Sentenza n. 133 del 1971
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SENTENZA N. 133

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 46, terzo comma, della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (sulle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità), dell'art. 9, primo comma, della legge 24 luglio 1961, n. 729 (piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali), dell'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) e degli artt. 4 e 5 del D.M. 1 aprile 1968 (distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 13 maggio 1969 dal tribunale di Avellino nel procedimento civile vertente tra Argenio Carmine e la società Autostrade - Concessioni e Costruzioni Autostrade -, iscritta al n. 310 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 207 del 13 agosto 1969;

2) ordinanza emessa il 23 marzo 1970 dal tribunale di Avellino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Ferrari Giulia e la società Autostrade - Concessioni e Costruzioni Autostrade -, iscritta al n. 224 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 2 settembre 1970.

Visti gli atti di costituzione di Argenio Carmine, di Ferrari Giulia e della società Autostrade e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 1971 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Antonio Sandulli, per l'Argenio, l'avv. Giuseppe Abbamonte, per la Ferrari, l'avv. Antonio Sorrentino, per la società Autostrade, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 

1. - In un giudizio promosso con citazione del 30 giugno 1966 davanti al tribunale di Avellino da Carmine Argenio nei confronti della società Autostrade - Concessioni e Costruzioni Autostrade - l'attore chiedeva la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni patiti per l'occupazione, non seguita da espropriazione, di parte di un suo terreno edificatorio occorrente per la costruzione dell'autostrada Napoli - Bari, ed in particolare e tra l'altro dei danni derivati ad esso attore "anche per la sostanziale espropriazione della fascia di terreno, confinante con il tracciato autostradale, e per la quale operava il divieto di costruire edifici a distanza inferiore ai 25 metri dal limite della zona occupata dall'autostrada stessa, divieto che, in applicazione dell'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) e con decreto interministeriale del 1 aprile 1968, era stato portato, per le costruzioni fuori del perimetro urbano, a metri 60 dal detto limite".

La società convenuta chiedeva il rigetto delle domande avversarie e, in ordine a quella da ultimo precisata, deduceva che il divieto, attenendo "ad una limitazione legale del godimento del bene valevole per la generalità dei soggetti, non dava diritto ad indennizzo".

Il tribunale con sentenza del 13 maggio 1969 decideva i capi di domanda relativi all'indennità dovuta per la superficie occupata di fatto dal tracciato autostradale, e con ordinanza di pari data sollevava di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma primo, della legge 24 luglio 1961, n. 729 (piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali), in riferimento all'art. 42, comma terzo, della Costituzione.

A proposito della rilevanza, premesso che in relazione alla richiesta di risarcimento per la detta zona di rispetto non erano applicabili l'art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (sulle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità) e le norme in tema di risarcimento da fatto illecito, dato che nella specie si trattava di risarcimento da occupazione illegittima, e tuttavia i1 sacrificio imposto non conseguiva direttamente dalla condotta del concessionario, il tribunale osservava che la limitazione allo sfruttamento del bene (suolo edificatorio), che era già sorta anteriormente all'occupazione, discendeva direttamente dalla norma denunciata e che pertanto la risoluzione della questione appariva pregiudiziale.

Circa la non manifesta infondatezza della questione, il tribunale, ricordato che anche di recente la Corte di cassazione aveva affermato la non risarcibilità del danno derivante da limitazione legale del diritto di proprietà, richiamava la giurisprudenza di questa Corte per cui non sono indennizzabili i limiti "che attengono al regime di appartenenza o ai modi di godimento dei beni in generale", e rilevava che nel caso preso in considerazione la limitazione in parola non poteva "rapportarsi a caratteristiche intrinseche del bene" né ricondursi "al regime di appartenenza o ai modi di godimento" dello stesso bene.

In secondo luogo, la ripetuta limitazione, pur essendo stabilita dalla legge, "é - secondo il tribunale - conseguenza immediata e diretta di attività discrezionale della pubblica Amministrazione, che colpisce solo un gruppo di soggetti" e si realizza in attuazione di indirizzi socio-politici, non sottoponibili al sindacato proprio della discrezionalità tecnica.

D'altra parte, tenuto conto che ai fini dell'indennizzo secondo la richiamata giurisprudenza, non si richiede un atto espropriativo essendo anche sufficiente un atto che "imponga limitazioni tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà" incidendo su facoltà essenziali per la sua configurazione, ad avviso del tribunale non potrebbe contestarsi che il divieto di costruire o ricostruire entro un certo limite ovvero di piantare alberi entro un limite più ristretto, determini una compressione analoga alla espropriazione e quindi imponga, a sensi dell'art. 42 della Costituzione, la corresponsione di un indennizzo.

Davanti a questa Corte si costituivano Carmine Argenio, con deduzioni depositate il 22 luglio 1969 e la società Autostrade - Concessioni e Costruzioni Autostrade -, con deduzioni depositate il 31 luglio 1969.

Non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

2. - Per la società Autostrade la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza. Anche se dovesse essere dichiarata la illegittimità della norma, l'obbligo dell'indennizzo non potrebbe essere posto a carico dell'ente occupante o espropriante, dato che le limitazioni sono stabilite per la sicurezza della circolazione in genere.

Nel merito, la detta società precisava che l'art. 9, comma primo, fa parte di una legge speciale che in quanto tale é da riportare all'art. 46, comma terzo, della legge sulle espropriazioni; che il vincolo nascente dalla norma denunciata é analogo a molti altri, circa i distacchi tra gli edifici, circa le distanze ai fini della edificabilità dai monumenti e dai cimiteri, e così via ed ai vincoli panoramici; e che la pretesa incostituzionalità é contraddetta dagli stessi principi affermati con la sentenza della Corte n. 6 del 1966 perché nella specie la imposizione é a carattere generale e obiettivo, essendo la limitazione o servitù imposta per ragioni di sicurezza del traffico e gravante uniformemente su tutti i fondi limitrofi alla autostrada.

La società concludeva chiedendo che fosse dichiarata la inammissibilità ed in subordine l'infondatezza della questione.

L'Argenio, con le deduzioni e con la memoria, richiamati i principi desumibili da varie sentenze di questa Corte, dalla n. 6 del 1966 e fino alla n. 56 del 1968, sosteneva che con il divieto in parola si viene a svuotare di contenuto il diritto di proprietà sul suolo edificatorio, e senza indennizzo. Osservava che codesto divieto vale sia per i terreni ubicati nel perimetro urbano dei comuni che per quelli insistenti fuori di detto perimetro ed a proposito dei primi solo per quelli latistanti le autostrade i cui lavori abbiano avuto inizio dopo la legge del 1961. Precisava che le limitazioni in oggetto non sono generali e imposte senza distinzione, e che per i beni immobili latistanti le autostrade non é configurabile una categoria originaria di beni identificabili a priori in base a caratteristiche intrinseche.

Contro le osservazioni della società Autostrade, l'Argenio opponeva che l'art. 9 si applica a determinate autostrade e non ad un'intera categoria di beni, che il secondo comma dello stesso articolo consente deroghe e quindi non si é in presenza di una limitazione generale, e che in considerazione della discrezionalità esistente in sede di fissazione del perimetro urbano, la detta limitazione si atteggia come particolare. Non ricorrono d'altra parte i presupposti perché i detti terreni latistanti possano integrare una categoria di beni, d'interesse pubblico, individuabili a priori per caratteristiche intrinseche: la scelta che la pubblica Amministrazione fa del tracciato delle autostrade é del tutto discrezionale.

L'Argenio, a conclusione delle sue ragioni, osservava che, pur sfuggendo il D.M. del 1968 al controllo di legittimità costituzionale, si doveva considerare che esso andava al di là di ogni ragionevole previsione circa l'ampiezza delle sedi stradali e che la sua applicazione conduceva a risultati non equi.

Chiedeva infine che la questione fosse dichiarata fondata, per la parte in cui la norma denunciata non prevede l'indennizzo.

3. - In due giudizi, riuniti, promossi da Giulia Ferrari contro l'anzidetta società Autostrade, rispettivamente per conseguire il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'occupazione illegittima di un terreno edificatorio di sua proprietà per la costruzione dell'autostrada Napoli - Bari, e per la determinazione della giusta indennità in dipendenza della espropriazione nel frattempo seguita alla detta occupazione, il tribunale di Avellino con ordinanza del 23 marzo 1970, rinnovava la denuncia di cui all'ordinanza emessa nel giudizio promosso dall'Argenio, estendendola all'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e agli artt. 4 e 5 del D.M. 1 aprile 1968, e per contrasto oltre che con l'art. 42, terzo comma, anche con l'art. 3 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo la questione sarebbe rilevante perché il terreno espropriato avrebbe natura edificatoria e l'attrice avrebbe subito un danno di notevole ammontare, e d'altra parte sarebbe applicabile alla specie l'art. 46, comma terzo, della legge sulle espropriazioni, in forza del quale per il divieto di costruire non é dovuto alcun indennizzo (e ciò giusta la costante interpretazione giurisprudenziale della norma).

La questione sarebbe non manifestamente infondata per le ragioni svolte nella precedente ordinanza ed in particolare perché l'art. 46, comma terzo, espressamente esclude ogni indennizzo per le servitù stabilite da leggi speciali ed in tale ambito rientra il divieto imposto dalle norme (speciali) denunciate, dato che a fronte della limitazione al diritto di godimento imposta al proprietario corrispondono indubbi vantaggi per la pubblica Amministrazione e sussiste comunque l'utilità per l'opera pubblica; e conseguentemente, perché si avrebbe nella specie, secondo la giurisprudenza di questa Corte, un atto di carattere espropriativo (la cui esistenza potrebbe dedursi anche dalla misura della svalutazione del bene) a causa dello svuotamento di contenuto subito dal diritto del proprietario e del connesso permanente e grave danno.

Le norme denunciate d'altra parte violerebbero l'art. 3 della Costituzione, e sotto due profili: dando luogo ad una disparità di trattamento tra i cittadini che subiscono una espropriazione parziale e quelli che ne subiscono una totale (stante che per i primi opererebbe la non indennizzabilità del divieto di costruire); e determinando altra disparità di trattamento tra i cittadini che agiscono per la liquidazione dei danni derivati da occupazione illegittima (qualora si acceda alla tesi che il divieto in oggetto rientri tra le conseguenze mediate od indirette dell'occupazione) e coloro che invece agiscono in opposizione alla stima.

Davanti a questa Corte si costituivano la Ferrari con deduzioni del 18 settembre 1970, e la società Autostrade con deduzioni dell'11 luglio 1970.

Spiegava intervento, con atto del 22 settembre 1970, il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato.

4. - La Ferrari, con le deduzioni, riportandosi alle sentenze n. 6 del 1966 e n. 56 del 1968, precisava che non sono espropriazioni indennizzabili le imposizioni ex lege di limiti al diritto di proprietà che attengano in maniera obiettiva, rispetto alla generalità dei soggetti, al godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni, o quelle che si hanno quando la legge regoli la situazione che i beni stessi abbiano rispetto a beni o interessi della pubblica Amministrazione, e cioè nei casi in cui la legge impone un certo carattere a determinate categorie, identificabili a priori per elementi intrinseci. Ricordato poi che, (pur avendo la Corte con la sentenza 55/1968 riconosciuto come connaturale al diritto di proprietà lo ius aedificandi e dovendosi per ciò di questo tener conto in sede di imposizione di qualsiasi limite al diritto di proprietà) non si ha espropriazione indennizzabile qualora il vincolo di inedificabilità sia temporaneo e di breve durata, la Ferrari sottolineava che la norma denunciata determina un sacrificio "definitivo" del contenuto pratico del diritto di proprietà di dati cittadini a pro della generalità, e che quindi a codesto sacrificio non può non conseguire il diritto all'indennizzo.

Rimane a parte il discorso circa l'entità di detto indennizzo, ma anche su questo punto - ricordava la Ferrari - la Corte ha statuito che l'indennizzo deve essere stabilito in un quantum serio, non meramente simbolico e determinato al momento del trapasso del diritto o del concreto svuotamento del suo contenuto.

La società Autostrade, con le deduzioni e con la memoria, prospettava l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza. In particolare, osservava come il tribunale non si fosse pronunciato sulla eccezione di mancanza di legittimazione passiva e che per tanto la questione sarebbe inammissibile o il giudice a quo dovrebbe essere chiamato a pronunciarsi nuovamente sulla rilevanza.

Nel merito, deduceva: che le limitazioni in esame non comportano una così intensa restrizione delle facoltà dominicali da assumere natura squisitamente espropriativa, e che non vengono superati i limiti connaturati all'istituto della proprietà; che nella specie non ricorre alcuna delle ipotesi in presenza delle quali da questa Corte é stato riconosciuto il diritto all'indennizzo; ed infatti: si tratta di norme che regolano il regime di appartenenza dei beni privati rispetto a beni o interessi della pubblica Amministrazione; esse sono destinate alla generalità dei soggetti i cui beni si trovino in quella certa situazione che é identificabile a priori; le norme, infine, incidono in egual modo e misura sul patrimonio di tutti e non operano alcuna incisione a titolo particolare nel godimento del bene.

La società deduceva altresì che i vincoli in questione non sono nuovi nel nostro ordinamento e le norme denunciate apportano al sistema solo modificazioni "quantitative", per cui l'obbligo dell'indennizzo non trova riscontro neppure nella tradizione sociale e storica del diritto di proprietà quale si configura per i beni a confine delle pubbliche strade.

A proposito dell'asserita violazione dell'art. 3, la società assumeva che la disparità tra coloro che subiscono un'occupazione illegittima e coloro i cui terreni vengono espropriati, in realtà non sussiste perché le due situazioni sono diverse. Non ricorre neppure la disparità tra coloro che vengono espropriati totalmente e quelli che subiscono un'espropriazione parziale perché il raffronto é ammissibile tra i secondi e i proprietari dei beni confinanti con le autostrade ed in entrambi i casi l'indennizzo non é dovuto, dato che le limitazioni non sono conseguenza dell'espropriazione sì che esse possano venire in rilievo in sede di stima differenziale, ma sono conseguenza del fatto obiettivo che esiste una strada o un'autostrada.

La società concludeva per l'inammissibilità della questione relativa agli artt. 4 e 5 del D.M. 1968; e per la non pertinenza della censura mossa all'art. 46 della legge del 1865, stante che nell'ipotesi di legittimità costituzionale delle altre norme, l'art. 46 appare del tutto estraneo alla discussione.

Chiedeva quindi l'accoglimento delle superiori ragioni e deduzioni.

L'Avvocatura dello Stato, con l'atto di intervento e con la memoria, rispondendo ai quesiti specificamente posti dal tribunale, deduceva preliminarmente l'inammissibilità della questione relativa al D.M. del 1968, dichiarava eterogenee e riguardanti materie diverse le altre disposizioni denunciate ed a proposito dell'art. 46, comma terzo, ne sosteneva l'inapplicabilità alla specie che si riferiva a limitazioni legali fra edifici e manufatti stradali. Negava all'art. 46 una propria autonomia precettiva e, circa la pertinenza di codesta norma anche ai fini della rilevanza, si rimetteva all'avviso di questa Corte.

I limiti previsti dall'art. 9, sarebbero costituzionalmente legittimi. Essi rispondono, anzitutto, ad un incontestabile interesse pubblico attinente al funzionamento delle autostrade e cioè sono posti per garantire al traffico veloce condizioni normali di sicurezza. In secondo luogo, é da considerare che da lungo tempo sono vigenti nel nostro sistema norme intese a fissare distanze limite, per motivi di sicurezza, dalle strade e dalle autostrade. E va infine tenuto presente che i terreni normalmente gravati non sono edificatori.

Da ciò, secondo l'Avvocatura, discende che i detti vincoli sono di carattere generale ed obiettivo, determinanti concretamente un particolare regime giuridico di alcune categorie di beni nell'interesse sociale, e quindi non indennizzabili secondo i concetti ed i criteri fissati da questa Corte con la sentenza n. 6 del 1966. Codesti limiti, invero, non sono tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà perché incidono solo sulle facoltà dominicali relative alla costruzione, ricostruzione od ampliamento di edifici o manufatti o all'impianto di alberi.

Per l'Avvocatura é del pari infondata la seconda questione.

Tanto nel caso di espropriazione parziale che in quello di espropriazione totale, la limitazione di godimento determina lo stesso effetto, inerendo al valore venale del fondo. E così, nell'identica situazione si trovano i proprietari che hanno subito l'occupazione illegittima o l'espropriazione dei loro terreni, perché il valore reale di mercato del fondo va determinato tenendo conto delle limitazioni sopra di esso gravanti. E che non ci sia ingiustificata disparità di trattamento, si vede solo che si consideri che in quella indicata situazione si trovano i proprietari di terreni confinanti con le strade ed autostrade e non sottoposti ad occupazione o ad espropriazione.  

Considerato in diritto 

1. - Con l'ordinanza del 13 maggio 1969 del tribunale di Avellino é sottoposta all'esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma primo, della legge 24 luglio 1961, n. 729 (piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali), per la parte in cui la norma, in violazione dell'art. 42, comma terzo, della Costituzione, "non prevede alcun indennizzo per il divieto di costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore ai 25 metri dal limite della zona di occupazione delle autostrade e per il divieto di piantare alberi a distanza inferiore a dieci metri dal predetto limite".

Con l'altra ordinanza dello stesso tribunale indicata in epigrafe vengono denunciate, per contrasto, oltre che con l'art. 42, comma terzo, della Costituzione, anche con l'art. 3 della stessa Carta, le norme di cui al citato art. 9, comma primo, della legge n. 729 del 1961, all'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (contenente modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), agli artt. 4 e 5 del D.M. 1 aprile 1968 (relativo alle distanze minime a protezione del nastro stradale) e all'art. 46, comma terzo, della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (sulle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità), nella parte in cui dette norme "non prevedono o escludono l'indennizzo per le limitazioni imposte alla proprietà privata per l'osservanza di distanze nella edificazione e nella piantagione, rispetto ai tracciati delle autostrade e relativi accessi, e delle strade comprese nelle categorie A, B, C, D dell'art. 3 del D.M. 1 aprile 1968".

Con le due ordinanze sostanzialmente é sollevata una sola questione. I due giudizi, pertanto, vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Le parti e l'interveniente Presidente del Consiglio dei ministri propongono eccezioni o prospettano rilievi di portata preliminare.

La Corte ritiene fondata l'eccezione di inammissibilità della questione per quel che si riferisce agli artt. 4 e 5 del D.M. 1 aprile 1968, essendo evidente il carattere amministrativo del decreto e non costituendo quindi lo stesso atto avente forza di legge.

Per tutto il resto la Corte deve constatarne la non influenza ai fini della valutazione del giudizio sulla rilevanza, atteso che in ordine a questa in entrambe le ordinanze il tribunale ha sufficientemente motivato.

Né, in particolare, e sempre ai fini della inammissibilità della questione, può avere peso il rilievo mosso dalla difesa della società Autostrade secondo cui il tribunale si sarebbe dovuto pronunciare preliminarmente sulla eccepita mancanza di legittimazione passiva, dato che il giudice a quo ha implicitamente considerato la domanda principale dell'attrice legittimamente rivolta nei confronti della società convenuta, riservando ogni definitiva pronuncia al riguardo.

3. - L'art. 9, comma primo, della legge n. 729 del 1961 dispone che "lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, é vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione della autostrada stessa", e che "la distanza é ridotta a metri 10 per gli alberi da piantare".

La necessità di rispettare tale distanza minima (per le costruzioni) prevista per le autostrade, di cui al piano con la detta legge programmato, é stata confermata dall'art. 19 della legge n. 765 del 1967 (che alla legge 17 agosto 1942, n. 1150 ha aggiunto l'art. 41 septies) con il quale, nei primi due commi, é disposto che "fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nella edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada" e che "dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l'interno, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade e alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali di bonifica". Lo stesso art. 19, in via transitoria (fino all'emanazione del detto decreto), estende l'applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 9 della legge n. 729 del 1961 a tutte le autostrade; ed infine, stabilisce che "lungo le rimanenti strade, fuori del perimetro dei centri abitati é vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore alla metà della larghezza stradale misurata dal ciglio della strada con un minimo di metri cinque".

Le ragioni che hanno indotto il legislatore a dettare codeste regole non sono né nuove né contingenti.

Fin dal 1865 la legge del 20 marzo di quell'anno, n. 2248, all. F, sui lavori pubblici, stabilì che per i fabbricati ed altre opere da farsi lungo le strade e fuori degli abitati si sarebbero dovute osservare delle distanze misurate dal ciglio delle strade stesse e precisamente 50 metri per le fornaci, fucine e fonderie e 3 metri per le case ed altre fabbriche e per i muri di cinta (art. 66). E dopo 70 anni circa, il codice della strada (r.d. 8 dicembre 1933, n. 1740) confermava i divieti (art. 1, nn. 11 e 12) e fissava le distanze per le piantagioni lateralmente alle strade esterne agli abitati (art. 1, n. 13).

Codeste norme sono state dettate per favorire la circolazione e per offrire idonee garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze ovvero in queste abitano od operano.

Ed agli stessi fini, in modo preminente ed anche se non esclusivo, tendono le norme oggetto della presente denuncia, e particolarmente quelle di cui al citato art. 9.

Si é in presenza, quindi, di una normativa che ha obbedito ad esigenze generali e non speciali, costanti e non temporanee.

4. - Limitazioni analoghe a quelle da valutare sotto il profilo della costituzionalità, sono, per altro, esistenti nella nostra legislazione: basta porre mente alle norme di legge che impongono l'osservanza di date distanze da manufatti diversi dalle autostrade e strade (per gli aeroporti statali e per quelli privati aperti al traffico, agli artt. 714 e seguenti del codice della navigazione; per i cimiteri, all'art. 338 t.u. leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, modificato con legge 17 ottobre 1957, n. 983; per le strade ferrate, all'art. 235 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, ecc.).

Sono codeste, comprese quelle in esame, limitazioni al godimento del diritto di proprietà sopra categorie di beni individuate in modo generale per la loro posizione relativamente ad altri beni destinati all'uso pubblico.

Non si può ritenere che con le norme denunciate i vincoli in esse previsti integrino sacrifici particolari per singoli soggetti o gruppi di soggetti.

Il profilo, il fatto o il momento dell'espropriazione non é qui oggetto di diretta considerazione da parte del legislatore. Non é attuata o prevista una sostituzione nella titolarità del diritto di proprietà relativamente ai beni che vengono assoggettati ai vincoli; e neppure un'ablazione di facoltà per la realizzazione dell'opera pubblica. Tale constatazione poi trova conferma in possibili distinti modi di spiegare i rapporti tra l'espropriazione ed il detto assoggettamento. Tra i beni espropriati, formalmente o sostanzialmente, per l'esecuzione dell'opera pubblica e quelli vincolati non vi é identità: anzi se ne deve presupporre la diversità. Ciò posto, con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 9 della legge del 1961, il vincolo può dirsi sorto in un momento necessariamente (e alle volte, di molto) anteriore a quello del trasferimento coattivo per espropriazione, sulla base dell'approvazione (e pubblicazione della relativa notizia) del progetto (art. 9, comma terzo); e non é escluso, accedendo a diversa, ma non incompatibile, spiegazione del fenomeno, che la destinazione di pubblico interesse intervenga in un secondo momento: il danno quindi derivante dalla limitazione legale non é riconducibile all'espropriazione.

Stando così le cose, si vede bene come manchino le premesse o le condizioni perché possa porsi il problema del contenuto eventualmente espropriativo dei detti vincoli.

Né é pensabile che gli stessi vincoli siano preordinati alla espropriazione. Anche se non é escluso che il divieto di edificare entro la fascia di rispetto possa essere stato giustificato dal fine di rendere meno oneroso un successivo ampliamento o raddoppio della autostrada o della strada, non si può non riconoscere che codesto fine non é dimostrabile in concreto e comunque che le finalità perseguite con la normativa di cui si tratta e capaci di giustificarla sono diverse e sono quelle sopra indicate. E quindi tali limitazioni realizzano determinati interessi e non servono al successivo ed ulteriore soddisfacimento di altri.

5. - Con le norme in esame é in verità dettata in modo generale ed obiettivo una disciplina in forza della quale alcune categorie di beni vengono nell'interesse sociale assoggettati ad un particolare regime.

Il divieto concerne tutti i cittadini in quanto proprietari o titolari di altro diritto reale di godimento sopra determinati beni e non per le loro individuali qualità o condizioni, e dal punto di vista oggettivo quei beni individuabili ed individuati in categorie per le caratteristiche derivanti dalla loro posizione. I beni compresi in una fascia di tre metri dai cigli delle strade (legge del 1865), o dal confine delle stesse strade (codice della strada, del 1933), ovvero di 25 metri dal limite della zona di occupazione dell'autostrada (legge del 1961) ovvero, infine, del numero di metri che sarebbe stato indicato con decreto ministeriale e da computarsi "a partire dal ciglio della strada" (legge del 1967), per la particolare posizione in cui si trovano nei confronti delle autostrade e delle strade e quindi per la loro oggettiva attitudine a servire alle finalità pubbliche o sociali anzidette, e soprattutto alla protezione del nastro stradale, sono assoggettati ad un particolare regime (giuridico) di appartenenza.

Anche se in questa ipotesi non ricorrono identicamente le ragioni che hanno consentito a questa Corte di non dichiarare l'illegittimità costituzionale della legge della provincia di Bolzano del 24 luglio 1957, n. 8, sulla tutela del paesaggio (sent. n. 56 del 1968), perché in quella occasione trattavasi di beni immobili aventi valore paesistico per una circostanza che dipende dalla loro localizzazione e dalla loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge, e costituenti quindi "una categoria che originariamente é di interesse pubblico", nella specie una categoria di beni ricorre egualmente, sia pure determinabile ed individuabile per ragione di localizzazione. Infatti, i beni immobili adiacenti alla zona di occupazione dell'autostrada (legge del 1961) o al ciglio delle autostrade e strade (legge del 1967) si trovano, prima ancora che intervenga la normativa limitatrice che li concerna, in una peculiare relazione con l'opera pubblica per il conseguimento di finalità sociali. E le norme quindi che formalmente impongono quei limiti, riguardano in termini generali ed in modo obiettivo, una categoria di beni determinabili a priori per caratteristiche di posizione o di localizzazione e per la loro inerenza ad un interesse della collettività.

Ora codesti limiti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 6 del 1966), non hanno carattere espropriativo, e per la loro imposizione per legge non é quindi dovuta una particolare indennità.

E perciò si può, concludendo, ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale dei detti artt. 9 e 19 rispettivamente delle leggi n. 729 del 1961 e n. 765 del 1967, in riferimento all'art. 42, comma secondo, della Costituzione.

6. - Del pari infondata, sia pure per differenti ragioni, appare la questione in relazione all'art. 46, comma terzo, della legge sulle espropriazioni per pubblica utilità.

Il legislatore del 1865, dopo avere, con i primi due commi dell'articolo, statuito che "é dovuta una indennità ai proprietari dei fondi, i quali dalla esecuzione dell'opera di pubblica utilità vengano gravati di servitù, o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto", ed aggiunto che la "privazione di un utile al quale il proprietario non avesse diritto, non può mai essere tenuta a calcolo nel determinare la indennità", con il terzo comma esclude che tali disposizioni possano essere applicate alle servitù stabilite da leggi speciali.

Siffatta esclusione comporta che dette leggi speciali, qualora stabiliscano servitù, possono prevedere un indennizzo, e che, in mancanza di codesta previsione, per la costituzione di quelle servitù non vigono i primi due commi dell'art. 46.

Ora, gli artt. 9 della legge n. 729 del 1961 e 19 della legge n. 765 del 1967, pur essendo compresi in leggi speciali, danno vita, come si é sopra detto, a limitazioni legali al diritto di proprietà, analoghe a quelle poste da altre leggi generali e speciali a proposito delle distanze da osservare nelle costruzioni e nelle piantagioni.

Per cui si ha che il diritto di proprietà sopra i beni o terreni confinanti con le autostrade e strade o adiacenti alle stesse é, con norme di portata generale, limitato nel senso che le facoltà di servirsi di quei beni o terreni per costruirvi sopra o per piantarvi alberi possono essere esercitate con il rispetto delle previste distanze dalle autostrade o dalle strade.

Da ciò consegue che la denuncia del detto art. 46, comma terzo, mossa con la seconda delle due ordinanze di rimessione, relativamente all'esclusione dell'indennizzo per limitazioni legali, é infondata.

7. - Ed infine, é parimenti non fondata la questione in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

La violazione del principio di uguaglianza é prospettata sotto un doppio punto di vista. In particolare, a proposito dell'art. 9 della legge n. 729 del 1961 e dell'art. 46 della legge n. 2359 del 1865, si avrebbe una prima disparità di trattamento tra i cittadini che subirebbero l'espropriazione totale e quelli che subirebbero l'espropriazione parziale, in quanto che in un caso gli espropriati verrebbero ad ottenere il giusto prezzo dell'intero immobile, e nell'altro, invece, gli espropriati non conseguirebbero l'intera differenza tra il giusto prezzo che l'immobile avrebbe avuto prima dell'espropriazione e quello che potrebbe avere la residua parte, dopo l'occupazione per esproprio, per la mancata indennizzabilità del divieto di costruire. Sennonché tale diversità ha riscontro in situazioni diverse, che non possono essere messe a raffronto.

Nell'ipotesi di espropriazione totale, la non indennizzabilità del divieto non rileva: per l'esecuzione dell'opera pubblica viene infatti espropriato l'intero bene immobile; nell'altra ipotesi, invece, il vincolo gioca sulla parte di bene non espropriata.

Non sussiste, quindi, l'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione.

E questa non ricorre neppure in riferimento alla seconda prospettazione. Non può vedersi una ingiustificata ed arbitraria disparità di trattamento tra coloro che agiscono per il risarcimento dei danni da occupazione divenuta illegittima, ove si accetti la tesi secondo cui il divieto deve rientrare tra le conseguenze mediate ed indirette della occupazione, e coloro che invece agiscono in opposizione alla stima; infatti, l'occupazione (parziale) illegittima non si presta ad essere posta sullo stesso piano della espropriazione parziale, dato che si tratta di due fattispecie diverse, sì che in un caso si chiede il risarcimento di danni da atto illegittimo, nell'altro l'indennizzo in seguito ad atto legittimo.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 del D.M. 1 aprile 1968 (distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765), sollevata con l'ordinanza del 23 marzo 1970 del tribunale di Avellino, in riferimento agli artt. 3 e 42, comma terzo, della Costituzione;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma primo, della legge 24 luglio 1961, n. 729 (piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali), dell'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) e - nei sensi di cui in motivazione - dell'art. 46, comma terzo, della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (sulle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità), sollevate con la detta ordinanza nonché con l'altra indicata in epigrafe dello stesso tribunale, in riferimento agli artt. 3 e 42, comma terzo, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 giugno 1971.