Sentenza n.129 del 1981
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SENTENZA N. 129

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti promossi con i ricorsi del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato della Repubblica e del Presidente della Camera dei deputati nei confronti della Corte dei conti - Sezione I giurisdizionale, notificati il primo il 19 novembre 1980 e gli altri due il 1 dicembre 1980, rispettivamente depositati nella Cancelleria della Corte costituzionale in data 25 novembre, 5 e 17 dicembre 1980 e iscritti ai nn. 32, 33 e 34 del registro conflitti 1980, per conflitti di attribuzione sorti a seguito dei decreti 30 ottobre 1979-19 febbraio 1980, con i quali è stato prescritto ai Tesorieri dei tre organi ricorrenti di presentare nel termine di sei mesi i conti relativi alle gestioni degli anni dal 1969 al 1977.

Udito nell'udienza pubblica del 13 maggio 1981 il giudice relatore Livio Paladin;

uditi gli avvocati Aldo Sandulli, per il Presidente della Repubblica, Vezio Crisafulli, per il Presidente del Senato della Repubblica, e Paolo Barile, per il Presidente della Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. - Con altrettanti decreti emessi il 30 ottobre 1979, su istanza del Procuratore generale, la Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti ha prescritto ai tesorieri della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica e della Presidenza della Repubblica il termine di mesi sei per la presentazione dei conti relativi alle gestioni degli anni dal 1969 al 1977.

Nei decreti in questione si premette che, "ai sensi dell'art. 103 Cost., la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge"; e pertanto "giudica, con giurisdizione contenziosa" - ai sensi dell'art. 44 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 "sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di proprietà dello Stato". Di qui la conseguenza - messa in luce da questa Corte, nella sentenza n. 114 del 1975 - che "è principio generale del nostro ordinamento che il pubblico danaro proveniente dalla generalità dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni debba essere assoggettato alla garanzia costituzionale della correttezza della sua gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto giudiziale": cui non è consentito sottrarsi a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia comunque maneggio di danaro e di valori di proprietà dell'ente". Nei riguardi dei contabili degli stessi organi costituzionali dello Stato, pur dotati "di uno specialissimo regime di autonomia", dovrebbe dunque affermarsi "l'obbligo della resa del conto delle loro gestioni ad un giudice indipendente ed imparziale", quale la Corte dei conti; senza di che ne discenderebbe "un privilegio anacronistico", tanto meno giustificabile in quanto "afferente la posizione giuridica di soggetti svolgenti attività meramente strumentali" (o facenti parte "di un apparato burocratico di regime giuridico eguale a quello di ogni altro apparato dell'Amministrazione dello Stato, previsto proprio per tenere indenne il titolare della suprema carica dello Stato da incombenze di gestione e dalle connesse responsabilità d'ordine amministrativo o contabile", come si verificherebbe nel caso del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica). Ed il sindacato sul comportamento di tali soggetti non implicherebbe alcuna menomazione delle prerogative spettanti alla Camera dei deputati, al Senato della Repubblica ed al Capo dello Stato.

Depositati il 19 febbraio 1980, i predetti decreti sono stati quindi inviati - con note del direttore della segreteria presso la Procura generale della Corte dei conti, datate 21 marzo 1980 - alla Presidenza della Repubblica, nonché alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, affinché si provvedesse "alla notificazione giudiziale nei confronti del Tesoriere".

2. - In relazione a tali atti, ha sollevato conflitto di attribuzione il Presidente della Repubblica, con ricorso depositato il 18 luglio 1980 (al quale ha preso parte, "per quanto di ragione", sottoscrivendolo e "formulando le medesime richieste", il Segretario generale della Presidenza), perchè venga "dichiarato il difetto di potere della Corte dei conti ad esercitare la giurisdizione contabile nei confronti del tesoriere della Presidenza della Repubblica", annullando il decreto 30 ottobre 1979-19 febbraio 1980 della Sezione I giurisdizionale, la relativa istanza 2 novembre 1978 del Procuratore generale, la nota 21 marzo 1980 della Procura generale della Corte, nonché "ogni altro atto preordinato, connesso e conseguenziale".

Posto che fra i poteri dello Stato rientrerebbero tanto la Presidenza della Repubblica quanto la Corte dei conti, nell'esercizio della funzione giurisdizionale, il ricorso argomenta l'ammissibilità dell'azione anche "sotto il profilo oggettivo": dal momento che la Presidenza della Repubblica agirebbe "a salvaguardia della propria autonomia costituzionale", risultante da una serie di norme della Costituzione (come quelle dettate negli artt. 87, 88, 90, 91, "nonché dai principi consuetudinari relativi alla posizione degli organi costituzionali, che partecipano della sovranità".

Nel merito, il ricorso contesta che quella contabile sia una giurisdizione "costituzionalmente riservata" alla Corte dei conti e sia stata comunque definita dalla Costituzione, anziché formare oggetto - come già rilevato da questa Corte - di "puntuali specificazioni legislative". Per contro, la Corte dei conti pretenderebbe di assoggettare alla propria giurisdizione i tesorieri degli organi costituzionali, in virtù di una diretta ed immediata applicazione dell'art. 103 Cost.; per di più sostenendo la natura "meramente amministrativa" dell'apparato della Presidenza della Repubblica e delle relative attività. Ma, in realtà, il Segretariato di tale Presidenza (con i suoi uffici e servizi) non potrebbe esser ridotto ad una di quelle" Amministrazioni dello Stato", cui si riferisce il testo unico n. 1214 del 1934. Non a caso, né prima né dopo che entrasse in vigore la Costituzione repubblicana, gli agenti degli organi dello Stato non inquadrati nella pubblica amministrazione, quali gli organi costituzionali (ivi compresa la Real Casa) non sarebbero mai stati sottoposti al giudizio di conto. Lo vieterebbe il principio costituzionale non scritto, "ma ricavabile e ricavato dal sistema", che garantisce l'autonomia e l'inviolabilità della Presidenza della Repubblica; laddove la sottoposizione al giudizio di conto implicherebbe la verifica di tutti gli atti della gestione che stanno a monte delle poste contabili e ne condizionano la regolarità.

Con ciò stesso, però, il giudizio di conto comprometterebbe quella riservatezza che rappresenta - si afferma - "un aspetto assolutamente essenziale e imprescindibile" della funzione presidenziale (ivi compreso l'organismo "ausiliario" costituito dal Segretariato generale). Né gioverebbe richiamare gli assunti della sentenza n. 114 del 1975, che riguarderebbe - in via di principio - la sola gestione contabile degli enti locali, già tradizionalmente sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, senza potersi estendere agli organi sovrani, come questa Corte avrebbe più volte precisato, in particolar modo nella sentenza n. 143 del 1968.

Conclusivamente, nel ricorso si accenna che analoghe considerazioni varrebbero a risolvere il problema della cosiddetta autodichia degli organi costituzionali: rispetto alla quale, tuttavia, il problema dell'esenzione dal giudizio di conto si presenterebbe in termini del tutto diversi, dal momento che nessuna norma costituzionale darebbe fondamento alla pretesa della Corte dei conti.

3. - Con ricorso depositato il 18 luglio 1980 ha sollevato conflitto anche il Presidente della Camera dei deputati, previa deliberazione dell'Ufficio di presidenza, datata 19 giugno e quindi adottata dall'intera Assemblea nella seduta del 2 luglio 1980: chiedendo che questa Corte neghi alla Corte dei conti la spettanza del "potere di giurisdizione contabile nei confronti della Camera dei deputati" e di conseguenza annulli il decreto 19 febbraio 1980 della Sezione I giurisdizionale e la nota 21 marzo 1980 della Procura generale della Corte stessa.

Nel ricorso si assume che l'esercizio della giurisdizione contabile cui la Corte dei conti avrebbe così dato inizio, configurerebbe "un'ipotesi di lesione delle competenze e dell'autonomia costituzionalmente garantite alla Camera dei deputati". Posto che la Camera disporrebbe della legittimazione attiva a sollevare conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, in quanto "organo costituzionale all'interno del sistema bicamerale", e che la Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti sarebbe passivamente legittimata, in quanto "titolare in via esclusiva del potere di giurisdizione contabile", il ricorso argomenta che sussisterebbero anche i presupposti oggettivi d'un conflitto. La Camera dei deputati sarebbe infatti sottoposta ad un "ordine proveniente da un potere esterno": ordine che ne violerebbe l'indipendenza, garantita "dal sistema costituzionale" e, in particolare, dagli artt. 55, 56, 63-69 e 72 della Costituzione.

In realtà, il secondo comma dell'art. 103 Cost., nell'affidare alla Corte dei conti la competenza in materia di contabilità pubblica, avrebbe avuto "come punto di riferimento la funzione della Corte stessa quale organo di controllo sulla utilizzazione del pubblico danaro", in base al secondo comma dell'art. 100. La tesi che la giurisdizione contabile si estenda ai tesorieri delle assemblee parlamentari condurrebbe invece "all'assurda conseguenza che le Camere sarebbero sottoposte al controllo del medesimo organo à mezzo del quale esse esercitano il potere costituzionale di controllo del Governo e delle pubbliche amministrazioni". Non a caso, la stessa Corte dei conti avrebbe finora pacificamente escluso dalla giurisdizione contabile - come risulterebbe, per esempio, dalle relazioni sul rendiconto generale dello Stato per il 1966 e per il 1967 - gli atti contabili della Camera. Il giudizio di conto implicherebbe necessariamente, infatti, un giudizio sulla gestione; ed un tale esercizio della giurisdizione contabile potrebbe addirittura coinvolgere "decisioni che le Camere ritengano invece di mantenere segrete". Inoltre, poiché il regolamento della Camera (con particolare riguardo agli artt. 12 e 66) disciplinerebbe compiutamente l'erogazione della spesa, ne verrebbe lesa l'autonomia regolamentare di tale Assemblea.

Del resto, anche dalla disciplina legislativa e regolamentare vigente in materia di contabilità pubblica si ricaverebbe la sottrazione degli organi costituzionali in genere, e della Camera dei deputati in specie, alla giurisdizione contabile della Corte dei conti. Il citato testo unico n. 1214 del 1934 concernerebbe la sola "amministrazione governativa in senso tecnico"; mentre il regolamento di procedura dettato dal r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 (come pure il testo unico n. 2440 del 1923 ed il r.d. n. 827 del 1924) sarebbe coerentemente riferito ai soli "agenti comunque collegati ad organi del potere esecutivo".

Questa stessa Corte avrebbe più volte ribadito "che gli organi costituzionali non sono in alcun modo sottoposti al controllo e alla giurisdizione contabile". In tal senso il ricorso richiama la motivazione delle sentenze n. 143 del 1968 e n. 110 del 1970 (nonché le decisioni n. 17 del 1965 e n. 33 del 1968).

Infine, il ricorso fa notare che "l'esistenza di un giudizio esterno all'organo costituzionale implica la possibilità di ordini e di sanzioni, non solo nei confronti dei tesorieri, ma anche degli uffici della Camera dei deputati". Oltre alla resa del conto, la Corte dei conti potrebbe infatti condannare gli agenti contabili della Camera ad una pena pecuniaria ed alla compilazione d'ufficio del conto medesimo; potrebbe proporne la sospensione e la destituzione; potrebbe ancora, in fase istruttoria, ordinare la produzione di atti ed accedere agli uffici per acquisire ulteriori elementi di giudizio.

4. - Analogo conflitto è stato altresì sollevato dal Presidente del Senato della Repubblica, previa deliberazione 17 giugno 1980 del Consiglio di presidenza, adottata dall'intera Assemblea nella seduta del 2 luglio 1980.

Il ricorso, depositato anch'esso il 18 luglio 1980, rinnova alla Corte la richiesta di "dichiarare che non spetta alla Corte dei conti (Sezione I giuridizionale per le materie di contabilità pubblica) il potere di estendere la giurisdizione contabile al tesoriere del Senato della Repubblica", annullando di conseguenza il decreto 30 ottobre 1979-19 febbraio 1980 e " per quanto possa occorrere" - la predetta nota del 21 marzo 1980.

Sulla base di argomentazioni consimili a quelle svolte per il Presidente della Camera, anche la difesa del Senato sostiene la legittimazione attiva di tale Assemblea e la legittimazione passiva della Corte dei conti: quest'ultima costituirebbe bensì "un complesso organizzatorio strutturalmente unitario"; ma le attribuzioni assegnate dalla legge alle varie sue componenti sarebbero tra loro "distinte e differenziate". D'altronde, sussisterebbe il requisito oggettivo del conflitto, sia perchè la Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti addurrebbe a fondamento della propria pretesa l'art. 103 Cost., sia perchè il Senato rivendicherebbe invece la propria autonomia contabile, "in forza di principi costituzionali da sempre osservati", recepiti e presupposti dagli artt. 55, 56 e 63-69 Cost., nonché specificati dal regolamento dell'Assemblea in questione.

Nel merito, ferma restando la rigorosa esclusione di qualsiasi controllo della Corte dei conti sulla erogazione delle spese previste nel bilancio del Senato, il ricorso osserva che la stessa giurisdizione contabile non sarebbe provvista di una incondizionata "capacità espansiva", ma incontrerebbe un limite nell'indipendenza degli organi partecipi del potere sovrano. In tal senso andrebbe letta la citata sentenza n. 114 del 1975, richiamata dall'impugnato decreto della Sezione I giurisdizionale. Senza di che - si afferma - ne discenderebbe "una sorta di sindacato sugli organi politici ordinatori delle spese", anche a tacere degli oneri connessi ad "adempimenti disposti da Commissioni d'inchiesta e destinati a rimanere segreti" (o dell'approvazione dello stesso bilancio preventivo in seduta segreta).

D'altra parte, i poteri di ingerenza nella gestione del bilancio esplicabili dal magistrato contabile sarebbero " praticamente indeterminati" (già in forza dell'art. 28 del ricordato regolamento di procedura del 1933). Sicché ne deriverebbe "una serie di obblighi di facere in capo agli organi del Senato preposti alla gestione del bilancio e al governo del personale", che potrebbero addirittura contrastare con "specifici poteri" spettanti al Senato medesimo ed implicherebbero comunque "interferenze nei rapporti tra il Senato e i suoi dipendenti".

5. - Ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, "riservato ogni definitivo giudizio sull'ammissibilità e sul merito dei ricorsi", questi sono stati dichiarati ammissibili con ordinanza n. 150 del 1980 (fatta eccezione per la "partecipazione dei Segretario generale della Presidenza al giudizio promosso dal Presidente della Repubblica"). Conseguentemente, la predetta ordinanza e i relativi ricorsi sono stati tutti notificati alla Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti, in data 19 novembre da parte del Presidente della Repubblica, in data 1 dicembre 1980 da parte dei Presidenti della Camera e del Senato.

Per altro, la Sezione I giurisdizionale non si è costituita nel presente giudizio. Hanno invece depositato memorie le difese della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; mentre la difesa del Presidente della Repubblica si è limitata ad addurre - "a fini di documentazione" - le vigenti norme regolamentari, concernenti il servizio di tesoreria (e i relativi controlli) presso il Segretariato generale della Presidenza.

a) Riaffermata la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi del conflitto, la memoria riguardante la Camera dei deputati insiste nell'assunto che la giurisdizione contabile non potrebbe estendersi - in base al tuttora vigente art. 44 del r.d. 1214 del 1934 - anche nei confronti degli organi costituzionali. "La capacità espansiva e sostanzialmente innovativa" dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione non implicherebbe - come avvertito da questa stessa Corte, nella sentenza n. 102 del 1977 - né l'"assoluta ... generalità" ditale previsione, né la "sua immediata operatività in tutti i casi". Nemmeno il "legislatore futuro" potrebbe del resto "varcare il limite costituito dall'autonomia-indipendenza della Camera dei deputati". Tale limite opererebbe, invece, "anche nei confronti della funzione giurisdizionale": con particolare riguardo all'ordinamento contabile della Camera, nell'ambito del quale non si potrebbero comunque distinguere la funzione " gestionale" e la funzione di "maneggio".

Sotto questo aspetto, gli assunti della Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti sarebbero errati, poiché "l'obbligo di rendiconto vincolerebbe direttamente funzioni esercitate congiuntamente non solo da funzionari ma anche da parlamentari"; mentre il giudizio di conto si estenderebbe - corrispondentemente - "a sindacare ... le finalità giustificative delle spese", coinvolgendo ad un tempo il comportamento dei funzionari e quello dei parlamentari stessi. Dal regolamento di amministrazione e contabilità della Camera risulterebbe, infatti, che "tutto il procedimento, dal momento della gestione ... a quello dell'effettivo pagamento, si svolge con la costante presenza, accanto ai funzionari, dei deputati Questori". Ciò starebbe a significare che "non soltanto la gestione dei fondi è nelle mani dell'organo politico, ma che lo è anche la fase successiva del maneggio del denaro e dei valori": donde una serie di "inammissibili interferenze funzionali", che la pretesa della Corte dei conti verrebbe a determinare nei confronti della Camera dei deputati.

b) A loro volta, le note illustrative per il Senato della Repubblica, ricostruita la lunga vicenda delle pretese della Corte dei conti nei riguardi degli organi costituzionali, premettono che la linea di condotta della Sezione I giurisdizionale potrebbe non esser condivisa dall'intera Corte.

In ogni caso, dal regolamento di amministrazione e contabilità del Senato si ricaverebbero fin d'ora puntuali garanzie di correttezza nella gestione del pubblico denaro: sia nei confronti del competente istituto di credito, sia nei rapporti fra funzionari, senatori questori e Presidente del Senato stesso. Per contro, "anche se formalmente rivolte al contabile", le disposizioni della Corte dei conti si risolverebbero sempre - in realtà - "in obblighi imposti all'Amministrazione da cui il contabile dipende". "L'applicazione al Senato dei principi che la Corte dei conti ha affermato ... implicherebbe perciò l'obbligo da parte del Senato stesso di modificare sul punto il proprio regolamento di amministrazione e, conseguentemente, la Convenzione con la Banca", rinunciando - in particolar modo - "al controllo giornaliero sull'esecuzione degli ordinativi di riscossione e dei mandati di pagamento". Più in generale, ne deriverebbe necessariamente "una sorta di soggezione dell'Assemblea, dei suoi organi politici e degli uffici amministrativi da loro dipendenti ad un estraneo potere": con la conseguente lesione "della indipendenza e dell'autonomia organizzatoria costituzionalmente garantita al Senato".

Considerato in diritto

1. - I ricorsi per conflitto di attribuzione, proposti dal Presidente della Repubblica, dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente del Senato della Repubblica, nei confronti della Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti, riguardano i contemporanei ed analoghi decreti, datati 30 ottobre 1979 e depositati il 19 febbraio 1980, con cui tale Sezione ha prescritto ai tesorieri della Presidenza della Repubblica, della Camera e del Senato il termine di mesi sei per la presentazione dei conti relativi alle gestioni degli anni dal 1969 al 1977. Pertanto i tre giudizi, già riuniti mediante l'ordinanza n. 150 del 1980, si prestano ad essere decisi con unica sentenza.

2. - Nella predetta ordinanza, "riservato ogni definitivo giudizio sull'ammissibilità e sul merito dei ricorsi", la Corte li ha dichiarati ammissibili, in applicazione dell'art. 37, terzo comma, della legge n. 87 del 1953. Le argomentazioni allora svolte vanno confermate in questa fase del procedimento, tanto più che sul punto non sono state sollevate eccezioni di sorta.

Sotto il profilo soggettivo, può dunque ripetersi che non è dubbia la legittimazione a promuovere conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, spettante ai Presidenti delle Camere, sulla base di conformi deliberazioni delle rispettive assemblee parlamentari; poiché l'una e l'altra sono "competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono" (come stabilito dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953), con particolare riguardo ai casi in cui si tratti di attribuzioni rivendicate in nome dell'indipendenza e dell'autonomia di ciascun ramo del Parlamento. Del pari, legittimato è il Presidente della Repubblica, che ricorre anch'esso per salvaguardare la propria autonomia, sostenendo che il Segretariato generale della Presidenza svolgerebbe compiti serventi rispetto alla "funzione presidenziale", costituzionalmente garantita, non già rispetto ad una "funzione amministrativa" genericamente assunta. Né può contestarsi la legittimazione passiva della Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti: anche nell'ambito della giurisdizione contabile, quello giurisdizionale è un potere "diffuso" (cfr. la sentenza n. 231 del 1975), sicché ogni sua componente, nell'esercizio di funzioni giurisdizionali delle quali si ritenga titolare, può essere parte di conflitti.

Sotto il profilo oggettivo, è ben vero che la Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti - non costituitasi negli attuali giudizi - non ha inteso determinare una situazione di conflitto, ledendo l'indipendenza e l'autonomia dei ricorrenti, che anzi i decreti impugnati affermano esplicitamente di voler lasciare integre; e lo conferma la circostanza che i decreti stessi impongono la presentazione dei conti ai tesorieri e non agli organi costituzionali di appartenenza (sebbene la notificazione giudiziale sia stata effettuata per il tramite delle rispettive Presidenze).

Tuttavia, ciò non toglie che i ricorrenti considerino invece menomata, qualora la giurisdizione contabile si estenda ai loro tesorieri (ed agli altri agenti del tipo indicato dall'art. 44 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), una sfera di competenza costituzionalmente tutelata. Tale prospettazione è sufficiente a dimostrare che "esiste la materia di un conflitto" (in base all'art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953), anche se nei casi in esame non si controverte circa la spettanza di una stessa attribuzione, ma circa l'estensione della giurisdizione propria della Corte dei conti, nel rapporto con l'autonomia organizzativa e funzionale rivendicata dai tre organi costituzionali che hanno sollevato conflitto.

É infatti consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il criterio per cui la figura dei conflitti di attribuzione, sia tra lo Stato e le Regioni sia tra i poteri dello Stato, "non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto" (cfr. la sentenza n. 110 del 1970).

3. - Nel merito, i decreti impugnati si fondano sulla comune premessa che l'art. 103, secondo comma, della Costituzione riservi ed attribuisca senz'altro alla Corte dei conti la giurisdizione in qualunque materia di contabilità pubblica: elevando a principio di generalissima portata, riferibile anche ai tesorieri degli organi costituzionali ricorrenti, la disposizione dell'art. 44 del r.d. n. 1214 del 1934, per cui la Corte dei conti giudica "sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di proprietà dello Stato". A sostegno della sua tesi, la Sezione I giurisdizionale richiama la sentenza di questa Corte n. 114 del 1975, per desumerne - come già si è ricordato in narrativa - che lo strumento del rendiconto giudiziale" e l'apposito "giudizio sul conto" debbano trovare immediata applicazione nei riguardi di tutti coloro che maneggino danaro o custodiscano valori o materie, nell'ambito degli ordinamenti della Presidenza della Repubblica, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Sennonché la giurisprudenza finora elaborata da questa Corte, quanto alla giurisdizione della Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica, non conforta la tesi della Sezione I giurisdizionale. In primo luogo, non è pertinente il richiamo della sentenza n. 114 del 1975, poiché tale decisione ha risolto un problema ben lontano da quello in esame, dichiarando l'illegittimità costituzionale di una legge della Regione Trentino-Alto Adige, nella parte in cui questa rendeva eventuali anziché necessari i giudizi sui conti degli agenti contabili dei rispettivi enti locali, e facendo valere in tal senso la specifica esigenza di non determinare "una palese situazione di disparità di trattamento ... rispetto agli agenti contabili degli enti locali del restante territorio nazionale"; sicché i citati assunti della motivazione non possono venire universalizzati, estrapolandoli dal contesto della decisione stessa.

In secondo luogo, questa Corte ha più volte ritenuto - a partire dalla sentenza n. 110 del 1970 - che "il principio dell'art. 103 conferisca capacità espansiva alla disciplina dettata dal testo unico del 1934 per gli agenti contabili dello Stato, consentendone l'estensione a situazioni non espressamente regolate in modo specifico". Ma in quella stessa pronuncia si avverte che l'espandersi della giurisdizione costituzionalmente attribuita alla Corte dei conti, lungi dall'essere incondizionato, deve considerarsi circoscritto "laddove ricorra identità oggettiva di materia, e beninteso entro i limiti segnati da altre norme e principi costituzionali". Ed in questi termini si è ancor più chiaramente espressa la sentenza n. 102 del 1977: nella quale la Corte - sia pure dichiarando inammissibili le proposte questioni di legittimità costituzionale delle norme sulla responsabilità civile degli amministratori e dipendenti degli enti locali - ha in sostanza escluso che il precetto stabilito dal secondo comma dell'art. 103 Cost. sia caratterizzato da una "assoluta (e non tendenziale) generalità "e sia dunque dotato d'immediata operatività in tutti i casi".

In terzo luogo, determinante è la contrapposizione che la ricordata sentenza n. 110 del 1970 ha operato, di fronte alla giurisdizione contabile della Corte dei conti, fra le attribuzioni delle assemblee regionali e quelle spettanti alle assemblee parlamentari. Nell'argomentare che le prime si svolgono "a livello di autonomia", mentre le seconde sono collocate "a livello di sovranità", la Corte ne ha infatti ricavato che "deroghe alla giurisdizione ... sono ammissibili soltanto nei confronti di organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato, e perciò situati al vertice dell'ordinamento, in posizione di assoluta indipendenza e di reciproca parità". Pur precisando che deroghe del genere sono "sempre di stretta interpretazione", tale sentenza respinge pertanto - in un modo inequivoco - la meccanica assimilazione fra i tesorieri dei Consigli regionali e quelli degli organi costituzionali; e fa trasparire, almeno per quanto riguarda le Camere del Parlamento, l'opposta convinzione che i loro agenti contabili rimangano esenti dall'apposito giudizio di conto, in nome delle "prerogative riservate agli organi supremi dello Stato".

4. - Questo orientamento va ora tenuto fermo, nel risolvere i casi in esame.

A tale fine, dev'essere anzitutto analizzato l'intero complesso delle fonti normative e delle norme Vigenti in materia. Al riguardo i decreti impugnati presuppongono, infatti, che nessun ostacolo si frapponga all'esercizio della giurisdizione contabile nei confronti dei tesorieri della Presidenza della Repubblica, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica: salvo un "privilegio anacronistico", che soltanto di fatto li svincolerebbe dall'obbligo di rendere il conto delle loro gestioni, senza alcun fondamento suscettibile di giustificare la conseguente disapplicazione degli artt. 103 Cost. e 44 del r.d. n. 1214 del 1934. Ma i termini della questione non sono così semplici.

Occorre considerare, al contrario, che la disciplina dettata dalle norme costituzionali scritte, quanto al regime organizzativo e funzionale degli apparati serventi gli organi costituzionali, non è affatto compiuta e dettagliata. Ad integrazione di esse ed in corrispondenza alle peculiari posizioni degli organi medesimi, si sono dunque affermati principi non scritti, manifestatisi e consolidatisi attraverso la ripetizione costante di comportamenti uniformi (o comunque retti da comuni criteri, in situazioni identiche o analoghe): vale a dire, nella forma di vere e proprie consuetudini costituzionali. Tale, in particolar modo, è stato ed è il caso dei rapporti fra gli organi costituzionali in esame e la Corte dei conti quale giudice sull'attività gestoria degli agenti contabili dell'amministrazione dello Stato. Effettivamente, sotto il vigore dello Statuto albertino, per quanto risulta a questa Corte, non si è mai dubitato che i tesorieri della Real Casa e delle due Camere del Parlamento fossero esentati dalla giurisdizione contabile. Né quell'"antica prassi", alla quale accennano esplicitamente i decreti concernenti i tesorieri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, è stata interrotta dall'instaurazione dell'ordinamento repubblicano: sia perchè i soggetti che diversamente avrebbero dovuto presentare il conto non hanno ritenuto di essere obbligati a siffatti adempimenti; sia perchè la Corte dei conti - con la sola eccezione d'una serie di note del 15 gennaio 1968, che per altro non hanno avuto alcun seguito - non ha rivolto loro alcuna intimazione, riconoscendo in sostanza di non poter esercitare in questo campo la sua giurisdizione.

D'altronde, non sarebbe fondato sostenere che si tratti di una prassi irrilevante dal punto di vista del diritto costituzionale. L'esenzione dei loro agenti contabili dai giudizi di conto rappresenta, viceversa, il diretto riflesso della spiccata autonomia di cui tuttora dispongono i tre organi costituzionali ricorrenti. Tale autonomia si esprime anzitutto sul piano normativo, nel senso che agli organi in questione compete la produzione di apposite norme giuridiche, disciplinanti l'assetto ed il funzionamento dei loro apparati serventi; ma non si esaurisce nella normazione, bensì comprende - coerentemente - il momento applicativo delle norme stesse, incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne l'osservanza. Rispetto alla materia del presente conflitto, ciò significa da un lato che spetta alle Camere del Parlamento ed alla Presidenza della Repubblica dettare autonomamente le disposizioni regolamentari che ognuno di tali organi ritenga più opportune per garantire una corretta gestione delle somme affidate ai rispettivi tesorieri; e comporta d'altro lato che rientri nell'esclusiva disponibilità di detti organi, senza di che la loro autonomia verrebbe dimezzata, l'attivazione dei corrispondenti rimedi, amministrativi od anche giurisdizionali.

Relativamente alle assemblee parlamentari, è dunque in tal senso che va inteso il primo comma dell'art. 64 Cost., per cui "ciascuna Camera adotta il proprio regolamento"; ed è questa la chiave del problema in esame, indipendentemente dai molti altri articoli della Costituzione, su cui fanno leva i ricorsi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Ma la conclusione non può essere diversa nei riguardi della Presidenza della Repubblica, malgrado per essa non sussista alcuna previsione costituzionale analoga a quella concernente i regolamenti parlamentari. Al di là del testo dell'ultimo comma dell'art. 83 Cost., che si limita a rinviare alla legge la determinazione dell'"assegno" e della "dotazione" spettanti ai Presidente della Repubblica, è infatti indiscusso in dottrina che anche quest'organo abbisogni di un proprio apparato, non solo e non tanto per amministrare i beni rientranti nella "dotazione" stessa, quanto per consentire un efficiente esercizio delle funzioni presidenziali, garantendo in tal modo la non-dipendenza del Presidente rispetto ad altri poteri dello Stato; sicché il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica non può essere riduttivamente configurato - come invece si legge nel relativo decreto della Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti - quale "apparato burocratico di regime giuridico eguale a quello di ogni altro apparato dell'amministrazione dello Stato". Non a caso, il secondo comma dell'art. 3 della legge 9 agosto 1948, n. 1077, dispone che "il Segretario generale della Presidenza della Repubblica è nominato e revocato con decreto del Presidente della Repubblica", sia pur "controfirmato dal Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri"; ed è il Presidente della Repubblica che approva - in virtù del terzo comma del citato articolo - il cosiddetto "regolamento interno" ed i "provvedimenti relativi al personale", sia pure su proposta del Segretario generale. Per quanto non siano completamente assimilabili ai regolamenti delle Camere, anche i regolamenti approvati a questa stregua dal Presidente della Repubblica debbono considerarsi sorretti da un implicito fondamento costituzionale (in vista del quale la legge n. 1077 del 1948 assume sul punto - come è stato chiarito già nel corso dei lavori preparatori di essa - un carattere ricognitivo piuttosto che attributivo); tanto più che fonti del genere, se così non fosse, non potrebbero legittimamente inserirsi nell'attuale sistema degli atti normativi dello Stato.

Da tutto questo consegue che il problema dei rapporti fra il giudice contabile, la Presidenza della Repubblica e le Camere del Parlamento non può essere risolto limitandosi a notare che la Carta costituzionale non introduce in proposito alcuna esplicita deroga, rispetto a quella norma di generalissima portata che si vorrebbe desumere dal secondo comma dell'art. 103 Cost. Vero è, viceversa, che l'esenzione dai giudizi di conto s'inserisce in un regime fondamentalmente comune a tutti gli organi costituzionali ricorrenti, rinsaldato da una lunga tradizione e radicato nell'autonomia spettante agli organi stessi.

5. - I tre ricorsi vanno pertanto accolti.

In via di principio, la giurisdizione sui conti giudiziali è retta da un impulso d'ufficio, determinante processi di tipo inquisitorio, che prescindono dalle istanze delle amministrazioni; ed anzi presenta - allo stato attuale dell'ordinamento - un carattere necessario e continuo, risolvendosi inevitabilmente in tanti giudizi quanti sono i conti che periodicamente si susseguono. Pur investendo le sole gestioni degli agenti contabili (dalle quali debbono restar distinte - a questi specifici effetti - le gestioni degli ordinatori della spesa), i predetti giudizi di conto non sono pertanto compatibili con le autonome valutazioni, costituzionalmente spettanti alla Presidenza della Repubblica, alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica.

Ma da ciò non discende per nulla, circa gli agenti contabili degli organi in questione, che non venga assicurata una corretta gestione del danaro pubblico, nonché degli altri valori e materie di proprietà dello Stato. Nell'ambito degli apparati della Presidenza della Repubblica e delle assemblee parlamentari, puntuali garanzie sono offerte fin d'ora dalle rispettive norme regolamentari (si vedano, in particolar modo, gli articoli 27, 28 e 65 del regolamento di contabilità per i servizi del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, approvato con decreto presidenziale 11 settembre 1980, n. 42; gli artt. 9, 25 lett. g), 26, 27, 28, 32, 37 e 39 del regolamento di amministrazione e contabilità del Senato della Repubblica, adottato il 23 ottobre 1940; gli artt. 9, 32, 33, 35 e 38 del corrispondente regolamento di amministrazione e contabilità della Camera dei deputati).

Né si può dire che l'esonero dai giudizi di conto necessari valga ad escludere i rapporti in esame dalla giurisdizione in genere. Anche a non voler considerare la giurisdizione penale, che nei riguardi dei tesorieri degli organi costituzionali ricorrenti non soffre eccezioni di sorta, residuano pur sempre le azioni esercitabili dagli stessi interessati. Ma non compete alla Corte precisare in questa sede quali siano i procedimenti, utilizzabili ad iniziativa di parte, che meglio si armonizzino con le posizioni peculiari della Presidenza della Repubblica e delle assemblee parlamentari.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta alla Sezione I giurisdizionale della Corte dei conti il potere di sottoporre a giudizio di conto i tesorieri della Presidenza della Repubblica, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; e, di conseguenza, annulla i decreti emessi il 30 ottobre 1979, con cui la Sezione I giurisdizionale ha prescritto ai tesorieri stessi il termine di mesi sei per la presentazione dei conti relativi alle gestioni degli anni dal 1969 al 1977, nonché le corrispondenti note 21 marzo 1980 del direttore della segreteria presso la Procura generale della Corte dei conti.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1981.

Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 luglio 1981.