Sentenza n. 18 del 2023

SENTENZA N. 18

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco DALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate), promosso dalla Corte di cassazione, sezione prima penale, sui ricorsi proposti da Italfondiario spa e Phoenix Asset Management spa, con ordinanza del 9 febbraio 2022, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione di Phoenix Asset Management spa;

udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2023 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

udito l’avvocato Stefano Preziosi per Phoenix Asset Management spa;

deliberato nella camera di consiglio del 10 gennaio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 9 febbraio 2022, reg. ord. n. 30 del 2022, la Corte di cassazione, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate), che prevede che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 194 a 206, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si interpretano nel senso che si applicano anche con riferimento ai beni confiscati, ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, all’esito di procedimenti iscritti nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale prima del 13 ottobre 2011».

La Corte rimettente riferisce che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione penale, con decisione del 6 novembre 2020, aveva dichiarato inammissibile per tardività la domanda di tutela del credito ipotecario inciso da una misura di confisca penale cosiddetta allargata ex art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1992, n. 356 (disposizione applicabile ratione temporis nella fattispecie concreta), proposta da un istituto di credito, in data 8 maggio 2018, ai sensi dell’art. 1, commi 198 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)».

Il GIP del Tribunale di Bologna aveva ritenuto che dovesse trovare applicazione l’art. 1, comma 205, della stessa legge n. 228 del 2012, laddove individua il dies a quo della decorrenza del termine di decadenza di centottanta giorni per la proposizione della domanda di tutela in quello della definitività della confisca e, quindi, della conoscenza legale di essa da parte del creditore, termine ormai inutilmente spirato l’8 maggio 2018, poiché il creditore aveva avuto contezza del provvedimento il 6 luglio 2017.

Evidenzia la Corte rimettente che, a fronte di tale pronuncia di inammissibilità, proponevano ricorso per cassazione il creditore e il procuratore speciale del successivo cessionario del credito, chiedendone l’annullamento, in primis (e in via principale), per la valenza innovativa con efficacia ex nunc e non già di interpretazione autentica dell’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017 e, in secondo luogo, in quanto la data di conoscenza effettiva del provvedimento di confisca sarebbe stata in realtà successiva a quella del 6 luglio del 2017, in modo da rendere comunque tempestiva la domanda proposta, anche a voler ritenere applicabile l’art. 1, comma 205, della legge n. 228 del 2012.

In punto di rilevanza, il giudice a quo – nell’osservare che la ricostruzione della decisione impugnata in ordine alla data di conoscenza effettiva del provvedimento di confisca da parte del creditore è sufficientemente motivata – assume che il GIP presso il Tribunale di Bologna ha correttamente inteso la portata della disposizione censurata, poiché la stessa, essendo espressamente qualificata come di «interpretazione autentica», comunque preclude al giudice comune di ritenerla applicabile solo ex nunc e non già retroattivamente.

In punto di non manifesta infondatezza, la Corte rimettente sottolinea, poi, che l’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017 costituisce in realtà una disposizione «falsamente interpretativa» poiché i contenuti della previsione interpretativa non erano affatto riconducibili a quelli della disposizione oggetto di interpretazione, con la quale essa avrebbe dovuto saldarsi e, come tali, erano imprevedibili.

Ricorda in particolare a riguardo che gli artt. 52 e seguenti del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) hanno regolato espressamente, anche riconducendosi ai principi che si erano consolidati sulla questione nella giurisprudenza di legittimità, il problema della tutela dei creditori nella confisca di prevenzione. L’art. 117, comma 1, dello stesso decreto aveva circoscritto tuttavia l’applicabilità di tale disciplina ai soli procedimenti nei quali la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale (confisca o previo sequestro ad essa strumentale) era avvenuta in data successiva a quella del 13 ottobre 2011, di entrata in vigore del medesimo codice antimafia.

Secondo la prospettazione della Corte rimettente, sia sul piano letterale che su quello finalistico la disciplina dettata in parte qua dalla legge n. 228 del 2012 deve ritenersi naturaliter circoscritta alle confische di prevenzione e non estesa alla confisca penale. Ciò sarebbe confermato, del resto, sul piano sistematico dalla circostanza che, a fronte dell’intervento dell’art. 1, comma 190, della medesima legge di stabilità per l’anno 2013 sull’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito, intervento con il quale era stato inserito il riferimento all’applicabilità immediata a tali procedure di confisca penale delle disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dal d.lgs. n. 159 del 2011, la giurisprudenza di legittimità – che pure non si era espressa in ordine alla possibilità, mediante tale riferimento, di ritenere operanti gli artt. 52 e seguenti cod. antimafia anche alle confische penali cosiddette allargate – non aveva posto in discussione l’inapplicabilità ad esse delle norme dettate per le procedure anteriori all’entrata in vigore di detto codice.

2.– Si è costituita in giudizio la società Phoenix Asset Management spa, condividendo i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Corte di cassazione.

3.– Non è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.– La Corte di cassazione, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017.

La Corte rimettente riferisce che il GIP del Tribunale di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione penale, con decisione del 6 novembre 2020 aveva dichiarato inammissibile per tardività la domanda di tutela del credito ipotecario inciso da un provvedimento di confisca cosiddetta allargata (art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito); domanda proposta da un istituto di credito, in data 8 maggio 2018, ai sensi dell’art. 1, commi 198 e seguenti, della legge n. 228 del 2012.

In punto di rilevanza, la Corte rimettente evidenzia che il predetto GIP ha correttamente individuato la portata retroattiva della disposizione recata dall’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017, che deriva comunque dall’essere la stessa espressamente qualificata come di interpretazione autentica.

In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo sottolinea, poi, che tale disposizione sarebbe in realtà, al di là della sua qualificazione testuale, una norma «falsamente interpretativa», perché avrebbe invece un contenuto innovativo, comunque con efficacia retroattiva. Sicché il termine di decadenza per proporre domanda di ammissione del credito al giudice dell’esecuzione presso il Tribunale che ha disposto la confisca potrebbe avere – e in effetti ha avuto nel giudizio principale – un inizio della decorrenza retrodatata rispetto alla data di entrata in vigore di tale disposizione (19 novembre 2017) con conseguente violazione sia dell’art. 3 Cost. sia dell’art. 24, primo comma, Cost.

2.– In via preliminare, quanto alla rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, occorre considerare che la disposizione censurata prevede espressamente che essa si applica «ai beni confiscati, ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, all’esito di procedimenti iscritti nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale prima del 13 ottobre 2011».

Si tratta quindi di una disciplina ad esaurimento, perché dettata per confische relative a procedimenti penali maggiormente risalenti, laddove per tutte quelle che si riferiscono a procedimenti più recenti (quelli iscritti nel registro degli indagati dopo la data suddetta) la disciplina – a regime, quindi – è contemplata dal precedente art. 31 della medesima legge, che ha novellato l’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito, prevedendo espressamente l’applicabilità delle disposizioni del codice antimafia, sia quelle in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, sia quelle che concernono la tutela dei terzi creditori.

Nella specie, oggetto del giudizio principale è, appunto, una confisca penale allargata relativa a un risalente procedimento penale, iscritto (nel 2008) nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. prima dell’entrata in vigore del codice antimafia (nel 2011), come è desumibile dall’accurato apparato argomentativo dell’ordinanza di rimessione, che trova conferma nelle specifiche indicazioni offerte dalla parte nella sua memoria di costituzione, nonché nelle risultanze del fascicolo del giudizio a quo.

Sussiste, quindi, la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, che sono, sotto questo profilo, ammissibili.

3.– Ancora in via preliminare, occorre ben identificare l’oggetto delle questioni di legittimità costituzionale in esame.

L’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017 prevede che le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012 devono essere interpretate nel senso che esse tutte si applicano anche ai beni oggetto di confische penali cosiddette allargate.

Il legislatore del 2017, nel modificare varie disposizioni del codice antimafia, si è occupato anche – come appena rilevato – delle confische penali relative a procedimenti penali maggiormente risalenti e per queste ha reso applicabile l’intera disciplina posta dall’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012, concernente vari aspetti del procedimento promosso con l’istanza dei creditori che chiedono di soddisfarsi sui beni confiscati, nonché la stessa attività dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che provvede alle relative operazioni.

Questa articolata disciplina – originariamente prevista dalla legge n. 228 del 2012 per le confische di prevenzione maggiormente risalenti nel tempo, alle quali ratione temporis non si applicava il procedimento previsto dal codice antimafia per essere la richiesta della misura precedente l’entrata in vigore di quest’ultimo – successivamente, per mezzo della disposizione censurata, è stata resa applicabile in blocco anche alle confische penali allargate relative a procedimenti penali maggiormente risalenti.

Ma sia l’oggetto del giudizio a quo, introdotto con ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice per le indagini preliminari, sia le diffuse argomentazioni dell’ordinanza di rimessione quanto alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, mostrano chiaramente che il thema decidendum è focalizzato unicamente sul rispetto, o no, del termine di centottanta giorni (di cui all’art. 1, commi 199 e 205, della legge n. 228 del 2012) per proporre la domanda di ammissione del credito senza che vengano in rilievo altri profili del procedimento attivato con tale domanda.

Si ha, quindi, che la norma censurata, rinvenibile nel contesto della disposizione indicata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione (art. 37, primo periodo, citato), è solo quella che concerne la decorrenza del suddetto termine di decadenza, la quale è contenuta, come aspetto particolare, nella disciplina richiamata dalla disposizione censurata (i commi da 194 a 206 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012). Non è invece censurata quest’ultima nella sua interezza, che concerne anche altri aspetti, i quali comunque non sarebbero rilevanti nel giudizio a quo e dei quali l’ordinanza di rimessione non si occupa (né avrebbe ragione di occuparsene).

È, del resto, rimesso a questa Corte il potere di individuare l’oggetto della questione da scrutinare, laddove lo stesso non coincida con la portata letterale del petitum formulato dal rimettente, dovendosi peraltro identificare l’oggetto del giudizio costituzionale interpretando il dispositivo dell’ordinanza di rimessione alla luce della sua motivazione, così delimitando correttamente il thema decidendum (ex aliis, sentenza n. 223 del 2022 e, più recentemente, sentenza n. 2 del 2023).

4.– Le sollevate questioni di legittimità costituzionale, così circoscritte all’operatività del termine di decadenza di cui all’art. 1, commi 199 e 205, della legge n. 228 del 2012, oggetto della censurata disposizione di interpretazione autentica, vanno comunque inquadrate nel più ampio contesto della disciplina della confisca penale allargata e di quella di prevenzione quanto alla tutela dei diritti di credito di terzi che intendano far valere la responsabilità patrimoniale del debitore, già proprietario del (o titolare di altro diritto reale sul) bene confiscato.

Pur essendo le due fattispecie di confisca (quella di prevenzione e quella penale allargata) diverse per presupposti e natura, per esse l’esigenza di tutela dei terzi creditori si pone in termini essenzialmente analoghi. La relativa disciplina si è evoluta nel tempo in termini differenziati e solo da ultimo, a seguito proprio dell’intervento normativo del 2017, che contiene la disposizione censurata, è stata raggiunta una regolamentazione maggiormente sistematica e simmetrica.

4.1.– In generale, può ricordarsi che all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, per contrastare più efficacemente i reati di stampo mafioso, il legislatore decise di introdurre strumenti più pervasivi per l’apprensione di beni frutto di attività criminosa, al di là della confisca penale ordinaria, regolata dall’art. 240 del codice penale.

Originariamente la disciplina era contenuta nell’art. 12-quinquies, comma 2, del d.l. n. 306 del 1992, come convertito, che puniva, anche mediante la confisca dei beni, del denaro o di altre utilità, la persona sottoposta a procedimento penale per il delitto di associazione mafiosa o per altre ipotesi delittuose ritenute tipiche delle organizzazioni criminali o nei cui confronti fosse in corso di applicazione o si procedesse per l’applicazione di una misura di prevenzione personale, la quale, anche per interposta persona, avesse la disponibilità di denaro, beni o altre utilità di valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica e dei quali non potesse giustificare la legittima provenienza.

Questa Corte, tuttavia, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la predetta norma per violazione della presunzione di non colpevolezza sancita all’art. 27, secondo comma, Cost. (sentenza n. 48 del 1994).

Tenendo conto di tale pronuncia, il legislatore ha introdotto, con il decreto-legge 20 giugno 1994, n. 399 (Disposizioni urgenti in materia di confisca di valori ingiustificati), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1994, n. 501, l’art. 12-sexies nello stesso d.l. n. 306 del 1992, come convertito, ossia una nuova fattispecie di confisca penale.

Quest’ultima norma – la cui disciplina è oggi sostanzialmente confluita nell’art. 240-bis cod. pen. – stabilisce che, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per taluno dei delitti in essa indicati, è sempre disposta «la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica».

La confisca penale, comunemente definita “allargata”, è disposta – alla stregua di quanto precisato da questa Corte (sentenza n. 33 del 2018) – ove ricorrano due presupposti, ossia la qualità di condannato per determinati reati e la sproporzione del patrimonio del quale il condannato ha la disponibilità, anche indirettamente, rispetto al suo reddito o alla sua attività economica, che implica la presunzione che il patrimonio stesso derivi da attività criminose che non è stato possibile accertare, presunzione che può tuttavia essere superata dal condannato giustificando la provenienza dei beni.

La confisca cosiddetta allargata presenta, almeno sotto questi aspetti, non trascurabili assonanze con la confisca di prevenzione, con la quale condivide la finalità di superare il problema fondamentale che impedisce l’applicazione della confisca tradizionale, ossia l’accertamento del nesso causale tra i profitti e il reato, ed è dunque funzionale, in conformità alle indicazioni dell’art. 5 della direttiva (UE) 2014/42 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, a confiscare gli assetti patrimoniali accumulati nel tempo dal crimine organizzato o dalla criminalità economica. In sostanza, il principio è quello di consentire una confisca fondata su una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale in capo a chi è condannato per determinati reati, mediante forme di inversione dell’onere della prova (ancora sentenza n. 33 del 2018).

La confisca di prevenzione, invece, prevista dall’art. 24 cod. antimafia, ha ad oggetto beni di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle relative imposte, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Il presupposto giustificativo della confisca di prevenzione è quindi la ragionevole presunzione, pur in assenza dell’accertamento di un reato, che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita (sentenza n. 24 del 2019).

4.2.– L’emanazione di un provvedimento di confisca, sia penale che di prevenzione, implica il problema della tutela dei creditori del soggetto che subisce tale misura, i quali perdono la garanzia patrimoniale sulla quale avevano riposto il proprio affidamento.

Si tratta di una questione particolarmente delicata, rispetto alla quale viene in rilievo il bilanciamento tra il diritto dei creditori di soddisfarsi sui beni del debitore e l’esigenza di evitare che il reo si riappropri dei beni oggetto di confisca ovvero che gli stessi beni siano destinati a soddisfare creditori che avevano contratto con lo stesso nella consapevolezza che l’attività economica da lui svolta fosse illecita ovvero fosse diretta a celare attività illecite o al riciclaggio di denaro (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 aprile 1999, n. 9).

Con riferimento, in particolare, alla confisca di prevenzione e alla tutela dei terzi creditori, può ricordarsi che questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012, nella parte in cui non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con le modalità ivi indicati anche i titolari di crediti da lavoro subordinato che non siano ipotecari, pignoranti o intervenuti nell’esecuzione, ma comunque assistiti da privilegio generale sui beni mobili, ai sensi dell’art. 2751-bis, numero 1), del codice civile, e con diritto alla collocazione sussidiaria sul prezzo degli immobili, ex art. 2776 cod. civ., per contrasto con l’art. 36 Cost. in quanto idonea a pregiudicare il diritto, riconosciuto al lavoratore, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa (sentenza n. 94 del 2015).

La successiva sentenza n. 26 del 2019 è intervenuta in maniera più radicale sulle limitazioni alle categorie di creditori tutelabili ai sensi dell’art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012, ritenendo tale previsione costituzionalmente illegittima laddove limita alle specifiche categorie di creditori ivi indicati la possibilità di ottenere soddisfacimento dei propri crediti sui beni del debitore che siano stati attinti da confisca di prevenzione, poiché esso determina un sacrificio irreparabile e privo di ogni fondamento razionale dei diritti di tutti i creditori di buona fede non rientranti in alcuna delle predette categorie, discriminando la loro posizione rispetto a quella dei creditori i cui interessi vengono invece salvaguardati dal medesimo precetto normativo.

4.3.– Limitandosi, ora, al solo profilo della tutela dei terzi creditori – quello rilevante in questo giudizio – può ricordarsi che inizialmente il codice antimafia ha regolato questo aspetto nel Libro I, al Titolo IV (articoli da 52 a 65), rubricato appunto «La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali»; ma ciò ha fatto solo per le confische di prevenzione e nemmeno per tutte, essendo espressamente previsto (dall’art. 117, comma 1) che «[le] disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto [13 ottobre 2011], sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti».

In particolare, quanto alla disciplina dei termini, l’art. 57, comma 2, cod. antimafia ha previsto un termine perentorio non superiore a sessanta giorni assegnato dal giudice delegato, dopo il deposito del decreto di confisca di primo grado, per il deposito delle istanze di accertamento dei diritti di credito. Il successivo art. 58, comma 5, ha stabilito che, non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, le domande relative ad ulteriori crediti sono ammesse solo ove il creditore provi, a pena di inammissibilità della richiesta, di non aver potuto presentare la domanda tempestivamente per causa a lui non imputabile.

La mancanza di una regolamentazione complessiva è stata oggetto di critiche da parte della dottrina. Ma la lacuna è stata colmata in breve tempo perché il legislatore, già con la legge di stabilità per il 2013, ha integrato tale disciplina per coprire tutte le ipotesi di confisca di prevenzione. Ha infatti stabilito – per le confische di prevenzione alle quali non si applicava il codice antimafia – un procedimento, analogo seppur non identico, all’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012.

In particolare, quanto alla disciplina dei termini, l’art. 1, comma 199, ha previsto che entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della stessa legge n. 228 del 2012 (1° gennaio 2013), i titolari dei crediti devono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito al giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca. Il successivo comma 205 del medesimo art. 1 ha poi prescritto che tale termine decorre dal momento in cui la confisca diviene definitiva, o meglio – ha poi chiarito la giurisprudenza – dalla piena conoscenza della confisca divenuta definitiva.

Invece, per le confische penali allargate è la stessa legge n. 228 del 2012 che detta una disposizione di raccordo – l’art. 1, comma 190 – che, sostituendo il comma 4-bis dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito, ha prescritto l’applicabilità delle disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dal codice antimafia, così richiamando le disposizioni del suo Titolo I del Libro I, ma non anche – almeno testualmente – quelle del successivo Titolo IV, sulla tutela dei terzi.

È solo con la legge n. 161 del 2017 che viene introdotta, per le confische penali, una disciplina analoga, quanto alla tutela dei creditori, a quella dettata per le confische di prevenzione.

Da una parte, l’art. 31, sostituendo nuovamente il comma 4-bis dell’art. 12-sexies, ha previsto che le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonché quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice antimafia si applicano ai casi di sequestro e confisca penali, quelli di cui ai commi precedenti della stessa disposizione.

D’altra parte, l’art. 37 (disposizione censurata) ha stabilito che le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012, si interpretano nel senso che si applicano anche con riferimento ai beni confiscati, ai sensi dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito e successivamente modificato, all’esito di procedimenti iscritti nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. prima del 13 ottobre 2011 e quindi anche alle confische allargate maggiormente risalenti, qual è quella oggetto del giudizio a quo.

Il richiamo in blocco dei commi da 194 a 206 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, interpretati autenticamente come applicabili anche alle confische penali allargate relativamente a procedimenti penali iscritti nel registro degli indagati prima della data suddetta, trascina con sé anche la data di entrata in vigore di tale disciplina (1° gennaio 2013, ex art. 1, comma 561, della legge medesima).

Quindi anche il termine, a pena di decadenza, di centottanta giorni, entro cui il creditore deve proporre la domanda di ammissione del credito (art. 1, comma 199, della legge n. 228 del 2012), deve considerarsi vigente – come correttamente ritiene la Corte rimettente – dal 1° gennaio 2013.

5.– Ciò in sintesi premesso – come quadro normativo di riferimento, quanto in particolare ai termini via via previsti per le domande di pagamento dei creditori in caso di confisca (penale allargata o di prevenzione) di beni oggetto di garanzia patrimoniale dei crediti stessi – le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono fondate con riferimento a entrambi i parametri di cui agli artt. 3 e 24, primo comma, Cost.

6.– Occorre muovere dal presupposto, correttamente ritenuto dalla Corte rimettente, secondo cui la disposizione censurata (art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017), qualificata come di interpretazione autentica, reca in realtà – quanto alla disciplina del termine di decadenza in esame (sopra, punto 3) – una norma che non è genuinamente tale, bensì è innovativa con carattere retroattivo; profilo questo che nella fattispecie si rivela decisivo al fine, poi, della fondatezza delle questioni.

In generale – va ribadito – «una disposizione può qualificarsi di interpretazione autentica quando opera la selezione di uno dei plausibili significati di una precedente disposizione, quella interpretata, la quale sia originariamente connotata da un certo tasso di polisemia e, quindi, sia suscettibile di esprimere più significati secondo gli ordinari criteri di interpretazione della legge. In tal senso, la disposizione interpretativa si limita ad estrarre una delle possibili varianti di senso dal testo della disposizione interpretata e la norma, che risulta dalla saldatura tra le due disposizioni, assume tale significato sin dall’origine, dando luogo ad una retroattività che, nella logica del sintagma unitario, è solo apparente» (sentenza n. 104 del 2022).

Ciò che rileva, a tal fine, è che la scelta imposta dalla legge con la disposizione interpretativa rientri nell’ambito delle possibili varianti di senso del testo originario, ossia che venga reso vincolante un significato che, secondo gli ordinari canoni dell’interpretazione della legge, sarebbe stato riconducibile alla disposizione precedente (sentenze n. 61 del 2022, n. 133 del 2020, n. 167 e n. 15 del 2018, n. 73 del 2017 e n. 525 del 2000).

In realtà, la disposizione censurata non è genuinamente interpretativa per almeno due concorrenti ragioni.

6.1.– Innanzi tutto – come ben pone in evidenza la Corte rimettente – la disposizione interpretata (l’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012) si riferiva esclusivamente alla confisca di prevenzione e non già a quella penale allargata; e quindi, rendendo applicabile anche a quest’ultima la disciplina già dettata per la prima, il censurato art. 37, primo periodo, non l’ha “interpretata”, ma ne ha esteso l’operatività ampliandone la portata applicativa e quindi l’ha innovata, seppur con effetto retroattivo.

Per la confisca penale allargata, la stessa legge n. 228 del 2012 prevedeva una diversa e distinta disposizione, non richiamata da quella interpretativa: l’art. 1, comma 190, che, novellando proprio l’art. 12-sexies citato, stabiliva che le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dal codice antimafia si applicavano anche ai casi di sequestro e confisca di cui ai commi da 1 a 4 della medesima disposizione.

Quindi era presente, nella legge n. 228 del 2012, la distinzione tra le confische di prevenzione – seppure non tutte, ma solo quelle relative a procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del codice antimafia (13 ottobre 2011), fosse già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione – e le confische penali allargate (queste sì tutte perché senza distinzione diacronica). Per le prime, la legge n. 228 del 2012 dettava una disciplina speciale (ai commi da 194 a 206 dell’art. 1), simile ma non identica a quella posta dal codice antimafia; per le altre, la medesima legge (al comma 190 dell’art. 1) rendeva invece applicabili le disposizioni del codice antimafia, ma limitatamente alla «materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati».

Semmai un dubbio interpretativo concerneva la portata di quest’ultimo riferimento alla «materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati», contenuta nel Titolo III del Libro I del codice antimafia, essendo controvertibile se tale richiamo fosse da leggere come comprendente, o no, anche le disposizioni contenute nel successivo Titolo IV, concernenti la tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali e se operasse anche la disciplina transitoria di cui all’art. 117 del medesimo codice.

Prima del 2017 – stante il già menzionato richiamo contenuto nel comma 190 dell’art. 1 di quest’ultima legge (n. 228 del 2012) – si sarebbe potuto ipotizzare (come parte della giurisprudenza ha ritenuto: Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 20 maggio-19 giugno 2014, n. 26527) l’applicabilità di altri termini, quelli previsti per le confische di prevenzione a regime, contemplati dall’art. 57, comma 2, cod. antimafia (ossia quello non superiore a sessanta giorni assegnato dal giudice delegato per la presentazione delle istanze di accertamento del credito) e dal successivo art. 58, comma 5 (che all’epoca era di un anno dalla definitività del provvedimento di confisca).

Termini che, però, non vengono in rilievo perché la scelta del legislatore del 2017 è stata diversa: rendere applicabile, nella fattispecie, il procedimento di cui all’art 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012 e non già quello di cui agli artt. 52 e seguenti cod. antimafia.

Si trattava comunque di una disposizione diversa da quella che, secondo la qualificazione formale, è stata invece interpretata autenticamente dall’art. 37 censurato.

Peraltro siffatto dubbio è stato, poi, superato dall’art. 31 della legge n. 161 del 2017 che, sostituendo il comma 4-bis dell’art. 12-sexies citato, nel confermare che alla confisca allargata si applicano le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, ha aggiunto ad esse – ma non con disposizione qualificata di interpretazione autentica – altresì quelle, prima non espressamente previste, «in materia di tutela dei terzi» del codice antimafia, così rendendo ora applicabili anche le disposizioni del Titolo IV del Libro I del codice.

6.2.– Inoltre, vi era che la disposizione (formalmente) interpretata, riguardante – come appena rilevato – le confische di prevenzione più risalenti nel tempo (e non già quelle penali), aveva una finalità ben precisa perché andava a colmare una lacuna presente nel codice antimafia, per essere questo applicabile solo ai procedimenti nei quali, alla data della sua entrata in vigore, non fosse già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. Infatti, il comma 194 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 prevedeva espressamente – e prevede tuttora – che la disciplina di seguito introdotta ai commi successivi riguardasse gli “altri” procedimenti di prevenzione, ossia quelli più risalenti ai quali non si applicava la disciplina dettata dal Libro I del codice antimafia sulle misure di prevenzione.

Orbene, questa differenziazione diacronica (procedimenti di prevenzione “nuovi” versus procedimenti di prevenzione più risalenti) non era invece ravvisabile quanto alle confische penali allargate, per le quali tutte il comma 190 dell’art. 1 citato – come appena ricordato – non operava alcuna distinzione.

Solo successivamente, proprio con la disposizione censurata (art. 37 della legge n. 161 del 2017) è stato introdotto ex novo – e in modo «imprevedibile» (come sottolinea l’ordinanza di rimessione) – un distinto e diverso (come tale, nuovo) discrimine temporale, anche per le confische penali allargate, considerando il momento in cui la notizia del reato presupposto è stata iscritta nel registro degli indagati, se prima o dopo l’entrata in vigore del codice antimafia, in modo da distinguere tra le confische penali più risalenti e quelle “nuove”.

Sulla base di tale criterio distintivo si ha quindi che, se tale momento è anteriore al codice antimafia si applica l’art. 37 (ossia la stessa disciplina prevista, come regolamentazione transitoria e ad esaurimento, per le confische di prevenzione più risalenti); se è successivo si applica l’art. 31 (ossia il codice antimafia, come per le confische di prevenzione a regime), così realizzandosi un pieno parallelismo.

L’introduzione, solo con la legge n. 161 del 2017, di tale discrimine temporale di nuovo conio conferma il carattere innovativo della censurata disposizione, formalmente di interpretazione autentica.

6.3.– In sintesi, da una parte, la disposizione interpretata era stata dettata, nella legge n. 228 del 2012, esclusivamente per le confische di prevenzione e non anche per quelle penali allargate, sicché l’estensione a queste ultime ha portata innovativa.

D’altra parte, la disposizione interpretata conteneva, per le confische di prevenzione, un discrimine temporale con riferimento alla data della proposta di applicazione della misura, del tutto sconosciuto (e neppure ipotizzabile quanto) alle confische penali allargate, per le quali invece un distinto e diverso discrimine, parimenti temporale, sarà introdotto (ex novo) solo dalla disposizione interpretativa censurata.

Da ciò consegue, per l’una e l’altra ragione, che la disposizione censurata esibisce un chiaro contenuto innovativo e non può ritenersi, al di là della sua qualificazione, che sia genuinamente di interpretazione autentica. Si tratta, invece, di una disposizione innovativa, pur con portata retroattiva, applicandosi a partire dalla data di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012 (1° gennaio 2013).

Consegue parimenti che, in particolare, il termine di decadenza di centottanta giorni, decorrente dal momento in cui la confisca diviene definitiva, entro cui proporre domanda di ammissione del credito al pagamento – termine già previsto per le confische di prevenzione – viene introdotto per le confische penali allargate solo dall’art. 37 della legge n. 161 del 2017 e quindi dall’entrata in vigore di quest’ultima (19 novembre 2017); ma viene introdotto con efficacia retroattiva risalente alla data di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012 (ossia dal 1° gennaio 2013).

Sicché, prima del 19 novembre 2017, il creditore non poteva immaginare di avere, per proporre domanda di ammissione del credito, un termine di decadenza di centottanta giorni, decorrente dal momento in cui la confisca (penale allargata) era divenuta definitiva; termine appunto introdotto, con efficacia retroattiva, solo dalla disposizione censurata.

7.– Chiarita la portata innovativa, e non già di interpretazione autentica, della disposizione censurata, la prevista efficacia retroattiva di quest’ultima, nella parte in cui ha introdotto il termine di decadenza di centottanta giorni, di cui ai commi 199 e 205 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, a decorrere dalla data di entrata in vigore della disposizione interpretata (1° gennaio 2013), contrasta con entrambi i parametri indicati nell’ordinanza di rimessione.

È vero che la qualificazione della norma censurata quale disposizione innovativa con efficacia retroattiva non ne comporta, per ciò solo, l’illegittimità costituzionale (sentenze n. 61 del 2022, n. 39 del 2021 e n. 73 del 2017), in quanto al legislatore, al di fuori della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), non è precluso adottare leggi retroattive, sempre che non violino specifici parametri costituzionali (sentenza n. 118 del 1957).

Ciò che può determinare l’illegittimità costituzionale di una previsione siffatta è, piuttosto, il contrasto con il principio di eguaglianza o con altri principi costituzionali.

Ed è quanto nella fattispecie si è verificato, nella misura in cui la disposizione censurata consente che il dies a quo del termine di centottanta giorni dalla definitività della confisca (in realtà, dalla conoscenza di ciò da parte del creditore) – termine di cui ai commi 199 e 205 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 – possa decorrere, retroattivamente, a partire dall’entrata in vigore della legge stessa.

7.1.– Da una parte, è violato l’art. 3 Cost. perché vi è un’ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori che si giovano dell’intero termine di centottanta giorni, ogni qual volta il momento, in cui la confisca (penale allargata) è divenuta definitiva, risulti essere successivo all’entrata in vigore della legge n. 161 del 2017, e i creditori che propongono la domanda di ammissione del credito in riferimento ad una confisca già divenuta definitiva (e da essi conosciuta) prima di tale data. Infatti, in quest’ultima evenienza i creditori si vedono “accorciare” la durata del termine di decadenza nella misura in cui è calcolata anche quella precedente l’entrata in vigore della legge n. 161 del 2017, quando il creditore non poteva immaginare che un tale termine sarebbe stato introdotto dal legislatore (così come è, in concreto, avvenuto nella vicenda oggetto del giudizio a quo).

Ancor di più sarebbero discriminati i creditori nei casi in cui la confisca fosse divenuta definitiva (e conosciuta) addirittura prima di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017, perché in tale evenienza il termine sarebbe per essi già interamente decorso al momento in cui il legislatore, con tale legge, l’ha introdotto.

7.2.– D’altra parte, violato è anche l’art. 24, primo comma, Cost.

La Corte rimettente non pone in dubbio la congruità di un termine di decadenza di centottanta giorni dalla conoscenza della misura ablatoria definitiva per proporre la domanda di ammissione del credito al giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca al fine di ottenere il pagamento, seppur parziale, del credito stesso.

Invero, il difetto di congruità del termine, rilevante sul piano della violazione dell’art. 24, primo comma, Cost., si avrebbe solo qualora esso, per la sua durata, fosse inidoneo a rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e, di conseguenza, tale da rendere inoperante o carente la tutela accordata al cittadino (ex multis, sentenze n. 94 del 2017, n. 44 del 2016, n. 117 del 2012 e n. 30 del 2011).

Se, però, non c’è ragione di dubitare della congruità del termine di centottanta giorni al fine della tutela giurisdizionale, non altrettanto può dirsi – al metro di questo stesso – per il termine quando esso risulta, in sostanza, essere ridotto per effetto del possibile computo retroattivo del periodo di tempo anteriore alla legge che l’ha introdotto.

E a maggior ragione il parametro è violato nella misura in cui consente, al limite, che il termine, al momento della sua introduzione per legge, sia già interamente decorso in ragione sempre della computabilità retroattiva anche del periodo di tempo anteriore all’entrata in vigore della legge stessa.

In tale evenienza, vi sarebbe addirittura un impedimento – ossia la maturata decadenza – all’esercizio della tutela giurisdizionale.

8.– In conclusione, il legislatore non può – senza violare il principio di eguaglianza e il diritto alla tutela giurisdizionale – introdurre un termine di decadenza per il compimento di un atto processuale nella misura in cui esso finisca per essere già in parte, o finanche interamente, decorso al momento dell’entrata in vigore della disposizione che lo prevede.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017, nella parte in cui – nel prevedere che le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012 si interpretano nel senso che si applicano anche con riferimento ai beni confiscati, ai sensi dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito, con successive modificazioni – non esclude che il termine di decadenza di cui all’art. 1, commi 199 e 205, della legge n. 228 del 2012, possa decorrere prima dell’entrata in vigore del menzionato art. 37, dovendo invece sempre iniziare a decorrere non prima della data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017 che tale termine ha previsto, ossia non prima del 19 novembre 2017.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate), nella parte in cui non esclude che il termine di decadenza di cui all’art. 1, commi 199 e 205, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)» possa decorrere prima dell’entrata in vigore del menzionato art. 37.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2023.