Sentenza n. 187 del 2022

SENTENZA N. 187

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 19, commi 2, 3, 4, lettera b), e 6; 20, commi 1, 2 e 3; 28, commi 7, lettere a) e b), e 10; 61, commi 1 e 2; 83; e 130, comma 1, della legge della Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7 (Testo Unico sul commercio ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della legge regionale 14 ottobre 2015, n. 11), e degli artt. 19, comma 6, 28, comma 10, e 130, comma 1, lettera b), della medesima legge reg. Campania n. 7 del 2020, come modificati rispettivamente dall’art. 11, comma 1, lettera a), punto 2, lettera c), punto 2), e lettera i), e dell’art. 57, comma 2, della legge della Regione Campania 29 giugno 2021, n. 5 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2021-2023 - Collegato alla stabilità regionale per il 2021), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati rispettivamente il 26 giugno 2020 e il 24 agosto 2021, depositati in cancelleria il 1° luglio 2020 e il 27 agosto 2021, iscritti al n. 55 del registro ricorsi 2020 e al n. 45 del registro ricorsi 2021 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 32 dell’anno 2020 e n. 40 dell’anno 2021.

Visti gli atti di costituzione della Regione Campania;

udito nell’udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati dello Stato Maria Gabriella Mangia, Giorgio Santini e Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania, tutti in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 giugno 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato e depositato il 1° luglio 2020 (reg. ric. n. 55 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento complessivamente agli artt. 9, secondo comma, 81, terzo comma, 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19, commi 2, 3 e 4, lettera b), e 6; 20, commi 1, 2 e 3; 28, commi 7, lettere a) e b), e 10; 61, commi 1 e 2; 83; e 130, comma 1, della legge della Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7 (Testo Unico sul commercio ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della legge regionale 14 ottobre 2015, n. 11).

La legge impugnata disciplina l’esercizio delle attività commerciali nella Regione Campania e le disposizioni oggetto di specifica censura concernono lo strumento comunale di intervento per l’apparato distributivo (art. 19), gli interventi comunali per la valorizzazione del centro storico (art. 20), le grandi strutture di vendita (art. 28), le modalità di esercizio del commercio nelle aree pubbliche (art. 61), il commissario regionale nominato in caso di inefficienza o irregolarità del mercato all’ingrosso (art. 83) e le concessioni per l’installazione di impianti di distribuzione di carburanti lungo le autostrade (art. 130).

1.1.( La Regione Campania, con atto depositato il 29 luglio 2020, si è costituita in giudizio limitandosi a chiedere il rigetto della «sollevata questione di legittimità costituzionale, con ogni conseguente statuizione», senza alcuna specifica allegazione difensiva.

1.2.− In data 3 maggio 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria integrativa, richiamandosi alle proprie argomentazioni difensive e preliminarmente eccependo l’inammissibilità della costituzione della Regione Campania, in quanto l’atto di costituzione conterrebbe esclusivamente le conclusioni e non l’illustrazione delle stesse, come invece richiesto dall’art. 19, terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis.

1.3.− In data 4 maggio 2021, la Regione Campania ha depositato memoria con la quale ha illustrato per la prima volta le proprie difese e rassegnato le seguenti conclusioni: in via preliminare, rinvio dell’udienza pubblica, originariamente fissata per il 25 maggio 2021, nelle more della approvazione del disegno di legge depositato in Consiglio regionale in data 28 aprile, recante modifiche ad alcune delle disposizioni censurate, poi confluite nella legge della Regione Campania 29 giugno 2021, n. 5 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2021-2023 - Collegato alla stabilità regionale per il 2021); in via subordinata, declaratoria di non fondatezza di tutte le questioni promosse.

1.4.− Con memoria del 7 maggio 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha aderito all’istanza di rinvio presentata dalla Regione.

1.5.− In accoglimento dell’istanza di rinvio, l’udienza pubblica è stata rinviata al 22 febbraio 2022; in seguito vi è stato un ulteriore rinvio al 7 giugno 2022.

1.6.− In data 17 maggio 2022 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria integrativa, richiamandosi alle proprie argomentazioni difensive.

1.7.− Nella stessa data del 17 maggio 2022, anche la Regione Campania ha depositato memoria integrativa in cui, oltre a ribadire le argomentazioni difensive già svolte nel merito, ha dedotto per la prima volta profili di inammissibilità limitatamente alle censure concernenti gli artt. 19, commi 2, 3, 4, lettera b), e 6 e 28, commi 7, lettere a) e b), della legge reg. Campania n. 7 del 2020; profili questi che saranno illustrati unitamente agli specifici motivi di ricorso.

La medesima resistente ha inoltre contestato l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Governo con riguardo al proprio atto di intervento, evidenziando come per costante giurisprudenza di questa Corte l’art. 19, comma 3, delle Norme integrative, in base al quale l’atto di costituzione della parte resistente contiene le conclusioni e l’illustrazione delle stesse, miri a stimolare l’apporto argomentativo delle parti, senza che siano prefigurabili conseguenze sanzionatorie nel caso di mancata illustrazione delle conclusioni formulate (viene richiamata, in particolare, l’ordinanza n. 156 del 2017).

2.– Con ricorso depositato il 27 agosto 2021 (reg. ric. n. 45 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 9 secondo comma, 117, secondo comma, lettere l) e s), e 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, comma 1, lettera a), punto 2), lettera c), punto 2), e lettera i), e 57, comma 2, della legge reg. Campania n. 5 del 2021.

L’art. 11 modifica gli artt. 19, 28 e 130 della legge reg. Campania n. 7 del 2020, oggetto del ricorso iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020, mentre l’art. 57 introduce delle misure di semplificazione in materia di concessioni del demanio marittimo.

2.1.( La Regione Campania si è costituita in giudizio con atto depositato il 5 ottobre 2021, limitandosi a chiedere il rigetto «della sollevata questione di legittimità costituzionale, con ogni conseguente statuizione», senza alcuna specifica allegazione difensiva.

2.2.− L’udienza pubblica fissata per il 22 febbraio 2022 è stata poi rinviata al 7 giugno 2022.

2.3.− In data 17 maggio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria integrativa, richiamandosi alle proprie argomentazioni difensive.

2.4.− Nella stessa data del 17 maggio 2022, anche la Regione Campania ha depositato memoria, con la quale ha illustrato per la prima volta le proprie difese, chiedendo che venga dichiarata «l’inammissibilità e l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta con il RR 45/2021»; i dedotti profili di inammissibilità, che verranno illustrati unitamente allo specifico motivo di ricorso, concernono l’art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella sua nuova formulazione.

3.– Con il primo motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020, il Governo impugna gli artt. 19, commi 2, 3, 4 lettera b), e 6 e 20, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e del principio di leale collaborazione.

3.1.– Gli artt. 19 e 20 della legge reg. Campania n. 7 del 2020 disciplinano lo strumento comunale d’intervento per l’apparato distributivo (da ora in avanti: SIAD). L’art. 19 detta la disciplina generale del predetto strumento, mentre l’art. 20 attiene più specificatamente alle previsioni del medesimo in tema di interventi comunali per la valorizzazione del centro storico.

Dell’art. 19 vengono impugnati i commi 2, 3, 4, lettera b), e 6. Il comma 2 definisce il SIAD quale strumento integrato della pianificazione urbanistica con funzione esaustiva del potere di programmazione e pianificazione del territorio ai fini commerciali, che deve essere approvato in conformità allo strumento urbanistico generale. Il successivo comma 3 dispone che detto strumento, «tenuto conto delle condizioni della viabilità, delle norme igienico-sanitarie e di sicurezza, fissa i criteri per l’esercizio delle attività commerciali in aree private e in aree pubbliche, nel rispetto delle destinazioni d’uso delle aree e degli immobili». In questa prospettiva, il comma 4, lettera b), assegna al SIAD il compito di «salvaguardare i valori artistici, culturali, storici ed ambientali locali, soprattutto del centro storico, attraverso l’eventuale divieto di vendita di determinate merceologie, senza inibire lo sviluppo del commercio e della libera concorrenza fra varie tipologie commerciali». Infine, ai sensi del comma 6, il SIAD «fissa i fattori di valutazione connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano e dei beni culturali, nonché dispone vincoli di carattere dimensionale o tipologico agli insediamenti delle attività commerciali in aree o edifici che hanno valore storico, archeologico, artistico e ambientale, nei limiti necessari alle esigenze di tutela e nel rispetto dei motivi imperativi di interesse generale previsti dall’articolo 2, comma 1, lettera e)».

Quanto all’art. 20 della legge reg. Campania n. 7 del 2020, impugnato nella sua integralità, esso disciplina nei seguenti termini i compiti del SIAD con riguardo agli interventi comunali per la valorizzazione del centro storico:

– il SIAD assume in tale ambito il compito di preservare, rilanciare e potenziare la funzione tipica del commercio «anche mediante l’adozione di specifici protocolli di arredo urbano da definirsi con le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative sul territorio regionale, per tutelare il patrimonio edilizio di interesse storico e culturale» (comma 1);

– detto strumento «può prevedere per gli esercizi di vicinato del centro storico, la superficie di vendita massima pari a 150 metri quadrati nel rispetto degli imperativi motivi di interesse generale di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e), secondo le relative procedure, senza limitazioni non giustificate o discriminatorie e previa espressa determinazione di detti motivi» (comma 2);

– previa consultazione con le associazioni delle imprese commerciali operanti nel centro storico, il SIAD istituisce i «protocolli per l’arredo urbano» con cui fissa «le caratteristiche strutturali, morfologiche e cromatiche delle insegne, delle vetrine, del sistema di illuminazione esterna degli arredi esterni degli esercizi commerciali del centro storico», nonché gli incentivi tributari per favorire l’adozione delle relative misure da parte degli esercenti (comma 3).

3.2.– Secondo il Governo, tali previsioni determinerebbero una lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dei beni culturali per contrasto con la disciplina contenuta nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).

In particolare, le disposizioni impugnate sarebbero carenti di un esplicito rinvio alla normativa dettata per i beni culturali e paesaggistici rispettivamente dalla Parte II e III del codice di settore; rinvio che non avrebbe costituito un mero adempimento formale, bensì avrebbe esplicitato il principio, di rilievo costituzionale, della necessaria partecipazione dello Stato (per il tramite, a seconda dei casi, del Ministero dei beni e delle attività culturali e della Soprintendenza) alle scelte di pianificazione e fissazione dei limiti inerenti l’attività commerciale, laddove incidano sui beni sottoposti a tutela culturale o paesaggistica. Di conseguenza, per come disciplinato dalla legge regionale, oggetto di censura, il SIAD integrerebbe uno strumento comunale di pianificazione del tutto svincolato dalle attribuzioni che il codice di settore attribuisce agli organi statali. L’omessa previsione delle prescritte procedure di condivisione tra Stato e enti territoriali sarebbe altresì lesiva del principio di leale collaborazione e, determinando un abbassamento del livello di tutela paesaggistica, anche dell’art. 9, secondo comma, Cost.

3.3.– Per quanto riguarda la tutela del paesaggio, le disposizioni impugnate attribuirebbero al SIAD il compito di individuare gli insediamenti ammissibili senza tener conto del fatto che, in base agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, le trasformazioni consentite dei beni paesaggistici sono individuate dal piano paesaggistico, da adottare previa intesa con lo Stato, che costituisce strumento sovraordinato rispetto ad ogni altro atto di pianificazione territoriale. Il SIAD, pertanto, introdurrebbe una disciplina unilaterale della pianificazione del territorio, integrante una parziale anticipazione del piano paesaggistico, di cui la Campania è ancora priva, essendo in corso un percorso per la elaborazione congiunta di tale strumento.

Al riguardo, il ricorrente osserva che la conformità del SIAD allo strumento urbanistico generale, prevista dall’art. 19, comma 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, non assicurerebbe la tutela del paesaggio, non essendo quest’ultima rimessa alla pianificazione urbanistica, bensì allo strumento gerarchicamente sovraordinato costituito dal piano paesaggistico. Inoltre, non essendo il principio di prevalenza del piano paesaggistico oggetto di doveroso richiamo da parte delle disposizioni impugnate, non verrebbe nemmeno assicurato il necessario adeguamento ad esso degli strumenti urbanistici.

Parimenti, la subordinazione del SIAD al piano urbanistico comunale non garantirebbe “a cascata” che siano conformi alle esigenze di tutela paesaggistica i protocolli di arredo urbano per i centri storici, oggetto di tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettera c), cod. beni culturali, laddove l’art. 20 della legge regionale impugnata prevede che i protocolli indicati vengano elaborati unilateralmente dai Comuni previa consultazione delle organizzazioni di categoria.

Sussisterebbero, quindi, specifici profili di contrasto con l’art. 135, comma 1, cod. beni culturali, che fa carico alle Regioni di adottare i piani paesaggistici congiuntamente con il Ministero, e con gli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, che sanciscono l’inderogabilità di tali strumenti e la loro immediata prevalenza su ogni altro atto di pianificazione territoriale e urbanistica.

In tal senso, il ricorrente richiama, fra le altre, la sentenza di questa Corte n. 86 del 2019, che ha affermato la sussistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico con riferimento ai beni vincolati, trattandosi di atto che ha la funzione di strumento di ricognizione del territorio non soltanto ai fini della salvaguardia e valorizzazione del paesaggio, ma anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’uso consapevole del suolo.

3.4.– Per quanto riguarda la tutela dei beni culturali, le disposizioni impugnate non contemplerebbero il coinvolgimento dell’autorità statale preposta nella fissazione dei necessari limiti all’attività commerciale, ciò in violazione di quanto prescritto dagli artt. 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24, 52 e 106, comma 2-bis, cod. beni culturali.

Al riguardo, il ricorrente premette che i centri storici possono essere caratterizzati dalla presenza dei beni culturali previsti dall’art. 10, comma 4, lettera g) cod. beni culturali: «pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico». Ebbene, il legislatore regionale non avrebbe considerato che ai sensi dell’art. 20 del medesimo codice spetterebbe alla sola autorità statale l’individuazione degli eventuali usi del bene culturale non compatibili con le esigenze di tutela.

In questa prospettiva, il successivo art. 21, comma 4, prevede la competenza del soprintendente ad autorizzare qualsiasi opera o lavoro che riguardi i beni culturali, incluso quindi ad avviso del Governo il posizionamento dell’arredo urbano; peraltro, nel caso di beni culturali comunali, l’art. 24 del codice di settore prevede che tale autorizzazione possa essere espressa nell’ambito di accordi tra il Ministero per i beni e le attività culturali ed il Comune.

Inoltre, l’autorità statale dovrebbe necessariamente essere coinvolta nella individuazione di divieti e condizioni all’esercizio delle attività commerciali motivate da esigenze di protezione del patrimonio culturale, nella valutazione degli «imperativi motivi di interesse generale» che possono determinare la limitazione della superficie di vendita degli esercizi di vicinato e nella definizione dei protocolli di arredo urbano, che le disposizioni impugnate demandano al contrario alla sola autorità comunale.

Risulterebbe quindi violato anche l’art. 52 cod. beni culturali che regola l’esercizio del commercio in aree di valore culturale e nei locali storici tradizionali, disciplinando le competenze del Comune e della Soprintendenza sulla base del principio di leale collaborazione istituzionale.

In particolare, non sarebbero rispettate le competenze statali previste dal comma 1 di tale disposizione, secondo cui i Comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio; né quelle di cui al comma 1-ter a mente del quale, al fine di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, i competenti uffici territoriali del Ministero, d’intesa con la Regione e i Comuni, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela.

Tali determinazioni, peraltro, secondo quanto precisato dal Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 2 dicembre 2019, n. 8256, integrerebbero veri e propri atti di programmazione congiunta del territorio.

Con riguardo alla disciplina del decoro urbano, il ricorrente precisa inoltre che, pur coinvolgendo potenzialmente una pluralità di materie, la medesima inerisce fondamentalmente alla tutela dei beni culturali e del paesaggio; richiama, in proposito, le sentenze di questa Corte: la n. 247 del 2010 – secondo la quale la normativa regionale del commercio su aree pubbliche, pur se riconducibile alla materia «commercio», deve rispettare i limiti invalicabili della tutela dei beni culturali ed ambientali, in un’ottica di adeguata valorizzazione dei centri storici delle città – e la n. 140 del 2015, che ha affermato la necessità, in un siffatto ambito che interseca diverse competenze legislative, di una leale collaborazione fra lo Stato e il sistema delle autonomie.

A conferma del necessario coinvolgimento dello Stato nella tutela dei beni culturali, rileverebbe, infine, l’art. 106, comma 2-bis, cod. beni culturali, che subordina la concessione in uso di beni comunali di interesse culturale all’autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali che dovrà vagliare se il conferimento garantisca «la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo».

3.5.– Con il primo motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 45 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche le modificazioni apportate all’art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 dall’art. 11, comma 1, lettera a), punto 2), della legge reg. Campania n. 5 del 2021.

3.5.1.– Il citato art. 11 ha eliminato uno dei compiti del SIAD, espungendo dal comma 6 l’inciso «fissa i fattori di valutazione connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano e dei beni culturali, nonché», e precisato che tale strumento deve rispettare la «disciplina vigente» nella previsione dei vincoli dimensionali e tipologici degli insediamenti commerciali in aree o edifici di valore storico artistico ambientale (in particolare, aggiungendo le parole «ai sensi della disciplina vigente» dopo l’inciso «dispone vincoli di carattere dimensionale o tipologico agli insediamenti delle attività commerciali in aree o edifici che hanno valore storico, archeologico, artistico e ambientale»).

3.5.2.– Anche la nuova formulazione si porrebbe, tuttavia, in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e il principio di leale collaborazione, in quanto la norma regionale non stabilirebbe un chiaro rapporto di subordinazione dello strumento di pianificazione comunale (il SIAD) al piano paesaggistico, come imposto dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali: la legislazione regionale continuerebbe infatti ad attribuire al SIAD poteri propri della pianificazione paesaggistica, consentendogli di fissare vincoli dimensionali e tipologici agli insediamenti collocati in aree e edifici tutelati. La previsione «ai sensi della disciplina vigente» non inciderebbe dunque in termini apprezzabili sulla disciplina anteriore, posto che il SIAD comunale sarebbe ancora legittimato a pianificare da solo il territorio senza obbedire ad alcuna intesa con lo Stato.

3.6.– Con riguardo al primo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020 e al primo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 45 del 2021, la Regione Campania ha chiesto di dichiarare la non fondatezza delle censure aventi ad oggetto l’art. 20 della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nonché di dichiarare inammissibili e comunque non fondate le censure relative all’art. 19, commi 2, 3, 4, lettera b), e 6 della legge reg. n. 7 del 2020, anche – per quanto riguarda l’art. 19, comma 6 – nella versione modificata dall’art. 11, comma 1, lettera a), punto 2), della legge reg. Campania n. 5 del 2021.

3.6.1.– L’inammissibilità delle suddette censure deriverebbe dall’omessa formulazione di specifiche doglianze relative ai singoli commi dell’art. 19 oggetto di impugnazione, che vengono trattati indistintamente, con conseguente genericità e oscurità delle censure medesime. In particolare, non sarebbe dato comprendere le violazioni specificamente imputate ai singoli commi e quindi la relativa pronuncia richiesta a questa Corte tra i diversi contenuti possibili.

3.6.2.– Nel merito, la Regione resistente ha dedotto la non fondatezza dei motivi di ricorso in esame per non aver il Governo proceduto ad un’interpretazione delle norme impugnate in conformità a Costituzione. Tale interpretazione sarebbe fondata sul chiaro riferimento contenuto nelle medesime alla conservazione del patrimonio storico ed artistico (art. 19, comma 6); riferimento che renderebbe implicita una valutazione di conformità delle previsioni del SIAD agli strumenti di pianificazione paesaggistica e al Codice dei beni culturali e del paesaggio, anche in assenza di un rinvio formale alle leggi statali.

Costituirebbe dunque opzione ermeneutica doverosa quella di interpretare le disposizioni oggetto di censura in modo conforme a Costituzione in considerazione sia del loro tenore letterale sia di quello sistematico, attesa l’assenza nella legge regionale impugnata di qualsivoglia previsione derogatoria della normativa statale, che risulta presupposta e inespressa, ma non violata.

Agli stessi fini, peraltro, la Regione ha rilevato che l’ambito applicativo della legge impugnata non attiene al patrimonio culturale, bensì alla materia «commercio», assegnata alla competenza legislativa regionale residuale, come confermato da questa Corte in svariate pronunce; di conseguenza, l’intera legge regionale impugnata andrebbe interpretata in conformità ai criteri di competenza legislativa ovvero in termini che ne escludono un’applicazione invasiva degli ambiti di competenza esclusiva dello Stato. Questo perché il legislatore regionale non avrebbe attribuito ai Comuni funzioni amministrative incidenti sull’assetto del codice di settore, bensì avrebbe disciplinato la regolamentazione – da parte dei Comuni – dei criteri per l’esercizio delle attività commerciali, comprendente la possibilità dell’introduzione di determinate condizioni, di modo che l’esercizio del commercio avvenga nei limiti già qualificati invalicabili dalla tutela dei beni ambientali e culturali.

3.6.3.– La Regione resistente deduce altresì che le modifiche apportate alle disposizioni censurate dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021 confermerebbero ulteriormente l’assenza di qualsiasi violazione del regime di competenze stabilito dal codice di settore. Trattasi delle modifiche apportate all’art. 19, comma 6 della legge reg. Campania n. 7 del 2020 (già richiamate al precedente punto 3.5.), in quanto oggetto di specifica impugnazione da parte del Governo.

Ai fini della non fondatezza rileverebbero, altresì, le modifiche apportate agli artt. 19, comma 2 e 20, comma 3, della legge reg. Campania n. 7 del 2020. In particolare, al comma 2 dell’art. 19 sono aggiunte, al termine, le parole «e nel rispetto delle norme del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (art. 11, comma 1, lettera a, punto 1, della legge reg. Campania n. 5 del 2021).

Con riguardo al comma 3 dell’art. 20, per quanto più interessa in questa sede, è stata introdotta la previsione che i protocolli per l’arredo urbano debbano rispettare la disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 11, comma 1, lettera b, della legge reg. Campania n. 5 del 2021).

4.– Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, viene impugnato l’art. 28, commi 7, lettera a) e b), e 10, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e del principio di leale collaborazione, in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

4.1.– L’art. 28 della legge reg. Campania n. 7 del 2020 disciplina le grandi strutture di vendita.

L’impugnato comma 7, lettere a) e b), dispone che il rilascio dell’autorizzazione per una grande struttura di vendita è subordinato all’osservanza «delle disposizioni in materia urbanistica, di quelle fissate dal SIAD e dal presente testo unico» (lettera a) e «dei requisiti comunali e regionali di compatibilità territoriale dell’insediamento» (lettera b), senza contenere alcun riferimento al piano paesaggistico.

Il comma 10 dello stesso articolo stabilisce che «[l]a rilocalizzazione di una grande struttura di vendita è ammessa nell’intero territorio regionale in conformità con le scelte di localizzazione per le grandi strutture previste nel SIAD del comune di insediamento ed è subordinata all’autorizzazione comunale, previa valutazione da parte della competente Conferenza dei servizi esclusivamente dell’impatto sull’ambiente e sul traffico nel territorio in cui si rilocalizza, nel rispetto delle normative edilizie vigenti».

4.2.– Ad avviso del ricorrente, la disciplina regionale ometterebbe di prescrivere la necessaria conformità della localizzazione delle grandi strutture di vendita al piano paesaggistico, da approvarsi, previa intesa con lo Stato, ai sensi degli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, non potendosi ravvisare un diverso intento nel generico riferimento all’«impatto sull’ambiente» contenuto nel comma 10.

4.3.– Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 45 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche la modifica apportata all’art. 28, comma 10, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 dall’art. 11, comma 1, lettera c), punto 2), della legge reg. Campania n. 5 del 2021.

4.3.1.– Il citato art. 11 ha aggiunto, alla fine del comma modificato, il periodo «[r]esta fermo il rispetto delle procedure di autorizzazione paesaggistica se l’immobile ricade in area sottoposta a vincolo», in sostanza richiamando le procedure di autorizzazione paesaggistica nel caso in cui la grande struttura di vendita ricada in area sottoposta a vincolo.

4.3.2.– Secondo il ricorrente l’intervenuta modifica non sarebbe idonea a superare i profili di illegittimità costituzionale denunciati con il primo ricorso, in quanto anche prima della sua introduzione era indubbio il rispetto delle procedure di autorizzazione paesaggistica.

Il vizio dedotto nei confronti della norma precedentemente alla modifica – e che non sarebbe superato da essa – consisterebbe nell’attribuire ad uno strumento di pianificazione esclusivamente comunale il potere di adottare scelte di localizzazione e rilocalizzazione che incidono sul territorio e sulla sua pianificazione paesaggistica; il SIAD, pertanto, stabilirebbe al di fuori da ogni intesa con lo Stato se determinate aree siano o meno in grado di ospitare – in via di primo insediamento o di nuova localizzazione – grandi strutture di vendita, insediamenti con ogni evidenza di rilevante impatto dimensionale.

4.4.– La Regione Campania ha chiesto di dichiarare inammissibili le censure relative all’art. 28, comma 7, lettere a) e b), della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella formulazione originaria.

4.4.1.– L’inammissibilità delle censure deriverebbe dall’essere le medesime rivolte indistintamente alle due lettere del comma in questione, senza formulazione di specifiche doglianze con riguardo alle singole lettere impugnate.

4.4.2.– Nel merito, la Regione resistente ha dedotto la non fondatezza dei motivi di ricorso in esame in quanto la localizzazione delle grandi strutture di vendita, come confermato da questa Corte (viene richiamata la sentenza n. 239 del 2016), spetterebbe infatti alle Regioni in virtù della espressa previsione contenuta nell’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Dal tenore degli artt. 135 e 143 cod. beni culturali, peraltro, non emergerebbe in alcun modo la necessità che le aree per la localizzazione o la rilocalizzazione delle grandi strutture di vendita debba avvenire di concerto con l’amministrazione statale, al di là delle fattispecie concernenti aree sottoposte a vincolo.

4.4.3.– La Regione resistente evidenzia, inoltre, che le modifiche della disposizione in esame apportate dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021 garantirebbero, oltre ogni dubbio, il rispetto delle norme del codice di settore che si assumono violate.

In particolare, rileverebbero le modifiche concernenti il comma 10 dell’art. 28 della legge reg. Campania n. 7 del 2020 (già riportate al precedente punto 4.3.), e il comma 7, lettera a), del medesimo articolo, che nella nuova versione – introdotta, come detto, dall’art. 11, comma 1, lettera c), punto 1), della legge reg. Campania n. 5 del 2021 – subordina il rilascio dell’autorizzazione per una grande struttura di vendita al rispetto delle prescrizioni «del decreto legislativo 42/2004», unitamente a quelle già previste «in materia urbanistica, di quelle fissate dal SIAD e dal presente testo unico».

5.– Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, oggetto di impugnazione è l’art. 61, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e al principio di leale collaborazione, nonché in riferimento agli artt. 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24, 52 e l 06, comma 2-bis, cod. beni culturali.

5.1.– L’art. 61 della legge regionale in esame disciplina il commercio sulle aree pubbliche, stabilendo, nella versione vigente all’epoca della proposizione del ricorso, che «[l]’esercizio del commercio su aree pubbliche è subordinato al rispetto delle condizioni e delle modalità stabilite dal comune» (comma 1) e che «il Comune individua le zone aventi valore archeologico, storico, artistico ed ambientale nelle quali l’esercizio del commercio su aree pubbliche è vietato o sottoposto a particolari restrizioni per la salvaguardia delle zone predette, nonché per comprovati motivi di viabilità, di carattere igienico - sanitario o di pubblica sicurezza» (comma 2).

5.2.– Il ricorrente deduce che la disposizione impugnata contrasterebbe con la normativa statale di settore secondo la quale la individuazione delle suddette aree da parte del Comune deve essere obbligatoriamente definita sentito il soprintendente, ai sensi di quanto previsto dall’art. 52, comma 1, cod. beni culturali.

Inoltre, pur in assenza di specifiche prescrizioni da parte del Comune, determinate installazioni e occupazioni potrebbero non risultare autorizzabili dalla Soprintendenza nell’esercizio dei poteri di cui agli artt. 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24 e l 06, comma 2-bis, cod. beni culturali. In definitiva, la disposizione impugnata eluderebbe le competenze degli organi statali previste dai parametri interposti invocati, con conseguente invasione della potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con conseguente violazione del principio di leale collaborazione e dell’art. 9, secondo comma, Cost., attesa l’evidente menomazione delle esigenze di tutela del patrimonio culturale.

5.3.– La Regione Campania ha chiesto di dichiarare non fondato il motivo di ricorso in esame.

L’art. 61, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 si limiterebbe ad attribuire ai Comuni competenze specifiche in materia di commercio senza affatto limitare quelle previste dall’art. 52 cod. beni culturali in favore della Soprintendenza, che comunque, al di là della procedura di concertazione prevista da tale articolo, può imporre prescrizioni ulteriori, anche ad attività commerciali già autorizzate, affinché non sia lesa la tutela del patrimonio culturale.

5.3.1.– La Regione resistente evidenzia inoltre che le modifiche apportate dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021 alla disposizione impugnata garantirebbero oltre ogni dubbio il rispetto della disciplina statale invocata.

Questo perché l’art. 11, comma 1, lettera e), della legge reg. Campania n. 5 del 2021 ha aggiunto al principio dell’art. 61, comma 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 l’inciso «[f]atto salvo quanto previsto dall’art. 52 del decreto legislativo 42/2004».

6.– Con il quarto motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, viene impugnato l’art. 130, comma 1, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, in riferimento agli artt. 9 e 117, comma secondo, lettera s), Cost. e del principio di leale collaborazione, in relazione agli artt. 135, 140, 141,141-bis,143 e 145 cod. beni culturali.

6.1.– L’art. 130 disciplina le concessioni per l’installazione di nuovi impianti di distribuzione di carburanti lungo le autostrade, le tangenziali ed i raccordi autostradali.

Il comma 1 prevede che il rilascio della predetta concessione sia subordinato: «a) al rispetto delle norme previste dal presente testo unico; b) alla verifica della conformità alle prescrizioni urbanistiche e fiscali, alle prescrizioni concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei beni storici ed artistici […]».

6.2.– Il ricorrente lamenta che il rilascio della concessione indicata non risulti in alcun modo subordinata al rispetto del piano paesaggistico, non potendosi ritenere sufficiente al riguardo il rinvio operato dalla lettera b) della disposizione impugnata alle prescrizioni concernenti la sicurezza ambientale e la tutela dei beni storici ed artistici.

Anche in questo caso emergerebbe dunque la volontà di non attenersi, nel rilascio delle concessioni, al piano paesaggistico, che la Regione avrebbe invece l’obbligo di approvare d’intesa con lo Stato, ai sensi degli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, per evitare di affidare la tutela paesaggistica alle valutazioni caso per caso dei singoli interventi.

Nella norma impugnata difetterebbe anche il richiamo alla disciplina d’uso dei beni vincolati contenuta nel piano paesaggistico, la cui adozione è disciplinata dagli artt. 140, 141 e 141-bis, cod. beni culturali, o in appositi accordi stipulati tra Stato e Regione, destinati a confluire nel medesimo piano.

Oltre alla violazione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente in relazione ai parametri interposti indicati (artt. 135, 140, 141,141-bis,143 e 145 cod. beni culturali), la norma impugnata contrasterebbe con il principio di leale collaborazione e, per l’effetto, con l’art. 9, secondo comma, Cost.

6.3.– Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 45 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche le modificazioni apportate all’art. 130, comma 1, lettera b), della legge reg. Campania n. 7 del 2020 dall’art. 11, comma 1, lettera i), della legge reg. Campania n. 5 del 2021.

6.3.1.– Il citato art. 11 modifica la versione originaria dell’art. 130, aggiungendo al termine della lettera b) del comma censurato le parole «e del paesaggio». Per effetto di tale novella, la concessione per l’installazione di nuovi impianti di distribuzione di carburanti è subordinata alla verifica della conformità alle disposizioni relative alla tutela del paesaggio, oltre alle già previste prescrizioni relative alla tutela dei beni storici e artistici e alla sicurezza ambientale e stradale.

6.3.2.– Ad avviso del ricorrente tale ultima disposizione perpetrerebbe la violazione dei precetti costituzionali evocati. Invero, il riferimento alle disposizioni per la tutela del paesaggio sarebbe del tutto generico e, attesa l’assenza di un piano paesaggistico sul territorio campano, parrebbe vuota di apprezzabile significato, consentendo che le concessioni in esame continuino ad essere illegittimamente sottratte alla pianificazione obbligatoria e alla disciplina del piano paesaggistico, con l’effetto di essere rimesse a valutazioni adottate caso per caso senza un quadro di insieme al quale obbedire.

6.4.– La Regione Campania, nelle memorie depositate in entrambi i giudizi, ha chiesto di dichiarare la non fondatezza delle censure relative all’art. 130, comma 1, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, anche nella versione modificata dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021.

6.4.1.– La disposizione impugnata non sottrarrebbe affatto il rilascio delle concessioni all’obbligo della pianificazione obbligatoria e del rispetto della disciplina dettata dal piano paesaggistico.

Ad ulteriore riscontro di tale assunto, la Regione resistente richiama le modifiche apportate alla disposizione impugnata dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021, che fugherebbero ogni dubbio al riguardo, attesa l’esplicitazione della necessaria conformità delle concessioni alle disposizioni di tutela del paesaggio.

7.– Con il quinto motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, è impugnato, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., l’art. 83, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 in materia di mercati all’ingrosso.

7.1.– Tale disposizione istituisce la figura del commissario regionale che viene nominato dalla Giunta regionale nei casi di irregolarità o inefficienza del mercato all’ingrosso.

7.2.– Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 81, terzo comma, Cost., poiché non quantifica gli oneri finanziari derivanti dalla nomina del commissario, né prevede per essi alcuna specifica copertura finanziaria.

7.3.– La Regione Campania ha chiesto di dichiarare non fondata la questione in esame, poiché l’assunto della omessa previsione della copertura finanziaria sarebbe smentito da quanto disposto dall’art. 156, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 che, recando apposita «Norma finanziaria», indica le poste destinate a coprire le spese conseguenti all’attuazione delle disposizioni contenute nella legge medesima (per oneri complessivi pari a euro 500.000,00), fra le quali senz’altro rientra l’art. 83, qualora dallo stesso discendano oneri a carico del bilancio regionale.

La Regione resistente evidenzia altresì che per il commissariamento, fattispecie peraltro del tutto eventuale, non sarebbe neppure necessaria la previsione di copertura, posto che sugli oneri conseguenti alla nomina del commissario sussisterebbero regole specifiche.

In particolare, nel caso dovesse essere nominato un soggetto esterno alla amministrazione regionale, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza amministrativa (viene richiamata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, n. 1122 del 2020), gli oneri della nomina, disposta nell’interesse della efficiente e corretta gestione del mercato all’ingrosso, dovrebbero essere imputati all’ente di gestione che trae giovamento dall’attività commissariale.

Qualora invece l’incarico venga conferito a un dipendente regionale, troverebbe applicazione l’art. 1, comma 2 della legge Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2011)» secondo cui «la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze della regione, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica»; rileverebbe anche il successivo comma 3 secondo cui «[n]ei casi in cui la Giunta o il Consiglio regionale rilascino ad un dipendente appartenente ai rispettivi ruoli l’autorizzazione a partecipare all’amministrazione o a far parte di collegi sindacali in società partecipate in misura maggioritaria o totalitaria dalla Regione o enti ai quali la Regione partecipi o comunque contribuisca, o che siano sottoposti alla vigilanza dell’amministrazione di cui l’impiegato fa parte, l’incarico si intende svolto nell’interesse dell’amministrazione di appartenenza del dipendente ed i compensi dovuti dalla società o dall’ente sono corrisposti direttamente all’amministrazione autorizzante per confluire nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio del personale, ai sensi dell’articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 […]».

8.– Con il quarto motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 45 del 2021, viene impugnato l’art. 57, comma 2, della legge reg. Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

8.1.– Ai sensi della diposizione impugnata, nella versione vigente all’epoca della proposizione del ricorso, «per gli effetti della disciplina delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, le società e associazioni sportive dilettantistiche, costituite in conformità all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, finanziaria 2003), affiliate ad un organismo sportivo, federazioni sportive nazionali, sono riconosciute come esercitanti attività di interesse generale, quali enti del terzo settore, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera t) del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. l 06)».

8.2.– Ad avviso del ricorrente, tale norma estenderebbe, quale effetto automatico, la qualifica di enti del Terzo settore a tutte le società e associazioni sportive dilettantistiche, in violazione della disciplina statale secondo cui tale qualifica deriva innanzitutto dal possesso di determinati requisiti e dalla volontà dell’ente che desideri assumerla, con iscrizione nel registro unico del Terzo settore ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 117 del 2017.

La Regione Campania avrebbe quindi violato la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, cui sarebbe pacificamente riconducibile la disciplina degli enti del Terzo settore; assumerebbero infatti rilievo soggetti di diritto privato, i cui diritti e obblighi devono essere disciplinati dallo Stato, in modo da assicurarne uniformità di applicazione sull’intero territorio nazionale (viene al riguardo richiamata la sentenza di questa Corte n. 185 del 2018).

8.3.– La lesione della medesima competenza statale rileverebbe sotto un ulteriore profilo: dal riconoscimento in via automatica dello svolgimento di «attività di interesse generale» conseguirebbe, in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche considerate, l’applicazione della riduzione del canone delle concessioni demaniali marittime prevista dall’art. 03, comma 1, lettera d), del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494.

Quest’ultima disposizione prevede una riduzione del novanta per cento del canone demaniale per le concessioni di cui all’art. 39, comma 2, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione), rappresentate dalle concessioni rilasciate per fini di beneficenza o per altri fini di pubblico interesse, espressione quest’ultima («altri fini di pubblico interesse») cui sarebbe appunto riconducibile lo svolgimento di «attività di interesse generale».

Per effetto della disposizione impugnata verrebbe quindi violato, quale parametro interposto, l’art. 03, comma 1, lettera c), punto 2), del d.l. n. 400 del 1993, come convertito, che per le concessioni demaniali marittime rilasciate per finalità turistico-ricreative in favore di società ed associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro prevede invece una riduzione del canone demaniale nella misura del cinquanta per cento.

8.4.– La diposizione impugnata contrasterebbe infine con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), determinando una irragionevole disparità di trattamento, fondata su ragioni di appartenenza territoriale, tra enti che si trovano nella medesima situazione soggettiva e oggettiva.

8.5.– La Regione Campania ha chiesto che il motivo di ricorso in esame venga dichiarato non fondato.

Il ricorrente avrebbe offerto una interpretazione della disposizione impugnata svincolata dal suo tenore letterale. A fondamento di tale assunto, nella memoria del 17 maggio 2022 viene riportata non la formulazione originaria della norma oggetto di censura, bensì quella modificata dall’art. 33, comma 4, lettera e), della legge della Regione Campania 28 dicembre 2021, n. 31 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2022-2024 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale per il 2022), che non menziona più il riconoscimento delle società e associazioni sportive dilettantistiche «quali enti del terzo settore» ed al contempo prevede espressamente che il canone delle concessioni demaniali in esame venga determinato ai sensi dell’art. 03, comma 1, lettera c), del d.l. n. 400 del 1993, come convertito.

9.– Con atto depositato il 30 maggio 2022 nel giudizio instaurato con il ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, in conformità alla delibera del Consiglio dei ministri del 26 maggio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato all’impugnativa, limitatamente agli artt. 19, comma 2, 20, comma 3, 28, comma 7, lettere a) e b), e 61, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, in ragione delle modificazioni recate a tali disposizioni dall’art. 11 della legge reg. Campania n. 5 del 2021.

Con il medesimo atto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha confermato l’interesse a coltivare le censure «riguardanti gli artt. 19, comma 6, 28, comma 10, 83 e 130, comma 1, della legge Regione Campania n. 7 del 2020».

10.– In data 6 giugno 2022, la Regione ha depositato l’atto di accettazione della rinuncia parziale, deliberata dalla Giunta regionale il 1° giugno 2022.

11.– All’udienza del 7 giugno 2021, il ricorrente ha confermato espressamente l’interesse a coltivare anche le censure concernenti gli artt. 19, commi 3 e 4, lettera b), e 20, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, disposizioni impugnate con il ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020 e in alcun modo modificate dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021.

Con riguardo alle disposizioni per cui non è intervenuta rinuncia e relativa accettazione, le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate in relazione ad entrambi i giudizi nei rispettivi scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso depositato il 1° luglio 2020 (reg. ric. n. 55 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento complessivamente agli artt. 9, secondo comma, 81, terzo comma, 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19, commi 2, 3, 4, lettera b), e 6; 20, commi 1, 2 e 3; 28, commi 7, lettere a) e b), e 10; 61, commi 1 e 2; 83; e 130, comma 1, della legge della Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7 (Testo Unico sul commercio ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della legge regionale 14 ottobre 2015, n. 11).

2.– Con successivo ricorso depositato il 27 agosto 2021 (reg. ric. n. 45 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, 117, secondo comma, lettere l) e s), e 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, comma 1, lettera a), punto 2), lettera c), punto 2), e lettera i), e 57, comma 2, della legge della Regione Campania 29 giugno 2021, n. 5 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2021-2023 - Collegato alla stabilità regionale per il 2021).

L’art. 11 modifica gli artt. 19, 28 e 130 della legge reg. Campania n. 7 del 2020, oggetto del ricorso iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020, mentre l’art. 57 introduce delle misure di semplificazione in materia di concessioni demaniali marittime.

3.– In ragione della stretta connessione che lega la maggior parte delle disposizioni oggetto dei due ricorsi e dell’analogia che si ravvisa tra alcune delle censure proposte, i giudizi vanno riuniti, per essere trattati congiuntamente e definiti con un’unica pronuncia.

4.– In via preliminare, quanto al giudizio instaurato con il ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione Campania.

A sostegno di tale eccezione, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto che nell’atto di costituzione la Regione si è limitata a chiedere il rigetto del ricorso, senza addurre alcuna argomentazione in ordine alle doglianze in esso prospettate. Ciò tuttavia non incide sull’ammissibilità della costituzione in giudizio, poiché questa Corte ha più volte statuito che l’art. 19, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis, in virtù del quale l’atto di costituzione della parte resistente contiene le conclusioni e l’illustrazione delle stesse, «mira […] a stimolare l’apporto argomentativo delle parti, senza che siano prefigurabili conseguenze sanzionatorie nel caso di mancata illustrazione delle conclusioni formulate» (sentenza n. 87 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 64 e n. 65 del 2016 e n. 168 del 2010, ordinanza n. 156 del 2017).

5.– Ancora in via preliminare, occorre rilevare che, con atto depositato il 30 maggio 2022, nel giudizio instaurato con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare al ricorso limitatamente agli artt. 19, comma 2, 20, comma 3, 28, comma 7, lettere a) e b), e 61, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, in ragione delle modifiche recate a tali disposizioni dall’art. 11 della legge reg. Campania n. 5 del 2021.

La Regione resistente, con delibera di Giunta pervenuta in data 6 giugno 2021, ha dichiarato di accettare la rinuncia.

L’art. 23 delle Norme integrative, vigente ratione temporis, prevede che la rinuncia al ricorso, seguita dall’accettazione della controparte costituita, comporta l’estinzione del giudizio (ex plurimis, ordinanza n. 133 del 2022). Ne consegue, pertanto, che il processo deve essere dichiarato estinto, limitatamente alle questioni promosse nei confronti degli artt. 19, comma 2, 20, comma 3, 28, comma 7, lettere a) e b), e 61, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020.

6.– Nello scrutinio delle odierne questioni di legittimità costituzionale, si analizzeranno, in primo luogo, quelle incentrate sulla violazione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

Con riguardo a tali censure il ricorrente sottolinea, a più riprese, la mancata approvazione del piano paesaggistico, rappresentando che sia tuttora in itinere un percorso di co-pianificazione dello stesso tra lo Stato e la Regione Campania, avviato nel 2016: in un simile contesto, non sarebbe ammissibile un’azione regionale che formuli unilateralmente contenuti incidenti sul paesaggio e sui beni culturali, senza violare la disciplina contenuta nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).

A seguire, verranno esaminate le questioni concernenti il commissario regionale dei mercati all’ingrosso (art. 83, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost.) e le concessioni sul demanio marittimo (art. 57, comma 2, della legge reg. Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l, Cost.).

7.– Quanto alle questioni di legittimità costituzionale promosse in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il sindacato di questa Corte prende le mosse dalla genesi della legge reg. Campania n. 7 del 2020 che introduce il «Testo Unico sul commercio», redatto ai sensi dell’art. 3 della legge della Regione Campania 14 ottobre 2015, n. 11 (Misure urgenti per semplificare, razionalizzare e rendere più efficiente l’apparato amministrativo, migliorare i servizi ai cittadini e favorire l’attività di impresa. Legge annuale di semplificazione 2015); disposizione che, con riguardo a diverse materie, tra cui appunto il commercio, conferisce alla Giunta regionale l’incarico di presentare al Consiglio testi unici legislativi e regolamentari, aventi carattere compilativo o innovativo.

Le attività commerciali disciplinate dal menzionato testo unico sono il commercio al dettaglio, all’ingrosso e su aree pubbliche, la somministrazione di alimenti e bevande, la vendita della stampa quotidiana e periodica e la distribuzione dei carburanti per autotrazione.

La legge reg. Campania n. 7 del 2020 è quindi immediatamente riconducibile alla materia del «commercio», dunque, in particolare, all’art. 117, quarto comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 164 del 2019 e n. 247 del 2010, e ordinanza n. 199 del 2006).

Al riguardo, questa Corte ha precisato che, salve specifiche abrogazioni, il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), contenente i principi e le norme generali sull’esercizio dell’attività commerciale, dopo la riforma costituzionale introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 1, recante «Modifica all’articolo 58 della Costituzione, in materia di elettorato per l’elezione del Senato della Repubblica», si applica «soltanto alle Regioni che non abbiano emanato una propria legislazione» nella materia del commercio (sentenza n. 164 del 2019; in senso conforme, sentenza n. 98 del 2017 e ordinanza n. 199 del 2006), conformemente all’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

La competenza legislativa regionale nella materia del commercio interseca, tuttavia, le competenze statali esclusive, quali quelle della «tutela dell’ambiente e dei beni culturali» e della «concorrenza». Sussistono, altresì, evidenti connessioni con la materia, di competenza concorrente, della «valorizzazione dei beni culturali» (art. 117, terzo comma, Cost.), distinta, a parte le ulteriori e inevitabili connessioni, dalla tutela dei beni culturali di esclusiva competenza statale (art.117, secondo comma, lettera s, Cost.).

In proposito, va ribadito che – come già ripetutamente affermato da questa Corte – alle Regioni spettano la disciplina e l’esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e fruizione del patrimonio culturale, anche al fine di garantire che l’esercizio del commercio «avvenga entro i limiti qualificati invalicabili della tutela dei beni ambientali e culturali» (sentenze n. 140 del 2015 e n. 247 del 2010).

Nella medesima prospettiva, il legislatore regionale è legittimato a prevedere «aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali», purché ciò avvenga «senza discriminazioni tra gli operatori» e «a tutela di specifici interessi di adeguato rilievo costituzionale, quali la tutela […] dell’ambiente […] urbano, e dei beni culturali» (sentenza n. 239 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 8 del 2013).

7.1.– La tutela ambientale e paesaggistica – gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto – «costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali, nonché a quelle residuali» (sentenza n. 201 del 2021; da ultimo, sentenza n. 106 del 2022).

Per tale ragione, nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva sancita dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il legislatore statale demanda alla pianificazione paesaggistica il compito di apprestare le necessarie misure di salvaguardia del paesaggio, in quanto «territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni» (art. 131, comma 1, cod. beni culturali), e, in particolare, di preservare «quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali» (art. 131, comma 2, del medesimo codice) (sentenza n. 24 del 2022).

Proprio in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme di tutela, l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica assurge a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale (ex plurimis, sentenze n. 45 del 2022, n. 74 del 2021 e n. 240 del 2020). Il sistema di pianificazione delineato dal codice di settore rappresenta, dunque, attuazione dell’art. 9, secondo comma, Cost. ed è funzionale a una tutela organica e di ampio respiro, che non tollera interventi frammentari e incoerenti (sentenza n. 24 del 2022). In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito, anche di recente, che «è necessario salvaguardare la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali» (da ultimo, sentenze n. 45 e n. 24 del 2022, n. 219 e n. 74 del 2021; in precedenza, sentenza n. 182 del 2006).

La condizione per realizzare questo obiettivo è la concertazione del piano paesaggistico tra Stato e la Regione, la sua cogenza per gli strumenti urbanistici dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Province, nonché la sua immediata prevalenza rispetto alle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, come sancito dagli artt. 135 e seguenti e, in particolare, dall’art. 145, comma 3, cod. beni culturali (ex plurimis, sentenze n. 45 del 2022 e n. 261 del 2021).

La sottoposizione dell’intero territorio regionale a specifica normativa d’uso mediante piano paesaggistico è infatti prevista come cogente dal codice di settore. Il dovere di assicurare «che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti» (art. 135, comma 1, cod. beni culturali) rinviene il suo imprescindibile presupposto nella visione d’insieme delle aree da tutelare e dei contesti in cui le medesime sono inserite.

In tale cornice, come questa Corte ha affermato, il piano paesaggistico regionale costituisce uno strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni vincolati, ma anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’uso consapevole del suolo, in modo da poter consentire l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio (da ultimo, sentenza n. 45 del 2022; in precedenza, ex plurimis, sentenze n. 219 del 2021, n. 86 del 2019 e n. 172 del 2018).

7.2.– Sulla base di tale premessa, il principio di prevalenza della tutela paesaggistica deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito, nell’esercizio di proprie competenze – siano esse residuali o concorrenti – «adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto» (sentenza n. 74 del 2021; nello stesso senso, sentenze n. 24 del 2022, n. 141 e n. 54 del 2021, n. 240 del 2020, n. 86 del 2019, n. 178, n. 68 e n. 66 del 2018). Su tale presupposto, ripetutamente affermato (sentenze n. 201, n. 124, n. 74, n. 54 e n. 29 del 2021 e n. 189 del 2016), questa Corte ha statuito che – nei limiti consentiti dalla lettera e dallo spirito della normativa – la legislazione regionale debba «essere interpretata in termini compatibili con il dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell’ambiente e del paesaggio» (sentenza n. 124 del 2021). È alla luce di tali principi che si deve ora vagliare la normativa impugnata.

8.– Dovendo procedere allo scrutinio di testi sottoposti a censure governative non temporalmente coincidenti, e spettando a questa Corte stabilire l’ordine di trattazione delle stesse (ex multis, sentenza n. 120 del 2022), in riferimento alle questioni di legittimità costituzionale incentrate sulla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., verranno vagliate con precedenza quelle sollevate con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 45 del 2021.

Tale ordine di trattazione è reso necessario dal fatto che dette censure rappresentano la disciplina attualmente vigente nella Regione Campania e hanno ad oggetto gli artt. 19, comma 6, 28, comma 10, e 130, comma 1, lettera b), della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella formulazione introdotta rispettivamente dall’art. 11, comma 1, lettera a), punto 2), lettera c), punto 2), e lettera i), della legge reg. Campania n. 5 del 2021, il cui disegno di legge è stato depositato in Consiglio Regionale successivamente alla presentazione del primo ricorso introduttivo (reg. ric. n. 55 del 2020), proprio al fine di superare i motivi di gravame ivi dedotti con riguardo alla versione originaria delle medesime disposizioni. Peraltro proprio dalle modifiche apportate dallo stesso legislatore regionale possono trarsi argomenti utili per la decisione delle questioni in esame.

Al riguardo, occorre tenere presente che, secondo il Presidente del Consiglio, il testo originario delle norme impugnate sarebbe carente di un esplicito rinvio alla normativa dettata per i beni paesaggistici dalla Parte III del codice di settore; tale rinvio non avrebbe costituito un mero adempimento formale, bensì avrebbe esplicitato il principio, di rilievo costituzionale, della necessaria partecipazione dello Stato alle scelte di pianificazione inerenti l’attività commerciale, laddove incidano sui beni sottoposti a tutela paesaggistica. L’omessa previsione delle prescritte procedure di condivisione tra Stato e enti regionali, in violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., sarebbe altresì lesiva del principio di leale collaborazione e, attesa la conseguente diminuzione del livello di tutela paesaggistica, dell’art. 9, secondo comma, Cost.

Identiche censure vengono rivolte dal ricorrente pure alla nuova versione degli artt. 19, comma 6, 28, comma 10, e 130, comma 1, lettera b), della legge reg. Campania n. 7 del 2020; e ciò, come emergerà nel prosieguo, nonostante in essa venga richiamata, con formule diverse, la disciplina statale in materia di tutela del paesaggio.

9.– Con il primo motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 45 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella versione modificata dall’art. 11, comma 1, lettera a), punto 2), della legge reg. Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e al principio di leale collaborazione, e in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

9.1.– Gli artt. 19 e 20 della legge reg. Campania n. 7 del 2020 disciplinano lo strumento comunale d’intervento per l’apparato distributivo (SIAD), che costituisce «lo strumento integrato della pianificazione urbanistica, con funzione esaustiva del potere di programmazione e pianificazione del territorio ai fini commerciali».

L’art. 19 detta la disciplina generale del SIAD, mentre l’art. 20 attiene più specificatamente alle previsioni del medesimo in tema di interventi comunali per la valorizzazione del centro storico.

Ai sensi dell’art. 19, comma 6, nella sua formulazione originaria, il SIAD «fissa i fattori di valutazione connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano e dei beni culturali, nonché dispone vincoli di carattere dimensionale o tipologico agli insediamenti delle attività commerciali in aree o edifici che hanno valore storico, archeologico, artistico e ambientale [...]».

Il citato art. 11 della successiva legge reg. Campania n. 5 del 2021 – oltre ad eliminare dal comma 6 l’inciso «fissa i fattori di valutazione connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano e dei beni culturali [...]» – ha precisato che il SIAD deve rispettare la «disciplina vigente» nella previsione dei vincoli dimensionali e tipologici degli insediamenti commerciali in aree o edifici di valore storico, archeologico, artistico e ambientale.

9.2.– Secondo il ricorrente, anche la nuova formulazione si porrebbe, tuttavia, in contrasto con i parametri evocati, in quanto la norma regionale non stabilirebbe un chiaro rapporto di subordinazione di detto strumento di pianificazione commerciale al piano paesaggistico, come imposto dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali. Sempre secondo il ricorrente, la legislazione regionale continuerebbe, infatti, ad attribuire al SIAD poteri propri della pianificazione paesaggistica, consentendogli di fissare vincoli dimensionali e tipologici agli insediamenti, anche se collocati in aree e edifici tutelati.

L’inserimento nella nuova formulazione dell’espressione «ai sensi della disciplina vigente» non inciderebbe, sempre secondo il ricorrente, in termini apprezzabili sulla disciplina anteriore, posto che lo strumento comunale risulterebbe ancora legittimato a pianificare da solo il territorio, senza addivenire ad alcuna intesa con lo Stato.

9.3.– In primo luogo occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla Regione resistente.

Secondo la Regione Campania, le questioni concernenti gli artt. 19, commi 3, 4, lettera b), e 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, anche – per quanto riguarda l’art. 19, comma 6 – nella versione modificata della legge reg. Campania n. 5 del 2021, sarebbero inammissibili in virtù dell’omessa formulazione di specifiche doglianze relative ai singoli commi impugnati, che vengono trattati indistintamente, con conseguente genericità e oscurità delle censure medesime.

L’eccezione non è fondata.

Nell’ambito del ricorso iscritto al reg. ric. n. 45 del 2021 viene impugnato esclusivamente il comma 6 dell’art. 19 e solo ad esso si rivolgono le censure ivi svolte, con la conseguenza che le medesime sono senz’altro specifiche e pertinenti.

9.4.– Nel merito, le questioni non sono fondate nei termini di seguito precisati.

9.4.1.– Ferma l’applicazione del già esaminato principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica su ogni altro atto di pianificazione che riguardi l’assetto del territorio, va tuttavia precisato che l’omessa indicazione, da parte di una norma regionale, della espressa necessità di rispettare il piano paesaggistico e il codice di settore, non determina di per sé l’illegittimità costituzionale della disposizione, ogni volta che quest’ultima sia suscettibile di interpretazione conforme ai criteri di competenza legislativa dettati dalla Costituzione e non abbia quindi l’effetto di sottrarre interventi urbanistici o edilizi alle previsioni del piano paesaggistico.

È però evidente che tale conclusione presuppone che la pianificazione paesaggistica sia vigente, perché in tal caso essa è immediatamente prevalente su eventuali prescrizioni difformi contenute negli strumenti urbanistici.

Viceversa, quando, come nel caso della Regione Campania, il piano paesaggistico manca, occorre maggiore cautela nel valutare la portata precettiva delle norme che intersechino profili attinenti con tale pianificazione. Non perché la Regione non possa in nessun caso attivare le proprie competenze legislative, ma perché va evitato il rischio che esse, afferendo, come nel caso di specie, al commercio e per certi versi anche al governo del territorio, permettano il consolidamento di situazioni tali da ostacolare il compiuto sviluppo della pianificazione paesaggistica.

I ritardi nella elaborazione del piano paesaggistico, denunciati nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, sebbene contrari agli obblighi gravanti sulla Regione e tali da produrre gravi disfunzioni (con conseguenti eventuali responsabilità), devono trovare compensazione nella doverosa esplicitazione, in sede attuativa, del rispetto della normativa posta a tutela del paesaggio e delle stesse prescrizioni di piano, quando queste sopraggiungeranno.

9.4.2.– Per tali motivi, in assenza di piano paesaggistico, la normativa regionale in esame, nei limiti in cui incide sull’assetto del territorio, può ritenersi conforme al parametro costituzionale sopra indicato, solo se da essa sia desumibile un rinvio, anche in sede attuativa, alla necessaria applicazione delle previsioni statali poste a tutela del paesaggio; ciò permette di distinguere l’esito dello scrutinio di costituzionalità in ragione della formulazione originaria o modificata della disposizione impugnata. Ed infatti ai sensi della nuova formulazione dell’art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, il SIAD deve rispettare la «disciplina vigente» nella determinazione dei vincoli di carattere dimensionale o tipologico relativamente a insediamenti delle attività commerciali in aree o edifici che hanno valore storico, archeologico, artistico e ambientale.

Il richiamo alla disciplina vigente ben può essere inteso – in termini compatibili con l’ordinamento costituzionale – nel senso di includere il rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio e delle invocate prescrizioni nello stesso contenute (in particolare, artt. 133, 135 e 143 cod. beni culturali).

Costituisce dunque opzione ermeneutica corretta la interpretazione della norma impugnata nel senso che non esenta gli insediamenti previsti dal SIAD dal rispetto delle future prescrizioni del piano paesaggistico e, più nello specifico, dal «rispetto del complesso delle prescrizioni d’uso, attuali o future, dei beni paesaggistici, siano esse poste da vincoli derivanti dal piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lettere b, c, d ed e), o dalle dichiarazioni di notevole interesse pubblico (art. 140, comma 2)» (sentenza n. 54 del 2021).

L’interpretazione indicata trova conferma, a livello sistematico, in quanto disposto dall’art. 19, comma 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella versione modificata dall’art. 11, comma 1, lettera b), della legge reg. Campania n. 5 del 2021: invero, per effetto di tale novella, il SIAD deve essere approvato nel rispetto delle norme del codice di settore (oltre che in conformità allo strumento urbanistico generale). Quindi, intesa nei termini indicati, ovverosia nel rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la norma impugnata non determina alcuna invasione della competenza esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio e nemmeno la violazione del principio di leale collaborazione e dell’art. 9, secondo comma, Cost.

10.– Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 45 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 28, comma 10, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella versione modificata dall’art. 11, comma 1, lettera c), punto 2), della legge reg. Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e al principio di leale collaborazione, in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

10.1.– L’art. 28, comma 7, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 attiene al rilascio dell’autorizzazione per le grandi strutture di vendita, mentre l’impugnato comma 10 concerne l’autorizzazione relativa alla loro rilocalizzazione. Nella formulazione originaria, il comma 10 prevedeva che la rilocalizzazione fosse «ammessa nell’intero territorio regionale in conformità con le scelte di localizzazione per le grandi strutture previste nel SIAD del comune di insediamento ed è subordinata all’autorizzazione comunale, previa valutazione da parte della competente Conferenza dei servizi esclusivamente dell’impatto sull’ambiente e sul traffico nel territorio in cui si rilocalizza, nel rispetto delle normative edilizie vigenti».

In virtù della modifica apportata dalla menzionata legge reg. Campania n. 5 del 2021, al termine del comma 10, è stato aggiunto il periodo «[r]esta fermo il rispetto delle procedure di autorizzazione paesaggistica se l’immobile ricade in area sottoposta a vincolo», che in sostanza richiama le indicate procedure per il caso in cui la grande struttura di vendita “rilocalizzata” ricada in area sottoposta a vincolo paesaggistico.

10.2.– Tuttavia, secondo il ricorrente, la nuova formulazione della norma non sarebbe idonea a superare i profili di illegittimità costituzionale denunciati con il primo ricorso, in quanto anche anteriormente alla sua introduzione era indubbio il rispetto delle procedure di autorizzazione paesaggistica. Il vizio dedotto nei confronti della norma anteriormente alla modifica – e che non sarebbe superato da essa – consisterebbe invece nell’attribuire ad uno strumento di pianificazione esclusivamente comunale il potere di adottare scelte di localizzazione che incidono sul territorio e sulla sua pianificazione paesaggistica. Il SIAD, in particolare, continuerebbe a stabilire, al di fuori di ogni intesa con lo Stato, se determinate aree siano o meno in grado di ospitare insediamenti che, con ogni evidenza, sono caratterizzati da considerevole impatto dimensionale.

10.3.– Le questioni poste alla base della censura non sono fondate nei termini di seguito precisati.

L’interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata impone infatti di intendere il rinvio a specifiche prescrizioni di tutela (quelle in tema di autorizzazione paesaggistica) quale espressione di un (implicito) richiamo a tutte le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, incluse quelle – invocate dal ricorrente – che sanciscono il ruolo primario e inderogabile assegnato dal legislatore statale alla pianificazione paesaggistica (artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali).

A supporto di tale opzione ermeneutica, va rimarcato che – ai sensi dell’art. 28, comma 7, lettera a), della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella formulazione modificata dall’art. 11, comma 1, lettera c), punto 1), della legge reg. Campania n. 5 del 2021 – anche il rilascio dell’autorizzazione per una grande struttura di vendita (in sede di primo insediamento) è attualmente subordinato all’osservanza di tutte le «disposizioni del decreto legislativo 42/2004». Quindi, come prescritto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, la norma impugnata deve essere letta nel senso di non esentare gli interventi di rilocalizzazione delle grandi strutture di vendita dal rispetto del complesso delle future prescrizioni del piano paesaggistico. Per le medesime ragioni, non risultano violati il principio di leale collaborazione e l’art. 9, secondo comma, Cost.

11.– Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 45 del 2021, viene impugnato l’art. 130, comma 1, lettera b), della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella versione modificata dall’art. 11, comma 1, lettera i), della legge reg. Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost., e al principio di leale collaborazione, in relazione agli artt. 135,143 e 145 cod. beni culturali.

11.1.– L’art. 130 disciplina le concessioni, rilasciate dalla Regione, per l’installazione di nuovi impianti di distribuzione di carburanti lungo le autostrade, le tangenziali ed i raccordi autostradali.

La formulazione originaria del comma 1 prevede che il rilascio della predetta concessione sia subordinato: «a) al rispetto delle norme previste dal presente testo unico; b) alla verifica della conformità alle prescrizioni urbanistiche e fiscali, alle prescrizioni concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei beni storici ed artistici; […]».

Il citato art. 11 della legge reg. Campania n. 5 del 2021 ha aggiunto, al termine della lettera b), le parole «e del paesaggio». Per effetto di tale modifica, la concessione per l’installazione di un nuovo impianto di distribuzione di carburanti è dunque subordinata anche alla verifica della sua conformità alle disposizioni relative alla tutela del paesaggio.

11.2.– Ad avviso del ricorrente, nella nuova formulazione della norma persisterebbe la violazione dei precetti costituzionali invocati nel primo ricorso. Invero, il riferimento alle disposizioni per la tutela del paesaggio sarebbe del tutto generico e, attesa l’assenza di un piano paesaggistico sul territorio campano, parrebbe priva di apprezzabile significato, consentendo che le concessioni in esame continuino ad essere illegittimamente sottratte alla disciplina del piano paesaggistico, con l’effetto di essere rimesse a determinazioni singole senza un quadro di insieme al quale conformarsi.

11.3.– Le questioni non sono fondate nei sensi di seguito precisati.

Il richiamo al paesaggio può e deve essere letto in termini compatibili con le invocate prescrizioni di tutela (artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali).

La norma impugnata va infatti interpretata nel senso che non esenta gli interventi di installazione di nuovi impianti di distribuzione di carburanti dal rispetto del complesso delle future prescrizioni del piano paesaggistico e, più nello specifico, dal rispetto delle prescrizioni d’uso, attuali o future, dei singoli beni vincolati. Identiche argomentazioni escludono la violazione del principio di leale collaborazione e dell’art. 9, secondo comma, Cost.

12.– Vanno ora esaminate le diposizioni impugnate con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020 che non hanno subito modifiche ad opera di leggi successive.

Trattasi, in particolare, degli artt. 19, commi 3 e 4, lettera b), e 20, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, oggetto del primo motivo di ricorso iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020, con cui si lamenta la violazione degli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e del principio di leale collaborazione.

12.1.– Come si è già evidenziato, l’art. 19 detta la disciplina generale del SIAD, mentre l’art. 20 attiene più specificatamente alle previsioni del medesimo in tema di interventi comunali per la valorizzazione del centro storico.

Il comma 3 dell’art. 19 dispone che detto strumento, «tenuto conto delle condizioni della viabilità, delle norme igienico-sanitarie e di sicurezza, fissa i criteri per l’esercizio delle attività commerciali in aree private e in aree pubbliche, nel rispetto delle destinazioni d’uso delle aree e degli immobili».

In questa prospettiva, il comma 4, lettera b), assegna al SIAD il compito di «salvaguardare i valori artistici, culturali, storici ed ambientali locali, soprattutto del centro storico, attraverso l’eventuale divieto di vendita di determinate merceologie, senza inibire lo sviluppo del commercio e della libera concorrenza fra varie tipologie commerciali».

In particolare, con riguardo al centro storico, l’art. 20, comma 1, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, stabilisce che il SIAD assume il compito di preservare, rilanciare e potenziare la funzione tipica del commercio «anche mediante l’adozione di specifici protocolli di arredo urbano da definirsi con le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative sul territorio regionale, per tutelare il patrimonio edilizio di interesse storico e culturale».

A mente del successivo comma 2, il SIAD «può prevedere per gli esercizi di vicinato del centro storico, la superficie di vendita massima pari a 150 metri quadrati nel rispetto degli imperativi motivi di interesse generale di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e)», ovverosia la sostenibilità ambientale dello sviluppo commerciale e il risparmio del suolo.

12.2.– Secondo il Governo, le disposizioni impugnate sarebbero carenti di un esplicito rinvio alla normativa dettata per i beni culturali e paesaggistici, rispettivamente dalla Parte II e III del codice di settore, con l’effetto di non garantire la necessaria partecipazione dello Stato alle scelte di pianificazione e di fissazione dei limiti inerenti l’attività commerciale, laddove incidano su beni sottoposti a tutela culturale o paesaggistica. L’omessa previsione delle prescritte procedure di condivisione tra Stato e enti territoriali sarebbe altresì lesiva del principio di leale collaborazione e dell’art. 9, secondo comma, Cost.

Si illustreranno di seguito le censure prospettate, distinguendole in base ai parametri interposti evocati (relativi alla tutela del paesaggio e alla tutela dei beni culturali).

12.2.1.– Per quanto riguarda la tutela del paesaggio, le disposizioni impugnate attribuirebbero al SIAD il compito di individuare gli insediamenti ammissibili senza tener conto del fatto che, in base agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, le trasformazioni consentite dei beni paesaggistici sono individuate dal piano paesaggistico, in modo inderogabile e sovraordinato rispetto ad ogni altro atto di pianificazione territoriale, da adottare previa intesa con lo Stato.

Inoltre, la subordinazione del SIAD – secondo quanto previsto dal testo originario dell’art. 19, comma 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 – al solo piano urbanistico comunale non garantirebbe che siano conformi alle esigenze di tutela paesaggistica i protocolli di arredo urbano per i centri storici, disciplinati dall’art. 20, comma 1, della medesima legge regionale, laddove questi ultimi sono oggetto di tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettera c), cod. beni culturali.

12.2.2.– Invece, per quanto riguarda la tutela dei beni culturali, le disposizioni impugnate non contemplerebbero, nella fissazione dei necessari limiti all’attività commerciale, il coinvolgimento dell’autorità statale ai sensi di quanto prescritto dagli artt. 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24, 52 e 106, comma 2-bis, cod. beni culturali.

Secondo il ricorrente, premesso che le piazze e le vie dei centri storici possono essere caratterizzate dalla presenza dei beni culturali previsti dall’art. 10, comma 4, lettera g), del codice di settore, il legislatore regionale non avrebbe considerato che, ai sensi dell’art. 20 del medesimo codice, spetta esclusivamente all’autorità statale l’individuazione degli usi del bene culturale non compatibili con le esigenze di tutela. In stretta connessione, il successivo art. 21, comma 4, assegna al solo soprintendente la competenza ad autorizzare qualsiasi opera o lavoro che riguardi i beni culturali, incluso – sempre ad avviso del Governo – il posizionamento dell’arredo urbano; peraltro, nel caso di beni culturali comunali, l’art. 24 cod. beni culturali prevede che tale autorizzazione possa essere espressa nell’ambito di accordi tra il Ministero della cultura e il Comune.

Risulterebbero altresì violati l’art. 52, commi 1 e 1-ter, del relativo codice di settore che regolano l’esercizio del commercio rispettivamente nelle «aree di valore culturale» e nei «complessi monumentali o altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti», disciplinando le competenze del Comune e della Soprintendenza sulla base del principio di leale collaborazione istituzionale.

Infine, a conferma del necessario coinvolgimento dello Stato, rileverebbe l’art. 106, comma 2-bis, cod. beni culturali, che subordina la concessione in uso di beni culturali comunali all’autorizzazione del Ministero della cultura, che dovrà vagliare se il conferimento garantisca «la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo».

12.3.– In primo luogo occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla resistente.

Secondo la Regione, le questioni concernenti gli artt. 19, commi 3, 4, lettera b), e 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, sarebbero inammissibili in ragione dell’omessa formulazione di specifiche doglianze relative ai singoli commi impugnati, che verrebbero trattati indistintamente, con conseguente genericità e oscurità delle censure medesime.

L’eccezione non è fondata, risultando infatti sempre individuabile la specifica applicazione, ai singoli commi impugnati, delle regole invocate dal ricorrente in riferimento alla tutela del paesaggio e dei beni culturali.

12.4.– Nel merito, le questioni non sono fondate nei termini di seguito precisati.

Non è condivisibile, invero, con specifico riguardo alle norme in esame, l’assunto per cui l’omesso richiamo delle previsioni di tutela del codice di settore equivalga a una deroga, con la conseguente violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’ambiente e dei beni culturali.

Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente affermato che una disposizione non può ritenersi derogatoria solo perché omette di richiamare, totalmente o parzialmente, le «previsioni del piano paesaggistico e del codice di settore, dotate di immediata forza cogente, in difetto di esplicite indicazioni di segno contrario» (sentenza n. 24 del 2022 e, conformemente, n. 124 del 2021).

I medesimi principi sono stati applicati anche con specifico riguardo alla tutela dei beni culturali, la cui disciplina – dettata essenzialmente dalla Parte II del codice di settore – può dunque considerarsi violata solo a fronte di deroghe espresse ad opera della legge regionale che, nei limiti consentiti dal tenore letterale e da quello sistematico, va interpretata in conformità ai criteri di competenza legislativa dettati dalla Costituzione (sentenze n. 45 del 2022 e n. 124 del 2021).

Alla luce dei premessi principi, le censure verranno di seguito esaminate in base ai parametri interposti evocati, relativi rispettivamente al paesaggio e ai beni culturali.

12.5.– Quanto ai parametri interposti evocati (artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali), già il tenore letterale delle disposizioni impugnate evidenzia come le stesse non intendano sottrarsi ai principi di elaborazione congiunta e di inderogabilità, i quali mantengono la loro forza cogente pure in assenza di espresso richiamo.

L’art. 19, comma 3, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 si limita invero a stabilire che il SIAD fissa i criteri per l’esercizio delle attività commerciali in aree pubbliche e private, tenendo conto delle condizioni della viabilità, delle norme igienico-sanitarie e di sicurezza.

Quanto al successivo comma 4, lettera b), lo stesso attribuisce al SIAD la finalità di salvaguardare aree di valore culturale e ambientale attraverso l’eventuale divieto di vendita di determinate merceologie.

Deve dunque ritenersi implicito che – qualora siano oggetto di tutela paesaggistica alcune delle aree cui si riferiscono le indicate previsioni del SIAD – quanto disposto dal codice di settore risulti senz’altro applicabile. La normativa statale, anche se non richiamata espressamente, vincola dunque sia gli organi regionali sia gli organi comunali, secondo le norme previste al riguardo dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, ivi compresi gli atti e le prescrizioni cui esso rinvia, in primo luogo il piano paesaggistico.

Le medesime considerazioni privano di fondamento anche le censure concernenti l’art. 20, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020. Il comma 1 assegna al SIAD compiti di promozione del commercio nel centro storico (anche mediante l’adozione di specifici protocolli di arredo urbano), mentre il comma 2 legittima il medesimo strumento ad introdurre per gli esercizi di vicinato del centro storico la superficie di vendita massima pari a 150 metri quadri, nel rispetto del risparmio del suolo e della sostenibilità ambientale dello sviluppo commerciale.

Nessuna di queste norme deroga espressamente i parametri interposti invocati, né le norme di tutela dettate dallo Stato per il caso in cui il centro storico sia o debba essere dichiarato bene paesaggistico ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettera c), del codice di settore; articolo quest’ultimo pure richiamato dal ricorrente.

Le norme regionali esaminate risultano pertanto accomunate dall’essere espressione della competenza residuale della Regione nella materia del commercio, senza determinare alcuna invasione della competenza esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio.

Così intesa, la disciplina impugnata non pregiudica l’unitarietà e la vincolatività della pianificazione paesaggistica né, tanto meno, mette a repentaglio l’obbligatorietà dell’elaborazione congiunta del piano paesaggistico. Per le medesime ragioni, non risultano lesi il principio di leale collaborazione e l’art. 9, secondo comma, Cost.

12.6.– Esclusa la violazione dei parametri interposti in materia di pianificazione paesaggistica, alle medesime conclusioni deve pervenirsi in relazione a quelli concernenti i beni culturali.

Per quanto rileva ai fini della doglianza in esame, le disposizioni impugnate legittimano il SIAD a introdurre determinate restrizioni all’esercizio del commercio, volte a garantire – senza discriminazioni tra gli operatori – la salvaguardia di aree di valore culturale, espressione dell’identità locale di riferimento.

Trattasi delle seguenti restrizioni: divieti di vendita di determinate merceologie al fine di salvaguardare «i valori artistici, culturali, storici ed ambientali locali, soprattutto del centro storico» (art. 19, comma 4, lettera b), limiti di superficie per gli esercizi di vicinato del centro storico (art. 20, comma 2) e protocolli di arredo urbano al fine di «tutelare il patrimonio edilizio di interesse storico e culturale» (art. 20, commi 1), aventi carattere conformativo dell’esercizio dell’attività commerciale.

In tale prospettiva, si deve escludere che le norme impugnate violino gli artt. 10, 20, 21, 24 e 106, comma 2-bis, cod. beni culturali, posto che questi ultimi risultano incentrati sulla tutela del singolo bene di interesse culturale, demandando all’autorità statale il divieto di usi non compatibili con le esigenze di tutela (art. 20), l’autorizzazione di qualsiasi opera o lavoro sul medesimo (artt. 21 e 24) e l’autorizzazione al rilascio della concessione in uso di beni comunali (art. 106, comma 2-bis). Di conseguenza, a fronte della legittimazione del SIAD ad introdurre le forme di regolazione del commercio testé indicate, quando rilevino singoli beni vincolati, deve considerarsi salva la disciplina introdotta dal legislatore statale per la tutela dei beni di interesse culturale.

Lo stesso dicasi per l’art. 52, comma 1-ter, cod. beni culturali, il cui ambito di applicazione concerne una peculiare categoria di complessi monumentali e beni culturali («complessi monumentali o altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti»), prescrivendo apposite determinazioni degli uffici territoriali del Ministero della cultura, da adottare d’intesa con Regione e Comuni interessati, volte a vietare gli usi incompatibili con le specifiche esigenze di tutela.

Infine nemmeno risulta violato l’art. 52, comma 1, cod. beni culturali, a mente del quale i Comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari le attività commerciali: in virtù di tale norma il Comune è legittimato all’individuazione delle «aree di valore culturale» in cui conformare l’esercizio del commercio per esigenze di salvaguardia delle medesime, ma solo previa acquisizione del parere obbligatorio (non vincolante) della Soprintendenza.

È infatti da escludere la sussistenza di un contrasto tra le disposizioni impugnate – la cui finalità è pur sempre quella di elevare il livello di tutela di tali aree – e il parametro interposto invocato dal ricorrente (art. 52, comma 1, cod. beni culturali), a condizione che le medesime siano interpretate nel senso di vincolare i Comuni ad acquisire il parere della Soprintendenza ai fini dell’individuazione delle aree in cui introdurre le indicate restrizioni al commercio.

In definitiva, le norme impugnate non esprimono l’intenzione di derogare alle norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio invocate dal ricorrente. Identiche argomentazioni escludono la violazione del principio di leale collaborazione e dell’art. 9, secondo comma, Cost.

13.– È adesso possibile trattare le questioni concernenti le disposizioni impugnate aventi ad oggetto il testo antecedente alle modifiche introdotte dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021, e, in particolare, gli artt. 19, comma 6, 28, comma 10, e 130, comma 1, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 (seguirà la disamina del primo, secondo e quarto motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020, considerato che il terzo motivo è oggetto di estinzione, come illustrato nel precedente punto 4).

Il carattere asseritamente non satisfattivo delle modifiche e l’assenza di deduzioni sulla mancata applicazione medio tempore del testo originario, anche in considerazione del tempo di vigenza (circa tredici mesi), escludono la cessazione della materia del contendere (ex plurimis, sentenze n. 23 e n. 24 del 2022). Il richiesto scrutinio di costituzionalità deve pertanto essere condotto nel merito anche con riferimento alla formulazione previgente delle disposizioni impugnate.

14.– Con il primo motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, viene impugnato il testo originario dell’art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e al principio di leale collaborazione, in relazione agli artt. 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24, 52 e 106, comma 2-bis, 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

14.1.– Nella norma impugnata viene stabilito che il SIAD «dispone vincoli di carattere dimensionale o tipologico agli insediamenti delle attività commerciali in aree o edifici che hanno valore storico, archeologico, artistico o ambientale, nei limiti necessari alle esigenze di tutela».

14.2.– Le impugnazioni in esame coincidono con quelle già analizzate in riferimento agli artt. 19, commi 3 e 4, lettera b), e 20, commi 1 e 2, della medesima legge regionale (esaminate nel precedente punto 11.2.).

Anche l’art.19, comma 6, sarebbe carente di un esplicito rinvio alla normativa dettata per i beni culturali e paesaggistici, rispettivamente dalla Parte II e III del codice di settore, e quindi non garantirebbe la partecipazione dello Stato alle scelte di pianificazione e di fissazione dei limiti inerenti all’attività commerciale, laddove incidano sui beni sottoposti a tutela culturale o paesaggistica. L’omessa previsione delle prescritte procedure di condivisione tra Stato e enti territoriali sarebbe altresì lesiva del principio di leale collaborazione e dell’art. 9, secondo comma, Cost.

14.3.– In via preliminare, occorre richiamare l’eccezione formulata dalla Regione resistente, illustrata nel precedente punto 11.3. Per le medesime ragioni ivi indicate, l’eccezione è priva di fondamento e deve quindi procedersi alla disamina del merito.

14.4.– Sono in primo luogo non fondate le questioni di legittimità costituzionale incentrate sulla violazione dei parametri interposti attinenti alla tutela dei beni culturali (artt. 10, comma 4, lettera g, 20, 21, 24, 52, commi 1 e 1-ter, e 106, comma 2-bis, cod. beni culturali).

Con riguardo agli artt. 19, commi 3 e 4, lettera b), e 20, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 si richiamano le argomentazioni precedentemente illustrate (punto 11.6.).

14.5.– Per contro, sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella formulazione originaria, in riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), e al principio di leale collaborazione, per contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali. Infatti, la norma in discussione assegna al SIAD il compito di determinare gli insediamenti ammissibili delle attività commerciali, senza in alcun modo richiamare i principi di elaborazione congiunta, inderogabilità e prevalenza del piano paesaggistico, sanciti dai menzionati articoli del codice di settore.

Attesa l’assenza di un piano paesaggistico, il tenore letterale della disposizione impugnata tradisce l’intento del legislatore regionale di sostituirsi allo Stato nello svolgimento di compiti che sono rimessi alla competenza esclusiva di quest’ultimo, legittimando soltanto i Comuni all’individuazione degli insediamenti ammissibili, anche quando gli stessi siano collocati in aree che, vista l’ampia formulazione della norma, sono potenzialmente destinatarie delle future prescrizioni del piano paesaggistico. Tanto è vero che – come già illustrato al punto 8.1. – il legislatore regionale ha modificato la norma in esame, inserendo un rinvio esplicito alla normativa vigente e quindi anche al codice di settore, cui il SIAD deve conformarsi. Dall’invasione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente in relazione ai parametri interposti indicati, che prevedono, tra l’altro, l’elaborazione congiunta del piano paesaggistico (artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali), deriva la violazione del principio di leale collaborazione e, attesa la diminuzione del livello di tutela paesaggistica, anche dell’art. 9, secondo comma, Cost.

14.6.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella formulazione originaria.

15.– Con il secondo motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, viene impugnata la versione originaria dell’art. 28, comma 10, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e al principio di leale collaborazione, in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

15.1.– La disposizione impugnata concerne l’autorizzazione relativa alla rilocalizzazione di grandi strutture di vendita, prevedendo che detta rilocalizzazione «è ammessa nell’intero territorio regionale in conformità con le scelte di localizzazione per le grandi strutture previste nel SIAD del comune di insediamento ed è subordinata all’autorizzazione comunale, previa valutazione da parte della competente Conferenza dei servizi esclusivamente dell’impatto sull’ambiente e sul traffico nel territorio in cui si rilocalizza, nel rispetto delle normative edilizie vigenti».

15.2.– Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto omette di prescrivere la necessaria conformità della rilocalizzazione delle grandi strutture di vendita al piano paesaggistico. Non potrebbe ravvisarsi infatti un diverso intento nel generico riferimento all’«impatto sull’ambiente» in essa contenuto. La medesima, nell’intervenire in modo unilaterale in spregio alla pianificazione congiunta, sarebbe inoltre lesiva del principio di leale collaborazione e dell’art. 9 Cost.

15.3.– Le questioni sono fondate in riferimento a tutti i parametri evocati nel ricorso.

La norma impugnata, invero, omette di prescrivere la necessaria conformità delle autorizzazioni per la rilocalizzazione delle grandi strutture di vendita al piano paesaggistico, subordinandone il rilascio «esclusivamente» alla valutazione dell’impatto «sull’ambiente e sul traffico nel territorio […] nel rispetto delle normative edilizie vigenti», senza esplicitare la rilevanza delle future prescrizioni paesaggistiche e quindi senza imporre alle proprie amministrazioni una costante vigilanza sulle sopravvenienze in tema di tutela del paesaggio. Anche in questo caso, dunque, il tenore letterale della norma tradisce l’intento del legislatore regionale di sostituirsi allo Stato nello svolgimento di compiti che sono rimessi alla competenza esclusiva di quest’ultimo, procedendo unilateralmente – e in assenza della prescritta concertazione – a disciplinare i presupposti per la rilocalizzazione delle grandi strutture di vendita.

A conferma di tale conclusione, merita valorizzare quanto disposto dall’art. 28, comma 7, lettere a) e b), nella versione precedente alle modifiche apportate dall’art. 11, comma 1, lettera c), punto 1), della legge reg. Campania n. 5 del 2021. Il citato comma 7, infatti, subordina il rilascio dell’autorizzazione per grandi strutture di vendita (in via di primo insediamento) esclusivamente al rispetto delle «norme in materia urbanistica, di quelle fissate dal SIAD e dal presente testo unico». Ciò in difetto di qualsiasi richiamo – come nel caso dell’autorizzazione alla rilocalizzazione – alle «disposizioni del decreto legislativo 42/2004», parole queste ultime aggiunte solo dalla novella indicata.

Di conseguenza, sia il dato testuale, sia quello sistematico non consentono una interpretazione della norma impugnata in senso conforme né ai criteri di competenza legislativa dettati dalla Costituzione, né agli ulteriori parametri dedotti dal ricorrente. D’altro canto, proprio per superare il contrasto con detti parametri, il legislatore regionale ha modificato la norma in esame, subordinando espressamente al rispetto del codice di settore il rilascio dell’autorizzazione alla rilocalizzazione di una grande struttura di vendita (in proposito si rinvia a quanto già illustrato al precedente punto 9.1.).

15.4.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 10, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella formulazione originaria.

16.– Con il quarto motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, viene impugnata la versione originaria dell’art. 130, comma 1, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., e al principio di leale collaborazione, in relazione agli artt. 135, 140, 141,141-bis,143 e 145 cod. beni culturali.

16.1.– La disposizione impugnata prevede che il rilascio della concessione per l’installazione di nuovi impianti di distribuzione di carburanti lungo le autostrade, le tangenziali ed i raccordi autostradali sia subordinato, tra l’altro, «alla verifica della conformità alle prescrizioni urbanistiche e fiscali, alle prescrizioni concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei beni storici ed artistici».

16.2.– Il ricorrente lamenta che il rilascio della concessione non risulti in alcun modo condizionato al rispetto del piano paesaggistico, non potendosi ritenere il rinvio operato dalla disposizione impugnata «al necessario rispetto delle disposizioni di tutela dei beni storici e artistici […] sufficiente ad assicurare la competenza costituzionale delle norme». Emergerebbe ancora una volta la volontà di non attenersi, nel rilascio delle concessioni, al piano paesaggistico che la Regione avrebbe invece l’obbligo di approvare d’intesa con lo Stato (artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali). Nella norma impugnata difetterebbe il richiamo alla disciplina d’uso dei beni vincolati, contenuta nel piano paesaggistico (ai sensi degli artt. 140, 141 e 141-bis cod. beni culturali) o in appositi accordi stipulati tra Stato e Regione, destinati a confluire nel medesimo piano. Dall’invasione della competenza statale esclusiva in materia di tutela del paesaggio in relazione ai parametri interposti indicati (artt. 135, 140, 141,141-bis,143 e 145 cod. beni culturali) deriverebbe inoltre la violazione del principio di leale collaborazione e dell’art. 9, secondo comma, Cost.

16.3.– Le questioni sono fondate in riferimento a ciascuno dei parametri invocati nel ricorso. Ciò in quanto la disposizione impugnata omette di prescrivere la necessaria conformità delle concessioni per l’installazione di nuovi impianti di distribuzione di carburanti al piano paesaggistico e alla normativa d’uso in esso contenuta, in violazione degli artt. 135, 140, 141,141-bis,143 e 145 cod. beni culturali. In particolare, è palese l’intento del legislatore regionale di sostituirsi allo Stato, procedendo direttamente – in assenza di piano paesaggistico e della presupposta concertazione – alla localizzazione degli impianti di distribuzione anche in aree potenzialmente soggette alla pianificazione paesaggistica.

In tal senso, occorre in primo luogo richiamare il dato testuale, posto che la norma impugnata prescrive la conformità della concessione alle sole prescrizioni urbanistiche e fiscali, alle prescrizioni concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale e alle disposizioni per la tutela dei beni storici ed artistici, in difetto di qualsiasi richiamo alle prescrizioni paesaggistiche. Un elenco così stringente non può che determinare ampia incertezza in punto di applicazione delle norme di tutela paesaggistica, rendendo concreto il rischio di elusione delle medesime.

In chiave sistematica merita poi richiamare anche gli artt. 19, comma 6, e 28, comma 10, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 che, nella loro versione originaria, esprimono l’intenzione del legislatore regionale di introdurre una regolamentazione del territorio a fini commerciali con riflessi sul paesaggio del tutto avulsa dalla prescritta concertazione con lo Stato. Ostano dunque ad una interpretazione conforme della norma impugnata ai criteri di competenza legislativa dettati dalla Costituzione sia il dato testuale sia quello sistematico. Ed infatti, anche in questo caso, il legislatore regionale ha modificato la norma in esame, inserendo un richiamo esplicito alle prescrizioni dettate dallo Stato a tutela del paesaggio (al riguardo, vale quanto già illustrato al precedente punto 10.1.).

L’assenza di un rinvio espresso alle previsioni del piano paesaggistico, con violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., determina altresì la lesione del principio di leale collaborazione, stante anche la prevista obbligatorietà della co-pianificazione in materia paesaggistica. Da ciò consegue la violazione dell’art. 9, secondo comma, Cost., considerata la conseguente diminuzione del livello di tutela dell’ambiente.

16.4.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 130, comma 1, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella formulazione originaria.

17.– Con il quinto motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n. 55 del 2020, è impugnato, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., l’art. 83 della legge reg. Campania n. 7 del 2020.

17.1.– La disposizione in esame istituisce la figura del commissario regionale che viene nominato dalla Giunta regionale nei casi di irregolarità o inefficienza dei mercati all’ingrosso. La nomina è dunque solo eventuale e, in relazione, alla durata dell’incarico è previsto il termine di un anno.

17.2.– Ad avviso del ricorrente, detta disposizione violerebbe l’art. 81, terzo comma, Cost., poiché non quantifica gli oneri finanziari derivanti dalla nomina del commissario, né prevede per essi alcuna specifica copertura finanziaria.

Si evidenzia che successivamente alla proposizione del ricorso la norma impugnata è stata modificata per aspetti non attinenti, però, al profilo della copertura finanziaria (art. 11, comma 1, lettera f, della legge reg. Campania n. 5 del 2021).

17.3.– La questione è fondata.

Risulta palese che l’art. 83 impugnato comporta per la Regione Campania una previsione di spesa, quantomeno in relazione al compenso del commissario. Neppure è pertinente il richiamo operato dalla Regione alla «Norma finanziaria» contenuta nell’art. 156 della legge reg. Campania n. 7 del 2020, i cui stanziamenti sono del tutto generici e inidonei a garantire con certezza che ogni spesa cui si riferiscono trovi adeguata copertura. Del resto, l’individuazione della copertura non è desumibile neanche dalla relazione tecnica da allegare alla legge impugnata, che nel caso di specie è mancante.

Alla luce di tali elementi sussiste il lamentato contrasto della disposizione impugnata con il precetto posto dall’art. 81, terzo comma, Cost., che sancisce l’obbligo per ogni legge comportante nuovi oneri di provvedere ai mezzi per farvi fronte. La giurisprudenza di questa Corte è infatti costante nell’affermare che l’art. 81, terzo comma, Cost. «impone che, ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (sentenza n. 163 del 2020; nello stesso senso, sentenza n. 307 del 2013), fermo restando la necessità della relazione tecnica.

17.4.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 della legge reg. Campania n. 7 del 2020.

18.– Con il quarto motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n. 45 del 2021, viene impugnato l’art. 57, comma 2, della legge reg. Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

18.1.– Ai sensi della disposizione impugnata, nella versione vigente all’epoca della proposizione del ricorso, «per gli effetti della disciplina delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, le società e associazioni sportive dilettantistiche, costituite in conformità all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, finanziaria 2003), affiliate ad un organismo sportivo, federazioni sportive nazionali, sono riconosciute come esercitanti attività di interesse generale, quali enti del terzo settore, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera t), del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. l 06)».

18.2.– Le censure muovono dal presupposto che la norma impugnata estenderebbe, quale effetto automatico, la qualifica di enti del terzo settore a tutte le società e associazioni sportive dilettantistiche; ciò in violazione della disciplina statale, secondo cui la qualifica di ente del Terzo settore deriva dal possesso di determinati requisiti e dalla volontà dell’ente che desideri assumerla, con iscrizione nel registro unico del Terzo settore ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. l 06).

Ne deriverebbe l’invasione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, cui sarebbe pacificamente riconducibile la disciplina degli enti del terzo settore. Sempre secondo il ricorrente, la lesione della medesima competenza statale rileverebbe sotto un ulteriore profilo: dal riconoscimento in via automatica dello svolgimento di «attività di interesse generale» conseguirebbe, in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche considerate, l’applicazione della riduzione del canone delle concessioni demaniali marittime prevista dall’art. 03, comma 1, lettera d), del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494.

Quest’ultima disposizione prevede una riduzione del novanta per cento del canone demaniale per le concessioni di cui all’art. 39, comma 2, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione), rappresentate dalle concessioni rilasciate per fini di beneficenza o per altri fini di pubblico interesse; espressione quest’ultima («altri fini di pubblico interesse») cui sarebbe appunto riconducibile lo svolgimento di «attività di interesse generale».

Per effetto della disposizione impugnata verrebbe quindi violato, quale parametro interposto, l’art. 03, comma 1, lettera c), punto 2), del menzionato d.l. n. 400 del 1993, che, per le concessioni demaniali marittime rilasciate per finalità turistico-ricreative in favore di società ed associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, prevede invece una riduzione del canone demaniale nella misura del cinquanta per cento. La disposizione impugnata contrasterebbe infine con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), determinando una irragionevole disparità di trattamento, fondata su ragioni di appartenenza territoriale, tra enti che si trovano nella medesima situazione soggettiva e oggettiva.

18.3.– In via preliminare, va rilevato che, successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo, la disposizione impugnata è stata modificata dall’art. 33, comma 4, lettera e), della legge della Regione Campania 28 dicembre 2021, n. 31 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2022-2024 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale per il 2022).

Nella formulazione vigente, l’art. 57, comma 2, della legge reg. Campania n. 5 del 2021 non menziona più il riconoscimento delle società e associazioni sportive dilettantistiche «quali enti del Terzo settore» ed al contempo prevede espressamente che il canone delle concessioni demaniali in esame venga determinato ai sensi del parametro interposto invocato dal ricorrente (art. 03, comma 1, lettera c, del d.l. n. 400 del 1993, come convertito).

Orbene – se la sopravvenuta modifica normativa appare pienamente satisfattiva delle censure del Governo (venendo, con ciò, in essere la prima delle due condizioni che la giurisprudenza di questa Corte ha enucleato per pervenire alla declaratoria di cessazione della materia del contendere) – viceversa (anche per l’assenza di qualsiasi diversa indicazione delle parti) non si configura l’ulteriore requisito della mancata applicazione medio tempore della norma impugnata, che deve ritenersi non provato, anche in considerazione del tempo di vigenza (circa sei mesi) della disposizione modificata (ex plurimis, ancora sentenze n. 23 e n. 24 del 2022). Pertanto, nonostante lo ius superveniens, il richiesto scrutinio di costituzionalità della norma impugnata deve essere condotto nel merito.

18.4.– La questione è fondata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, costante nell’affermare che «i soggetti del Terzo settore, in quanto soggetti di diritto privato, per quanto attiene alla loro conformazione specifica, alla loro organizzazione e alle regole essenziali di correlazione con le autorità pubbliche, ricadono tipicamente nell’“ordinamento civile”. L’“ordinamento civile”, com’è noto, comprende tali discipline, allo scopo di garantire l’uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, in ossequio al principio costituzionale di eguaglianza (ex plurimis, sentenze n. 287 del 2016, n. 97 del 2014, n. 290 del 2013, n. 123 del 2010 e n. 401 del 2007), oltreché di assicurare l’essenziale e irrinunciabile autonomia che deve caratterizzare i soggetti del Terzo settore (sentenza n. 75 del 1992)» (sentenza n. 185 del 2018; nello stesso senso, da ultimo, sentenza n. 131 del 2020).

Sulla base di tali principi, la disposizione impugnata invade la competenza statale in materia di ordinamento civile, in quanto attribuisce – sia pure ai fini perseguiti dalla norma impugnata – la qualifica di ente del Terzo settore ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 117 del 2017 a tutte le società e associazioni sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali quantomeno in assenza di iscrizione nel registro unico del Terzo settore. Ai sensi del citato decreto legislativo, tale iscrizione avviene invece solo in presenza di determinati requisiti soggettivi e su domanda dell’ente interessato all’ufficio del registro unico nazionale della Regione o della Provincia autonoma in cui l’ente ha la sede legale.

18.5.– Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 2, della legge reg. Campania n. 5 del 2021, nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dall’art. 33, comma 4, lettera e), della legge reg. Campania n. 31 del 2021.

Restano assorbite le ulteriori censure esposte a sostegno del motivo di ricorso.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 19, comma 6, 28, comma 10, 83, e 130, comma 1, della legge della Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7 (Testo Unico sul commercio ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della legge regionale 14 ottobre 2015, n. 11), nella formulazione precedente alle modifiche inserite, rispettivamente, dall’art. 11, comma 1, lettera a), punto 2), lettera c), punto 2), lettera f), e lettera i), della legge della Regione Campania 29 giugno 2021, n. 5 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2021-2023 - Collegato alla stabilità regionale per il 2021);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 2, della legge della Regione Campania 29 giugno 2021, n. 5 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2021-2023 - Collegato alla stabilità regionale per il 2021), nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dall’art. 33, comma 4, lettera e), della legge della Regione Campania 28 dicembre 2021, n. 31 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2022-2024 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale per il 2022);

3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19, commi 3, 4, lettera b), e 20, commi 1 e 2, della legge della reg. Campania n. 7 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, 117, secondo comma, lettera s), Cost., e al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020;

4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19, comma 6, 28, comma 10, e 130, comma 1, lettera b), della legge reg. Campania n. 7 del 2020, nelle formulazioni rispettivamente modificate dall’art. 11, comma 1, lettera a), punto 2, lettera c), punto 2, e lettera i), della legge reg. Campania n. 5 del 2021, promosse, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, 117, secondo comma, lettera s), e 120, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso di cui al reg. ric. n. 45 del 2021;

5) dichiara estinto il processo, con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19, comma 2, 20, comma 3, 28, comma 7, lettere a) e b), e 61, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, 117, secondo comma, lettera s), Cost., e al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del 2020.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 giugno 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2022.