Sentenza n.2 del 1960

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SENTENZA  N. 2

 

ANNO 1960

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

Composta dai signori Giudici:

 

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

 

Prof. TOMASO PERASSI                                              

 

Prof. GASPARE AMBROSINI                                           

 

Prof. ERNESTO BATTAGLINI                                          

 

Dott. MARIO COSATTI                                                      

 

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI                    

 

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO                               

 

Prof. ANTONINO PAPALDO                                             

 

Prof. NICOLA JAEGER                                                       

 

Prof. GIOVANNI CASSANDRO                                         

 

Dott. ANTONIO MANCA                                                    

 

Prof. ALDO SANDULLI                                                      

 

Prof. GIUSEPPE BRANCA                                                   

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale promossi con i seguenti ricorsi:

 

1) ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 3 marzo 1959, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 9 marzo 1959 ed iscritto al n. 1 del Registro ricorsi del 1959, avverso la legge approvata dal Consiglio provinciale della Provincia di Bolzano il 14 febbraio 1959, recante norme per la "assunzione di competenza in materia di case popolari";

 

2) ricorso del Presidente della Regione Trentino - Alto Adige, notificato il 13 marzo 1959, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 21 marzo 1959 ed iscritto al n. 2 del Registro ricorsi del 1959, avverso gli artt. 1, nn. 3 e 4, 2, primo e quarto comma, 3, secondo comma, 4, 6, primo, secondo e terzo comma, 7, 8, secondo comma, 11, primo comma e 13 del decreto legislativo 26 gennaio 1959, n. 28, contenente norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino - Alto Adige in materia di case popolari.

 

Viste le costituzioni in giudizio del Presidente della Giunta provinciale della Provincia di Bolzano e del Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

udita nell'udienza pubblica del 25 novembre 1959 la relazione del Giudice Antonio Manca;

 

uditi il sostituito avvocato generale dello Stato Luigi Tavassi La Greca, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e gli avvocati Karl Tinzl e Giuseppe Guarino, per la Regione Trentino-Alto Adige e per la Provincia di Bolzano.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

Il Consiglio provinciale della Provincia di Bolzano, il 14 febbraio 1959, approvò la legge recante norme per la "assunzione di competenza in materia di case popolari" in relazione agli artt. 11, n. 11, 13 e 92 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige. Con ricorso, notificato il 3 marzo 1959 alla Provincia di Bolzano e alla Regione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio, ha impugnato la legge anzidetta. Del ricorso é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 1959 e nel Bollettino regionale del 13 marzo 1959.

 

Nelle deduzioni, depositate il 9 marzo 1959, l'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, rileva anzitutto che la legge predetta sarebbe in contrasto con l'art. 95 dello Statuto speciale, che attribuisce soltanto allo Stato la competenza ad emanare norme di attuazione dello Statuto medesimo. Norme di attuazione che lo Stato ha emanato con decreto legislativo del 26 gennaio 1959, n. 28, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 febbraio 1959, n. 38.

 

Rileva altresì l'Avvocatura che la legge impugnata sarebbe nel suo complesso illegittima, perché quasi tutte le disposizioni in essa contenute riguarderebbero materie non comprese nella sfera di competenza normativa della Provincia e non riguarderebbero, in particolare, la materia delle case popolari, ai sensi dell'art. 11, n. 11, dello Statuto speciale; e che sarebbe altresì in contrasto con i principi generali ai quali é informata la legislazione dello Stato nella materia dell'edilizia economica e popolare.

 

Venendo all'esame delle singole disposizioni della legge provinciale, l'Avvocatura, ricordando la precedente sentenza di questa Corte n. 6 del 1957, osserva che negli artt. 1 e 2 sarebbe contenuta un'illegittima ricezione delle leggi dello Stato, non idonea d'altra parte ad indicare quali poteri siano rimasti allo Stato, nel campo dell'edilizia popolare, in relazione ad altre materie, quali, fra le altre, il credito, il trattamento tributario, il lavoro e l'assistenza sociale, cui la legge provinciale si riferisce e che esulano dalla competenza della Provincia. A parte il rilievo che la competenza normativa, prevista dall'art. 11, n. 11, dello Statuto, riguarderebbe soltanto la materia delle case popolari, onde sarebbe illegittima l'estensione all'edilizia economica in generale.

 

Secondo l'Avvocatura, illegittima sarebbe anche la disposizione dell'art. 4, in quanto prescrive che la composizione della Commissione di vigilanza, prevista nel precedente art. 3, deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici, rappresentati nel Consiglio provinciale. Si rileva al riguardo che dovrebbe restare immutata la competenza dello Stato a nominare gli organi amministrativi degli istituti concernenti l'edilizia economica e popolare.

 

Quanto all'art. 5, l'illegittimità deriverebbe dal fatto che esso disciplina l'attività di istituti di credito, fra i quali la Cassa depositi e prestiti, di carattere nazionale, o, comunque, extraprovinciale. Illegittimità che, analogamente, riguarderebbe anche l'art. 6, in quanto dispone che i fabbricati costruiti da cooperative mutuatane della Cassa depositi e prestiti siano devoluti all'Istituto delle case popolari di Bolzano, con provvedimento della Giunta provinciale, sentito il Ministero per il tesoro.

 

Anche l'art. 7, secondo comma, non sfuggirebbe a censura poiché, per la vigilanza sulle cooperative, richiamerebbe le disposizioni delle leggi regionali 29 gennaio 1954, n. 7, e 11 febbraio 1955, n. 3, mentre, secondo quanto ha ritenuto questa Corte con la sentenza n. 80 del 1958, i controlli sulle cooperative edilizie e, in particolare, su quelle con contributo erariale, continuerebbero a spettare allo Stato.

 

Si rileva altresì che sarebbe pure illegittima la disposizione contenuta nell'art. 9, con il quale é stato abrogato l'art. 28 del T.U. del 1938, relativo alla partecipazione degli istituti autonomi per le case popolari ai consorzi nazionali preveduti dallo stesso articolo. Si tratterebbe di un'ingerenza della Provincia in organizzazioni operanti oltre l'ambito provinciale, in contrasto quindi con l'art. 55 dello Statuto speciale.

 

L'art. 11 poi sarebbe in contrasto con l'art. 50 del citato T.U. del 1938, poiché demanda al Presidente della Giunta provinciale (che ai sensi dell'art. 48 dello Statuto sarebbe pure incompetente a provvedere direttamente), in luogo del Prefetto, l'approvazione preventiva dei progetti di case popolari ed economiche, e deferisce d'altra parte alla Giunta provinciale, d'intesa col Ministero delle finanze, anziché al Ministero per i lavori pubblici, la decisione dei reclami contro i provvedimenti del procuratore delle imposte.

 

Il secondo comma dell'art. 12 lederebbe la competenza della Regione in base all'art. 5, n. 25 dello Statuto, poiché stabilisce che, alla disciplina delle attività patrimoniali delle sezioni speciali istituite da società di assistenza e beneficenza per la costruzione di case popolari, si provvederebbe su richiesta della Giunta provinciale.

 

Circa l'art. 13 la difesa dello Stato fa rilevare che sarebbe in contrasto con l'art. 81 della Costituzione, essendo formulato genericamente circa l'onere delle spese; e mancherebbe quindi la concreta indicazione dei mezzi di copertura, richiesta dal citato articolo della Costituzione.

 

Riguardo all'art. 17 si osserva che spetterebbe soltanto allo Stato provvedere all'attribuzione degli alloggi, costruiti con contributo statale concesso precedentemente all'emanazione della legge.

 

Riguardo all'art. 18 si rileva che sarebbe arbitrario escludere, nel territorio della Provincia, l'intervento finanziario dello Stato per la costruzione di case popolari, mentre sarebbe illegittimo, per contrasto con l'art 50 dello Statuto, anche il 3 comma, in quanto dispone che le somme riscosse dagli istituti mutuanti in relazione ai commi sesto e settimo dell'art. 8 della legge statale 10 aprile 1950, n. 15, siano riservate alla Provincia.

 

Sarebbero altresì illegittimi, secondo il ricorrente, anche gli artt. 19 e 20, perché, col primo, si richiamano disposizioni di leggi statali riguardanti le case malsane, materia cioè che esula dalla competenza della Provincia e, col secondo, si recepiscono leggi tributarie vigenti a favore dell'edilizia popolare ed economica, invadendosi un campo di esclusiva competenza statale.

 

Per ciò che concerne le disposizioni contenute negli artt. 21 e 22, esse sarebbero illegittime in quanto riferentisi alla gestione dell'Ina - Casa, disciplinata da leggi statali, materia che, si assume, sarebbe estranea alla competenza della Provincia, poiché si tratterebbe di attività che si attuano su un piano nazionale, intese ad incrementare l'occupazione operaia, e rientranti perciò nel campo della legislazione sociale e del lavoro, circa la quale nessuna competenza sarebbe attribuita alla Provincia dallo Statuto speciale.

 

Aggiunge infine l'Avvocatura che la legge impugnata violerebbe altresì le norme di attuazione emanate dallo Stato nella materia, dato il carattere particolare delle norme stesse. Conclude quindi perché si dichiari la illegittimità della legge della Provincia di Bolzano del 14 febbraio 1959.

 

La Provincia (la Regione non si é costituita), rappresentata dagli avvocati Carlo Tinzì e Giuseppe Guarino, con deduzioni depositate il 21 marzo 1959, ai rilievi di carattere generale dell'Avvocatura dello Stato obietta che non potrebbe disconoscersi alla Provincia la potestà di emanare norme di attuazione. Nell'art. 95, si assume, sarebbe contenuta un'enunciazione generica, dalla quale non si potrebbe desumere un criterio discriminante della rispettiva competenza dello Stato e della Provincia. Questa disposizione, secondo la difesa della Provincia, se fosse intesa nel senso sostenuto dall'Avvocatura, porterebbe a ritenere una preminenza dell'attività legislativa dello Stato, tale da restringere arbitrariamente, o da escludere del tutto, l'attività normativa della Provincia. La disposizione stessa invece dovrebbe essere interpretata nel senso che spetterebbe allo Stato il compito di rendere possibile o di agevolare il passaggio dei poteri, degli uffici e del personale trasferito alla Provincia, in base alle norme statutarie. Di guisa che le norme di attuazione, da emanarsi dallo Stato, avrebbero carattere integrativo rispetto alla competenza normativa provinciale. La quale, sarebbe limitata soltanto dall'art. 4 dello Statuto speciale, per le norme primarie, e dall'art. 5 per quelle complementari.

 

Si obietta inoltre, che, essendosi statutariamente attribuita alla Provincia la competenza in materia di case popolari, la Provincia potrebbe emanare non soltanto le norme riguardanti principalmente la materia stessa, ma anche tutte le altre ad essa collegate. Tutte quelle disposizioni cioè contenute nel T.U. del 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia popolare ed economica, e che comprendono il credito, la cooperazione, l'amministrazione e l'assistenza. Tutto questo complesso di disposizioni, anche se alcune di esse, isolatamente considerate, non sarebbero comprese nella potestà normativa attribuita alla Provincia, vi rientrerebbero invece in relazione ai fini, per i quali é stata assegnata alla Provincia stessa la competenza a legiferare circa le case popolari; competenza di carattere primario, non subordinata perciò ai principi stabiliti dalla legge dello Stato.

 

Per quanto attiene in particolare agli articoli impugnati nel ricorso, la difesa della Provincia osserva quanto segue:

 

Circa gli artt. 1 e 2 relativi alla ricezione delle leggi statali, si osserva che la censura sarebbe infondata, perché con la ricezione delle leggi statali la Provincia, nella sua competenza statutariamente riconosciuta, non farebbe che adattare, emanandole come proprie, le norme già comprese nella legge dello Stato, salva la dimostrazione (che spetterebbe al ricorrente) che alcune delle disposizioni, in quanto adottate dalla Provincia, fossero in contrasto con la Costituzione o con lo Statuto speciale. Né sussisterebbe una illegittima estensione della competenza, assegnata per le case popolari, all'edilizia economica in generale, poiché nel T.U. del 1938 l'una e l'altra sarebbero sottoposte in generale allo stesso trattamento giuridico. A parte l'osservare che l'accennata distinzione sarebbe comunque superata, sia dalle leggi posteriori al T.U., sia dalla Costituzione.

 

Riguardo all'impugnazione dell'art. 4 si osserva che essa si riferirebbe ad una questione di principio che sarebbe da richiamare anche riguardo alle censure rivolte a vari altri articoli della legge; il principio cioè che, data la competenza primaria attribuita alla Provincia, questa potrebbe emanare, nella materia, norme di contenuto diverso da quelle delle leggi statali e legiferare altresì, in relazione alle case popolari, anche in materie per se stesse non di competenza della Provincia. Il ché giustificherebbe la disposizione contenuta nell'art. 4. Così parimenti sarebbe infondata anche la censura relativa agli artt. 5 e 6, perché il credito sarebbe appunto uno degli elementi essenziali per raggiungere lo scopo della legge. E per ciò che concerne la violazione dell'art. 55, pure dedotto dal ricorrente, si obietta che se é da escludere che la Provincia possa legiferare sull'organizzazione e il funzionamento di enti pubblici extra - provinciali, ciò non osterebbe tuttavia che potesse disciplinarne l'attività, in quanto si svolgesse nell'ambito della Provincia. Principio questo che, in relazione appunto all'art. 55, sarebbe stato già applicato rispetto ad enti parastatali dalla legge provinciale 7 ottobre 1955, n. 3, e dalle leggi regionali 21 gennaio 1954, n. 6, e 17 maggio 1956, n. 7.

 

Nessun fondamento dovrebbe quindi riconoscersi anche alla censura concernente l'art. 7, secondo comma, circa la vigilanza sulle cooperative edilizie, o a quella relativa all'art. 9, perché rientrerebbe nella competenza della Provincia emanare disposizioni circa la partecipazione, ai consorzi nazionali, degli enti operanti nell'ambito del territorio provinciale. In caso diverso, si osserva, questi enti verrebbero sottratti alla competenza della Provincia con un atto amministrativo dello Stato.

 

Non giustificata d'altra parte sarebbe l'impugnazione dell'art. 11, poiché la potestà degli organi provinciali di agire previa intesa con gli organi statali, sarebbe già stata riconosciuta legittima dallo Stato, riguardo alla legge della Provincia di Bolzano del 24 luglio 1957, n. 8, sulla tutela del paesaggio, e dalla legge regionale del 6 aprile 1956, n. 5, sulle elezioni comunali, e dalla legge pure regionale del 12 marzo 1959 sulla costituzione del medio credito nella Regione Trentino-Alto Adige. D'altra parte l'approvazione del progetto per la costruzione di abitazioni popolari non sarebbe compresa fra le materie per le quali l'art. 48 dello Statuto richiede l'intervento della Giunta.

 

Circa l'art. 12 rileva che l'impugnazione spetterebbe se mai alla Regione e non allo Stato.

 

L'art. 13, inoltre, non importerebbe violazione dell'art. 81 della Costituzione, perché la legge non richiederebbe per se stessa una spesa, ma soltanto la previsione di nuove o maggiori spese, alle quali si provvederebbe mediante previsione concreta della copertura nei bilanci futuri.

 

Non avrebbe neppure alcun fondamento la censura per ciò che riguarda l'art. 17, poiché tale articolo non farebbe che confermare la competenza dello Stato circa le assegnazioni di alloggi costruiti col contributo statale prima dell'emanazione della legge. Analogo rilievo é svolto per la censura relativa all'art. 20.

 

Per quanto concerne l'art. 18 si obietta che se si ammette la competenza legislativa della Provincia, si dovrebbe ammettere altresì che, nella formulazione della legge provinciale, si possano inserire od omettere le disposizioni della legge statale che regolano la materia trasferita all'ente autonomo; e, circa il 3 comma, si richiamano le osservazioni già esposte relativamente alla potestà della Provincia di regolare l'attività degli enti che agiscono nel suo ambito.

 

E parimenti, ai rilievi già accennati circa la potestà della Provincia di emanare norme che per se stesse non rientrerebbero nella competenza della medesima, perché non riflettenti le case popolari, si fa riferimento a quanto osservato circa l'impugnazione dell'art. 19.

 

Per quanto concerne infine la gestione dell'Ina-Casa, cioè riguardo agli artt. 21 e 22, si osserva che tutta la legislazione sulle case popolari ha finalità di carattere sociale, in quanto diretta ad agevolare la costruzione di alloggi per i non abbienti, così che anche la gestione dell'Ina-Casa, intesa alla stessa finalità, sebbene disciplinata da una legge diversa da quella inerente alla edilizia popolare, dovrebbe ritenersi compresa nella sfera di competenza attribuita alla Provincia di Bolzano.

 

La quale conclude per il rigetto del ricorso.

 

Con memoria depositata il 12 novembre 1959 l'Avvocatura dello Stato insiste nella tesi che la Provincia, con la legge impugnata, avrebbe emanato norme di attuazione in contrasto con l'art. 95 dello Statuto speciale. Questa disposizione, si ribadisce, richiede al riguardo un decreto legislativo, che potrebbe essere emanato soltanto dallo Stato, previa valutazione dell'interesse generale. Aggiunge inoltre che l'art. 11, n. 11, dello Statuto, che attribuisce alla Provincia di Bolzano la competenza a legiferare nella materia delle case popolari, non legittimerebbe l'estensione della competenza stessa, tassativamente stabilita, ad altre materie pure contenute nel T.U. del 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia popolare ed economica, quali, tra le altre, il credito, la cooperazione, l'assistenza.

 

Anche la difesa della Regione ha depositato il 12 novembre 1959 una memoria con la quale ribadisce la tesi già prospettata nel ricorso, che cioè nel concetto di case popolari si comprenderebbero tutte le materie che ad essa si collegano, e quindi anche la disciplina dell'edilizia economica, non esclusa quindi la gestione Ina-Casa. Ciò per la ragione che tra i due tipi di edilizia, quella popolare e quella economica, non sussisterebbe alcuna differenza sostanziale, poiché tutta la materia sarebbe preordinata allo scopo fondamentale di porre i ceti più bisognosi in condizioni di poter avere un alloggio. E deriverebbe altresì dalla necessità, data anche la particolare situazione della Provincia di Bolzano, che siano emanate, con l'osservanza dello Statuto, norme idonee al raggiungimento delle finalità cui la legislazione sull'edilizia popolare si ispira. Circa poi il richiamo alla disposizione dell'art. 55 dello Statuto speciale, osserva che essa riguarderebbe soltanto l'organizzazione e il funzionamento degli enti pubblici, che svolgono la loro attività anche fuori del territorio della Regione e perciò il richiamo stesso sarebbe inconferente nel caso attuale. Poiché, a parte la possibilità per la Provincia di creare organi propri in relazione alle attività ad essa conferite, non sarebbe vietato di regolare - in base alla legislazione emanata dalla Provincia stessa - l'attività di tali enti, in quanto svolta nell'ambito del territorio provinciale.

 

Quanto al carattere delle norme di attuazione, ribadisce il concetto che quelle emanate dallo Stato per essere costituzionalmente legittime, cioè secundum legem, dovrebbero riguardare soltanto, ed ove se ne manifesti la necessità, il trapasso dei poteri dallo Stato alle Regioni e alle Province senza peraltro incidere sulle competenze a tali enti assegnate.

 

Per quanto attiene invece alle norme di attuazione praeter legem, a parte il dubbio circa la legittimità delle norme stesse, se emanate in base alla delega particolare prevista dall'art. 95 dello Statuto regionale, esse sarebbero incostituzionali nel caso che fossero state già emanate dalla Provincia norme proprie, o comunque cesserebbero di avere efficacia nel momento in cui venissero emanate le norme locali. Donde la conseguenza, in concreto, che la legittimità della legge impugnata, essendo stata deliberata per l'ultima volta il 14 febbraio 1959, nella stessa data della pubblicazione delle norme di attuazione emanate dallo Stato, dovrebbe essere esaminata indipendentemente da queste ultime disposizioni; le quali dovrebbero ritenersi illegittime solo in quanto contrastanti o incompatibili con quelle della Provincia.

 

Con successivo ricorso notificato il 13 marzo 1959 la Regione del Trentino-Alto Adige, in persona del Presidente della Giunta, previa autorizzazione del Consiglio regionale, ha proposto ricorso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 1, nn. 3 e 4, 2, primo e quarto comma, 3, secondo comma, 4, 6, primo, secondo e terzo comma, 7, 8, secondo comma, 11, primo comma, e 13 del decreto legislativo 26 gennaio 1959, n. 28 ( pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 1959 ), contenente norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di case popolari.

 

Del ricorso é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale n. 99 del 24 aprile 1959.

 

La Regione, costituitasi in giudizio a mezzo degli avvocati Carlo Tinzì e Giuseppe Guarino, con deduzioni depositate il 21 marzo 1959, a sostegno del ricorso osserva, nel primo motivo, che, in contrasto con gli l'artt. 11, n. 11, e 13 dello Statuto regionale, il quale attribuisce alle Provincie l'intera materia delle case popolari, l'art. 1, n. 3, del decreto impugnato limiterebbe tale competenza riguardo agli alloggi per i mutilati, gli invalidi di guerra, i profughi e categorie assimilate.

 

Nel secondo motivo osserva che sarebbe altresì in contrasto con le norme dell'art. 11, n. 11 e n. 14, dello Statuto speciale, il punto 4 dell'art. 1 dell'anzidetto decreto, poiché esclude che le Province, alle quali é attribuita competenza esclusiva per le opere di pronto soccorso in caso di calamità pubbliche, possano disporre agevolazioni per la costruzione di case popolari in località colpite da gravi calamità naturali.

 

Nel terzo motivo sostiene che il comma primo dell'art. 2, in quanto riserva allo Stato la competenza ad emanare norme relative alla organizzazione e al funzionamento del piano per incrementare l'occupazione operaia, mediante la costruzione di case per i lavoratori, di cui alla legge 28 febbraio 1949, n. 43, sarebbe pure in contrasto con l'art. 11, n. 11, dello Statuto speciale che attribuisce alle Province l'intera materia delle case popolari.

 

Nel quarto motivo assume che sarebbero in contrasto con il citato art. 11 e con l'art. 95 dello Statuto anche le disposizioni del comma quarto dello stesso art. 2, e dell'art. 7, in quanto, provvedendo alla costituzione, alla composizione ed al funzionamento delle Commissioni per lo svolgimento delle varie attività inerenti alle case popolari e all'Ina-Casa, apporterebbe limitazioni alla competenza delle Province.

 

Nel quinto motivo si impugna il secondo comma dell'art. 3, per violazione degli artt. 11, n. 11, 13 e 58 dello Statuto speciale, poiché il divieto di trasferire in proprietà alle Province le case costruite a carico dello Stato, sarebbe da un lato contrastante con i poteri amministrativi trasferiti alle Province dal 1 comma, e dall'altro con l'art. 58, che concerne il trasferimento alla Regione dei beni immobili patrimoniali dello Stato situati nel territorio regionale.

 

Nel sesto motivo si sostiene che l'art. 4 sarebbe pure illegittimo, in relazione agli artt. 11, n. 11, 13 e 70 dello Statuto, poiché consentirebbe allo Stato di intervenire nella determinazione dei mezzi finanziari che le Province possono destinare alla costruzione delle case popolari, introducendo limitazioni, sia circa l'ammontare delle somme da destinare alle costruzioni, sia circa le modalità di utilizzazione delle somme stesse.

 

Nel settimo motivo si deduce la illegittimità del primo e del secondo comma dell'art. 6, poiché introdurrebbero limitazioni non consentite dagli artt. 11 e 13 dello Statuto.

 

L'ottavo motivo riguarda il terzo comma dello stesso art. 6, in quanto, riservando al Ministero dei lavori pubblici la vigilanza sugli istituti autonomi delle case popolari relativamente alle costruzioni a carico dello Stato, lederebbe la competenza amministrativa spettante alle Province, in base all'art. 12 dello Statuto speciale, o la subordinerebbe al concorso di un organo statale.

 

Per le stesse ragioni, nel motivo nono, sono impugnate le disposizioni dell'art. 8, secondo comma, e 11, primo comma.

 

Sarebbe altresì illegittima (motivo decimo) la disposizione contenuta nell'art. 13, in quanto riserva allo Stato l'attuazione dei piani residenziali deliberati precedentemente all'entrata in vigore del decreto in esame.

 

Ed in fine (motivo undicesimo) tutta la legge sarebbe in contrasto con l'art. 2 dello Statuto regionale, in quanto, nel suo complesso, lederebbe la consistenza etnica dei gruppi linguistici.

 

Conclude quindi perché si dichiari l'illegittimità costituzionale delle norme sopra indicate.

 

L'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, ha depositato le deduzioni il 2 aprile 1959. Osserva in via generale, riferendosi ai principi affermati dalla sentenza di questa Corte n. 20 del 1956, che le disposizioni del decreto legislativo impugnato dalla Regione, resterebbero, anche se talune praeter legem, nell'ambito rigoroso delle norme contenute nello Statuto regionale e non avrebbero altro scopo se non quello di delimitare la sfera di competenza dello Stato e della Regione nella materia. Rileva altresì che le disposizioni stesse non sarebbero nel loro complesso in contrasto con l'art. 2 dello Statuto, in quanto riguarderebbero tutti i cittadini, considerati con assoluta parità di diritti e di doveri.

 

A confutazione poi delle censure mosse, in particolare, riguardo a varie disposizioni del decreto, l'Avvocatura osserva, circa quelle contenute nei nn. 1 e 4 dell'art. 1, che in effetti si tratterebbe di agevolazioni a favore di categorie di dipendenti dell'Amministrazione statale e di provvedimenti in caso di pubbliche calamità, da disciplinarsi sotto un aspetto unitario e quindi sul piano nazionale.

 

Relativamente all'art. 2 assume che la gestione Ina-Casa non potrebbe essere attribuita alla competenza delle Province, trattandosi di legislazione attinente al lavoro e alla previdenza sociale.

 

In riferimento al secondo comma dell'art. 3, rileva che l'art. 58 dello Statuto speciale non sarebbe richiamato a proposito, nell'attuale controversia, poiché esso si riferirebbe al passaggio dei beni patrimoniali dello Stato alla Regione, mentre nella specie si tratterebbe di costruzioni interamente compiute con fondi statali e da questo acquisite in proprietà.

 

Rileva d'altra parte, in relazione all'art. 4, che, trattandosi di somme stanziate nel bilancio del Ministero dei lavori pubblici, non potrebbe spettare se non allo Stato provvedere all'erogazione e alle modalità delle medesime.

 

Per quanto riguarda poi l'art. 6, primo, secondo e terzo comma, l'Avvocatura osserva che le disposizioni avrebbero lo scopo di garantire, da un lato, il mantenimento degli istituti autonomi per le case popolari, e, dall'altro, di garantire ai singoli assegnatari degli alloggi il rispetto delle loro legittime aspettative. Le disposizioni non lederebbero quindi la competenza statutaria, in quanto si tratterebbe di istituti che svolgono la loro attività in tutto il territorio della Repubblica; e di enti, cioè, la cui disciplina é riservata allo Stato dall'art. 55 dello Statuto speciale.

 

Non contrasterebbero neppure con alcuna norma statutaria gli artt. 8 e 13 del decreto in esame. Non sarebbe ammissibile, per quanto riguarda la prima di queste disposizioni, che la Provincia provveda, con organi propri, su materia spettante agli organi dello Stato; ed osserva, quanto alla seconda, che il perfezionamento dei procedimenti per l'assegnazione degli alloggi già costruiti con contributi dello Stato, nonché l'attuazione di complessi residenziali non contrasterebbero con le norme statutarie poiché avrebbero di mira la realizzazione di programmi generali relativi a tutto il territorio nazionale.

 

L'Avvocatura dello Stato conclude quindi perché sia dichiarato inammissibile e comunque respinto il ricorso.

 

Con memoria depositata il 10 novembre 1959 la difesa della Regione ha illustrato i motivi del ricorso già dedotti.

 

Sostiene, con diffusa analisi, che la materia prevista nell'art. 11, n. 11, dello Statuto speciale comprenderebbe tutta la materia dell'edilizia economica e sovvenzionata, ricondotta, nella legislazione dello Stato, alla generica, comprensiva denominazione di "case popolari". Di guisa che non sarebbe possibile distinguere, nell'ambito della materia stessa, diversi campi (sottratti alla competenza delle Province) in relazione alla categoria dei soggetti interessati, o in base alle ragioni che inducono il legislatore ad intervenire. In particolare sarebbe illegittimo escludere da detta materia la disciplina delle case per gli invalidi, mutilati, profughi, di quelle per le località colpite da calamità, nonché la disciplina della gestione Ina-Casa.

 

Osserva, fra l'altro, che le finalità perseguite dallo Stato con la legge 28 febbraio 1949, n. 43, che ha introdotto il complesso sistema della gestione Ina-Casa, sarebbe da un lato compatibile con l'attribuzione della materia stessa alla competenza provinciale, e dall'altro rientrerebbe nella finalità inerente a tutta la legislazione in materia di edilizia popolare.

 

La difesa della Regione, in riferimento all'art. 4 del decreto impugnato, rileva infine che il sistema della attribuzione alle Province di quote dei fondi a disposizione del Ministero dei lavori pubblici, importerebbe un'ingerenza di quest'ultimo nell'attività degli enti autonomi, tale da condizionare e annullare, di fatto, l'esplicazione della competenza esclusiva. Ai bisogni finanziari delle Province, dipendenti dall'attuazione delle proprie finalità istituzionali, non si potrebbe perciò provvedere mediante contributi da parte dello Stato, devoluti specificamente per determinate materie, ma mediante la costituzione di un fondo generale che le Province possano discrezionalmente destinare.

 

Con memoria depositata il 10 novembre 1959 l'Avvocatura dello Stato ha illustrato i motivi già dedotti per sostenere la legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica del 26 gennaio 1959, n. 28. Le cui disposizioni, osserva l'Avvocatura, sarebbero intese all'osservanza dei criteri fondamentali dello Statuto. Onde dovrebbe essere esclusa ogni possibilità di conflitto con l'autonomia provinciale e regionale:

 

Riguardo alle singole disposizioni, insiste particolarmente nel rilevare che la riserva di competenza a favore dello Stato, contenuta nell'art. 2 del decreto impugnato, relativamente alla materia della gestione Ina-Casa, sarebbe giustificata dalla necessità che le provvidenze assistenziali ad essa inerenti, siano disposte in attuazione di un piano nazionale. Provvidenze previste nell'interesse generale nell'ambito della legislazione sociale e del lavoro, rispetto alla quale non spetterebbe alla Provincia di Bolzano alcuna competenza.

 

La difesa dello Stato si sofferma inoltre a confutare l'assunto della ricorrente in riferimento all'art. 8 del decreto impugnato, concernente l'attribuzione al Ministro delle finanze della competenza a decidere i ricorsi contro gli atti del Presidente della Giunta provinciale in materia di approvazione preventiva dei progetti di case popolari. Rileva al riguardo, fra l'altro, che la partecipazione di organi dell'Amministrazione dello Stato é preordinata allo svolgimento di attività, che, come quella finanziaria, non spettano alle Province.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Le due cause congiuntamente discusse devono essere riunite e decise con unica sentenza, poiché riguardano la stessa materia.

 

É da premettere che il disegno di legge concernente "Assunzione di competenza in materia di case popolari" é stato approvato dal Consiglio provinciale di Bolzano nella seduta del 14 febbraio 1959, nella stessa data cioè in cui fu pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (n. 38) il decreto legislativo del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1959, n. 28, contenente "Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, in materia di case popolari". Occorre, quindi, ad avviso della Corte, esaminare, con precedenza, il ricorso proposto dalla Regione nei confronti dell'anzidetto decreto legislativo, sia perché, la legge della Provincia non é ancora promulgata, stante la pendenza del ricorso proposto dallo Stato contro la legge stessa, sia perché il decreto legislativo contiene norme di attuazione dello Statuto speciale. Norme, la natura e finalità delle quali (é opportuno ricordare dato che se ne discute dalle parti) sono state già precisate dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze, nn. 14, 15, 16, 20 del 1956 e 15 del 1957), e che é necessario siano emanate, secondo quanto ha pure ripetutamente ritenuto questa Corte (sentenze n. 9, 11, 13, 19 del 1957, 1 del 1958 e 65 del 1959), quando occorre trasferire agli organi regionali, e, nel caso, a quelli delle Province di Trento e di Bolzano, funzioni esercitate da organi statali; dato che tali enti, pur essendo dotati di autonomia, restano sempre inquadrati nell'unità dello Stato ed a questo subordinati. Principio altresì affermato da questa Corte in numerose sentenze (nn. 9, 14, 19 e 54 del 1957, 45 del 1958 e 65 del 1959).

 

Ma la necessità delle norme di attuazione, cui si é accennato, non esclude che la potestà normativa, attribuita anche alle province anzidette, possa svolgersi nelle materie indicate nelle norme statutarie, e quindi pure in quella relativa alle case popolari, (art. 11, n. 11, dello Statuto speciale) nei limiti stabiliti dallo Statuto medesimo, e sempre che non riguardino funzioni attribuite a organi statali.

 

2. - Il ricorso proposto dalla Regione riguarda alcune delle disposizioni comprese nel decreto legislativo del 26 gennaio 1959.

 

Col primo e col secondo motivo si deduce l’illegittimità per contrasto con gli artt. 11, n. 11,13 e 14, dello Statuto speciale, delle disposizioni contenute nei nn. 3 e 4 dell'art. 1, concernenti la prima le agevolazioni per la costruzione e l'assegnazione di case agli invalidi ed ai mutilati di guerra, ai profughi e alle categorie assimilate, la seconda le agevolazioni per la costruzione di case popolari ed economiche nelle località colpite da gravi calamità naturali.

 

Si sostiene dalla Regione che le norme statutarie attribuiscono alle Province l’intera materia delle case popolari, mentre, con le accennate disposizioni, tale competenza verrebbe limitata riguardo alle categorie indicate.

 

É da precisare, anzitutto, essendo anche questo punto oggetto di discussione, che, come risulta dalla relazione al decreto legislativo ora impugnato, uno dei criteri informatori delle norme di attuazione é il riconoscimento che la potestà normativa, attribuita alle Province di Trento e di Bolzano dall'art. 11, n. 11, dello Statuto, comprende tutta la materia delle case popolari ed economiche, dato che, come pure si legge nella relazione, nella legislazione successiva al T.U. delle leggi sull'edilizia popolare ed economica, approvato con decreto del 28 aprile 1938, n. 1165, una distinzione fra i due tipi di alloggi ha perduto ogni importanza pratica. Il ché non può non ritenersi esatto e rispondente allo svolgimento legislativo nella materia. Già infatti, nello stesso T.U., la distinzione fra i due tipi di abitazione é limitata ad alcune caratteristiche obiettive delle case popolari rispetto a quelle economiche, e al fatto che queste ultime possono essere costruite da privati, da società o dagli enti indicati nei nn. 1, 3, 6, 7 e 8 dell'art. 16, richiamati dagli artt. 48 e 49 del citato T.U.; mentre in generale la disciplina giuridica é conforme per le une e per le altre. Nelle numerose leggi successivamente emanate, e specialmente in quelle del periodo post-bellico determinate dalle note e gravi esigenze, la distinzione accennata non ha pratica rilevanza. Alle case popolari infatti, a quelle cioè aventi determinate caratteristiche, si riferiscono le varie provvidenze adottate dallo Stato, con la cooperazione di enti e società, per facilitare, il più possibile, il conseguimento dell'alloggio a favore dei cittadini meno abbienti, o degni di particolare considerazione per la loro condizione di mutilati di guerra, di invalidi, di colpiti da calamità naturali, di profughi, di senza tetto in seguito ad eventi bellici, o alloggiati in ricoveri malsani, o comunque insufficienti per i fondamentali bisogni.

 

Ora l'art. 1 del decreto legislativo impugnato conferma che tutta la materia anzidetta é compresa nell'ampia formulazione dell'art. 11, n. 11, dello Statuto speciale e rientra quindi nella competenza legislativa delle Province di Trento e di Bolzano. Ciò risulta dal testo del predetto art. 1, il quale, nel primo comma, dispone che, nella materia delle case popolari, restano alla competenza legislativa dello Stato i settori indicati nei nn. da 1 a 6. Se ne deve perciò dedurre logicamente che la competenza provinciale concerne di regola la materia dell'edilizia popolare, restando riservate allo Stato materie che esulano dalla potestà normativa delle Province. Cioè il credito, da parte di istituti, compresa la Cassa depositi e prestiti, che hanno carattere extra regionale (n. 1); le agevolazioni tributarie concesse dallo Stato per la costruzione delle case economiche e popolari (n. 2); il finanziamento, la costruzione, l'assegnazione e la gestione delle case dell'Istituto nazionale case impiegati dello Stato (Incis) e delle altre case costruite per i dipendenti dell'Amministrazione statale (n. 5); l'ordinamento e il funzionamento degli enti ed istituti che hanno per fine la costruzione e la gestione di case economiche e popolari, e che svolgono la loro attività anche al di fuori del territorio della Regione (n. 6). Né al riguardo si muovono ora contestazioni.

 

Per quanto concerne peraltro, le disposizioni impugnate, contenute nei nn. 3 e 4, é da osservare che esse non precludono alle Province la potestà di provvedere, in virtù di proprie leggi e con mezzi propri, alla costruzione di alloggi da assegnare alle categorie di persone indicate nei predetti numeri. Esse riguardano invece particolari facilitazioni da parte dello Stato a favore delle categorie anzidette; facilitazioni che comprendono la concessione dei mutui, il concorso o contributo da parte dello Stato medesimo nelle spese delle costruzioni o nella corresponsione degli interessi sulle somme mutuate; l'assunzione parziale o totale delle spese di costruzione; le facilitazioni per l'acquisto degli alloggi, o la determinazione dei canoni di affitto, le agevolazioni ed esenzioni tributarie. Ed é ovvio che, a tutto ciò, lo Stato, dato il carattere nazionale degli interessi ai quali si riferisce la legislazione relativa alle categorie cui si é accennato, provvede con proprie leggi. Il primo e il secondo motivo sono quindi infondati.

 

3. - Il terzo motivo riguarda la disposizione contenuta nel primo comma dell'art. 2, la quale, a quanto si deduce, sarebbe in contrasto con gli artt. 11, n. 11, e 55 dello Statuto regionale, sia perché sottrarrebbe alla potestà normativa delle Province una parte importante della materia attinente alle case popolari, cioè quella disciplinata dalle leggi sull'Ina-Casa, sia perché l'art. 55 dello Statuto riserverebbe bensì allo Stato la competenza a provvedere riguardo all'organizzazione e al funzionamento degli enti pubblici extra - regionali, ma non anche riguardo alla loro attività.

 

É necessario premettere che, tra le finalità della legge 28 febbraio 1949, n. 43 (contenente provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per i lavoratori), integrata dal decreto legislativo del 22 giugno 1949, n. 340, é bensì compresa la costruzione di case di tipo popolare. Ma ciò non esclude che si tratta dileggi preordinate principalmente - come risulta chiaro anche dalla relazione del ministro proponente - allo scopo di ovviare alla disoccupazione, adottando, per la costruzione, per il finanziamento e per l'assegnazione delle abitazioni un sistema particolare. Sistema organizzato e attuato mediante l'attività di organi ed enti, creati dallo Stato, o che agiscono sotto il controllo del medesimo, devoluto al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con i Ministri per i lavori pubblici e per il tesoro. Risulta infatti dalle disposizioni contenute nelle dette leggi, che le costruzioni sono realizzate in seguito a programmi e piani predisposti da un Comitato (istituito dall'art. 1 della legge 1949, n. 43), i cui componenti sono nominati dal Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto col Ministro per i lavori pubblici. D'altra parte, per l'esecuzione delle operazioni previste dalla legge e delle deliberazioni del Comitato é costituita (art. 2 della legge n. 43) presso l'Istituto nazionale delle assicurazioni una gestione autonoma, con propria personalità giuridica, denominata "Ina-Casa", il cui Consiglio di amministrazione é pure nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per il lavoro e per la previdenza sociale, di concerto con quelli per il tesoro e per i lavori pubblici. La ripartizione poi delle costruzioni degli alloggi nel territorio nazionale é affidata ad enti pubblici (compreso l'Istituto autonomo delle case popolari) e privati, ed é stabilita annualmente secondo un piano, pure elaborato dal Comitato, tenendo conto dell'indice di affollamento di ogni comune e delle distruzioni belliche (art. 10 della legge n. 43). Ed é importante notare, quanto al finanziamento, che ad esso si provvede non soltanto con contributi a carico dello Stato, ragguagliati a determinate percentuali stabilite dalla legge, ma altresì con i contributi cui sono soggetti i lavoratori, i dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche e private, nonché i datori di lavoro pubblici e privati (art. 5 della legge del 1949, n. 43, e artt. da 26 a 33 del decreto legislativo n. 340).

 

Queste disposizioni é necessario tenere presenti per chiarire che la materia in esame é devoluta o ad organi dello Stato o a enti pubblici che svolgono la loro attività sul piano nazionale; come altresì su base nazionale vengono calcolati anche i contributi occorrenti per il finanziamento delle costruzioni, come rileva l'Avvocatura dello Stato e come del resto é stato già posto in luce dalla sentenza di questa Corte n. 8 del 1957. Il che, da un lato, spiega e giustifica come, nel 1 comma dell'art. 2 del decreto legislativo impugnato, resta riservata alla competenza legislativa dello Stato la disciplina dell'organizzazione e del funzionamento del piano preveduto appunto dalla legge n. 43 e successive modificazioni, e chiarisce dall'altro come non possa accogliersi la censura di cui al terzo motivo del ricorso.

 

Né appare fondata la distinzione che si fa dalla difesa della Regione, nel senso che la competenza provinciale sarebbe esclusa relativamente all'organizzazione ed al funzionamento degli enti, indicati nelle leggi sopra menzionate, ma resterebbe invece integra per quanto attiene all'attività da essi svolta nel territorio provinciale. Tale attività infatti costituisce necessariamente la manifestazione concreta del funzionamento degli enti anzidetti e non può perciò da questo essere dissociata.

 

4. - Col quarto motivo si impugna il quarto comma dello stesso art. 2 e insieme l'art. 7 (come risulta dal verbale del Consiglio regionale del 10 marzo 1959 e non già il settimo comma dell'art. 2, come si legge nel ricorso).

 

Anche questo motivo peraltro deve ritenersi infondato. Si rileva, a questo proposito, dalla difesa della Regione che, alla potestà normativa delle Province, spetta determinare quante e quali commissioni debbano essere costituite per lo svolgimento delle varie attività amministrative.

 

L'istituzione di più commissioni per l'assegnazione delle abitazioni costruite in base alle leggi sull'Ina-Casa, é già prevista nel decreto legislativo del 9 aprile 1956, n. 1265 (contenente norme integrative della legge n. 43 del 1949 e del decreto legislativo n. 340 dello stesso anno), in considerazione di particolari circostanze indicate nell'art. 15 del decreto medesimo. Ora il comma impugnato non può essere avulso dall'insieme delle disposizioni contenute nello stesso art. 2. Il quale, anche nella materia riguardante l'Ina-casa, ha investito organi provinciali di alcune funzioni attribuite ad organi statali. Onde non é dato riscontrare alcuna lesione della competenza provinciale se, nel trasferire alla Giunta provinciale la nomina dei componenti della commissione anzidetta, si sono apportate limitazioni, disponendosi che siano costituite più commissioni e che la loro composizione sia adeguata proporzionalmente alla consistenza dei gruppi linguistici nei comuni, nei quali si dovrà procedere alle assegnazioni.

 

Osservazioni analoghe dimostrano pure l'infondatezza della impugnazione riguardante l'art. 7 del decreto legislativo in esame, secondo il quale anche la composizione delle commissioni istituite dall'istituto autonomo delle case popolari di Bolzano, deve essere adeguata alla consistenza dei gruppi linguistici, nel comune nel quale avvengono le assegnazioni o le permute degli alloggi.

 

5. - Dell'art. 3 del decreto anzidetto, riguardante il trasferimento alle Province di Trento e di Bolzano delle attribuzioni spettanti agli organi centrali e periferici del Ministero per i lavori pubblici in materia di edilizia popolare, é impugnato, col quinto motivo, soltanto il secondo comma, che esclude il trasferimento, in proprietà alle Province, delle case costruite dallo Stato a totale suo carico.

 

Si deduce che, riguardo ai poteri amministrativi di cui presuppone l'esercizio, la disposizione sarebbe in contrasto con il combinato disposto degli artt. 11, n. 11, e 13 dello Statuto regionale, o che, riguardo all'aspetto patrimoniale, la disposizione stessa sarebbe in contrasto con l'art. 58 dello Statuto speciale. Il quale articolo peraltro non é utilmente richiamato nell'attuale controversia, che ha riferimento, come risulta dagli scritti difensivi, esclusivamente ai rapporti fra lo Stato e la Provincia di Bolzano. Detto articolo concerne il demanio e il patrimonio regionale, che, nell'attuale controversia, non viene in discussione. Dispone infatti che costituiscono, tra l'altro, il patrimonio indisponibile della Regione i beni destinati a un pubblico servizio regionale, e che i beni immobili patrimoniali dello Stato, situati nella Regione, sono trasferiti al patrimonio della medesima. Nessuna pretesa possono quindi accampare le Province riguardo alle case costruite dallo Stato a totale suo carico, secondo le disposizioni del decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261 (per l'alloggio dei senza tetto in seguito ad eventi bellici e per l'attuazione dei piani di ricostruzione, modificato dal decreto legislativo 25 giugno 1949, n. 403, e ratificato con la legge 28 luglio 1950, n. 894), e secondo le disposizioni della legge 9 agosto 1954, n. 640 (per l'eliminazione delle abitazioni malsane). In conseguenza, nessuna attività amministrativa può spettare alle Province medesime in ordine alle case anzidette ed é perciò richiamato fuori luogo anche l'art. 13 dello Statuto.

 

6. - Il sesto motivo del ricorso riguarda l'art. 4. Questo dispone, nel primo comma, che il Ministero per i lavori pubblici, non appena approvato il bilancio, comunica alle Amministrazioni provinciali di Trento e Bolzano, quale quota dei fondi stanziati nel bilancio di detto Ministero, in attuazione delle leggi che prevedono l'intervento finanziario dello Stato per la costruzione di case popolari, sia destinata alla costruzione delle case stesse nelle rispettive province. Aggiunge altresì che tale quota é determinata dal Ministero per i lavori pubblici, tenuto conto delle disponibilità del bilancio e del bisogno delle popolazioni. Stabilisce, nel secondo comma, che l'ammontare delle quote é attribuito ai singoli enti e utilizzato in accordo con le Province rispettive per gli scopi indicati dalle leggi.

 

Si assume che le menzionate disposizioni sarebbero in contrasto con gli artt. 11, n. 11, 13 e 70 dello Statuto regionale, in quanto riservano allo Stato la determinazione dei mezzi che le Province possono destinare alla costruzione delle case popolari, e in quanto limitano la competenza legislativa attribuita alle Province, sia in relazione ai fondi da destinare alle costruzioni, sia per quanto riguarda le modalità di utilizzazione dei fondi stessi.

 

A questo proposito, nella memoria illustrativa del ricorso e nella discussione orale, la difesa della Regione ha posto in rilievo che l'autonomia finanziaria attribuita alle Province, e, di riflesso, la potestà normativa che vi é collegata, subirebbero menomazione per il fatto che lo Stato provvede mediante contributi speciali, destinandoli ad un determinato scopo e vigilandone l'utilizzazione, mentre tale forma di finanziamento dovrebbe servire soltanto per far fronte "ad esigenza straordinaria ed a funzioni aggiuntive". Trattandosi invece di funzioni normali da svolgersi nell'ambito della competenza provinciale, si sarebbe dovuto provvedere trasferendo i fondi necessari "sotto forma delle quote fisse stabilite dalla Costituzione e dallo Statuto e della quota generale aggiuntiva concordata a questo scopo fra Stato e Regione o tra Regione e Provincia". Fondi dei quali l'ente autonomo potrebbe liberamente disporre con criteri di discrezionalità per far fronte alle varie esigenze.

 

Senonché, restando nell'ambito dell'impugnazione, é da osservare che, alle Province di Trento e di Bolzano, lo Statuto speciale riserva quote fisse (i nove decimi di alcune imposte erariali, sui terreni e fabbricati, sui redditi agrari e sulla ricchezza mobile) riscosse nei loro territori (artt. 67 e 68 dello Statuto), e stabilisce altresì che il Consiglio Regionale assegna annualmente una quota delle entrate tributarie della Regione (art. 70). La tesi sostenuta dalla Regione quindi contrasta con il sistema statutario, che non può essere modificato se non con leggi di carattere costituzionale, in base a criteri di politica legislativa che sfuggono ad ogni esame in questa sede.

 

Dato ciò la legittimità dell'accennata disposizione non può essere disconosciuta. Essa si inserisce infatti nel sistema adottato dallo Stato nelle numerose leggi riguardanti l'edilizia popolare per il finanziamento delle costruzioni. Finanziamento al quale, in particolare, il Ministero dei lavori pubblici (che é l'organo propulsore di tutta l'attività edilizia a carattere popolare, ed al quale é attribuito un esteso e penetrante potere di vigilanza sull'attività stessa) provvede (talvolta di concerto con altre Amministrazioni), o mediante la concessione di contributi nelle varie forme, come si desume dagli artt. da 38 a 43 del T.U. del 1938, n. 1165, e da altre leggi successivamente emanate; ovvero assumendo totalmente la spesa delle costruzioni, come é preveduto dal decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261, già menzionato, e dalla ricordata legge 9 agosto 1954, n. 640. Ma, oltre questi casi in cui lo Stato assume a suo carico l'onere delle costruzioni, pare chiaro che la concessione di fondi, ad enti ed istituti incaricati di costruire le case di tipo popolare, viene fatta in base a criteri e in seguito a valutazioni da effettuarsi sul piano nazionale. Ed é altresì da considerare che l'attribuzione dei fondi, in base all'art. 4, é in stretto collegamento con il passaggio alla competenza provinciale delle attribuzioni previste dall'art. 3. Passaggio che, dalle norme di attuazione, é regolato con criteri di contemperamento degli interessi della collettività nazionale con gli interessi degli Enti, ai quali é riconosciuta la competenza a legiferare nella materia. Da tali osservazioni consegue che l'art. 4, primo comma, non viola le norme statutarie e neppure l'autonomia finanziaria della Provincia di Bolzano, la quale, con legge provinciale dell'8 febbraio 1952, n. 2, modificata da successive leggi, ha già provveduto a costituire un fondo per l'incremento edilizio popolare, integrato dalle erogazioni dello Stato e della Regione.

 

Le osservazioni ora esposte valgono anche per giustificare la legittimità del secondo comma, trattandosi di uno dei casi in cui lo Stato non ha trasferito le funzioni spettanti ai propri organi, ma ha ritenuto invece necessario che l'attività degli organi stessi si svolga d'accordo con l'Ente dotato di autonomia, realizzando in concreto tale accordo con la forma dell'intesa, come se ne hanno numerosi esempi nelle norme emanate per l'attuazione degli statuti speciali di altre Regioni; e, per ciò che riguarda la Regione del Trentino-Alto Adige, nel decreto legislativo di attuazione del 30 giugno 1951, n. 574 (art. 26).

 

  1. - Col settimo motivo si impugnano il primo e il secondo comma dell'art. 6, per contrasto con gli artt. 11, n. 11, e 95 dello Statuto regionale, perché apporterebbero limiti e vincoli oltre quelli preveduti nell'art. 11 dello Statuto.

Nel 1 comma di detto articolo sono contenute tre disposizioni. Stabilisce, infatti, che nell'esercizio della competenza legislativa in materia di case popolari, le Province di Trento e di Bolzano terranno conto della necessità:

  1. a) "che gli Istituti autonomi case popolari conservino il loro patrimonio";
  2. b) "che continuino a svolgere le attribuzioni ad essi affidate dallo Stato";
  3. c) "che le Province usino nei confronti degli assegnatari degli alloggi dell'Istituto autonomo case popolari un trattamento analogo a quello degli assegnatari degli stessi alloggi nel resto del territorio nazionale".

Le censure che si riferiscono alle disposizioni indicate sotto le lettere a) e b), ad avviso della Corte, non sono fondate.

Le disposizioni stesse infatti devono essere inquadrate nel sistema delle leggi statali sull'edilizia popolare, e collegate d'altra parte con altre disposizioni delle norme di attuazione. In relazione al sistema é necessario tener presente che gli Istituti autonomi delle case popolari sono enti costituiti con provvedimento del Capo dello Stato, in ciascun capoluogo di provincia; e che le numerose leggi statali emanate nella materia (T.U. del 1938 e successive modificazioni e integrazioni), affidano agli Istituti stessi non soltanto la costruzione delle case con il concorso o contributo dello Stato, ma altresì la gestione delle case a tipo popolare costruite in base alla legge 28 febbraio 1949, n. 43, e di quelle a totale carico dello Stato, ai sensi delle ricordate leggi 10 aprile 1947, n. 261, e 9 agosto 1954, n. 640. Sono affidati cioè compiti che si ricollegano direttamente a tutto quel complesso di attività che lo Stato svolge in un campo che, per i riflessi di carattere generale, trascende la competenza delle Province e della stessa Regione. Donde la necessità che gli Istituti siano conservati, anche nella loro struttura fondamentale e pure per quanto riguarda la consistenza patrimoniale, affinché possano continuare ad esercitare le attribuzioni previste dalle leggi sopramenzionate. Essendo altresì da considerare che essi sono compresi tra gli enti destinatari, in base al precedente art. 4, dei finanziamenti con i fondi prelevati dal bilancio dello Stato.

La legittimità delle disposizioni ora esaminate quindi, in tal senso interpretate, non può essere disconosciuta, anche perché sono intese a contemperare interessi dello Stato e delle Province convergenti nella stessa materia. Il che rientra tra le finalità delle norme di attuazione, come ha già rilevato questa Corte nella sentenza n. 58 del 1958.

Diversamente é da ritenere, invece, per quanto riguarda la disposizione dell'ultima parte dello stesso 1 comma (indicata sotto la lettera c). Si apportano infatti alla potestà normativa provinciale limitazioni, a giustificazione delle quali non possono essere addotte le ragioni ora esposte, e che invece, per la loro generica portata, appaiono non compatibili con la libertà di legiferare nella materia, riconosciuta alle Province dalle stesse norme di attuazione in esame, salve le eccezioni precedentemente indicate e salva l'osservanza dei precetti costituzionali e statutari.

  1. É pure infondata l'impugnazione del secondo comma, il quale dispone che "per gli attuali assegnatari degli alloggi degli istituti autonomi delle case popolari restano salvi in ogni caso i diritti che ad essi possano derivare dalle norme emanate in virtù della legge del 21 marzo 1958, n. 447". Questa legge autorizzò il Governo ad emanare le norme occorrenti per disciplinare la cessione in proprietà degli alloggi di tipo popolare ed economico, costruiti a totale carico dello Stato, ovvero con il suo concorso o contributo. Norme emanate con il decreto legislativo del 17 gennaio 1959, n. 2, il quale, nell'art. 4, dispone che hanno diritto alla cessione in proprietà coloro che, al momento della pubblicazione dei bandi di cui all'art. 10, sono assegnatari di case nel decreto stesso contemplate. Si tratta quindi di una norma di carattere transitorio intesa a tutelare un diritto, che la legge considera già quesito in base all'assegnazione della casa. La legittimità della disposizione pertanto non può essere messa in dubbio, anche perché, secondo quanto ha già ritenuto questa Corte con la sentenza n. 44 del 1957, il potere normativo attribuito agli enti autonomi, nelle stesse materie regolate da leggi statali, non può riflettersi sul passato, essendo alle Regioni (e quindi anche alle Province dotate di autonomia legislativa) inibito di regolare, con efficacia retroattiva, situazioni già disciplinate da leggi dello Stato.
  2. - Resta da esaminare il terzo comma dell'art. 6, che é impugnato con l'ottavo motivo pure per violazione degli artt. 11, n. 11, e 13 dello Statuto speciale. Si deduce che le attività amministrative, nelle materie devolute alla competenza legislativa delle Province, sono state già a queste trasferite in base al citato art. 13, e che il contrasto con le norme statutarie sussisterebbe, sia perché resterebbe attribuito allo Stato un potere appartenente alla Provincia; sia perché questa sarebbe costretta a subire il concorso, sotto qualsiasi forma, degli organi statali, nell'esercizio del potere medesimo.

La censura peraltro é infondata in quanto richiama l'art. 13, poiché il trasferimento di funzioni già spettanti ad organi dello Stato, non può essere operante se non con l'entrata in vigore del decreto legislativo contenente le norme di attuazione. Ed é pure infondata, per quanto riguarda l'altro aspetto indicato nel motivo del ricorso, la censura relativa alla prima parte del terzo comma; essendo ovvio che, per le case costruite dallo Stato a totale suo carico, e che, come si é già detto, non sono trasferite in proprietà alle Province in base al secondo comma dell'art. 3, gli Istituti autonomi, ai quali, come pure si é accennato, ne é affidata la gestione, relativamente a tale attribuzione, continuino ad essere sottoposti alla vigilanza del Ministero dei lavori pubblici.

É invece fondata la censura che investe l'ultima parte del terzo comma. Secondo la quale “rimangono ferme le attribuzioni delle Amministrazioni dello Stato d'intesa con le Province di Trento e di Bolzano in ordine alla nomina degli organi amministrativi degli istituti stessi (cioè gli istituti autonomi per le case popolari”.

É da tener presente che, a norma dell'art. 27 del T.U. del 1938 (modificato con la legge 10 marzo 1952, n. 113), spetta al Ministro per i lavori pubblici la nomina e la revoca dei presidenti e dei vice presidenti dei detti istituti; e che, in base al 2 comma del citato articolo, sono determinate dagli statuti organici, di cui all'art. 23, le modalità della nomina dei componenti del consiglio di amministrazione e dei sindaci, secondo lo schema tipo (approvato con decreto ministeriale del 25 maggio 1936, n. 1049), il quale prevede che taluni membri del consiglio di amministrazione e del collegio dei sindaci siano nominati dalle Amministrazioni statali. Ora il motivo del ricorso, nella sua generica formulazione, riguarda ogni intervento dello Stato in relazione a tali nomine; e, ad avviso della Corte, non si può disconoscere che, col mantenere immutata al riguardo la competenza degli organi statali, si viene ad istituire un penetrante controllo sugli organi amministrativi degli istituti anzidetti. Controllo che non appare conforme alla logica del sistema seguito dal decreto legislativo impugnato; dato che, come risulta per implicito dal terzo comma in esame, trasferisce alle Province i poteri di vigilanza sugli Istituti autonomi, riservandola al Ministero per i lavori pubblici, per quanto attiene alle case costruite a totale carico dello Stato; e prevede inoltre (art. 5) che le Province stesse possano costituire una Commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica per l'esercizio delle funzioni amministrative, di cui al primo comma dell'art. 131 del T.U. del 1938.

Sotto tale aspetto, pertanto, é palese la menomazione dei poteri che vengono a subire le Province; alle quali, per armonia di sistema, dovrebbe spettare l'iniziativa delle nomine anzidette, provvedendo, ovviamente, d'accordo con lo Stato, nella forma dell'intesa, già adottata da altre norme di attuazione e dall'art. 11 del decreto impugnato.

Dall'esame dell'art. 6 risulta, quindi, che il ricorso proposto dalla Regione appare fondato limitatamente all'ultima parte del 1 e del 3 comma.

  1. - Col nono motivo del ricorso sono impugnati il secondo comma dell'art. 8 ed il primo comma dell'art. 11, per ragioni analoghe a quelle addotte per l'art. 6.

L'art. 8 si riferisce all'art. 50 del T.U. del 1938, modificato dalla legge 11 luglio 1942, n. 843 (riguardante il "coordinamento di talune norme circa le agevolazioni tributarie in materia di edilizia"). E mentre il primo comma dell'art. 8 (che non é impugnato) demanda al Presidente della Giunta provinciale l'approvazione preventiva dei progetti di case popolari ed economiche, già devoluta al Prefetto, nel secondo comma invece deferisce al Ministro per le finanze i ricorsi avverso le opposizioni del Procuratore delle imposte (art. 50, secondo comma del T.U.), qualora non ritenga che sussistano i requisiti delle case popolari ed economiche. Ma poiché le funzioni esercitate dal Procuratore delle imposte, nella materia, attengono alle agevolazioni ed esenzioni tributarie, é palese che si tratta di materia sottratta alla competenza delle Province. Donde l'infondatezza dell'impugnazione.

É pure priva di fondamento la censura relativa al primo comma dell'art. 11, il quale dispone che "il corrispettivo annuo, che gli assegnatari degli alloggi, di cui all'art. 7 della legge 9 agosto 1954, n. 640, devono corrispondere, é determinato dalla Giunta provinciale d'intesa col Ministro del tesoro". Si sostiene che anche questa disposizione violerebbe la competenza attribuita alle Province, in quanto l'Amministrazione provinciale deve provvedere d'intesa con il competente organo dello Stato.

É da tenere presente che l'anzidetta legge riguarda, come si é accennato, le case costruite dallo Stato per eliminare le abitazioni malsane, e che, per l'art. 7, i corrispettivi anzidetti, da versarsi dagli Istituti gestori in conto entrate eventuali del tesoro, sono determinati dai Ministri per i lavori pubblici e per il tesoro. Se dunque, come risulta da tali norme, si tratta di somme di pertinenza dello Stato (né su questo punto vi é discussione), non può ravvisarsi alcuna illegittimità della disposizione impugnata. La quale, mentre da un lato, in coerenza con l'art. 3 delle norme di attuazione, ha trasferito agli organi provinciali le attribuzioni del Ministro per i lavori pubblici, circa la determinazione dei corrispettivi sopraccennati, dall'altro ha mantenuto invece fermo l'intervento del Ministero del tesoro, interessato alla riscossione, le cui attribuzioni non sono state trasferite alle Province, disponendo che la Giunta provinciale provveda d'intesa con l'organo dello Stato.

  1. - Con il decimo motivo si impugna l'art. 13, nella parte in cui riserva agli organi dello Stato "l'attuazione dei complessi residenziali già deliberati prima dell'entrata in vigore delle norme di attuazione". Anche relativamente a tale disposizione si deduce il contrasto con gli artt. 11, n. 11,13 e 95 dello Statuto regionale, poiché le attività amministrative sarebbero già passate alle Province dalla data di entrata in vigore dello Statuto. Tale motivo é stato gia ritenuto infondato, e ciò basterebbe, restando nell'ambito dell'impugnazione, per respingerlo.

Si può aggiungere tuttavia che, a quanto risulta dalla relazione che accompagna il decreto impugnato, (né é contestato dalla difesa della Regione), la disposizione in esame si riferisce alle attribuzioni (menzionate nell'art. 3 della legge 9 aprile 1956, n. 1265) del Comitato di coordinamento per l'edilizia popolare (C. E. P.), istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 25 gennaio 1954, presieduto dal Ministro per i lavori pubblici e i cui componenti sono pure nominati dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Attribuzioni intese al coordinamento sia dei piani costruttivi preveduti dalle leggi 26 febbraio 1949, n. 43, sull'Ina-Casa e 26 novembre 1955, n. 1148 (concernente la proroga e l'ampliamento dei provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia), sia di quelli predisposti dallo stesso Ministero per i lavori pubblici nel campo dell'edilizia popolare per la costruzione di abitazioni a totale carico o col concorso dello Stato.

Trattandosi quindi di un'attività che lo Stato, attraverso un organo da lui creato, svolge per fini di interesse generale, non si ravvisa, in base alle considerazioni precedentemente esposte, alcuna illegittimità costituzionale, se, nelle norme di attuazione, tale attività é stata riservata allo Stato medesimo per quanto attiene alla realizzazione dei piani già deliberati prima dell'emanazione del decreto legislativo impugnato.

  1. - É da rilevare infine che é pure infondato il motivo undecimo, col quale si deduce che il decreto legislativo impugnato, considerato nel suo complesso, avrebbe anche violato l'art. 2 dello Statuto speciale, poiché lederebbe, nella sua attuazione, la consistenza etnica dei gruppi linguistici, che dovrebbe essere salvaguardata sotto l'aspetto formale e sostanziale. Al che é da obiettare che, dal decreto in esame, non risulta alcuna disposizione (né viene indicata dalla difesa della ricorrente), che giustifichi tale motivo; che anzi le disposizioni dell'art. 2, quarto comma, e dell'art. 7, ritenuti legittimi, e dell'80 comma dell'art. 2, non impugnato, sono intese appunto a salvaguardare la consistenza dei gruppi linguistici; disposizioni che del resto trovano anche rispondenza nell'art. 4 della legge deliberata dalla Provincia.
  2. - Occorre ora esaminare il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Provincia di Bolzano, con il quale si impugna la legge approvata dal Consiglio provinciale nella seduta del 14 febbraio 1959.

Nella memoria depositata dalla difesa della Provincia si fa notare che il ricorso si sarebbe dovuto notificare non soltanto alla Regione (come é stato fatto), ma anche alla Provincia di Trento, dato l'interesse della medesima ad intervenire nella controversia. Sebbene, al riguardo, non sia stata formulata eccezione di inammissibilità, né se ne faccia cenno nelle conclusioni, é tuttavia da osservare che il rilievo non appare giustificato. Il ricorso infatti é stato regolarmente notificato alla Regione, la quale avrebbe potuto costituirsi se lo avesse ritenuto opportuno, dato che alla Regione stessa é affidata la tutela degli interessi delle Province che ne fanno parte, verso lo Stato.

  1. - Nel merito, l'Avvocatura dello Stato deduce che l'intera legge impugnata deve ritenersi viziata di illegittimità costituzionale, dato il contrasto con le norme statutarie delle disposizioni che ne costituiscono i cardini fondamentali.

Sostiene infatti che, con la legge anzidetta, la Provincia di Bolzano, oltre che assumere funzioni di carattere amministrativo attribuite ad organi dello Stato da leggi statali (artt. 1, 2, 3), avrebbe legiferato in materia sottratta alla sua potestà normativa, estendendo da un lato la propria competenza (che, a quanto assume la difesa dello Stato, sarebbe limitata alle case popolari in stretto senso), anche alle abitazioni di tipo economico, e interferendo dall'altro nell'attività degli enti di carattere nazionale, finanziatori delle costruzioni di case popolari (art. 5), nella disciplina delle cooperative (artt. 7 e 8) e degli enti di assistenza e beneficenza (artt. 7 e 12), e nel sistema tributario erariale (art. 20).

É da premettere che, nell'esaminare il ricorso proposto dalla Regione contro il decreto legislativo 26 gennaio 1959, n. 28, si é chiarito che rientra nella competenza normativa delle Province, ai sensi dell'art. 11, n. 11, dello Statuto regionale, la materia relativa all'edilizia popolare, senza distinzione fra case popolari e case economiche. Donde l'infondatezza dei rilievi prospettati su questo punto dal ricorrente.

  1. - Il ricorso, ad avviso della Corte, deve ritenersi tuttavia fondato. Come é agevole desumere dall'art. 1, collegato con gli artt. 2, 3, 8, 11 e 21 della legge impugnata, la Provincia non si limita a recepire notevole parte delle norme del T.U. sull'edilizia popolare ed economica del 1938 e successive modificazioni e integrazioni, ed altresì le norme delle leggi 10 agosto 1950, n. 715, e 9 agosto 1954, n. 640 (il che sarebbe stato quanto meno superfluo), ma ha applicato, nell'ambito del proprio territorio, le disposizioni di tali leggi, considerandole, come risulta espressamente dal testo dell'art. 1, quali leggi provinciali. Ed inoltre (art. 2) ha trasferito agli organi ed uffici provinciali le attribuzioni amministrative che le leggi statali sopra ricordate attribuiscono ad organi ed uffici dello Stato. Deferisce infatti, tra l'altro, (art. 3) alla Giunta provinciale la nomina della Commissione di vigilanza per l'esercizio delle funzioni amministrative previste dall'art. 131 del T.U. sopra ricordato, nomina da questo devoluta invece al Ministro per i lavori pubblici (art. 129). Deferisce altresì (art. 8) alla Giunta provinciale, previa intesa con la Giunta Regionale, la competenza, che l'art. 29 del T. U. attribuisce al Ministro per il lavoro e per la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per i lavori pubblici, ad autorizzare l'Istituto autonomo delle case popolari a sostituirsi alle cooperative edilizie non fruenti di contributo erariale. Demanda (art. 11) al Presidente della Giunta provinciale l'approvazione preventiva dei progetti di case popolari ed economiche, che spetta invece al Prefetto, in base all'art. 50 del T.U. sopra citato, attribuendo inoltre alla Giunta provinciale la competenza a decidere sui ricorsi contro le opposizioni del Procuratore delle imposte; competenza che il secondo comma di detto articolo attribuisce invece al Ministro per i lavori pubblici, previa intesa con quello per le finanze. Trasferisce inoltre (art. 21) agli organi provinciali l'attività amministrativa che le leggi sull'Ina-Casa demandano agli organi dello Stato.

É perciò palese, che con le ricordate disposizioni, gli organi provinciali sono sostituiti a quelli statali, e che quindi non é stato osservato il principio fondamentale, cui si é già in precedenza accennato, sulla necessità che tale sostituzione sia disposta con apposite norme di attuazione.

  1. - Devono anche ritenersi fondate le altre censure relative a quelle disposizioni della legge impugnata, le quali concernono materie che, pur essendo comprese nel T.U. del 1938 e nelle altre leggi che a questo si collegano, esulano tuttavia dalla competenza normativa delle Province. Materie relative al finanziamento per le costruzioni da parte di istituti ed enti di carattere nazionale, al sistema tributario dello Stato, e alla disciplina delle cooperative e degli enti di assistenza e beneficenza. A tal proposito la difesa della Provincia sostiene che dall'attribuzione alla Provincia stessa della potestà normativa sull'edilizia popolare, deriverebbe anche la competenza a legiferare su tutte le altre materie (cosiddette sotto materie) a quelle collegate, come mezzo necessario per il conseguimento delle finalità inerenti alle costruzioni delle case popolari. E tale collegamento giustificherebbe, a quanto si assume, la estensione della competenza, anche se le materie stesse, per sé considerate, non vi fossero comprese.

Senonché la potestà normativa assegnata alle Province del Trentino-Alto Adige (come pure alle Regioni), non può essere esercitata se non sulle materie espressamente indicate nelle norme statutarie, le quali, di tale potestà, costituiscono bensì la fonte giuridica, ma anche i limiti. Limiti che non consentono l'emanazione di provvedimenti legislativi fuori dell'ambito delle materie indicate tassativamente nello Statuto speciale, anche se tali provvedimenti siano preordinati al conseguimento di finalità inerenti alle materie anzidette. In tal senso del resto si é già pronunciata questa Corte con la sentenza n. 124 del 1957.

Posto ciò non può disconoscersi la illegittimità delle disposizioni delle legge impugnata, concernenti il regime tributario, il finanziamento delle costruzioni da parte di istituti e di enti pubblici, che svolgono la loro attività sul piano nazionale, l'organizzazione e il funzionamento dei quali l'art. 55 dello Statuto regionale riserva allo Stato. E si é già precisato, nell'esaminare il precedente ricorso, che, nel funzionamento, é compresa anche l'attività che i predetti istituti ed enti sono tenuti a svolgere. A parte poi l'ingerenza della Giunta provinciale relativamente agli istituti di assistenza e beneficenza (circa i quali é competente la Regione a norma dell'art. 5, n. 2, dello Statuto speciale), non si può neppure disconoscere la illegittimità delle disposizioni, con le quali la Provincia ha assunto in genere la vigilanza sulle cooperative edilizie. Vigilanza che, per quelle a contributo erariale, spetta allo Stato, come ha già ritenuto questa Corte nella sentenza n. 80 del 1958, e che quindi non può essere esercitata dalle Province se non in base alle norme di attuazione.

  1. - La illegittimità delle disposizioni sopra indicate, che, nella struttura della legge impugnata hanno carattere fondamentale, si riflette necessariamente sull'intera legge, la quale pertanto, senza che sia necessario esaminare le altre norme In essa contenute, non può essere ritenuta legittima. Occorre quindi che la Provincia, nell'esercizio della potestà normativa nella materia delle case popolari, osservi non soltanto i limiti segnati dalla Costituzione e dallo Statuto speciale, ma altresì che, per quanto attiene all'assunzione di funzioni già spettanti agli organi dello Stato, adegui le proprie leggi alle norme di attuazione contenute nel decreto legislativo del 26 gennaio 1959, delle quali, in base a quanto si é osservato esaminando il ricorso proposto dalla Regione, si é riconosciuta la legittimità.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunziando sui due ricorsi riuniti:

  1. a) in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla Regione Trentino-Alto Adige, con atto notificato il 13 marzo 1959, contro il decreto legislativo 26 gennaio 1959, n. 28, contenente "Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di "case popolari": dichiara l'illegittimità costituzionale dell'ultima parte del primo comma dell'art. 6 del decreto anzidetto, la quale dispone che le Province di Trento e di Bolzano terranno conto delle necessità "di usare nei confronti degli assegnatari degli alloggi dell'Istituto autonomo case popolari un trattamento analogo a quello degli assegnatari degli stessi alloggi nel resto del territorio nazionale"; e della disposizione contenuta nell'ultima parte del terzo comma dello stesso art. 6: "Rimangono ferme le attribuzioni delle Amministrazioni dello Stato d'intesa con le Province di Trento e di Bolzano in ordine alla nomina degli organi amministrativi degli Istituti stessi", in riferimento agli artt. 11, n. 11, e 95 dello Statuto speciale;
  2. b) in accoglimento del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto notificato il 3 marzo 1959, contro la legge approvata dal Consiglio Provinciale di Bolzano nella seduta del 14 febbraio 1959: dichiara la illegittimità costituzionale della legge stessa, in riferimento agli artt. 5, n. 2, 11, n. 11, 55 e 95 dello Statuto speciale.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1960.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

 

Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 1960.