Ordinanza n. 83 del 1982
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SENTENZA N. 83

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, lett. a e b, 2, 3 e 8 della legge della Regione Lazio 2 luglio 1974, n. 30 (vincoli di inedificabilità) promosso con ordinanza emessa il 14 gennaio 1976 dal Pretore di Minturno, nel procedimento penale a carico di De Luca Vincenzo, iscritta al n. 157 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 31 marzo 1976.

Visto l'atto di intervento della Regione Lazio;

udito nell'udienza pubblica del 24 febbraio 1982 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'avv. Guido Cervati, per la Regione Lazio.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento penale a carico di De Luca Vincenzo, imputato di contravvenzione di cui all'art. 41 l. 17 agosto 1942 n. 1150, per avere iniziato la costruzione di un edificio dopo che, ai sensi della l. della Regione Lazio 2 luglio 1974 n. 30, doveva ritenersi decaduta la relativa licenza edilizia, il Pretore di Minturno, con ordinanza 14 gennaio 1976, sollevava questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 lett. a) e b), 2, 3 e 8 della citata legge, poi prorogata con altra legge regionale 31 dicembre 1974 n. 73, in relazione agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost.

La legge regionale n. 30 del 1974 disponeva, tra l'altro, che nelle zone costiere, marine e lacustri, di determinata ampiezza, e in alcuni comuni con un determinato incremento demografico (art. 1), non potessero eseguirsi nuove costruzioni "fino all'entrata in vigore della legge regionale di approvazione del piano territoriale di coordinamento regionale o di stralci del medesimo e comunque non oltre il termine del 31 dicembre 1974" (artt. 2 e 3; il termine venne poi prorogato dalla l. 31 dicembre 1974 n. 73 fino al 31 dicembre 1975). L'art. 8 prevedeva la decadenza delle autorizzazioni a costruire, già rilasciate nelle dette zone.

Il Pretore prospetta il contrasto tra le norme impugnate ed i principi fondamentali espressi nella legislazione statale.

Uno dei principi fondamentali é, ad avviso del Pretore, quello secondo cui le misure previste dalla cit. legge regionale possono essere disposte solo da strumenti urbanistici.

Altro principio fondamentale é, ad avviso del Pretore, quello secondo cui le misure urbanistiche di salvaguardia previste dalla legge statale 3 novembre 1952 n. 1902, poi modificata dalle leggi 21 dicembre 1955 n. 1357, 30 luglio 1959 n. 615, 5 luglio 1966 n. 517, 6 agosto 1967 n. 765 (art. 3) e 19 novembre 1968 n. 1187 - comportano bensì il dovere del Sindaco di non rilasciare licenze edilizie in contrasto col piano adottato, ma non comportano la decadenza delle licenze già rilasciate. Né potrebbero darsi misure di salvaguardia senza un piano urbanistico approvato (rectius: adottato). Con questo principio sembra al Pretore contrastare la normativa impugnata, che stabilisce la decadenza delle licenze edilizie fin dal momento della sua entrata in vigore, senza alcun riguardo al momento di approvazione (rectius: adozione) del piano territoriale di coordinamento regionale da salvaguardare.

Ancora, secondo il Pretore, la decadenza delle licenze edilizie disposta nella normativa impugnata sembra contrastare col principio (espresso dall'art. 10 l. 6 agosto 1967 n. 765) secondo cui la decadenza della licenza edilizia può conseguire soltanto al mancato tempestivo inizio dei lavori ovvero a sopravvenute contrastanti previsioni del piano regolatore.

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella G.U. n. 85 del 31 marzo 1976.

É intervenuta la Regione Lazio per sostenere la infondatezza delle questioni poste nell'ordinanza di rimessione.

L'interveniente osserva non essere vero che, per principio della legislazione statale, le misure di salvaguardia possono consistere solo nel divieto di rilasciare nuove licenze edilizie, e non anche nello stabilire la decadenza di licenze già rilasciate. E invero, la legge n. 1902 del 1952 attribuisce al prefetto il potere di sospendere in salvaguardia i lavori edilizi che compromettano o rendano più onerosa l'attuazione del piano non ancora approvato (oggi, poi, detto potere prefettizio compete alla Regione), ciò che corrisponde ad una sostanziale previsione di decadenza delle licenze. Nota ancora l'interveniente essere bensì vero che, a norma dell'art. 10 l. n. 765 del 1967, le licenze edilizie possono decadere per il sopravvenire di contrastanti "previsioni urbanistiche"; ma queste possono essere costituite da leggi regionali di salvaguardia.

Nega, comunque, l'interveniente che le norme della legislazione statale richiamate dal Pretore formulino principi fondamentali, capaci di limitare l'autonomia legislativa regionale.

Questi argomenti vengono sostanzialmente ripetuti dalla Regione nella memoria depositata in data 11 febbraio 1982.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza in epigrafe il Pretore di Minturno ha impugnato gli artt. 1 lett. a) e b), 2, 3 e 8 della legge della Regione Lazio 2 luglio 1974 n. 30 (l'efficacia di essa é stata prorogata con la legge reg. 31 dicembre 1974 n. 73), la quale, al fine di salvaguardare l'attuazione di un piano territoriale di coordinamento regionale non ancora approvato, vieta sino alla data di approvazione del piano stesso l'edificazione nei territori costieri di una determinata profondità (m. 300 per il mare e m. 150 per i laghi) e stabilisce la decadenza delle licenze edilizie rilasciate per quei territori, salvo che i lavori siano stati iniziati e vengano completati entro due anni. Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di detta legge regionale, perché essa, non attenendosi, secondo il suo giudizio, ai principi fondamentali della legislazione statale in subiecta materia, sarebbe in contrasto con l'art. 117, primo comma, della Costituzione. Nella ordinanza di rimessione é indicata quale norma di riferimento anche l'art. 3 Cost.; si tratta però di una generica indicazione non sorretta da alcun rilievo specifico e fatta evidentemente in via conseguenziale alla ritenuta violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione; l'esame va pertanto circoscritto a tale ultima norma.

2. - Il primo principio fondamentale violato sarebbe, secondo il giudice a quo, quello per cui le misure di salvaguardia potrebbero essere previste soltanto da strumenti urbanistici, sicché sarebbe illegittima la previsione effettuata direttamente dalla legge.

L'argomentazione non può essere condivisa.

Le misure di salvaguardia sono dirette all'attuazione di uno strumento urbanistico ancor prima dell'approvazione di esso e servono ad evitare che lo stato dei luoghi venga medio tempore pregiudicato con costruzioni incompatibili con quelle che saranno le previsioni urbanistiche e risulti così successivamcnte impossibile ovvero anche difficile la attuazione medesima; si tratta, cioè, di effetti prodromici di uno strumento che sarà successivamente approvato, effetti che la legge consente che si producano, stabilendone i presupposti e le modalità.

Risulta pertanto evidente come le misure di salvaguardia non possano essere contenute negli strumenti urbanistici a cui si riferiscono, ma debbano precedere detti strumenti, alla cui futura attuazione sono preordinate. Ed appunto l'ordinamento statale conosce alternativamente due modalità, a seconda che la legge provveda direttamente ovvero autorizzi i pubblici poteri a provvedere con atti amministrativi: la prima soluzione é accolta ad esempio dalla legge statale 4 novembre 1963 n. 1460 per l'incremento dell'edilizia economica e popolare nonché dall'altra legge statale 20 marzo 1965 n. 217 sui programmi edilizi della GESCAL e degli altri enti, mentre l'altra soluzione é accolta dalla fondamentale legge 3 novembre 1952 n. 1902, modificata dall'art. 3, ultimo comma, della legge n. 765 del 1967. Risulta evidente quindi come non esista né possa logicamente esistere nella legislazione statale il principio supposto nell'ordinanza di rimessione.

3. - Per quanto concerne gli altri principi fondamentali che il giudice a quo ha ritenuto di potere individuare nell'ordinamento statale, va rilevato che il limite dei principi consiste non già nel dovere di osservare le singole leggi statali (perché, se così fosse, il potere normativo regionale si ridurrebbe ad una semplice potestà regolamentare), bensì nell'obbligo di conformarsi ai criteri generali ai quali si ispira la disciplina statale in una determinata materia e che di questa e dei relativi istituti sono espressione caratteristica (cfr. sent. 14 luglio 1958 n. 49). I principi fondamentali delle leggi dello Stato non possono essere confusi dunque con gli specifici disposti legislativi nella materia di cui trattasi (cfr. sent. 18 gennaio 1977, n. 36), i quali, se non sono espressione di un criterio generale, non rilevano sulla potestà normativa regionale.

Per contro il giudice a quo, in tutto il suo ragionamento, non ha preso in considerazione i criteri generali della legislazione statale, ma si é riferito a singole disposizioni di dettaglio senza avvertire che nella stessa legislazione statale vi sono, come subito si accennerà, altre norme che contengono disposizioni analoghe a quella regionale impugnata, con l'intuitiva conseguenza che esse non possono servire a integrare il limite dei principi.

Precisamente, secondo il giudice a quo sussisterebbe nella legislazione statale un principio fondamentale per cui, in tema di misure di salvaguardia, sarebbe consentito il divieto di rilascio di nuove licenze, ma non già la decadenza di quelle già rilasciate.

In contrario é però da rilevare che questa materia é rimessa al potere discrezionale del legislatore, che può provvedere secondo le circostanze e le particolarità della materia normativamente disciplinata senza che possa ritenersi sussistente una norma-principio del tipo ipotizzato. Invero la stessa legge 3 novembre 1952 n. 1902, indicata dal giudice a quo come unica legge statale, prevede anche essa la decadenza (rectius: l'inefficacia) delle licenze già rilasciate, sia pure a specifiche condizioni e su determinati presupposti; inoltre la l. 6 agosto 1967 n. 765 stabilisce, all'art. 10, 11 comma, la decadenza delle licenze in contrasto con nuove "previsioni" urbanistiche, se i lavori non siano stati già iniziati e non vengano completati nel triennio dall'inizio. Ancora, la l. 28 gennaio 1977 n. 10, all'art. 18, prevede la decadenza delle licenze già rilasciate, salvo che i lavori siano stati già iniziati (s'intende, tempestivamente, ossia entro l'anno dal rilascio, di cui all'art. 10, 10 comma, l. n. 765 del 1967) alla data della sua entrata in vigore e siano completati entro quattro anni dalla stessa data.

L'istituto dell'inefficacia sopravvenuta delle licenze già rilasciate ha quindi cittadinanza nella legislazione statale, sebbene sia disciplinato in maniera diversa dalla normativa della Regione Lazio. Pertanto, non ha superato i limiti del suo potere il legislatore regionale che ha utilizzato un istituto conosciuto dalla legislazione statale, sia pure con una disciplina diversa nei dettagli da quella da essa fornita.

4. - Neanche può condividersi l'affermazione secondo cui sussisterebbe l'illegittimità della normativa che fa decorrere gli effetti delle misure di salvaguardia dalla data di entrata in vigore della legge regionale, perché essa risulterebbe in contrasto con la citata legge n. 1902 del 1952, la quale, invece, prevede che dette misure decorrano dal momento dell'adozione del piano sottoposto ad approvazione.

Anche qui, va osservato che non si può parlare di una norma-principio esistente nella legislazione statale, che avrebbe impedito al legislatore regionale, per il limite su indicato, di predisporre una disciplina come quella adottata. Il che risulta evidente ove si rilevi che non manca nella legislazione statale qualche esempio in cui le misure di salvaguardia non sono collegate ad uno strumento urbanistico adottato: precisamente, l'art. 1 del d.l. 17 aprile 1948 n. 740, riprodotto nell'art. 13 l. 27 ottobre 1951 n. 1402, stabilisce che dopo la pubblicazione degli elenchi dei comuni obbligati all'adozione del piano di ricostruzione e fino all'approvazione del piano stesso, il prefetto può sospendere i lavori di costruzione, ricostruzione e grande trasformazione degli edifici privati, suscettibili di rendere più difficile o più onerosa l'attuazione del piano. In base alla predetta normativa é sufficiente dunque l'inclusione nei predetti elenchi perché possano essere disposte le misure di salvaguardia, sicché non può all'evidenza ritenersi sussistente un principio fondamentale nel senso voluto dal giudice a quo.

5. - Palesemente infondato é anche l'assunto della ordinanza di rimessione, secondo cui sussisterebbe nella legislazione statale il principio che le licenze già rilasciate possano perdere efficacia soltanto per il sopravvenire di contrastanti previsioni urbanistiche. Dato che, come si é detto, nella legislazione statale e regionale é consentito prescindere da un piano già adottato, l'argomentazione viene a mancare del suo indispensabile presupposto logico, perché manca un termine di comparazione, e quindi si rivela del tutto inconsistente.

Il legislatore regionale per vero ben poteva prendere in considerazione l'esigenza di immediata tutela della collettività per il godimento e l'utilizzazione dei terreni costieri compresi entro determinate fasce, e, così facendo, non é andato sicuramente al di là dei limiti consentiti alla potestà legislativa regionale ordinaria.

Sotto ogni profilo la proposta questione di costituzionalità risulta dunque non fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 lett. a) e b), 2, 3 e 8 della legge della Regione Lazio 2 luglio 1974, n. 30, sollevata dal Pretore di Minturno con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 117, 1 comma, e 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto  - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE -Cancelliere

 

 Depositata in cancelleria il 29 aprile 1982.