Sentenza n. 239 del 1982

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SENTENZA N. 239

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Calabria 30 agosto 1973, n. 14 (Misure di protezione delle coste in attesa dell'approvazione del piano urbanistico regionale), degli artt. 1 e 3 (recte: 2) cpv. della legge della Regione Calabria 28 maggio 1975, n. 18 (Proroga, con modifiche e integrazioni, della legge regionale n. 14 del 1973) e degli artt. 1 e 5 della legge della Regione Campania 13 maggio 1974, n. 17 (Misure temporanee di tutela urbanistica in attesa dell'approvazione dei piani regolatori generali dei comuni costieri e del piano regionale di assetto urbanistico territoriale), promossi con le ordinanze emesse il 7 aprile 1976 dal Pretore di Belvedere Marittimo, il 27 febbraio 1976 dal Pretore di Scalea, il 24 aprile 1976 dal Pretore di Pisciotta, il 19 gennaio e il 22 aprile 1977 dal pretore di Scalea e il 23 novembre 1977 dal Tribunale di Paola (quattro ordinanze), rispettivamente iscritte ai nn. 420, 421 e 615 del registro ordinanze 1976, ai nn. 97 e 416 del registro ordinanze 1977 ed ai nn. 170, 171, 172 e 173 del registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 177, 184 e 300 del 1976, nn. 107 e 299 del 1977 e n. 164 del 1978.

Visti gli atti di intervento della Regione Calabria e della Regione Campania;

udito nell'udienza pubblica del 20 ottobre 1982 il Giudice relatore Francesco Saja.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Sabato Lelio, imputato del reato di cui all'art. 13 lett. b della legge 6 agosto 1967 n. 765 in relazione agli artt. 1 e seguenti della legge della regione Calabria 30 agosto 1973 n. 14, per avere iniziato con licenza edilizia i lavori di sopraelevazione di un edificio a meno di centocinquanta metri dal demanio marittimo, nel territorio del comune di Belvedere Marittimo (comune non provvisto di piano regolatore generale), il pretore della medesima città, con ordinanza del 7 aprile 1976 (in G. U. n. 184 del 14 luglio 1976), sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge regionale citata.

Il pretore osservava anzitutto che il legislatore regionale, vietando nei comuni sprovvisti di piano regolatore generale l'edificazione nell'interno del demanio marittimo ed entro una zona di centocinquanta metri dallo stesso, o dal ciglio dei terreni sul mare, aveva inteso dettare norme a "protezione delle coste", così valicando i limiti di materia di cui all'art. 117 della Costituzione: infatti la protezione delle coste rientrava nella tutela del paesaggio (art. 9 Cost.), riservata alla legislazione statale, e non nella materia urbanistica, concernente soltanto l'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati.

Il giudice a quo osservava inoltre che l'art. 3 della detta legge, stabilendo, per le violazioni della medesima, l'applicazione delle "norme previste dalla legislazione urbanistica nazionale", aveva configurato un nuovo reato, il cui precetto era contenuto nel divieto di edificazione di cui al citato art. 1 e la cui sanzione era indicata nell'art. 13 lett. b della legge n. 765 del 1967. Ma ciò sembrava al pretore porsi in contrasto con la riserva di legge statale in materia penale, stabilita dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione, nonché con l'art. 3 della Costituzione stessa, data la connessione tra principio di eguaglianza ed unità dell'ordinamento penale. Né il richiamo a sanzioni previste in leggi statali escludeva la violazione della riserva, stante la novità della fattispecie di reato configurata dal legislatore regionale.

La regione Calabria interveniva in data 18 settembre 1976, ossia oltre il termine di cui all'art. 25 l. 11 marzo 1953 n. 87 modificato dall'art. 3 delle Norme integrative del 16 marzo 1956, sostenendo potersi applicare nel giudizio costituzionale la legge 7 ottobre 1969 n. 742 sulla sospensione dei termini processuali per ferie.

2. - Gli artt. 1 e 3 della legge regionale citata venivano denunciati, sempre in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost. e con argomenti analoghi a quelli del pretore di Belvedere Marittimo, dal pretore di Scalea con ordinanze del 27 febbraio 1976 e del 19 gennaio 1977 (in G. U. n. 177 del 7 luglio 1976 e n. 107 del 20 aprile 1977), emesse nei procedimenti penali a carico di Sollazzo Felice ed altro, imputati del reato previsto dall'art. 13 della legge n. 765 del 1967 per avere iniziato con licenza edilizia una costruzione a meno di centocinquanta metri dal demanio marittimo, ed a carico di Oliva Teresa, soggetta alla stessa imputazione (il fatto era stato commesso però senza il previo conseguimento della licenza edilizia).

La regione interveniva oltre il suddetto termine di legge in relazione alla prima ordinanza e, quanto alla seconda, negava che le norme denunciate configurassero un nuovo tipo di reato, in quanto il richiamo alle sanzioni previste nelle leggi statali era puramente pleonastico, riguardando comportamenti già punibili ai sensi di queste stesse leggi.

3. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Trama Sofia, imputata del reato di cui all'art. 13 lett. b della legge n. 765 del 1967 per avere iniziato, nel comune di Pisciotta, la costruzione di un edificio a distanza inferiore a cinquecento metri dal mare, il pretore della medesima città, con ordinanza del 24 aprile 1976 (in G. U. n. 300 del 10 novembre 1976), sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 5 della legge regionale campana 13 maggio 1974 n. 17, il primo vietante le costruzioni nei cinquecento metri di fascia costiera e il secondo richiamante, per il caso di violazione, "le sanzioni di cui all'art. 32, terzo comma, della legge 17 agosto 1942 n. 1150 ed all'art. 13 della legge 6 agosto 1967 n. 765".

Sembrava al pretore che questo richiamo ponesse le norme denunciate in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, per le stesse ragioni addotte dal pretore di Scalea.

La regione Campania interveniva chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione.

4. - Con ordinanza del 22 aprile 1977 (in G. U. n. 299 del 2 novembre 1977), emessa nel procedimento penale a carico di Bello Giuseppe ed altro, imputati del reato di cui all'art. 13 lett. b della legge n. 765 del 1967 per avere eseguito nel comune di Praia a Mare una costruzione con licenza edilizia decaduta, il pretore di Scalea sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della già citata legge regionale calabra n. 14 del 1973.

Il pretore rilevava preliminarmente che il citato art. 1 vietava l'edificazione in determinate zone dei comuni non provvisti di piano regolatore generale; che l'art. 2 stabiliva la decadenza delle licenze edilizie già rilasciate per le dette zone, oltre i termini stabiliti dallo stesso articolo e poi prorogati dall'art. 4 della successiva legge regionale 28 maggio 1975 n. 18; che, nella specie, agli imputati era addebitato di avere iniziato la costruzione oltre i detti termini.

Ciò premesso, il pretore dubitava che l'art. 1 della legge n. 14 del 1973 contrastasse con l'art. 3 Cost., non sembrandogli giustificabile l'esclusione dal divieto di edificazione dei comuni provvisti di piano regolatore generale e non anche dei comuni provvisti di programma di fabbricazione, stante l'efficacia sostanzialmente equivalente di questi due strumenti urbanistici in materia di previsioni di inedificabilità.

Sembrava ancora al pretore che gli artt. 1 e 2 citati contrastassero con principi generali espressi nella materia urbanistica dalla legislazione statale, e quindi con l'art. 117 Cost., e precisamente: a) col principio secondo cui le licenze edilizie possono decadere soltanto per effetto di "nuove previsioni" urbanistiche (art. 10 della legge n. 765 del 1967), e b) col principio secondo cui le misure di salvaguardia possono essere stabilite dalla legge solo a tutela di piani regolatori già adottati, mentre il divieto in questione era dettato in vista dell'approvazione di un piano regolatore non ancora adottato.

La regione interveniva, negando la fondatezza delle questioni sia perché tra le "nuove previsioni" urbanistiche andavano compresi i divieti legislativi di edificazione, sia per la non parificabilità dell'efficacia dei piani regolatori generali ai programmi di fabbricazione.

5. - Con quattro ordinanze di identico contenuto emesse in data 23 novembre 1977 (in G. U. n. 164 del 14 giugno 1978) nei procedimenti penali a carico di Leta Libero ed altri, imputati del reato di cui all'art. 13 della legge n. 765 del 1967 per avere eseguito nel comune di Fuscaldo costruzioni a meno di centocinquanta metri dal demanio marittimo, il tribunale di Paola sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge regionale calabra n. 14 del 1973 nonché degli artt. 1 e 3 (recte: 2), capoverso, della legge regionale calabra n. 18 del 1975.

Il tribunale dubitava che le dette norme contrastassero con diversi principi generali della legislazione statale in materia urbanistica, e quindi con l'art. 117 Cost., e in particolare: a) con il principio secondo cui l'inedificabilità può essere sottoposta "a particolari condizioni e limitazioni", ma non esclusa in intere zone; b) col principio di temporaneità dei vincoli di inedificabilità, poiché la temporaneità del divieto imposto nelle norme denunciate non escludeva la prorogabilità di esso. Sembrava inoltre al tribunale che le dette norme contrastassero con gli artt. 3 e 25 Cost., per le ragioni esposte dai pretori di Belvedere Marittimo e di Scalea.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le nove ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte questioni identiche o connesse, concernenti due leggi regionali (l. 30 agosto 1973 n. 14 della regione Calabria, prorogata e modificata con l. 28 maggio 1975 n. 18 nonché la l. 13 maggio 1974 n. 17 della regione Campania), che hanno lo stesso oggetto; i relativi giudizi possono pertanto essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Va anzitutto rilevato che la regione Calabria é intervenuta nei giudizi concernenti le ordinanze di rimessione nn. 420 e 421 oltre il termine di cui all'art. 25 l. 11 marzo 1953 n. 87, modificato dall'art. 3 delle Norme integrative del 16 marzo 1956. Sostiene al riguardo la regione che l'intervento va considerato tempestivo, risultando applicabile la l. 7 ottobre 1969 n. 742, la quale prevede la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. In contrario si deve osservare che la sospensione concerne, secondo la testuale disposizione dell'art. 1 della citata legge, i termini relativi soltanto "alle giurisdizioni ordinarie e amministrative", sicché, come già questa Corte ha ritenuto (cfr. sent. 28 marzo 1973 n. 30 e 19 giugno 1974 n. 174), ne rimane escluso il processo costituzionale.

3. - Delle proposte questioni va per ragioni logiche esaminata per prima quella sollevata dal pretore di Belvedere Marittimo, il quale ha impugnato l'art. 1 della citata legge della regione Calabria, secondo cui "fino all'approvazione del piano urbanistico regionale, é vietato di eseguire, nel territorio dei comuni non provvisti di piano regolatore generale, costruzioni all'interno del demanio marittimo e entro una zona di centocinquanta metri (elevati a duecento dall'art. 2 della citata legge n. 18 del 1975) dal demanio medesimo o dal ciglio dei terreni sul mare".

L'ordinanza di rimessione muove dal rilievo che l'urbanistica concernerebbe esclusivamente l'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati, sicché non comprenderebbe anche quelle zone del territorio comunale, come quella considerata dalla legge impugnata, che non rientrano negli aggregati urbani. L'impugnata disposizione non riguarderebbe quindi la detta materia, attribuita dall'art. 117 Cost. alla potestà legislativa regionale, ma concernerebbe la tutela del paesaggio riservata dall'art. 9 Cost. alla competenza statale.

4. - La questione non é fondata.

Già secondo la l. 17 agosto 1942 n. 1150 la nozione di urbanistica comprendeva non solo l'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati ma anche "lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio dello Stato" (art. 1). Il successivo sviluppo della legislazione in subiecta materia (cfr., ad esempio, la l. 6 agosto 1967 n. 765 nonché la l. 19 novembre 1968 n. 1187) é tutto orientato verso tale ampia concezione, nel senso, cioé, che l'istituto comprende l'intero territorio senza limitazioni di sorta. Il che ha trovato ampia e precisa conferma nel d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (emanato, in attuazione della delega di cui all'art. 1 l. 22 luglio 1975 n. 382, per l'attuazione dell'ordinamento regionale), il quale all'art. 80 ridefinisce l'urbanistica come "la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente".

Conseguentemente ogni dubbio, se pure poteva giustificarsi per il passato (cfr. in proposito la sent. di questa Corte 24 luglio 1972 n. 141), non ha ormai ragion d'essere, e si deve quindi ritenere che l'urbanistica comprende tutto ciò che concerne l'uso dell'intero territorio (e non solo degli aggregati urbani) ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture.

Naturalmente la competenza regionale può subire restrizioni, come certamente si verifica per le opere pubbliche di interesse nazionale, rispetto alle quali é legittimo l'intervento statale (cfr., per le relative funzioni amministrative, l'art. 81 del cit. d.P.R. n. 616 del 1977), ma, sotto il profilo che qui interessa, non può consentirsi alla limitazione indicata nell'ordinanza di rimessione.

5. - Rilevato che nulla si oppone in linea di principio a ritenere che la disposizione impugnata si riferisca alla materia urbanistica, occorre esaminare se essa concerna effettivamente tale materia ovvero, come ritiene il pretore, sia diretta alla tutela del paesaggio.

Al riguardo va premesso che, secondo qualche opinione dottrinale, la tutela del paesaggio apparterrebbe alla competenza statale e regionale secondo la consueta ripartizione: allo Stato i principi e l'indirizzo, alla regione la legislazione di dettaglio e l'attività amministrativa. Ma tale tesi - in base alla quale nella presente causa diverrebbe intuitivamente irrilevante la su indicata distinzione perché la normativa de qua, avendo i caratteri di una legislazione di dettaglio, rientrerebbe pur sempre nella potestà regionale - non può essere condivisa. Vi si oppone la disposizione del secondo comma dell'art. 9 Costituzione, secondo cui la tutela del paesaggio é compito della Repubblica e quindi in prima linea dello Stato, disposizione correttamente intesa ed applicata dal ricordato d.P.R. n. 616 del 1977, il quale all'art. 82 ha delegato (in base all'art. 118, secondo comma, Cost.) e non trasferito alle regioni (come, invece, ha fatto per le materie previste dall'art. 117 della Costituzione stessa) le funzioni amministrative in materia.

Né in senso contrario potrebbe invocarsi il disposto del ricordato art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977, il quale completa la definizione dell'urbanistica, aggiungendo la previsione della "protezione dell'ambiente".

Questa, intesa in senso lato, comprende, com'è comunemente ammesso, oltre la protezione ambientale collegata all'assetto urbanistico del territorio, anche la tutela del paesaggio, la tutela della salute nonché la difesa del suolo, dell'aria e dell'acqua dall'inquinamento. Ma nel cit. art. 80 la formula legislativa é usata in senso restrittivo e riferita soltanto al profilo urbanistico, come risulta evidente dalla collocazione della disposizione, la quale é posta a completamento della nozione di urbanistica, mentre il cit. d.P.R. si occupa dell'ambiente inteso in senso diverso in altre e ben distinte disposizioni (cfr., tra l'altro, art. 82 cit. e Capo VIII del Titolo V).

6. - Ciò posto, osserva la Corte che intuitivamente la medesima zona di territorio può formare oggetto di provvedimenti normativi relativi al paesaggio ovvero concernenti l'urbanistica, provvedimenti i quali, come si é detto, sono attribuiti alla diversa competenza statale o regionale. Da ciò la necessità di un criterio discretivo, il quale non può essere altro che quello fornito dal contenuto e dallo scopo dell'atto (normativo), i quali qualificano l'atto stesso e ne determinano l'appartenenza all'una ovvero all'altra materia. In base a tale criterio, rileva la Corte come sia evidente che il provvedimento de quo non concerna la protezione di un valore estetico -culturale relativo alle bellezze paesistiche, nel che si sostanzia la nozione di paesaggio accolta dalla Costituzione; questa nell'art. 9, secondo comma, accomuna la tutela del paesaggio a quella del patrimonio storico ed artistico e detta il suo precetto, come già ha rilevato parte della dottrina, ai fini di proteggere e migliorare i beni (culturali) suddetti e contribuire così all'elevazione intellettuale della collettività.

L'estraneità della norma regionale alla materia concernente il paesaggio risulta anche dalla considerazione che la disposizione non é collegata con strumenti paesistici di alcun genere in atto o futuri e ciò non si sarebbe certo potuto verificare se il provvedimento avesse avuto per finalità la tutela a cui é diretto il cit. art. 9, secondo comma, della Costituzione.

Per converso, la legge de qua fa riferimento agli strumenti tipici della disciplina urbanistica e si inserisce appunto in tale prospettiva: così essa dispone che la sua disciplina ha carattere provvisorio "fino all'approvazione del piano urbanistico regionale" che dovrà prevedere i criteri e i limiti di utilizzazione delle zone; dispone ancora che la legge si applica ai comuni non provvisti di piano regolatore generale e cioè a quei comuni per cui non si é provveduto alla localizzazione e tipizzazione delle costruzioni sull'intero territorio comunale; stabilisce, infine, che il divieto da essa temporaneamente posto concerne tutte le opere per cui era richiesta la licenza edilizia (la legge regionale, come si é detto, é del 1973 e quindi anteriore alla legge 28 gennaio 1977 n. 10).

D'altro canto, la normativa impugnata é chiaramente ispirata alla duplice finalità di assicurare ai cittadini il più ampio godimento di una res communis (stabilimenti, parcheggi, ecc.) e di evitare i pericoli conseguenti alla corrosione del suolo antistante al mare, per cui sono necessari adeguati spazi per le opere di difesa (cfr. la legge 14 luglio 1907 n. 542).

Il che inequivocabilmente conferma come l'oggetto e lo scopo dell'impugnata normativa sia la disciplina urbanistica e quindi una materia che la regione ha legittimamente regolato.

7. - Tutte le ordinanze di rimessione relative alla legge della regione Calabria (ad eccezione di quella n. 416, del 1977, concernente il comune di Praia a Mare) ritengono che l'art. 3 della stessa legge avrebbe introdotto una nuova fattispecie criminosa e perciò contrasterebbe con la riserva assoluta di legge prevista dal secondo comma dell'art. 25 Costituzione ed anche con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, data la diversità di trattamento da regione a regione, che sotto il profilo penale deriverebbe dallo stesso comportamento.

La questione non é fondata.

La normativa de qua, dopo avere posto il ricordato divieto, testualmente dispone che "per le violazioni si applicano le norme previste nella legislazione urbanistica nazionale". Correttamente intesa, tale disposizione sta a significare che le costruzioni eseguite in violazione del divieto, in quanto effettuate senza il provvedimento abilitante dell'autorità (o, in quanto possibile, in difformità dal medesimo) ricadono, per la parte penale, sotto la previsione dell'art. 13 legge 6 agosto 1967 n. 765. Così interpretata - e non si vede quale altro significato sia possibile - alla disposizione predetta non può essere riconosciuta la funzione indicata nella ordinanza di rimessione; essa, invece, risulta inutile perché le sanzioni comminate dal cit. art. 13 si dovrebbero applicare in ogni caso per forza loro propria quando si sia realizzata la fattispecie criminosa, da esso prevista, della costruzione senza licenza (ovvero, eventualmente, in difformità dalla medesima). In altre parole, la norma denunciata non intende che debba essere punito il fatto, in sé considerato, di edificare entro la fascia costiera interdetta, bensì il fatto di edificarvi senza avere conseguito il provvedimento autorizzatorio, ovvero anche senza rispettare le prescrizioni ivi contenute. Né, come questa Corte ha rilevato nella sentenza n. 142 del 1969, può farsi differenza tra il caso in cui la legge statale intervenga successivamente a comminare sanzioni penali per l'inosservanza di leggi regionali anteriori e quello nel quale tali sanzioni, come nel caso in esame, già esistano nell'ordinamento nazionale. La situazione invero é sostanzialmente analoga nei due casi e non é consentita quindi al riguardo alcuna discriminazione.

Rileva, invece, che la regione abbia la potestà di intervenire nelle materie di sua competenza e che la fattispecie penale configurata dalla legge statale sia idonea a ricomprendere quanto successivamente previsto in funzione integratrice dalla legge regionale; la quale, in tal modo, non viene a creare, com'è evidente, alcuna nuova ipotesi di reato, né conseguentemente dà luogo ad alcuna disparità di trattamento penalistico tra le diverse parti del territorio nazionale.

8. - Il pretore di Scalea con l'ordinanza n. 416 relativa al comune di Praia a Mare impugna l'art. 1 della cit. legge della regione Calabria n. 14 del 1973 anche sotto altro profilo, in quanto esclude dal divieto di edificazione nelle zone da essa indicate i comuni provvisti di piano regolatore e non anche quelli (come il comune suddetto) che hanno un programma di fabbricazione. In proposito il giudice a quo, premesso che i due strumenti urbanistici avrebbero un'efficacia sostanziale equivalente, deduce che la disposizione in esame sarebbe viziata da un irrazionale disparità di trattamento, e quindi risulterebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Anche tale questione non é fondata.

Allorquando venne introdotto nel nostro ordinamento (con l'art. 34 della legge urbanistica n. 1150 del 1942), il programma di fabbricazione differiva notevolmente dal piano regolatore generale ed era prescritto come parte integrante del regolamento edilizio per i comuni sprovvisti di detto piano al solo fine di indicare l'ambito di ciascuna zona secondo le delimitazioni in atto o da adottarsi, con la precisazione dei relativi tipi edilizi; era anche consentito, ma non prescritto, che esso contenesse le eventuali direttrici di espansione.

In base alla successiva evoluzione legislativa, sia questa Corte (sent. 20 marzo 1978 n. 23) sia la giurisprudenza ordinaria e amministrativa hanno ritenuto che l'originario divario é stato ampiamente - se non completamente - colmato nel senso che il programma di fabbricazione può contenere delle previsioni riservate prima al piano regolatore generale (come, ad esempio, la disciplina dei vincoli urbanistici, su cui vedi la cit. sent. n. 23 del 1978). Ma tale possibilità non significa che il programma di fabbricazione debba avere necessariamente un contenuto analogo al piano regolatore generale e cioè considerare l'intero territorio comunale e comprendere tutti gli elementi indicati nell'art. 1 legge 19 novembre 1968 n. 1187, che ha sostituito l'art. 7 della legge urbanistica del 1942 (e cioè soprattutto la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti; la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona; le aree destinate a formare spazi di uso pubblico e sottoposte a speciali servitù; le aree da riservare agli edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale).

Il programma di fabbricazione invero può concernere soltanto una parte del territorio comunale ed avere un contenuto minore, il quale sia limitato agli elementi per esso prescritti dalle leggi vigenti e, quindi, non può ammettersi la piena equiparazione tra i due strumenti urbanistici.

Peraltro il programma di fabbricazione differisce dal piano regolatore generale anche per il procedimento meno rigoroso e garentistico previsto per la sua formazione dalla legislazione nazionale e, di regola, anche da quella regionale (cfr. anche su tal punto la ricordata sent. di questa Corte n. 23 del 1978). E probabilmente, proprio per evitare gli inconvenienti pratici e le incoerenze logiche derivanti dalla previsione normativa dei due (e diversi) istituti, alcune leggi regionali non prevedono più i programmi di fabbricazione e obbligano tutti i comuni a munirsi di piano regolatore generale (così, ad esempio, la l. 20 marzo 1975 n. 32 della regione Lazio e quella 15 aprile 1971 n. 51 della regione Lombardia).

Conseguentemente, data l'eterogeneità delle due situazioni, non può essere considerata irrazionale l'esclusione dal divieto dei comuni nei quali la disciplina era stata sicuramente predisposta con l'appropriato strumento urbanistico rappresentato dal piano regolatore generale, e non pure di quelli i quali avevano semplicemente un programma di fabbricazione in cui la disciplina della materia era puramente eventuale e, comunque, posta con minori garanzie.

9. - Il pretore di Scalea con la ricordata ordinanza n. 416 del 1977 solleva altre due questioni e precisamente deduce che:

a) gli artt. 1 e 2 della citata legge della regione Calabria n. 14 del 1973, che prevedono la decadenza delle licenze edilizie in precedenza rilasciate per le zone interessate dal divieto di edificazione, contrasterebbero con l'art. 117 Cost. perché contrari al principio fondamentale contenuto nella legislazione statale, secondo cui le licenze edilizie possono perdere efficacia solo per effetto di nuove previsioni urbanistiche e non di leggi contenenti misure di salvaguardia;

b) gli stessi artt. 1 e 2 della citata legge contrasterebbero con il citato art. 117 Cost. perché contrari ad altro principio fondamentale della legislazione statale in materia urbanistica, secondo cui le misure di salvaguardia possono essere stabilite dalla legge solo a tutela di piani regolatori già adottati, mentre le riportate disposizioni di legge si riferiscono ad un piano regolatore non ancora adottato.

Di analoghe questioni la Corte si é occupata recentemente, dichiarandone la non fondatezza con la sentenza 16 aprile 1982 n. 83, e tale orientamento, in mancanza di qualsiasi elemento contrario, va pienamente confermato e seguito.

10. - Anche infondata é la questione sollevata dal tribunale di Paola, secondo cui gli artt. 1 e 5 della citata legge regionale della Calabria modificati dalla l. 28 maggio 1975 n. 18 contrasterebbero con l'art. 117 della Costituzione, in quanto - a suo avviso - contrari al principio fondamentale della legislazione statale, secondo cui l' inedificabilità può essere sottoposta a particolari condizioni e limitazioni, ma non esclusa per intere zone.

Non sembra potersi negare, invece, che l'edificabilità per ragioni di interesse pubblico possa essere vietata rispetto ad intere zone, come dimostra il citato art. 1 della l. n. 1187 del 1968, il quale prescrive che il piano regolatore deve contenere, tra l'altro, "la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli da osservare in ciascuna zona" nonché "delle aree destinate a formare spazi di uso pubblico" (nn. 2 e 3). Com'è chiaro, tali previsioni normative, infatti, non consentono di condividere quanto dedotto - peraltro in forma assiomatica - dal giudice predetto. Inoltre può aggiungersi che, se in genere i vincoli urbanistici, preordinati o meno a una successiva espropriazione, possono concernere singole zone del territorio comunale, a maggior ragione ciò va ritenuto per i vincoli diretti a finalità di salvaguardia, come quelli posti dalla legge in esame, i quali per loro stessa natura hanno carattere contingente e strumentale.

Non sembra inutile ricordare, da ultimo, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. 6 maggio 1976 n. 106, 16 giugno 1971 n. 133, 29 maggio 1968 n. 56) che, sia pure ad altri fini, ha ritenuto legittimo il divieto di edificare in intere zone, disposto in via generale dalla legge con riferimento a caratteristiche intrinseche ed obiettive delle zone stesse.

11. - Lo stesso tribunale di Paola ritiene che gli artt. 1 e 5 della citata legge regionale della Calabria, modificati dalla legge reg. n. 18 del 1975, contrasterebbero con l'art. 117 Cost., in quanto contrari al principio fondamentale della legislazione statale secondo cui i divieti di edificabilità (e le misure di salvaguardia) sono legittimi solo se temporanei: tale esigenza - si deduce - non sarebbe soddisfatta dalla legge n. 14 del 1973, la quale, pur prevedendo un termine massimo di validità del divieto, non contiene una norma che vieti eventuali proroghe, le quali in effetti sono state successivamente disposte dal legislatore regionale.

Pure tale questione non e fondata.

É ben vero che alcuni vincoli urbanistici (e, per ciò che qui interessa, le misure di salvaguardia) debbono essere temporanei, ma non sembra che la temporaneità possa essere assicurata dal fatto che la norma, la quale li prevede, escluda la proroga del termine stabilito per la loro validità. Tale eventuale esclusione, invero, come questa Corte ha avvertito nella sent. 16 aprile 1982 n. 82, non avrebbe alcun concreto rilievo, ben potendo una legge successiva modificare quella precedente relativamente ai termini da questa stabiliti, anche se vi fosse una clausola di improrogabilità.

Il problema si può porre sotto altro e diverso profilo e, cioè, nel senso che le successive proroghe del termine iniziale darebbero luogo a una disciplina la quale nella realtà vanificherebbe il requisito della temporaneità, come nel caso di proroghe irrazionalmente disposte, con conseguente violazione dell'art. 3 primo comma della Costituzione; ma, sotto questo profilo, non vi é denunzia da parte del giudice a quo e pertanto la Corte non può occuparsi del relativo problema.

12. - Rispetto alle più volte ricordate leggi della regione Calabria (n. 14 del 1973 e n. 18 del 1975), deve conclusivamente dirsi che tutte le questioni proposte non sono fondate.

13. - Rimane da esaminare l'ultima questione, sollevata dal pretore di Pisciotta, il quale ha impugnato gli artt. 1 e 5 della legge della regione Campania 13 maggio 1974 n. 17, il primo dei quali vieta, in attesa dell'approvazione del piano urbanistico regionale, l'edificazione su una fascia costiera di cinquecento metri, mentre il secondo richiama, per la violazione del divieto, le sanzioni previste dalla legislazione nazionale (artt. 32 l. n. 1150 del 1942, 13 l. 6 agosto 1967 n. 765). Secondo l'ordinanza di rimessione, analogamente a quanto ritenuto dai giudici calabresi per le leggi della regione Calabria (retro, n. 7), tali norme introdurrebbero una nuova figura di reato e pertanto contrasterebbero con la riserva di legge statale contenuta nel secondo comma dell'art. 25 della Costituzione.

Anche tale questione non é fondata.

In proposito va anzitutto notato che la Corte di cassazione ha ritenuto che il richiamo della legge regionale concerne soltanto le sanzioni amministrative previste dalla normativa nazionale, sicché il problema con tale interpretazione addirittura non sorge.

Ma, se pur così non fosse, varrebbe in proposito quanto sopra é stato osservato per la legge della regione Calabria, in quanto le due norme hanno sostanzialmente lo stesso contenuto e pertanto la soluzione non può non essere la medesima.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle leggi della regione Calabria 30 agosto 1973 n. 14 (artt. 1, 2 e 3) e 28 maggio 1975 n. 18 (artt. 1 e 2 cpv.) nonché della legge della regione Campania 13 maggio 1974 n. 17 (artt. 1 e 5) sollevate dai pretori di Belvedere Marittimo, di Scalea e di Pisciotta nonché dal tribunale di Paola con le ordinanze in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 25 e 117 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 1982.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO - Ettore GALLO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1982.