Sentenza n. 23 del 1978

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SENTENZA N. 23

ANNO 1978

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 14, ultimo comma, e 48, della legge della Regione Lombardia n. 51 del 15 aprile 1975 (disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico); dell'art. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica); degli artt. 8, 12 e 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150); art. 1 della legge 30 Novembre 1973, n. 756 (proroga dell'efficacia della legge 19 novembre 1968, n. 1187); art. 1 commi primo e secondo, della legge della Regione Toscana del 24 febbraio 1975, n. 16 (norme relative ai programmi di fabbricazione e alle zone agricole); artt. 1 e 4 della legge della Regione Veneto 23 dicembre 1974, n. 59 (norme per la formazione di un programma delle aree da destinare all'esproprio e all'assoluta inedificabilità sulla base dei programmi di fabbricazione); promossi con le seguenti ordinanze:

 

 

1) ordinanza emessa il 21 maggio 1975 dal TAR per la Lombardia nel procedimento vertente tra Tognazzi Alberto e il Comune di Varedo e la Regione Lombardia, iscritta al n. 586 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 dell'11 febbraio 1976 e nel Bollettino regionale della Lombardia n. 4 del 28 gennaio 1976;

 

 

2) ordinanza emessa il 10 dicembre 1976 dal Consiglio di Stato - sezione IV giurisdizionale - nel corso del giudizio promosso da Pera Gemma ed altri contro la Regione Toscana ed altro, iscritta al n. 450 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 del 16 novembre 1977 e nel Bollettino regionale n. 61 del 4 novembre 1977;

 

 

3) ordinanza emessa il 10 dicembre 1976 dal Consiglio di Stato - sezione IV giurisdizionale - nel corso del giudizio promosso da Mallaby Pia Teresa ed altro contro la Regione Toscana ed altro, iscritta al n. 453 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 del 16 novembre 1977 e nel Bollettino regionale n. 61 del 4 novembre 1977;

 

 

4) ordinanza emessa il 3 marzo 1976 dal Pretore di Bassano del Grappa nel corso del procedimento penale a carico di Girardi Marcello, iscritta al n. 497 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 246 del 15 settembre 1976.

 

 

Visti gli atti di costituzione di Tognazzi Alberto, di Pera Gemma ed altri, del Comune di Varedo, del Comune di Asciano, della Regione Lombardia, della Regione Toscana, nonché gli atti di intervento della Regione Veneto e del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

 

udito nell'udienza pubblica del 18 gennaio 1978 il Giudice relatore Livio Paladin;

 

 

uditi gli avvocati Aldo Sandulli per Tognazzi, Adriano Pallottino per Pera ed altri, Alberto Predieri per il Comune di Asciano e per la Regione Toscana, Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia, Giovanni Miele e Antonio Ragazzini per la Regione Toscana, Giorgio Berti e Leonello D'Aloja per la Regione Veneto, ed il vice avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Nel corso di un giudizio concernente la legittimità del programma di fabbricazione del Comune di Varedo, in vista del quale era stata negata al ricorrente una licenza edilizia relativa ad un'area che lo stesso programma vincolava a verde di rispetto, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 14 ultimo comma e 48 della legge urbanistica della Regione Lombardia 15 aprile 1975, n. 51: il primo dei quali consente le sole modifiche dei programmi di fabbricazione "che comportino riduzione della edificabilità e l'introduzione di nuovi vincoli per attrezzature pubbliche e collettive"; mentre in base al secondo "i vincoli di aree... previsti dai programmi di fabbricazione di cui all'art. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, hanno efficacia entro i limiti temporali" fissati dalle leggi n. 1187 del 1968 e n. 756 del 1973, anche se stabiliti da programmi "approvati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge".

 

"Nonostante una indubbia evoluzione legislativa" - afferma testualmente il Tribunale - "non si é compiutamente pervenuti, da parte del legislatore nazionale, ad una piena e totale equiparazione" dei contenuti dei piani regolatori generali e dei programmi di fabbricazione; sicché si potrebbe ritenere che l'art. 14 ultimo comma abbia violato, derogando rispetto alla normale portata dei programmi di fabbricazione, un principio fondamentale stabilito o risultante in materia dalle leggi dello Stato. E, d'altra parte, l'art. 48 farebbe nascere il dubbio se il legislatore regionale, ridisciplinando per il passato situazioni già regolate da norme statali, non abbia violato anche il principio generale dell'irretroattività delle leggi, vincolante la potestà legislativa delle Regioni.

Si sono costituiti nel presente giudizio il ricorrente dott. Tognazzi, il Comune di Varedo e la Regione Lombardia.

La difesa del ricorrente ha in un primo tempo ipotizzato l'irrilevanza di entrambe le questioni di legittimità, notando che le norme impugnate potrebbero venire interpretate con esclusivo riguardo all'avvenire, senza incidere sull'accoglimento della domanda di licenza edilizia, presentata in precedenza dall'interessato. Con una successiva memoria, tuttavia, il ricorrente ha rilevato che in base all'interpretazione delle norme urbanistiche statali, sostenuta dalla costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, i programmi di fabbricazione non possono - salve le eccezioni stabilite e regolate da leggi speciali - introdurre vincoli di assoluta inedificabilità; tanto più che, se così non fosse, tali programmi verrebbero assimilati ai piani regolatori generali in violazione del principio di eguaglianza, mancando per i primi le garanzie procedimentali (inerenti alla pubblicità ed alle osservazioni deducibili dagli interessati) che sono invece previste per la formazione dei secondi: dal che deriverebbe, allora, un principio fondamentale della legislazione statale vigente in materia, che il legislatore regionale avrebbe violato. Inoltre, il ricorrente ha aderito alle ulteriori censure del giudice a quo, nell'ipotesi che l'art. 48 abbia effettivamente disposto per il passato, in violazione del principio di irretroattività, precludendo al Tribunale l'annullamento del programma di fabbricazione del Comune di Varedo.

Per converso, la difesa del Comune di Varedo ha preliminarmente eccepito l'irrilevanza delle questioni sollevate; e ciò, con particolare riguardo all'art. 14 ultimo comma, in quanto concernente la sola imposizione di vincoli nuovi. Nel merito, il Comune ha contestato che il divieto di introdurre previsioni d'inedificabilità per mezzo di un programma di fabbricazione possa elevarsi a principio fondamentale della materia: sia perché il principio stesso non sarebbe stato stabilito da alcuna norma specifica, sia perché l'ordinamento vigente offrirebbe elementi atti a superare l'interpretazione restrittiva del Consiglio di Stato. Secondariamente, il Comune ha sostenuto il carattere ricognitivo e non retroattivo dell'art. 48; ed ha comunque negato che l'irretroattività delle leggi sia concepibile come un principio generale dell'ordinamento, limitativo della legislazione regionale.

Del pari, la difesa della Regione ha notato che le deroghe introdotte in tal campo dalla stessa legislazione statale sarebbero tanto numerose, da far escludere la vigenza di un principio fondamentale avente per oggetto i contenuti necessari dei programmi di fabbricazione. In via subordinata, la Regione ha osservato che le norme impugnate non avrebbero valore innovativo: l'art. 14 ultimo comma consentirebbe la futura introduzione degli stessi tipi di vincoli già ammessi dalla legislazione statale previgente; mentre l'art. 48 non farebbe che confermare senza effetti retroattivi la durata dei vincoli imponibili dai programmi di fabbricazione (già in base alla cosiddetta legge-ponte del 1967), quale era stata fissata dalla legge n. 756 del 1973.

Successivamente una memoria della Regione ha rilevato, in primo luogo, che la stessa legge n. 756 del 1973 demanda alle "leggi emanate dalle regioni" la definitiva regolamentazione della materia; in secondo luogo, che la legge n. 10 del 1977, assoggettando a concessione ogni attività edilizia, avrebbe mutato il contesto entro cui va risolto il problema della legittimità dei vincoli derivanti dai programmi di fabbricazione; in terzo luogo, che le garanzie procedimentali proprie dei piani regolatori generali e non dei programmi di fabbricazione non imporrebbero di tener distinti i contenuti dei due tipi di strumenti urbanistici, dal momento che dette garanzie non sono nemmeno previste, quanto alle osservazioni dei proprietari interessati, dalla legge n. 1150 del 1942, e non rappresentano comunque - per costante giurisprudenza - un vero e proprio rimedio giuridico.

2. - In un procedimento penale riguardante un delitto di omissione di atti di ufficio, per la mancata decisione su una richiesta di licenza edilizia da parte del competente assessore comunale di Rossano Veneto, il Pretore di Bassano del Grappa ha impugnato gli artt. 1 e 4 della legge della Regione Veneto 23 dicembre 1974, n. 59, recante norme sui programmi di fabbricazione. L'art. 1, disponendo che "i programmi di fabbricazione... possono contenere indicazioni di aree preordinate all'esproprio o da vincolare all'assoluta inedificabilità", salva l'adozione di un apposito "programma dei vincoli", violerebbe un principio fondamentale del settore urbanistico, per le stesse ragioni già addotte dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia; ed altrettanto varrebbe per l'art. 4, che impone al Sindaco del Comune interessato di sospendere, fino all'approvazione del programma dei vincoli, "ogni determinazione sulla domanda di licenza edilizia in contrasto con le destinazioni... preordinate... dai programmi di fabbricazione vigenti o adottati". Ambedue le questioni sarebbero rilevanti, secondo il giudice a quo, anche perché l'imputato non avrebbe adempiuto all'obbligo previsto dall'art. 4, che prescrive di notificare alla parte richiedente il provvedimento di sospensione.

La Regione Veneto, intervenuta nel presente giudizio, ha invece affermato - preliminarmente - l'irrilevanza di entrambe le questioni: poiché il giudizio a quo dovrebbe comunque esser deciso sulla base dell'originario programma di fabbricazione nonché della legislazione, regionale o statale, vigente all'epoca dei fatti. Nel merito, la difesa della Regione si associa alla tesi che dalla legislazione statale non sia ricavabile un principio preclusivo di leggi regionali che attribuiscano ai programmi di fabbricazione possibilità vincolistiche; tanto più che il legislatore regionale avrebbe colmato - per l'avvenire - il divario procedurale fra programmi di fabbricazione e piani regolatori generali, associando ai primi l'apposito "programma dei vincoli" e disponendo in tal modo un opportuno sistema di garanzie.

3. - Da ultimo, la quarta sezione del Consiglio di Stato, nei giudizi su due ricorsi per l'annullamento dei programmi di fabbricazione dei Comuni di Capannori e di Asciano, perché impositivi di vincoli di assoluta inedificabilità, ha impugnato - rispettivamente - l'art. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, gli artt. 8, 12 e 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, l'art. 1 della legge 30 novembre 1973, n. 756, l'art. 1, primo e secondo comma, della legge della Regione Toscana 24 febbraio 1975, n. 16, nonché "ogni altra norma di legge parificante il contenuto del programma di fabbricazione e del piano regolatore generale"; ovvero - con la seconda delle due ordinanze di rinvio - i medesimi disposti della legge toscana e della legge-ponte, nonché ogni altra equivalente "norma di legge dello Stato". Stando alla prima ordinanza, é dubbia la legittimità delle norme legislative statali sui contenuti dei programmi di fabbricazione, se ed in quanto si assuma in proposito l'interpretazione opposta a quella accolta dal Consiglio di Stato: ossia che i programmi di fabbricazione ed i piani regolatori generali siano stati assimilati - come vorrebbe una certa corrente dottrinale - senza che nell'un caso vi siano garanzie procedimentali per le posizioni giuridiche sacrificate, e dunque in violazione degli artt. 3 e 42 Cost. A sua volta, la ricordata legge regionale Toscana sarebbe invece lesiva del limite dei principi fondamentali, per le stesse ragioni già addotte dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia.

Analoghe impugnative sono state poi proposte dalla seconda ordinanza, sia pure invertendo l'ordine delle argomentazioni ed invocando - quanto alle leggi statali impugnate - il solo art. 3 e non l'art. 42 Cost.

Nei conseguenti giudizi dinanzi a questa Corte si sono costituiti: le ricorrenti avverso il programma di fabbricazione del Comune di Capannori, la Regione Toscana, l'Avvocatura generale dello Stato (per il Presidente del Consiglio dei ministri), nonché il Comune di Asciano.

In particolare, la difesa del Comune di Asciano ha notato che il nuovo regime dei suoli non é più incardinato sull'introduzione di vincoli limitativi delle situazioni preesistenti: con il che dovrebbe venir riesaminata la rilevanza delle questioni prospettate dal giudice a quo. A parte ciò, la disciplina dei programmi di fabbricazione, quanto meno a partire dall'entrata in vigore della legge-ponte (specie per effetto della nuova normativa sugli standards e sulle procedure di approvazione degli strumenti urbanistici), non sarebbe più quella del 1942, essendo subentrata nel 1967 una disciplina fondamentalmente unitaria di programmi e di piani (come avrebbero poi evidenziato la legge n. 756 del 1973 e le successive proroghe, altre che una serie di altre leggi speciali). Non vi sarebbe dunque violazione dell'art. 117 primo comma Cost. da parte del legislatore toscano; né si potrebbe argomentare una lesione dell'art. 3, dato il carattere collaborativo, per l'attuazione del pubblico interesse, che le osservazioni dei privati assumono in tal campo (e dato che il contraddittorio non sarebbe costituzionalmente garantito nei procedimenti amministrativi).

Quanto alla Regione Toscana, anch'essa ha svolto analoghe considerazioni, notando specialmente che i programmi di fabbricazione rimangono distinti dagli altri strumenti urbanistici per la procedura formativa semplificata ed accelerata, in corrispondenza ai mezzi ed alle necessità dei Comuni minori, ma senza che per questo i loro contenuti vincolistici debbano essere diversificati. Al contrario, l'equiparazione dei vincoli introducibili da entrambi i tipi di atti costituirebbe ormai "un dato incontrovertibile della legislazione nazionale", su cui si sarebbe fondata la stessa normativa urbanistica toscana.

Altra é invece la posizione assunta dall'Avvocatura dello Stato, che ha sostenuto l'infondatezza delle questioni concernenti le norme urbanistiche statali sui programmi di fabbricazione, affermando che i loro contenuti sarebbero sempre rimasti diversi da quelli dei piani regolatori generali: come risulterebbe dal costante orientamento del Consiglio di Stato, espresso sia da un parere della seconda sezione, sia da una successiva decisione dell'adunanza plenaria, sia dalle attuali ordinanze della quarta sezione.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - Le quattro ordinanze in questione propongono alla Corte problemi diversi, concernenti la legittimità di norme urbanistiche statali e regionali, che vengono impugnate in vista di un loro eventuale contrasto - diretto od indiretto - con molteplici norme costituzionali. Nondimeno, i conseguenti giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza, dal momento che tutti presuppongono la determinazione dei contenuti vincolistici dei programmi di fabbricazione, compatibili con il vigente ordinamento generale dello Stato.

2. - Va presa anzitutto in esame l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa del Comune di Asciano. Si deve infatti accertare, preliminarmente, se l'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10, recante nuove norme per la edificabilità dei suoli, non abbia messo in forse la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, rendendo indispensabile la restituzione degli atti al giudice a quo. L'ordinanza che ha sospeso il giudizio promosso da Pia Teresa e Carlo Alberto Mallaby, contro il Comune di Asciano e la Regione Toscana, ha posto il problema se siano legittime le norme che abbiano parificato - quanto ai contenuti - il piano regolatore generale ed il programma di fabbricazione: consentendo non soltanto al primo ma anche a quest'ultimo tipo di atti l'imposizione di vincoli concernenti la sistemazione urbanistica del territorio, malgrado il relativo procedimento di adozione e di approvazione non implichi un'adeguata tutela delle posizioni giuridiche soggettive così sacrificate. Ma in sede urbanistica - secondo la difesa del Comune di Asciano - la legge n. 10 del 1977 avrebbe eliminato dall'ordinamento la nozione di vincolo, limitativo di posizioni preesistenti, basandosi invece sulla concessione di poteri edificatori, altrimenti sottratti ai proprietari dei terreni edificabili.

L'eccezione é infondata. Al centro del problema prospettato dalla quarta sezione del Consiglio di Stato non sta la garanzia dei diritti spettanti ai privati proprietari di aree edificabili, ma la giustificatezza di una normativa con cui si apportino deroghe al "principio della necessaria disparità di funzioni e di contenuto fra piano regolatore e programma di fabbricazione", ferma restando la diversità delle corrispondenti procedure formative; tanto é vero che l'ordinanza in esame (diversamente da quella emessa nel giudizio fra Gemma Pera ed altri, il Comune di Capannori e la stessa Regione Toscana) non ha configurato la violazione dell'art. 42, bensì ha ritenuto non manifestamente infondata la sola ipotesi che le norme impugnate contrastino con l'art. 3 Cost.

In altri termini, la Corte é qui chiamata a giudicare se non siano lesive del principio costituzionale di eguaglianza le disparità riscontrabili nella formazione di questi due tipi di atti urbanistici, in corrispondenza con l'assimilazione dei loro contenuti. Ed é manifesto che, sotto questi aspetti, la legge n. 10 del 1977 non costituisce una nuova normativa che il giudice a quo debba prendere in considerazione; poiché la legge stessa non ha ridisciplinato né le procedure formative né i contenuti rispettivi dei programmi di fabbricazione e dei piani regolatori generali.

D'altronde, é vero che il giudizio in corso dinanzi alla quarta sezione del Consiglio di Stato ha per oggetto il programma di fabbricazione del Comune di Asciano, nella parte riguardante la destinazione a "zona sportiva" di alcune aree di proprietà dei ricorrenti. Ma l'attualità della questione non é venuta meno in conseguenza dell'entrata in vigore della legge n. 10 del 1977: sia perché rimane l'esigenza di ripristinare - ad ogni possibile effetto - la legalità che fosse stata eventualmente lesa; sia perché l'art. 4 primo comma della legge n. 10 stabilisce che la stessa "concessione di edificare" dev'essere data "a chi abbia titolo per richiederla..., in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi...".

3. - Ciò premesso, giova considerare in primo luogo le questioni di legittimità costituzionale proposte dalle due ordinanze della quarta sezione del Consiglio di Stato, con riguardo all'art. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, agli artt. 8, 12 e 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, all'art. 1 della legge 30 novembre 1973, n. 756, nonché ad "ogni altra norma di legge di Stato parificante il contenuto del programma di fabbricazione e del piano regolatore generale".

L'interpretazione e la valutazione di questo complesso di norme urbanistiche statali condizionano, infatti, l'individuazione dei "principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato", al cui rispetto é tenuta la potestà legislativa che l'art. 117 primo comma Cost. conferisce alle Regioni di diritto comune, quali la Lombardia, la Toscana ed il Veneto.

La linea di ragionamento seguita in tal senso da entrambe le ordinanze potrebbe per altro far nascere ulteriori dubbi concernenti la loro ammissibilità: in quanto il giudice a quo non ha affatto aderito alla tesi che le leggi dello Stato abbiano attribuito ai programmi di fabbricazione possibilità vincolistiche equivalenti o comparabili a quelle che spettano ai piani regolatori generali, determinando con ciò una violazione dell'art. 3 (nonché dell'art. 42 Cost.). Le ordinanze hanno anzi ribadito - con ampie argomentazioni - gli assunti prevalenti nella giurisprudenza amministrativa: concludendo senz'altro che lo "strumento esclusivo di sistemazione urbanistica" sarebbe tuttora costituito dal piano regolatore, mentre il programma di fabbricazione si limiterebbe ad integrare il corrispondente regolamento edilizio (sicché verrebbe a mancare - secondo il testuale rilievo della quarta sezione del Consiglio di Stato - "il presupposto indispensabile alla questione di legittimità costituzionale delle norme di legge dello Stato come sopra indicate").

Analogamente a ciò che la Corte ha motivato nella sent. 29 dicembre 1977, n. 161, si deve però ritenere che gli accertamenti di competenza del giudice a quo siano stati correttamente effettuati. Il requisito indicato dall'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948, per cui la questione non dev'essere "manifestamente infondata", non comporta che il giudice stesso sia convinto della fondatezza e non esclude nemmeno che egli rimanga soggettivamente persuaso del contrario; é invece sufficiente che esistano oggettive ragioni di incertezza, sul tipo di quelle derivanti da radicati dissensi dottrinali e giurisprudenziali. Ora, nel caso specifico, il giudice amministrativo ha precisamente riscontrato la presenza di tali condizioni, sospendendo perciò il suo giudizio; ed implicitamente, dunque, ha chiamato la Corte a riesaminare quei problemi d'interpretazione e di ricostruzione delle norme urbanistiche statali attinenti ai programmi di fabbricazione, cui sono strettamente collegati i corrispondenti problemi di legittimità costituzionale.

4. - Alla stregua della vigente normativa urbanistica statale, questa Corte ritiene che l'interpretazione sostenuta dal giudice a quo non tenga pienamente conto della funzione e dei contenuti spettanti ai programmi di fabbricazione. Il dichiarato assunto, comune ad entrambe le ordinanze in esame, per cui tali atti non rappresenterebbero un vero e proprio strumento urbanistico, ma dovrebbero risolversi in una sorte di appendice topografica del regolamento edilizio, potrebbe già esser discusso alla luce dell'art. 34 della legge n. 1150 del 1942: ai sensi del quale i programmi di fabbricazione costituiscono i sostitutivi - sia pure assai meno elaborati e penetranti - dei piani regolatori generali, atti a disporre un certo assetto urbanistico del territorio comunale, soprattutto nelle parti concernenti i vincoli di zona e le "direttrici di espansione" dei centri abitati. Ma la tesi stessa é superata in un modo ben più netto dai successivi sviluppi della legislazione dello Stato.

In primo luogo, l'attitudine dei programmi di fabbricazione a fungere da strumenti di sistemazione urbanistica é stata presa in puntuale considerazione, sotto svariati profili, ad opera di una serie di leggi speciali che hanno affidato agli atti stessi - al medesimo titolo dei piani regolatori generali - l'individuazione delle aree da destinare a certe specie di opere e la determinazione dei corrispondenti vincoli preordinati all'esproprio: dall'art. 3 ultimo comma della legge 18 aprile 1962, n. 167, sull'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare; all'art. 14 secondo comma della legge 28 luglio 1967, n. 641, sulla edilizia scolastica ed universitaria; all'art. 3 della legge 1 giugno 1971, n. 291, quanto all'edilizia ospedaliera ed universitaria; agli artt. 13 e 14 della legge 11 giugno 1971, n. 426, relativamente agli insediamenti di attività commerciali; all'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, circa i piani delle aree per gli insediamenti produttivi; fino all'art. 6 della legge 12 dicembre 1971, n. 1133, sull'edilizia degli istituti di prevenzione e di pena. Nell'insieme di tutte queste ipotesi, che riguardano ai medesimi effetti piani regolatori generali e programmi di fabbricazione, il legislatore ha presupposto e confermato che anche gli atti del secondo tipo fossero strumenti suscettibili di stabilire vincoli urbanistici. E la riprova di ciò si ricava - prima ancora che la cosiddetta legge-ponte del 1967 sopraggiungesse a modificare ed integrare la disciplina urbanistica del 1942 - dall'art. 2 della legge 5 luglio 1966, n. 517, che ha riferito anche ai programmi di fabbricazione le misure di salvaguardia in pendenza dell'approvazione dei piani regolatori generali.

In secondo luogo, gli originari contenuti dei programmi di fabbricazione, stabiliti dall'art. 34 della legge n. 1150 del 1942, sono stati considerevolmente arricchiti dalla legge 6 agosto 1967, n. 765 (anche se si danno divergenze, dottrinali e giurisprudenziali, nella definizione degli effetti desumibili dai contenuti stessi). Vero é che l'art. 17 della legge-ponte include fra gli "strumenti urbanistici" tanto il piano regolatore generale quanto il programma di fabbricazione; ed obbliga tutti i Comuni, nella formazione e nella revisione di tali strumenti, ad osservare "limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi". Una disposizione così formulata non può essere intesa - né letteralmente né in vista dei fini che la legge-ponte si é proposta - come se i limiti e i rapporti fissati nei programmi di fabbricazione fossero totalmente diversi da quelli stabiliti nei piani regolatori generali: non potendo tradursi in vincoli specifici, ma risolvendosi in indicazioni meramente orientative.

Se così fosse, la preventiva pianificazione dell'attività costruttiva, in ciascuna delle zone considerate dai programmi di fabbricazione, diverrebbe di fatto impossibile: con la conseguenza che i Comuni chiamati ad applicare determinati limiti e rapporti, dovrebbero in realtà disapplicarli. In questa prospettiva, d'altra parte, non si spiegherebbe nemmeno la disposizione dell'art. 12, onde il decreto di approvazione può introdurre "nel regolamento edilizio e nel programma di fabbricazione le modifiche... indispensabili" per assicurare - fra l'altro - l'"osservanza dei limiti" voluti dall'art. 17. Inoltre, verrebbe svuotata od impoverità di senso la stessa disposizione dell'art. 8, per cui non é dato procedere alla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio se non sulla base del relativo programma di fabbricazione, dopo che esso sia stato approvato: in quanto ciò comporta che il programma possa prevedere - in modo vincolante e non semplicemente orientativo - le opere di urbanizzazione destinate ad essere eseguite secondo i vari piani di lottizzazione edilizia.

In terzo luogo, questa progressiva assimilazione degli effetti dovuti ai programmi di fabbricazione ed ai piani regolatori generali ha ricevuto un'ulteriore conferma da parte della legge 30 novembre 1973, n. 756, e dei conseguenti atti legislativi che hanno prorogato la durata dei rispettivi vincoli urbanistici. In una prima fase, l'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, aveva limitato a cinque anni l'efficacia dei soli vincoli derivanti dai piani regolatori generali; sicché restava aperto il dubbio se quella previsione fosse implicitamente riferibile anche ai programmi di fabbricazione. Viceversa l'art. 1 della legge n. 756 del 1973 concerne testualmente entrambi i tipi di strumenti urbanistici, "nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione o a vincoli che comportino l'inedificabilità". Ed un tale disposto - che é stato impugnato con esclusivo riguardo ai contenuti vincolistici dei programmi di fabbricazione - significa appunto che questi stessi atti hanno per oggetto la sistemazione urbanistica del territorio comunale; tanto più che l'interpretazione letterale risulta rafforzata dalle indicazioni dei lavori preparatori (oltre che dalle due consecutive proroghe, fondate sui d.l. 29 novembre 1975, n. 562, e 26 novembre 1976, n. 781).

Tutto ciò concorre a far concludere che l'iniziale divario fra i programmi di fabbricazione ed i piani regolatori generali é stato ampiamente - se non completamente - colmato dalla legislazione statale successiva alla legge urbanistica n. 1150 del 1942. Ma quali siano, precisamente, gli attuali contenuti vincolistici che i programmi di fabbricazione sono venuti in tal modo assumendo, non é un accertamento che spetti a questa Corte. Ai fini del presente giudizio, é invece necessario e sufficiente l'aver verificato che i vincoli in questione sono previsti dall'ordinamento statale vigente; e non si risolvono nei soli effetti cosiddetti atipici, disposti dalle ricordate leggi speciali che hanno mirato a soddisfare particolari esigenze di edilizia pubblica (o di pubblica utilità), ma investono la totalità dei programmi di fabbricazione, considerati nei loro contenuti tipici e normali.

5. - Così interpretate, le norme urbanistiche statali attinenti ai programmi di fabbricazione verrebbero per altro a contrastare - secondo le ordinanze emesse dalla quarta sezione del Consiglio di Stato - con gli artt. 3 e 42 Cost. ogniqualvolta i programmi di fabbricazione fossero abilitati a limitare la proprietà fondiaria, nella stessa misura ed allo stesso titolo dei piani regolatori generali, ma senza le corrispondenti "garanzie di procedimento per le posizioni giuridiche sacrificate e per i loro titolari", sarebbe infatti leso il principio di eguaglianza; e parallelamente, risulterebbe violata - stando al dispositivo di una delle due ordinanze di rinvio - anche la norma costituzionale sul riconoscimento e sulla tutela della proprietà privata.

Appare evidente, però, che non tutte le norme statali impugnate sono destinate a trovare applicazione nei rispettivi giudizi. In particolar modo, é inammissibile l'impugnativa riferita ad "ogni altra norma di legge parificante il contenuto del programma di fabbricazione e del piano regolatore generale": non foss'altro perché le stesse ordinanze di rinvio trascurano di identificare le norme predette, indicando puntualmente le ragioni per le quali la loro impugnazione sarebbe rilevante.

D'altra parte, non sono fondate le questioni proposte nei confronti delle norme che potrebbero specificamente interessare i due processi pendenti dinanzi alla quarta sezione del Consiglio di Stato: cioè le impugnative concernenti l'art. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, gli artt. 8, 12 e 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, nonché l'art. 1 della legge 30 novembre 1973, n. 756. In verità, entrambe le ordinanze sono molto sommarie nel definire i termini delle impugnative stesse: sicché rimane incerto se tale normativa sia stata impugnata là dove non prevede adeguate garanzie procedimentali nella formazione dei programmi di fabbricazione, sebbene essi possano imporre vincoli che corrispondono a quelli derivanti dai piani regolatori generali; oppure se il vizio ipotizzato riguardi - viceversa - l'imposizione dei vincoli medesimi, sebbene i procedimenti formativi dei programmi di fabbricazione non garantiscano le "posizioni giuridiche sacrificate" al pari di quelle sulle quali incidono i piani regolatori. Sotto entrambi i profili, tuttavia, questa Corte non ravvisa un'illegittima disparità di trattamento.

Va ricordato, anzitutto, che il cosiddetto principio del giusto procedimento (in vista del quale i soggetti privati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti) non può considerarsi costituzionalizzato; all'opposto, fin dalla sentenza 2 marzo 1962, n. 13, la Corte ha rilevato che la esigenza in questione é stata molte volte derogata dal legislatore statale, dal momento che esso non é vincolato - diversamente dai legislatori regionali - "al rispetto dei principi generali dell'ordinamento, quando questi non si identifichino con norme o principi della Costituzione". Perciò la circostanza che nell'iter formativo dei programmi di fabbricazione non siano state introdotte - né dalla legge urbanistica del 1942, né dalla legge-ponte del 1967, né da leggi statali successive - adeguate forme di partecipazione dei soggetti interessati alla pianificazione del territorio comunale non implica, di per sé sola, un'illegittimità costituzionale.

Ciò che più conta, non si può certo affermare che il "giusto procedimento" sia stato realizzato nella sua pienezza, quanto alla formazione dei piani regolatori generali. Le garanzie cui fa riferimento il giudice a quo si riassumono, infatti, nella pubblicazione dei relativi progetti per un periodo di trenta giorni consecutivi, "durante i quali chiunque ha facoltà di prenderne visione", e nelle osservazioni che possono venire presentate entro i trenta giorni successivi, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 1150 del 1942. E questa Corte non é dell'avviso che la semplificazione delle procedure formative dei programmi di fabbricazione, per cui le osservazioni degli interessati non vi ritrovano posto (o non sono state comunque previste dalla legislazione urbanistica statale), sacrifichi a tal punto gli interessi privati rispetto agli interessi pubblici, al confronto con ciò che si verifica nella formazione dei piani regolatori generali, a ledere il principio costituzionale di eguaglianza.

A dimostrazione del contrario, valgono le concordi indicazioni della prassi e della giurisprudenza amministrativa, dalle quali si ricava che i soggetti privati non partecipano al procedimento formativo dei piani regolatori nella veste di vere e proprie parti, presentando osservazioni "a tutela del proprio interesse" (secondo il criterio enunciato da questa Corte, nella sentenza n. 13 del 1962); ma svolgono attività puramente collaborative, in vista di una più compiuta valutazione degli interessi pubblici in gioco. Non a caso, si considerano irricevibili le osservazioni che non abbiano di mira la soddisfazione delle comuni esigenze cui tendono i piani regolatori, ma consistano in reclami rivolti a difendere particolari interessi privati. Parallelamente, si esclude che sussista l'obbligo di respingere le osservazioni stesse motivando in maniera specifica e puntuale, ma si suole affermare che basta una motivazione sintetica, nella quale si adducano le ragioni di pubblico interesse che stanno a fondamento della pianificazione progettata. Ed anzi si ritiene sufficiente che l'amministrazione comunale abbia preso comunque in esame i rilievi così presentati; mentre non si configura neanche un dovere di esame, per quanto riguarda le denunce successivamente inviate alle autorità cui spetta l'approvazione del piano.

Del resto, assunti del genere sono coerenti con la disposizione dell'art. 9 cpv. della legge n. 1150 del 1942, in cui non si ammettono a presentare osservazioni se non "le associazioni sindacali e gli altri enti pubblici ed istituzioni interessati".

Effettivamente, la previsione che qualunque soggetto privato possa proporsi di collaborare alla formazione dei piani regolatori, allo stesso modo che chiunque può prendere visione dei relativi progetti, non é stata introdotta da una legge statale, ma dalla circolare 7 luglio 1954, n. 2495, del Ministero dei lavori pubblici. Le differenziazioni di trattamento lamentate dal giudice a quo riguardano, pertanto, il momento applicativo piuttosto che il previo momento della disciplina legislativa degli assetti urbanistici. Il che rafforza la conclusione che le differenziazioni stesse non contrastano né con la norma generale di eguaglianza né con l'esigenza di una pari garanzia della proprietà fondiaria, ai sensi degli artt. 3 e 42 Cost.; tanto più che i problemi da risolvere nei piccoli Comuni, mediante programmi di fabbricazione che possono prescindere dalle osservazioni degli interessati, non hanno dimensioni territoriali, sociali ed economiche, comparabili a quelle dei problemi fronteggiati dai piani regolatori generali, propri dei Comuni di maggiore importanza.

Con tutto ciò, la Corte non vuol certo contestare che l'attuale disciplina degli strumenti urbanistici sia notevolmente frammentaria e disorganica. Non senza ragione, entrambe le ordinanze emesse dalla quarta sezione del Consiglio di Stato pongono in rilievo che la distinzione tra piani regolatori generali e programmi di fabbricazione, alternativamente utilizzabili ad analoghi scopi dalla generalità dei Comuni italiani, rischia a questo punto di apparire "nominale" e non più sostanziale.

Conviene invece che il legislatore statale riconsideri i procedimenti formativi ed attuativi di tali strumenti, assicurando in ogni caso l'accertamento ed il contemperamento di tutti gli interessi pertinenti all'assetto del territorio. E più generalmente conviene che le scelte urbanistiche delle singole amministrazioni comunali (soprattutto nei piccoli Comuni) non restino isolate e scollegate, ma vengano armonizzate con le analoghe scelte dei Comuni contermini, nell'ambito di pianificazioni territoriali di più comprensiva portata; sicché si dimostrano congiuntamente opportune, tanto una legge-cornice che coordini le varie legislazioni regionali in materia urbanistica, quanto una "legge generale" che determini - sulla base dell'art. 128 Cost. - i livelli ed i tipi di amministrazione locale sovracomunale.

Ma le molteplici esigenze di riforma della vigente legislazione urbanistica statale non si convertono, sotto i profili dei quali la Corte é ora chiamata a giudicare, in alcuno dei vizi di legittimità costituzionale, prospettati dal giudice a quo.

6. - Quanto alle impugnative riguardanti la legislazione urbanistica regionale, va per prima cosa dichiarata l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 4 della legge veneta 23 dicembre 1974, n. 59, sollevate dal Pretore di Bassano del Grappa.

In effetti, ambedue le questioni sono manifestamente irrilevanti ai fini del giudizio a quo. Da un lato, l'art. 1 disciplina con riferimento all'avvenire i contenuti del programma di fabbricazione e l'adozione di un correlativo "programma decennale di aree da espropriare o da vincolare all'assoluta inedificabilità"; d'altro lato, l'art. 4 dispone anche esso in forma irretroattiva, là dove prevede che il Sindaco sia transitoriamente "tenuto a sospendere, con provvedimento notificato alla parte richiedente, ogni determinazione sulla domanda di licenza edilizia in contrasto con le destinazioni delle aree preordinate... dai programmi di fabbricazione vigenti o adottati". In entrambi i casi, l'eventuale annullamento delle norme impugnate non potrebbe avere nessuna incidenza sul procedimento penale per il delitto di omissione di atti d'ufficio, imputato all'assessore all'urbanistica del Comune di Rossano Veneto: dato che il rifiuto di concedere una licenza edilizia, del quale il Pretore é competente a giudicare sulla base delle leggi e degli strumenti urbanistici allora vigenti (e non contestati nella loro legittimità), risale - secondo la stessa ordinanza di rinvio - ad un periodo precedente l'entrata in vigore della legge regionale in discussione; mentre la mancata notificazione del provvedimento alla parte richiedente, nella quale il Pretore ravvisa un'ulteriore ipotesi di omissione penalmente imputabile, investe soltanto un inciso dell'art. 4 della legge stessa, senza coinvolgere alcuna di quelle disposizioni che avrebbero esteso - illegittimamente - i contenuti vincolistici dei programmi di fabbricazione.

7. - Nemmeno é rilevante la questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, circa l'asserita violazione dell'art. 117 Cost. da parte dell'art. 14 ultimo comma della legge regionale lombarda 15 aprile 1975, n. 51.

Disponendo che i Comuni, dopo l'entrata in vigore della legge stessa, possono apportare ai programmi adottati o vigenti le sole modifiche riduttive dell'edificabilità od introduttive di "nuovi vincoli per attrezzature pubbliche e collettive", tale norma non può avere applicazione nel giudizio a quo: poiché questo concerne l'annullamento di un antecedente programma di fabbricazione, già entrato in vigore il 12 ottobre 1972.

É invece ammissibile e fondata l'altra questione che lo stesso Tribunale ha sollevato nei riguardi dell'art. 48 della legge n. 51 del 1975, perché contrastante con il principio generale dell'irretroattività delle leggi regionali. Non può essere infatti condivisa la tesi sostenuta dalle difese del Comune di Varedo e della Regione Lombardia, per cui si tratterebbe di una norma puramente ricognitiva, mirante a confermare i limiti temporali di efficacia dei vincoli già stabiliti dai programmi di fabbricazione ai sensi di leggi statali precedenti. Tale interpretazione viene in sostanza a privare l'art. 48 d'un suo proprio contenuto normativo; e non é compatibile con il testo dell'articolo impugnato, nel quale si delimita nel tempo l'efficacia dei "vincoli di aree per attrezzature pubbliche e collettive o che comunque comportino l'inedificabilità", mediante una formula che non corrisponde alla lettera di alcuna disposizione legislativa statale concernente i contenuti dei programmi di fabbricazione, ed anzi si presta ad essere intesa nel senso di un'incondizionata sanatoria. Quanto meno, al contrario, la norma impugnata ha voluto fissare, con riguardo ai rapporti pendenti nel momento dell'entrata in vigore della legge regionale, l'interpretazione delle leggi statali vigenti in tal campo: allo scopo di impedire - come finisce per ammettere la stessa memoria presentata dalla difesa della Regione - l'eventuale annullamento dei programmi che avessero configurato vincoli considerati illegittimi dalla prevalente giurisprudenza amministrativa.

Così ricostruito, l'art. 48 si ripercuote indubbiamente sul giudizio a quo ed al tempo stesso eccede i limiti della potestà legislativa regionale. Questa Corte ha infatti precisato, fin dalle sentenze n. 44 e n. 123 del 1957, che gli effetti già prodotti dalle leggi dello Stato non possono venir paralizzati od alterati - con riferimento al passato - da parte di leggi regionali successive, senza che ne risulti violato "il principio fondamentale dell'unità dell'ordinamento giuridico dello Stato".

Ma nel caso specifico l'art. 117 primo comma Cost. é stato contraddetto anche in quanto la norma impugnata si propone di risolvere autenticamente questioni interessanti la disciplina di principio della materia urbanistica, come quelle relative alla funzione ed ai contenuti dello strumento urbanistico allora obbligatorio per la generalità dei Comuni italiani (sebbene l'art. 14 primo comma della legge lombarda in esame preveda, in prospettiva, che tutti i Comuni della Regione debbano "dotarsi di un piano regolatore generale". Ed in questo senso poco importa fino a che punto sia fondata l'interpretazione imposta dal legislatore regionale; poiché, in qualunque caso, l'art. 48 rimane costituzionalmente illegittimo.

8. - Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne l'ammissibilità delle impugnative aventi per oggetto il primo e il secondo comma dell'art. 1 della legge regionale toscana 24 febbraio 1975, n. 16, sollevate dalla quarta sezione del Consiglio di Stato.

Non sono rilevanti le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 primo comma, poiché la disposizione che facoltizza i programmi di fabbricazione a "prevedere vincoli di aree per la razionale e coordinata sistemazione di spazi destinati ad uso pubblico e per la realizzazione di opere, impianti ed attrezzature di interesse pubblico", non é di per se stessa riferibile se non all'adozione di nuovi contenuti vincolistici; mentre i due processi pendenti dinanzi al giudice a quo riguardano programmi già approvati nel momento dell'entrata in vigore della norma impugnata.

Non é invece contestabile la rilevanza dell'impugnazione dell'art. 1 secondo comma, che attiene espressamente ai vincoli "previsti nei programmi di fabbricazione approvati prima dell'entrata in vigore della presente legge". Ma la questione é infondata. In effetti, il giudice a quo non ha ipotizzato la lesione di alcun principio riguardante la successione nel tempo delle leggi statali e regionali; ed anzi ha ritenuto manifestamente infondata la censura concernente "l'asserita retroattività della norma riguardo ai programmi di fabbricazione già approvati", rilevando che la norma stessa investirebbe tali atti per il solo avvenire, cioè "nella loro persistente efficacia".

Entrambe le ordinanze ravvisano invece un contrasto fra l'art. 1 cpv. e l'art. 117 primo comma Cost., in quanto la parificazione operata dal legislatore regionale, circa i contenuti dei programmi di fabbricazione e dei piani regolatori generali, avrebbe violato i corrispondenti principi della legislazione statale vigente in materia urbanistica. Ma l'impugnazione cosi prospettata deve essere respinta, poiché dalle leggi dello Stato - correttamente interpretate - non emerge alcun principio che vieti la previsione di possibilità vincolistiche comuni ad entrambi gli strumenti di pianificazione del territorio comunale. E va coerentemente escluso, per le medesime ragioni adotte nei riguardi delle norme urbanistiche statali impugnate dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, che sussista alcuna violazione degli artt. 3 e 42 Cost.

 

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

a) dichiara inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale di "ogni altra norma di legge dello Stato parificante il contenuto del programma di fabbricazione e del piano regolatore generale", dell'art. 1 primo comma della legge della Regione Toscana 24 febbraio 1975, n. 16, degli artt. 1 e 4 della legge della Regione Veneto 23 dicembre 1974, n. 59, dell'art. 14 ultimo comma della legge della Regione Lombardia 15 aprile 1975, n. 51, rispettivamente sollevate - in riferimento agli artt. 3, 42 e 117 della Costituzione - dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, dal Pretore di Bassano del Grappa e dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con le ordinanze indicate in epigrafe;

b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, 8, 12 e 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, 1 della legge 30 novembre 1973, n. 756, 1 secondo comma della legge della Regione Toscana 24 febbraio 1975, n. 16, sollevate dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, in riferimento agli artt. 3, 42 e 117 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe;

c) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 48 della legge della Regione Lombardia 15 aprile 1975, n. 51.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1978.

 

 

 

 

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI  DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE

 

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

 

 

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1978.