facendo perdurare illimitatamente il rapporto locatizio, disincentiverebbe la tendenza al risparmio medesimo, con l'intuitiva conseguenza di ridurre - e non estendere - il numero delle persone che possono divenire proprietarie dell'immobile da adibire a propria abitazione (cfr. in tali sensi: sent. l6 aprile 1980 n. 58) .

La Corte non ignora che da qualche scrittore é stata avanzata una diversa lettura del cit. art. 47, che garantirebbe il diritto all'abitazione, ma la proposta interpretazione, pur se abilmente sostenuta, non risulta consentita dai comuni canoni ermeneutici e pertanto non può trovare accoglimento. Senza dire che, in ogni caso, la disciplina del preteso diritto dovrebbe essere posta dal legislatore, rientrando nella sua discrezionalità la scelta dei modi più idonei per il raggiungimento del fine proposto; sicché, se anche la premessa fosse esatta, non ne deriverebbe affatto la conseguenza che ne vorrebbe trarre il giudice a quo.

12. - Esaurito così l'esame delle impugnate norme di natura sostanziale, devesi, infine, brevemente accennare alla parte residua dell'ordinanza del Pretore di Torino, il quale dubita anche della legittimità costituzionale delle norme di cui agli artt. 657 e segg. cod. proc. civile, i quali, secondo la formulazione dell'ordinanza di rimessione, da un lato, esonerano il locatore dal provare la giusta causa e non consentono al conduttore di far valere le proprie esigenze abitative; e, dall'altro, non permettono al giudice di valutare i contrapposti interessi delle parti, impedendogli "di realizzare così, con il processo, l'obiettivo di giustizia sostanziale".

Sembra alla Corte che la censura non costituisca altro che la ripetizione di quanto dedotto sul terreno del diritto sostanziale e valgono quindi i rilievi esposti in quella sede; comunque, se diverso ne fosse il senso, si deve aggiungere come non sarebbe ammissibile, in base al vigente assetto costituzionale, l'adombrata pretesa di mediazione, da parte del giudice, tra conflitti di interessi in base a sue personali valutazioni di "giustizia sostanziale" spettando, invece, al legislatore regolare i rapporti intersoggettivi e al giudice applicare le relative norme.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi:

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Pretore di Cirié con le ordinanze nn. 243, 402, 403, 404, 405, 406, 407, 561, 663, 664 del 1982;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 58 e 65 l. 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. legge sull'equo canone) nonché degli artt. 657 e segg. cod. proc. civile sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 Cost. dai Pretori di Torino, Roma, Carrara e Udine con le ordinanze indicate in epigrafe e dal Pretore di Cirié con le ordinanze nn. 805 del 1981 e 244 del 1982.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI -  Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 15 luglio 1983.