Sentenza n. 71 del 1962
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SENTENZA N. 71

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio promosso dal Presidente della Giunta regionale del Trentino-Alto Adige con ricorso notificato il 6 aprile 1962, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 18 successivo ed iscritto al n. 5 del Registro ricorsi 1962, per conflitto di attribuzione tra la Provincia di Bolzano e lo Stato, sorto a seguito di provvedimenti con i quali lo Stato ha concesso contributi a due cooperative edilizie costituite in Merano e in Lagundo.

Udita nell'udienza pubblica del 6 giugno 1962 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi l'avvocato Giuseppe Guarino, per il ricorrente, e il sostituto avvocato generale dello Stato Nicola Graziano, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

Con ricorso per conflitto di attribuzione notificato il 6 aprile 1962 al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dei lavori pubblici, la Regione Trentino-Alto Adige ha impugnato i provvedimenti coi quali lo Stato ha concesso contributi a due cooperative edilizie in Provincia di Bolzano, costituite, la prima - composta di ex internati e prigionieri di guerra - in Merano, e la seconda - denominata "Labor" - in Lagundo, nonché tutti gli atti delle rispettive procedure. Le concessioni sarebbero avvenute in violazione del D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28, contenente norme di attuazione dello Statuto del Trentino-Alto Adige in materia di edilizia popolare ed economica, e sarebbero lesive delle competenze costituzionali della Provincia di Bolzano. Infatti, in primo luogo, esse violerebbero l'art. 4 del citato D.P.R., essendo mancata la necessaria intesa preliminare con la Provincia in ordine alla determinazione della quota annuale stanziata a carico del Ministero dei lavori pubblici per la costruzione di case popolari nell'ambito della Provincia. Inoltre, violerebbero l'art. 3, giacché, attribuendo questo alle Province di Trento e Bolzano la generalità delle potestà amministrative già statali in materia di edilizia popolare ed economica, la concessione dei fondi alle due cooperative sarebbe stata di competenza della Provincia di Bolzano e non dello Stato.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei lavori pubblici, costituitisi in giudizio, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 27 aprile 1962, precisano che, dei due finanziamenti statali - che la Regione ha dovuto impugnare senza conoscerne il testo, in quanto il Ministero dei lavori pubblici ha rifiutato di rilasciargliene copia -, il primo, relativo alla cooperativa di Merano, é stato concesso ai sensi della legge 10 agosto 1950, n. 715 (e cioè utilizzando il "fondo per l'incremento edilizio" previsto da tale legge), e non - come erroneamente ha ritenuto la Regione - ai sensi della legge 2 luglio 1949, n. 408, in base alla quale é stata finanziata, invece, la cooperativa di Lagundo. Orbene, siccome l'art. 3 delle norme di attuazione, approvate col D.P.R. n. 28 del 1959, invocato dalla Regione, ha conservato espressamente alla competenza statale le attribuzioni relative all'impiego del "fondo per l'incremento edilizio" di cui alla legge n. 715 del 1950, e il fondo stesso é iscritto, in base all'art. 1 di quest'ultima legge, nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro, e non in quello del Ministero dei lavori pubblici, le doglianze relative al finanziamento della cooperativa di Merano sarebbero infondate, sia alla stregua dell'art. 3, che alla stregua dell'art. 4 delle citate norme di attuazione.

Quanto al finanziamento della cooperativa di Lagundo, l'Avvocatura dello Stato, mentre nelle deduzioni aveva chiesto che la Corte ritornasse sulla propria giurisprudenza (sent. n. 53 del 1960), favorevole alla tesi regionale, successivamente, con una memoria depositata il 24 maggio 1962, ha reso noto che il relativo provvedimento ministeriale é stato annullato con decreto del Ministro dei lavori pubblici 30 aprile 1962, n. 6919, Div. XVI bis, proprio sul presupposto del mancato espletamento della procedura prevista dall'art. 4 del D.P.R. n. 28 del 1959. In conseguenza, l'Avvocatura ha modificato le proprie conclusioni, chiedendo che sul punto venga dichiarata cessata la materia del contendere.

Nella stessa memoria l'Avvocatura insiste, invece, in ordine al finanziamento della cooperativa di Merano, nelle precedenti conclusioni, e, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte, osserva che lo Stato ha il diritto di continuare a operare con proprie leggi e propri mezzi nel settore della edilizia popolare ed economica nel Trentino-Alto Adige, in tutti quei campi in cui non sia avvenuto un trasferimento di attribuzioni alla Regione o alle Province, campi tra i quali certamente rientra quello dei finanziamenti sul fondo di cui alla legge n. 715 del 1950.

In una memoria depositata anch'essa il 24 maggio 1962 la difesa della Regione, mentre si limita a richiamarsi, in ordine al finanziamento della cooperativa di Lagundo (del quale ignora l'annullamento), alla sentenza n. 53 del 1960 di questa Corte, cerca di confutare le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato circa il finanziamento della cooperativa di Merano.

Osserva al riguardo che i fondi di cui agli artt. 12-16 della legge n. 715 del 1950, se sono stanziati nel bilancio del Ministero del tesoro, sono gestiti dal Ministero dei lavori pubblici, ricadendo perciò nell'ambito dell'art. 4 delle norme di attuazione approvate col D.P.R. n. 28 del 1959 (onde, solo e appunto per ciò, sarebbero stati esclusi dall'ambito dell'art. 3).

Subordinatamente la Regione solleva, in via di eccezione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 del D.P.R. n. 28 del 1959, nella parte in cui sottrarrebbero alla competenza provinciale la materia di cui agli artt. 12-16 della legge n. 715 del 1950; e ciò perché, se avessero tale portata, gli artt. 3 e 4 violerebbero gli artt. 11 e 13 dello Statuto regionale, essendo indubbio che le case da costruirsi coi fondi di cui alla legge n. 715 sono "case popolari", e non potendo avere alcuna rilevanza in contrario la circostanza che i relativi finanziamenti non gravano sul bilancio del Ministero dei lavori pubblici.

Ancor più subordinatamente la Regione solleva poi la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 4 del D.P.R. n. 28 del 1959, ai sensi degli artt. 59, 60, 61, 63, 67, 68 e 70 dello Statuto T. - A.A. Posto che le Regioni sono enti autonomi e godono di autonomia finanziaria, e che quest'ultima é premessa e coronamento delle competenze legislative; che le materie attribuite alla competenza regionale diventano funzioni della Regione, cessando di esser funzioni dello Stato, sia sotto il profilo legislativo (salvo che per le leggi-quadro), sia sotto quello amministrativo; che appunto in funzione di ciò l'ordinamento costituzionale si preoccupa di assicurare alle Regioni i necessari mezzi finanziari; che tutto quanto si é detto per le Regioni vale anche per le Province di Trento e Bolzano, dotate di autonomia costituzionale; se ne deduce che se lo Stato ritiene che maggiori mezzi siano indispensabili per la esplicazione di funzioni delle Province di Trento e Bolzano, deve mettere gli ulteriori mezzi a loro disposizione attraverso i canali che le stesse norme costituzionali prevedono per assicurare il finanziamento delle loro funzioni istituzionali; che tali mezzi diventano mezzi propri delle Province e queste sole possono disporne; che "lo Stato può disporre con fondi propri nelle materie di competenza regionale (e provinciale) solo quando il canale costituzionalmente previsto per il finanziamento delle funzioni regionali (e provinciali) sia esaurito", e solo dopo aver potenziato tale canale fino al massimo previsto dalle norme costituzionali. In conseguenza, siccome la materia delle case popolari costituisce nel Trentino-Alto Adige funzione delle Province, nel caso in discussione "lo Stato era obbligato ad assegnare alla Provincia i maggiori fondi ritenuti necessari solo a mezzo del meccanismo costituzionale costituito dagli artt. 59, 61-63, 67, 68 e 70 dello Statuto, e non con assegnazioni speciali".

All'udienza di trattazione la difesa della Regione si é astenuta dall'illustrare le due eccezioni di legittimità costituzionale proposte nei confronti delle norme di attuazione dello Statuto regionale, e ha anzi dichiarato espressamente di non insistere in questa sede sulla seconda di esse.

Ha, invece, osservato, in aggiunta alle precedenti deduzioni, che una violazione dell'art. 3 delle norme di attuazione, in occasione del provvedimento di finanziamento relativo alla cooperativa di Merano, é riscontrabile anche sotto l'ulteriore profilo, che l'istruttoria di tale provvedimento, prevista dagli artt. 3 e 6 della legge n. 715 del 1950, e riconosciuta espressamente di competenza della Provincia dall'art. 3 delle norme di attuazione, sarebbe stata, invece, espletata dal Genio civile.

A quest'ultimo riguardo l'avvocato dello Stato ha però replicato che, non avendo la Provincia di Bolzano provveduto ancora, in materia, con proprie leggi, alla "designazione degli organi consultivi e tecnici che sostituiranno i corrispondenti organi statali", come prevede l'art. 12 delle norme di attuazione, per intanto la relativa competenza é rimasta, per espressa disposizione di quest'ultimo articolo, agli organi dello Stato, e quindi al Genio civile.

L'avvocato dello Stato ha poi replicato alle due eccezioni di illegittimità costituzionale delle norme di attuazione dello Statuto regionale.

In ordine alla prima ha osservato che essa sarebbe irrilevante ai fini dell'oggetto del giudizio principale, e cioè della risoluzione del conflitto di attribuzione riguardante il finanziamento della cooperativa di Merano, dato che l'eventuale dichiarazione di illegittimità degli artt. 3 e 4 delle norme di attuazione non sarebbe di per sé sola idonea a far considerare passate alla Provincia le attribuzioni in materia di provvidenze ai sensi degli artt. 12-16 della legge n. 715 del 1950, che le norme di attuazione hanno voluto conservare allo Stato, essendo a tal fine necessarie, se mai, dopo l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale da parte di questa Corte, nuove norme di attuazione, fino all'emanazione delle quali lo Stato rimarrebbe titolare delle attuali competenze.

In ordine alla seconda eccezione, l'avvocato dello Stato ha, in aggiunta, osservato che essa già é stata ritenuta infondata con la sentenza di questa Corte n. 2 del 1960, e che rientra indubbiamente tra i compiti dello Stato, anche ai sensi dell'art. 47 della Costituzione - applicabile nelle Regioni ad autonomia speciale non meno che nel rimanente territorio dello Stato -, di sopperire alle eventuali deficienze di intervento degli enti costituzionali minori in materia di edilizia popolare ed economica.

Considerato in diritto 

1. - In ordine al conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione nei confronti del provvedimento relativo al finanziamento da parte dello Stato della cooperativa edilizia "Labor" di Lagundo (decreto del Ministro dei lavori pubblici 5 febbraio 1962, n. 1103), é da dichiarare - in conformità della giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 74 del 10 dicembre 1960 e n. 3 del 6 febbraio 1962) - la cessazione della materia del contendere, giacché il menzionato provvedimento é stato successivamente annullato mediante il decreto del Ministro dei lavori pubblici 30 aprile 1962, n. 6919.

2. - Quanto all'impugnativa per conflitto di attribuzione proposta dalla Regione col medesimo ricorso (come le evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva consentivano) nei confronti del finanziamento della cooperativa edilizia "ex internati" di Merano, reso esecutivo col decreto del Ministro dei lavori pubblici 16 febbraio 1962, n. 2501, essa é da dichiarare infondata.

Il finanziamento in questione é stato disposto dall'apposita Commissione in applicazione degli artt. 13 e seguenti della legge 10 agosto 1950, n. 715, ed é stato reso esecutivo dal Ministro dei lavori pubblici, ai sensi dell'art. 16 della stessa legge.

Con questa legge fu costituito presso il Ministero del tesoro un apposito "fondo" permanente (di rotazione) "per l'incremento edilizio", ottenuto mediante prelevamenti dal "fondo lire" di cui all'art. 2 della legge 4 agosto 1948, n. 1108 (riguardante la ratifica della convenzione con gli Stati Uniti di America per la prestazione di assistenza economica da parte di questi nell'ambito di un "piano di cooperazione economica europea"), e volto alla realizzazione e al finanziamento della costruzione di case "non di lusso" in favore di "piccoli risparmiatori", che non siano proprietari di case di abitazione adeguate ai bisogni familiari.

La competenza in ordine all'impiego del "fondo" così costituito - le cui somme sono iscritte nello stato di previsione delle spese del Ministero del tesoro, che é responsabile della relativa gestione - é attribuita dagli artt. 12 e seguenti della legge n. 715 a un'apposita Commissione, formata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dei lavori pubblici di concerto con quello per il tesoro, presieduta dal Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, e composta, oltre a quest'ultimo, di tredici membri, dei quali tre sono designati dal Ministro dei lavori pubblici, tre da altri Ministri, e sette da altri enti. I provvedimenti della Commissione sono poi "resi esecutivi" con decreto del Ministro dei lavori pubblici.

Ciò che é più importante sottolineare é però che il "fondo" in questione - costituito oltre due anni dopo l'approvazione dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige -, per quanto destinato alla costruzione di case "non di lusso", aventi (ma solo di massima) caratteristiche non dissimili da quelle proprie delle case "economiche e popolari" (artt. 2 della legge n. 715), fu posto al servizio di finalità diverse da quelle tradizionalmente proprie dell'"edilizia popolare ed economica". Infatti, da un lato, sono ammessi a beneficiarne soggetti (i "piccoli risparmiatori") tradizionalmente non favoriti da quest'ultima legislazione (i cui beneficiari tradizionali sono i lavoratori dipendenti e i pensionati, e comunque i soggetti non provveduti di beni di fortuna). Dall'altro, la legge istitutiva, anziché esser sollecitata puramente e semplicemente dall'intento, eminentemente di protezione sociale, che é proprio della legislazione sull'"edilizia popolare ed economica", si ispira al dichiarato intento di incrementare il patrimonio edilizio nazionale, secondo una programmazione unitaria, volta a far fronte alla deficitaria situazione degli alloggi di certe parti del territorio nazionale (particolarmente del Mezzogiorno), con speciale riguardo alle località minori (v. in particolare gli artt. 1, 13, lett. a, e 18).

Esistono, dunque, valide ragioni per escludere che la "materia" della legge n. 715 del 1950 coincida con quella che nello Statuto speciale (dato oltre due anni prima alla Regione Trentino-Alto Adige) l'Assemblea costituente aveva considerato come "materia" delle "case popolari", attribuendola alla competenza delle Province di Trento e di Bolzano.

Ciò spiega perché l'art. 3 delle norme di attuazione dello Statuto regionale abbia escluso il trasferimento alle anzidette Province delle attribuzioni amministrative di maggior rilievo previste da quella legge, e precisamente di tutte quelle spettanti all'Amministrazione centrale dello Stato (gestione e impiego del "fondo" di rotazione, nella fase iniziale e nelle fasi ulteriori dell'impiego), limitando alla sola istruttoria delle domande degli aspiranti a usufruire dei benefici della legge, e al riscontro della esecuzione delle opere finanziate (vale a dire alle operazioni tecniche da esercitare in loco previste dagli artt. 3, 6 e 7 della legge) il passaggio di attribuzioni agli organi della Provincia. Statutariamente lo Stato non era tenuto, infatti, ad effettuare neanche tale passaggio; e lo ha effettuato per propria libera determinazione, non diversamente da come, col medesimo art. 3 delle norme di attuazione, si é regolato (secondo ciò che ha ritenuto questa Corte con la sentenza n. 19 del 1960) in relazione alle attribuzioni amministrative previste dalla legge 9 agosto 1954, n. 640. Onde le attribuzioni così trasferite alle Province traggono il proprio titolo non dallo Statuto regionale, bensì unicamente dal citato art. 3, e costituiscono un dippiù rispetto alle attribuzioni statutariamente spettanti alle Province.

A ogni modo, sta di fatto che il citato art. 3 ha espressamente escluso ogni potere delle Province di Trento e di Bolzano in ordine all'impiego delle somme del "fondo per l'incremento edilizio".

In considerazione dell'inequivoco dettato legislativo, e delle ragioni che sono alla base di questo, appaiono dunque vani gli sforzi della difesa della Regione, volti a trarre argomenti, in favore dell'opposta tesi, dal fatto che le somme relative al "fondo", sebbene iscritte nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro (e non in quello del Ministero dei lavori pubblici, sulle cui somme soltanto l'art. 4 delle norme di attuazione riconosce dei poteri alle Province di Trento e di Bolzano), sarebbero gestite dal Ministero dei lavori pubblici (cosa che, del resto, come si é visto, non é neppure esatta).

Né maggior successo possono avere le deduzioni prospettate dalla difesa della Regione, nella discussione orale, in ordine alla mancata osservanza, nella procedura culminata nel finanziamento della cooperativa di cui si discute, quanto meno di quel precetto dell'art. 3 delle norme di attuazione, che avrebbe voluto espletata da organi della Provincia, e non dal locale ufficio statale del Genio civile, ai sensi degli artt. 3 e 6 della legge n. 715, l'istruttoria preordinata alla concessione del finanziamento. Ben a ragione l'Avvocatura dello Stato ha opposto, infatti, che, ai sensi dell'art. 12 delle norme di attuazione, le competenze istruttorie di cui é questione non potranno considerarsi passate alla Provincia di Bolzano, fin quando questa non abbia provveduto con proprie leggi - come fin qui non ha fatto - alla designazione dell'organo tecnico che sostituirà, nelle competenze stesse, l'ufficio del Genio civile. Se il citato art. 12 dispone che così debba essere persino quando i provvedimenti, cui l'attività istruttoria del Genio civile sia preordinata, appartengano alla competenza provinciale, a maggior ragione la disposizione deve trovare applicazione quando quei provvedimenti siano di competenza statale.

Alla stregua delle norme di attuazione dello Statuto regionale l'impugnativa del decreto ministeriale 16 febbraio 1962 e degli atti del relativo procedimento é da dichiarare perciò infondata.

3. - Subordinatamente alla tesi della illegittimità di tali atti alla stregua delle norme di attuazione, la difesa della Regione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale (per contrasto con gli artt. 11 e 13 dello Statuto regionale) dei riferiti artt. 3 e 4 delle stesse norme di attuazione, osservando che l'attribuzione statutaria alle Province di Trento e di Bolzano delle competenze legislative e amministrative in materia di "case popolari" ha carattere generale; onde non sarebbe stato consentito alle norme di attuazione di introdurvi la deroga relativa ai poteri amministrativi di cui alla legge n. 715 del 1950.

Tale questione si rivela però manifestamente infondata, sul presupposto della natura e della funzione extrastatutarie - illustrate al numero che precede - delle disposizioni dell'art. 3 delle norme di attuazione, riflettenti il passaggio alle Province del Trentino-Alto Adige di talune soltanto delle attribuzioni amministrative previste dalla legge n. 715. Né occorre qui ripetere le argomentazioni già svolte al riguardo.

Il fatto che la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale non abbisogna di ulteriore dimostrazione dispensa poi la Corte, per evidenti ragioni di economia processuale, dalla necessità di esaminare se meriti accoglimento l'eccezione di irrilevanza, ai fini della decisione del presente giudizio per conflitto di attribuzione, sollevata all'udienza dall'avvocato dello Stato, nei confronti della proposta questione di legittimità.

4. - Analoghe considerazioni sono da fare in ordine alla seconda eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata, in via ulteriormente subordinata (ma non coltivata all'udienza di discussione) dalla difesa della Regione -, ai sensi degli artt. 59, 60, 61-63, 67, 68 e 70 dello Statuto speciale - in ordine agli artt. 1, 3 e 4 delle norme di attuazione, per il fatto che questi, ove consentissero allo Stato di intervenire nel Trentino-Alto Adige con proprie leggi e propria attività amministrativa nella materia delle "case popolari" tutte le volte che intenda farlo impiegando propri mezzi finanziari, verrebbero a ledere l'autonomia costituzionale delle Province.

É chiaro che, se mai, - e a parte le obbiezioni sollevate in proposito dall'Avvocatura dello Stato, dal cui esame ci si può dispensare per le stesse ragioni di economia processuale già fatte valere in ordine all'altra eccezione di legittimità costituzionale -, ai fini del presente giudizio per conflitto di attribuzione la riferita questione non potrebbe aver rilevanza se non limitatamente a quella parte dell'art. 3 delle norme di attuazione, che conserva alla competenza statale le attribuzioni previste dagli artt. 12-16 della legge n. 715 del 1950.

Così delimitata, essa - risolvendosi sostanzialmente in una diversa prospettazione della medesima questione già esaminata al numero precedente - non può però non esser dichiarata manifestamente infondata, non sussistendo - per le medesime ragioni enunciate al numero precedente - il presupposto della spettanza della "materia" alla competenza provinciale.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunciando sul ricorso della Regione Trentino-Alto Adige indicato in epigrafe:

dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine all'impugnativa del decreto del Ministro dei lavori pubblici 5 febbraio 1962. n. 1103:

dichiara la competenza dello Stato ad adottare i provvedimenti relativi al finanziamento della Cooperativa edilizia ex internati di Merano, ai sensi della legge 10 agosto 1950, n. 715, e gli atti preordinati, culminati nel decreto del Ministro pei lavori pubblici 16 febbraio 1962, n. 2501; e per l'effetto respinge l'impugnativa proposta contro gli anzidetti provvedimenti e atti preordinati dalla Regione Trentino-Alto Adige col ricorso indicato in epigrafe, con riferimento agli artt. 11 e 13 dello Statuto regionale e agli artt. 3 e 4 delle norme di attuazione approvate con D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1962.