Sentenza n. 124 del 2021

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SENTENZA N. 124

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, secondo periodo; 3, commi 1, 2 e 3; 4, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Liguria 24 dicembre 2019, n. 30 (Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati) e degli artt. 8, comma 1, lettera b), e 24, commi 2 e 3, della legge della Regione Liguria 6 febbraio 2020, n. 1 (Adeguamento della legislazione regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del territorio), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 29 febbraio-6 marzo e il 10-17 aprile 2020, depositati in cancelleria il 6 marzo e il 16 aprile 2020, iscritti, rispettivamente, ai numeri 35 e 41 del registro ricorsi 2020 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 17 e 20, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti gli atti di costituzione della Regione Liguria;

udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 2021 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati dello Stato Giammario Rocchitta e Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Aurelio Domenico Masuelli per la Regione Liguria, questi ultimi in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021;

deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 29 febbraio-6 marzo 2020, depositato il 6 marzo 2020 e iscritto al n. 35 del registro ricorsi per l’anno 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 117, commi secondo, lettera s), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, secondo periodo; 3, commi 1, 2 e 3; 4, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Liguria 24 dicembre 2019, n. 30 (Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati).

2.– Con ricorso notificato il 10-17 aprile 2020, depositato il 16 aprile 2020 e iscritto al n. 41 del registro ricorsi per l’anno 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 9, 117, commi secondo, lettera s), e terzo, Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 1, lettera b), e 24, commi 2 e 3, della legge della Regione Liguria 6 febbraio 2020, n. 1 (Adeguamento della legislazione regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del territorio).

3.– Con il primo motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

3.1.– La disposizione prevede che, per il mero mutamento di destinazione d’uso di pertinenze e locali accessori che non comporta opere edilizie, sia sufficiente la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) di cui all’art. 13-bis della legge della Regione Liguria 6 giugno 2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia).

3.2.– Il ricorrente ravvisa la violazione dei «princìpi fondamentali dettati dallo Stato nella materia edilizia, che come tali devono valere su tutto il territorio nazionale». Tali princìpi imporrebbero, nel caso di «cambio di destinazione d’uso da cantina/garage a civile abitazione» e di conseguente «passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra», il rilascio del permesso di costruire. Né si potrebbe ritenere che tale prescrizione sia superata dall’odierna disciplina, che, in alternativa al permesso di costruire, prevede anche la SCIA, poiché si tratta di una SCIA caratterizzata da «un procedimento aggravato».

3.3.– La Regione Liguria si è costituita in giudizio, per chiedere di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione in esame, alla luce di argomenti ribaditi anche nella memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza.

3.3.1.– In linea preliminare, la parte resistente osserva che i vizi denunciati con il ricorso non sono riconducibili alla previsione impugnata, ma all’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, che regola i mutamenti di destinazione d’uso senza opere.

3.3.2.– Nel merito, il motivo di ricorso sarebbe comunque infondato.

L’art. 10, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», consentirebbe alle Regioni di stabilire quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, siano subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata d’inizio attività.

L’art. 22, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 consentirebbe poi alle Regioni di ampliare o circoscrivere il novero degli interventi subordinati a segnalazione certificata d’inizio attività.

La disposizione impugnata, in coerenza con le previsioni della legge statale, avrebbe subordinato i meri mutamenti di destinazione d’uso senza opere alla segnalazione certificata d’inizio attività.

4.– Con il secondo motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri censura, sempre per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

4.1.– Tale previsione è sospettata di illegittimità costituzionale, in quanto consente «il riutilizzo per i fini di legge di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati, anche diroccati, […] in deroga alla disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali, nonché alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge regionale 22 agosto 1984, n. 39 (Disciplina dei piani territoriali di coordinamento) e successive modificazioni e integrazioni».

4.2.– La previsione impugnata, nel dettare «una regola diversa, più lasca e più permissiva» che disciplina i «titoli abilitativi in modo difforme dalla regola generale», confliggerebbe sotto molteplici profili «con le norme statali in materia edilizia» e, in particolare, con l’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Ad avviso del ricorrente, la normativa statale «consente il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici solo per edifici ed impianti di interesse pubblico previa deliberazione del Consiglio comunale, comunque nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia».

La disciplina in esame, peraltro, subordinerebbe «il permesso di costruire in deroga alle destinazioni d’uso per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse» a una «previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico» e alla condizione che dal mutamento di destinazione d’uso non derivi «un aumento della superficie coperta prima dell’intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni».

Il ricorrente evidenzia, inoltre, che la deroga, «nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza», può riguardare soltanto «i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d’uso», nell’osservanza di quanto previsto dagli «articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444».

4.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche le modificazioni apportate all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.

4.3.1.– Lo ius superveniens ha escluso la possibilità di derogare alla disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana di cui al Capo II della legge della Regione Liguria 29 novembre 2018, n. 23 (Disposizioni per la rigenerazione urbana e il recupero del territorio agricolo).

4.3.2.– Anche la nuova formulazione si porrebbe, tuttavia, in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contravverrebbe alla disciplina del permesso di costruire in deroga, di cui all’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, che costituisce principio fondamentale nella materia del governo del territorio.

4.4.– La Regione, nelle memorie di costituzione e nelle memorie illustrative depositate in entrambi i giudizi, ha chiesto di dichiarare inammissibili o comunque infondate le censure relative all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, anche nella versione modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.

4.4.1.– La questione sarebbe, anzitutto, inammissibile, in quanto non sarebbe pertinente il richiamo all’istituto del permesso di costruire in deroga, concernente le ipotesi in cui i Comuni «possono rilasciare il titolo edilizio in difformità dalla disciplina pianificatoria».

La disposizione impugnata, per contro, perseguirebbe la sola finalità di individuare «il campo di applicazione» di alcuni «interventi di limitata portata», riguardanti principalmente il «recupero, mediante riutilizzo, di immobili esistenti». Tale previsione rappresenterebbe, pertanto, il legittimo esercizio della competenza spettante al legislatore regionale.

4.4.2.– Nel merito, la questione non sarebbe fondata, in quanto il sistema della pianificazione non assurgerebbe a principio così assoluto e stringente da precludere le deroghe agli strumenti urbanistici locali, apportate dalla legge regionale, pur sempre sovraordinata (si richiama la sentenza di questa Corte n. 245 del 2018).

5.– Oggetto d’impugnazione – con il terzo motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020 – sono anche gli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, per contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

5.1.– Le disposizioni impugnate incentiverebbero «gli interventi su una pluralità di fabbricati, anche vetusti, disseminati su tutto il territorio regionale», anche quando si tratti di «immobili di interesse culturale e paesaggistico, sottoposti a tutela ai sensi della Parte II e della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».

L’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 consente il riutilizzo di locali accessori e pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili non utilizzati, anche diruti, in deroga alla disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali e alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale.

L’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 «demanda unicamente ai Comuni» la scelta di escludere l’applicazione delle disposizioni della legge regionale, in relazione a specifiche esigenze di tutela paesaggistica e nelle sole fattispecie tassativamente indicate (il riutilizzo di locali contigui alla strada pubblica, e con esclusivo riguardo al riutilizzo per l’uso residenziale dei locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati). Tale disciplina incentiverebbe in maniera indiscriminata, al di fuori delle attribuzioni regionali, «gli interventi di modifica» e il mutamento della destinazione d’uso di immobili di interesse culturale.

5.2.– Le censure muovono dal presupposto che le disposizioni impugnate siano applicabili anche ai beni culturali, oggetto di tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e che, quanto ai beni sottoposti a vincolo paesaggistico, non prevedano alcuna clausola di salvaguardia «in favore del piano paesaggistico o di uno specifico stralcio di esso». Esse ometterebbero, dunque, di subordinare «l’applicazione della medesima normativa alla previa introduzione di un’apposita disciplina d’uso dei beni paesaggistici tutelati, elaborata d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali».

Sarebbe così svuotata la «funzione propria del piano paesaggistico», che è chiamato a dettare, «nell’ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato» e nel quadro di una elaborazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali, «i criteri di gestione del vincolo», «la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni».

Sarebbe violata, pertanto, «la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio», rispetto alla quale costituiscono norme interposte le previsioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e, in particolare, quanto ai beni sottoposti a vincolo paesaggistico, gli artt. 135, 143 e 145.

Sarebbe violato anche l’art. 9 Cost., in quanto le previsioni censurate, nel consentire un indiscriminato "riutilizzo” degli immobili, anche di quelli culturali e «sottoposti a vincolo paesaggistico», recherebbero un «potenziale pregiudizio ai beni tutelati» e si porrebbero in «contrasto con il principio fondamentale della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione».

5.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.

5.3.1.– Lo ius superveniens ha sancito l’inderogabilità della disciplina regionale degli ambiti di rigenerazione urbana.

Ad avviso del ricorrente, tale modificazione non varrebbe a superare i vizi di illegittimità costituzionale già denunciati con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020.

5.3.2.– Il ricorrente assume che anche la nuova formulazione dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 vìoli gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Ad avviso del ricorrente, la previsione impugnata, nel consentire anche per «i beni sottoposti a tutela» il «riutilizzo in generalizzata deroga senza il necessario rispetto delle disposizioni di tutela dettate dallo Stato (con inclusi gli interventi di mutamento fisico della loro integrità) compromette il rispetto della tutela stessa, e invade» la sfera di competenza esclusiva dello Stato nella materia della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

5.4.– Nelle memorie di costituzione e nelle memorie illustrative depositate in ambedue i giudizi la Regione Liguria ha chiesto di dichiarare la non fondatezza delle censure.

Le disposizioni impugnate, in quanto volte a disciplinare interventi comunque soggetti alle procedure autorizzative di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, non inciderebbero «sui vincoli paesaggistici e monumentali» e non interferirebbero con la competenza dello Stato «in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio».

In mancanza di espressa deroga, le disposizioni del d.lgs. n. 42 del 2004 si imporrebbero a tutte le amministrazioni e ai privati, a prescindere dal loro espresso recepimento in fonti legislative e regolamentari.

Gli interventi in esame non potrebbero travalicare la categoria della ristrutturazione edilizia e, per altro verso, sarebbero comunque vincolati a conservare sia la volumetria sia la sagoma «dell’edificio eventualmente soggetto a demolizione e ricostruzione». Essi non determinerebbero, pertanto, alcuna modificazione apprezzabile «dell’assetto paesaggistico esistente».

In un’ottica di particolare tutela, il legislatore regionale avrebbe escluso gli edifici rurali di valore testimoniale dall’ambito applicativo degli interventi in esame e, con le novità introdotte dalla legge reg. Liguria n. 1 del 2020, avrebbe negato la possibilità di derogare agli strumenti urbanistici comunali per le fattispecie previste dalla legge reg. Liguria n. 23 del 2018 in materia di rigenerazione urbana e recupero del territorio agricolo. Le disposizioni derogatorie della legge impugnata non si applicherebbero nelle parti del territorio urbano e agricolo individuate dai Comuni mediante una procedura semplificata. In tali aree, l’attività edilizia sarebbe improntata a «finalità di recupero e di valorizzazione del patrimonio storico, culturale e paesaggistico» e a criteri rigorosi, nel rispetto della pianificazione territoriale regionale, compresa quella del Piano territoriale di coordinamento paesistico.

Non si potrebbe ravvisare, pertanto, il paventato «svuotamento del piano paesistico». La disciplina impugnata, in quanto «riferita ad interventi di limitata importanza» e coerente con le previsioni del d.lgs. n. 42 del 2004, non potrebbe interferire con il Piano paesaggistico in corso di elaborazione, chiamato a disciplinare gli interventi paesaggisticamente rilevanti nelle zone vincolate.

6.– Con il quarto motivo di ricorso (reg. ric. n. 35 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri censura, in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., l’art. 3, commi 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

6.1.– L’art. 3, comma 2, della citata legge regionale prescrive, per i locali destinati alla permanenza di persone, un’altezza interna non inferiore a 2,40 metri e attribuisce rilievo all’altezza media, nel caso di altezze diverse dei locali da recuperare.

In virtù dell’art. 3, comma 3, il rispetto dei parametri di aeroilluminazione e dell’altezza minima interna è assicurato anche con opere edilizie che possono interessare i prospetti del fabbricato o mediante l’installazione di impianti e attrezzature tecnologiche.

6.2.– Il ricorrente assume che tali disposizioni contrastino, in primo luogo, con l’art. 1 del decreto ministeriale 5 luglio 1975 (Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione), che definisce l’altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione. Tale altezza, pari a 2,70 metri, può essere ridotta a 2,40 metri per corridoi, disimpegni in genere, bagni, gabinetti e ripostigli.

Nei Comuni montani al di sopra dei mille metri sul livello del mare, è consentita una riduzione dell’altezza minima dei locali abitabili a 2,55 metri, in considerazione delle condizioni climatiche locali e della locale tipologia edilizia.

Regole peculiari si applicano alle altezze minime degli edifici situati in ambito di comunità montane, quando siano sottoposti a interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie e l’edificio presenti caratteristiche tipologiche specifiche del luogo meritevoli di conservazione.

Ad avviso del ricorrente, le previsioni regionali contrasterebbero anche con l’Allegato 1, punto 2.3. «Prescrizioni», numero 4, del decreto interministeriale 26 giugno 2015 (Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici), che consente di derogare in alcuni casi alle altezze minime dei locali di abitazione previste dal d.m. 5 luglio 1975.

Il ricorrente ritiene, inoltre, che le previsioni impugnate non siano coerenti con l’art. 5 del d.m. 5 luglio 1975, che prescrive, per tutti i locali degli alloggi, a eccezione di quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli, una «illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso» e regola, per ciascun locale di abitazione, l’ampiezza della finestra.

Il ricorrente evidenzia che le norme in materia di altezza e aeroilluminazione, pur dettate da una fonte regolamentare, riguardano la salubrità e la vivibilità degli ambienti e sanciscono requisiti inderogabili ai fini del rilascio dell’abitabilità, nell’intento di «tutelare condizioni protette direttamente da norme primarie e costituzionali». Esse sarebbero dettate in diretta attuazione delle prescrizioni degli artt. 218, 344 e 345 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie).

Pertanto, ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate sarebbero lesive dell’art. 32 Cost., in quanto contrasterebbero «con i parametri interposti rappresentati dalle citate disposizioni del D.M. 5 luglio 1975», dirette a tutelare la salute e la sicurezza degli ambienti.

Sarebbe violato, inoltre, l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto le disposizioni impugnate si porrebbero in contrasto con i «principi fondamentali dettati dallo Stato a tutela della salute e del governo del territorio».

6.3.– La Regione Liguria, nel costituirsi in giudizio, ha chiesto di dichiarare inammissibili o comunque infondate le questioni promosse con riguardo all’art. 3, commi 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, sulla base di rilievi ribaditi anche nella memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza.

6.3.1.– In linea preliminare, la parte resistente contesta che le disposizioni del d.m. 5 luglio 1975 e del d.m. 26 giugno 2015, in quanto racchiuse in una fonte regolamentare, configurino un «parametro idoneo a supportare la dedotta violazione dell’assetto delle competenze legislative come delineato dalla Costituzione». Soltanto le disposizioni regolamentari dettate dallo Stato, nelle materie nelle quali è titolare di competenza legislativa esclusiva, potrebbero vincolare le Regioni.

Non sarebbe convincente la prospettazione che riconduce le previsioni regolamentari all’attuazione del r.d. n. 1265 del 1934.

Se l’art. 344 di tale fonte primaria definisce soltanto le materie oggetto di disciplina da parte dei regolamenti locali di igiene e sanità, l’art. 345 del citato regio decreto fissa le regole procedurali per l’approvazione dei regolamenti.

Quanto all’art. 218, si limiterebbe a demandare ai regolamenti degli enti locali il compito di stabilire le norme per la salubrità dell’aggregato urbano, nel rispetto delle istruzioni del Ministro dell’interno, che qualifica come mere «istruzioni di massima», ben diverse, dunque, dalle «previsioni costituenti principi fondamentali, inderogabili da parte delle Regioni nell’esercizio della potestà legislativa concorrente».

Quanto al dedotto contrasto con l’art. 32 Cost., dovrebbe riguardare, a tutto concedere, «il risultato del concreto esercizio» della competenza legislativa concorrente della Regione nella materia «governo del territorio».

L’impugnazione dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 non sarebbe sorretta da alcuna argomentazione.

6.3.2.– Nel merito, le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri non sarebbero fondate.

Altre leggi regionali, non impugnate, avrebbero previsto in termini analoghi il recupero dei vani e dei locali seminterrati.

La Regione ricorda, inoltre, che questa Corte, con la sentenza n. 245 del 2018, ha respinto il ricorso contro la legge della Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni), che farebbe pur sempre riferimento a un’altezza minima di 2,40 metri.

Secondo la sentenza citata, le prescrizioni della legge abruzzese, nel regolare in termini dettagliati l’altezza minima dei locali seminterrati e le modalità di misurazione dell’altezza, rappresenterebbero esercizio della competenza legislativa concorrente nella materia «governo del territorio» e si limiterebbero a incentivare il recupero dei vani seminterrati e accessori, nell’osservanza della normativa ambientale e dei princìpi fondamentali della disciplina urbanistica e edilizia.

Le previsioni impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri si prefiggerebbero, in ultima analisi, di contemperare in maniera ragionevole gli interessi coinvolti, in armonia con la disciplina dettata da altre leggi regionali non impugnate o giudicate legittime da questa Corte. Da tali rilievi discenderebbe l’infondatezza delle questioni promosse.

7.– Con l’ultimo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, è impugnato, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, che racchiude la disciplina intertemporale.

7.1.– Il ricorrente lamenta che la previsione citata sancisca l’applicazione della normativa derogatoria non solo agli immobili esistenti, ma anche, «con valenza retroattiva, ad immobili per la cui costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento».

Tale previsione consentirebbe «la regolarizzazione ex post di opere che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento, dando corpo a un intervento che esula dalle competenze regionali e risulta pertanto illegittimo».

7.2.– Il ricorrente, nel prospettare la violazione dell’art. 3 Cost., censura la mancanza di «un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza» e di «ragioni costituzionalmente accettabili».

Sarebbe leso, inoltre, l’affidamento che la collettività ripone nella sicurezza giuridica e sarebbe imposto un arbitrario sacrificio alle «posizioni soggettive dei potenziali controinteressati che facevano affidamento sulla stabilità dell’assetto normativo vigente all’epoca delle singole condotte».

7.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., le modifiche introdotte all’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che ha parzialmente ridefinito la descritta disciplina intertemporale.

7.3.1.– Tale ultima disposizione, pur sopprimendo il richiamo all’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento, lascerebbe inalterata «la previsione dell’applicabilità delle disposizioni regionali anche ai locali, alle pertinenze e agli immobili per i quali sia stato già conseguito il titolo edilizio abilitativo».

7.3.2.– Il ricorrente prospetta la violazione dell’art. 3 Cost., sulla base del rilievo che la disposizione impugnata, nell’estendere la deroga «con valenza retroattiva agli immobili già abilitati», lederebbe l’affidamento che la collettività ripone nella «certezza dei rapporti». Anche in questo caso, sarebbero sacrificate «le posizioni dei controinteressati che si sono determinati sulla base dell’assetto normativo previgente» e non si riscontrerebbe «un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza».

7.4.– La Regione Liguria, nella memoria di costituzione e nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, ha eccepito in linea preliminare l’improcedibilità del ricorso proposto con riguardo all’originaria versione dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, e ha comunque chiesto di dichiararlo inammissibile o infondato.

7.4.1.– La disposizione impugnata sarebbe stata sostituita a «pochissimi giorni» di distanza dalla sua entrata in vigore e si potrebbe dunque ipotizzare che non abbia nel frattempo ricevuto «concreta applicazione». Di qui l’improcedibilità del ricorso.

7.4.2.– Il motivo di ricorso sarebbe comunque inammissibile e infondato.

La disciplina in esame si applicherebbe esclusivamente agli immobili «legittimamente assentiti» e non determinerebbe, pertanto, alcun effetto di regolarizzazione «di interventi edilizi abusivamente realizzati».

7.5.– Quanto all’impugnazione dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella versione oggi vigente, la parte resistente, sia nella memoria di costituzione sia nella memoria illustrativa, ha chiesto di dichiararla inammissibile o comunque infondata.

7.5.1.– Il motivo di ricorso sarebbe inammissibile, in quanto formulato in termini meramente assertivi. Il ricorrente, difatti, non avrebbe illustrato le ragioni che inducono a escludere la portata satisfattiva dello ius superveniens e a ravvisare una lesione dell’affidamento dei controinteressati.

7.5.2.– Nel merito, esso sarebbe comunque infondato, in quanto la disposizione, anche nella versione modificata, si riferirebbe ai soli immobili «legittimamente assentiti».

8.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.

8.1.– Nel sostituire l’art. 12, comma 2, della legge della Regione Liguria 5 aprile 2012, n. 10 (Disciplina per l’esercizio delle attività produttive e riordino dello sportello unico), la disposizione impugnata consente la realizzazione degli interventi di ampliamento degli insediamenti produttivi destinati ad attività artigianali, industriali e agrituristiche, ad alberghi tradizionali, a strutture turistico ricettive e ad attività socio-assistenziali e commerciali in deroga alla disciplina dei piani urbanistici e territoriali vigenti e/o in salvaguardia. È fatto salvo il rispetto degli standard urbanistici, della necessaria dotazione di parcheggi e delle opere di urbanizzazione.

8.2.– Il ricorrente denuncia, in primo luogo, il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per l’invasione della «sfera di potestà legislativa dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, come esercitata con gli articoli 20 e 21 del Codice di settore, e con le norme dello stesso Codice che impongono la pianificazione congiunta (artt. 135, 143 e 145)».

Con riguardo a «interventi modificativi – addirittura di sostituzione edilizia –», la disposizione impugnata sancirebbe una «deroga generalizzata agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, anche se operanti in salvaguardia», in mancanza «di prescrizioni che impongano comunque il rispetto delle norme contenute nella Parte II del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, o in ogni caso del piano paesaggistico sovraordinato».

Nel consentire «in modo generalizzato (ed indiscriminato) sull’intero territorio regionale l’ampliamento dei complessi immobiliari, e quindi anche di quelli sottoposti a vincolo», la previsione impugnata svuoterebbe la funzione del Piano paesaggistico, chiamato a «dettare, per ciascuna area tutelata, le prescrizioni del caso, le trasformazioni compatibili e quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni», nell’ambito di una pianificazione congiunta tra lo Stato e le Regioni.

Sarebbe violato anche l’art. 9 Cost., «che attribuisce allo Stato la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico». Ad avviso del ricorrente, l’esecuzione di lavori «in deroga generalizzata agli strumenti di pianificazione, e senza il contestuale limite del rispetto delle norme statali», recherebbe un «potenziale pregiudizio» ai «beni tutelati (soprattutto quelli di interesse culturale)» interessati da tali lavori.

8.3.– La Regione Liguria, nella memoria di costituzione e nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, ha chiesto di dichiarare le questioni inammissibili o comunque infondate.

8.3.1.– In linea preliminare, la parte resistente ha evidenziato che la disposizione impugnata non modifica i presupposti degli interventi di ampliamento, disciplinati dall’art. 12, comma 1, della legge reg. Liguria n. 10 del 2012, ma si prefigge unicamente di adeguare la normativa regionale al nuovo procedimento unico. Il profilo di illegittimità costituzionale non risiederebbe nella previsione impugnata e la questione sarebbe, pertanto, inammissibile.

8.3.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero fondate.

L’impugnato art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020 non contemplerebbe alcuna deroga alla «disciplina statale posta a presidio dei beni soggetti a tutela» e farebbe salva anche l’applicazione del Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, che rappresenta – fino all’approvazione del Piano paesaggistico – l’atto di pianificazione preordinato alla tutela del paesaggio.

La mancanza di un espresso richiamo alle norme del codice dei beni culturali e del paesaggio, provviste di «autonoma forza precettiva» a prescindere da un apposito atto di recepimento, non equivarrebbe a una deroga. Sarebbero le stesse leggi regionali di settore (art. 1, comma 2, della legge della Regione Liguria 6 giugno 2014, n. 13, recante «Testo unico della normativa regionale in materia di paesaggio», e art. 34 della legge della Regione Liguria 31 ottobre 2006, n. 33, recante «Testo unico in materia di cultura») a imporre ex professo il rispetto delle prescrizioni inderogabili della normativa statale.

Il legislatore regionale avrebbe inoltre dettato prescrizioni specifiche, volte a migliorare l’aspetto esteriore delle costruzioni e a salvaguardare le alberature di pregio presenti nell’area di intervento, e avrebbe imposto di mettere a dimora alberature ad alto fusto, al fine di mitigare l’impatto visivo prodotto dagli interventi di ampliamento.

9.– All’udienza del 27 aprile 2021, le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nei rispettivi scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso iscritto al n. 35 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 9, 32, 117, commi secondo, lettera s), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, secondo periodo; 3, commi 1, 2 e 3; 4, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Liguria 24 dicembre 2019, n. 30 (Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati).

Con successivo ricorso, iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 9, 117, commi secondo, lettera s), e terzo, Cost., gli artt. 8, comma 1, lettera b), e 24, commi 2 e 3, della legge della Regione Liguria 6 febbraio 2020, n. 1 (Adeguamento della legislazione regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del territorio).

2.– Il ricorso iscritto al reg. ric. n. 41 del 2020 promuove questioni relative all’art. 24, commi 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che modifica rispettivamente gli artt. 3, comma 1, e 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, già impugnati con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, e investe, altresì, l’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, censurato per ragioni in gran parte analoghe a quelle illustrate con riguardo alla disciplina di cui all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

In ragione della stretta connessione che lega le disposizioni oggetto dei due ricorsi e dell’analogia che si ravvisa tra alcune delle censure proposte, i giudizi vanno riuniti, per essere trattati congiuntamente e definiti con un’unica pronuncia.

3.– Con il primo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, è impugnato, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

3.1.– Con riguardo ai locali accessori e alle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, la disciplina in esame assoggetta gli interventi di «mero mutamento di destinazione d’uso senza opere» alla segnalazione certificata d’inizio attività prevista dall’art. 13-bis della legge della Regione Liguria 6 giugno 2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia), che a sua volta richiama l’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), con le successive modificazioni e integrazioni.

3.2.– Il ricorrente prospetta il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e, in particolare, con il principio fondamentale nella materia «governo del territorio», che, per il mutamento di destinazione d’uso idoneo a determinare «il passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra», richiede «il rilascio del permesso di costruire» o comunque la «SCIA [segnalazione certificata d’inizio attività] alternativa al permesso di costruire», contraddistinta da «un procedimento aggravato».

Il regime dei titoli abilitativi per i diversi interventi edilizi non potrebbe variare da Regione a Regione e dovrebbe essere omogeneo «su tutto il territorio nazionale».

3.3.– La Regione Liguria ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità della questione.

3.3.1.– Il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. non deriverebbe dalla disposizione impugnata, ma dall’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, che regola i mutamenti di destinazione d’uso senza opere. L’impugnato art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 si limiterebbe a richiamare tale disposizione.

3.3.2.– L’eccezione non è fondata.

Non rileva che il Presidente del Consiglio dei ministri non abbia impugnato l’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, in quanto nei giudizi in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza. La disposizione oggi sottoposta allo scrutinio di questa Corte, nel richiamare la previsione anteriore, ha l’effetto di reiterare la lesione che fonda l’interesse a ricorrere (di recente, sentenza n. 107 del 2021, punto 2.3. del Considerato in diritto).

La questione, pertanto, è ammissibile.

3.4.– Essa è fondata, nei limiti e per i motivi di séguito precisati.

3.4.1.– Occorre ricostruire, nell’evoluzione più recente, il contesto normativo in cui la disposizione impugnata si colloca.

La destinazione d’uso connota l’immobile sotto l’aspetto funzionale, condiziona il carico urbanistico, legato al fabbisogno di strutture e di spazi pubblici, e incide sull’ordinata pianificazione del territorio. Il legislatore statale ha avvertito, pertanto, l’esigenza di disciplinare i mutamenti rilevanti della destinazione d’uso, proprio per gli effetti pregiudizievoli che potrebbero produrre sull’assetto urbanistico.

A tale riguardo, viene in rilievo l’art. 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», inserito dall’art. 17, comma 1, lettera n), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164.

Nel far salve le diverse previsioni delle leggi regionali, la disposizione citata identifica i mutamenti rilevanti della destinazione d’uso in «ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale» (comma 1). Tra le categorie funzionali, il legislatore enumera quella residenziale, quella turistico-ricettiva, quella produttiva e direzionale, quella commerciale, quella rurale.

Il passaggio a una categoria funzionale autonoma, anche quando non sia accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie, è rilevante, in quanto implica un più elevato impatto sul carico urbanistico, che si configura come rapporto di proporzione quali-quantitativa tra insediamenti e standard per servizi di una determinata zona territoriale.

L’art. 23-ter, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, come sostituito dall’art. 10, comma 1, lettera m), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, conferisce rilievo alla destinazione d’uso stabilita dal titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile o che l’ha legittimata e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio riguardante l’intero immobile o unità immobiliare, «integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali».

L’art. 23-ter, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 dispone che le Regioni adeguino la propria legislazione ai princìpi stabiliti dalla normativa statale in tema di mutamenti d’uso urbanisticamente rilevanti, entro novanta giorni dalla sua entrata in vigore. Decorso inutilmente tale termine, i princìpi in esame trovano comunque applicazione.

L’ultimo periodo dell’art. 23-ter, comma 3, t.u. edilizia consente in ogni caso il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale e fa salve, a tale riguardo, le diverse previsioni delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali.

L’art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 completa la disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso.

Sono le Regioni a stabilire «quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti», siano subordinati a permesso di costruire e quali a segnalazione certificata di inizio attività.

La disciplina di dettaglio elaborata dalle Regioni si deve coordinare con l’art. 10, comma 1, t.u. edilizia, che individua gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio subordinati a permesso di costruire. Essi consistono negli «interventi di nuova costruzione» (lettera a), negli «interventi di ristrutturazione urbanistica» (lettera b), negli «interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (lettera c).

Gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui al citato art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 possono essere realizzati mediante segnalazione certificata d’inizio attività alternativa al permesso di costruire (art. 23, comma 01, lettera a, del d.P.R. n. 380 del 2001), secondo un procedimento aggravato, che impone, tra l’altro, al proprietario dell’immobile o agli altri soggetti legittimati di presentare allo sportello unico la segnalazione almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, «accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie» (art. 23, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001).

3.4.2.– La definizione dei titoli abilitativi per i diversi interventi edilizi costituisce principio fondamentale nella materia di legislazione concorrente «governo del territorio» e vincola la normativa regionale di dettaglio (con specifico riguardo ai mutamenti di destinazione d’uso, sentenza n. 2 del 2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto).

Dall’art. 10, comma 2, t.u. edilizia, si evince il principio fondamentale che prescrive, per i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili o di loro parti, un vaglio dell’autorità amministrativa, rimesso alle più puntuali determinazioni della Regione, nel rispetto della normativa statale di principio. Tale vaglio si esplica nella segnalazione certificata d’inizio attività, con l’attivazione di controlli successivi, oppure, con più pregnante carattere preventivo, nel permesso di costruire, «fermo il vincolo, stabilito dall’art. 10, comma 1, t.u. edilizia, della necessità del permesso (tra l’altro) per i mutamenti di destinazione d’uso nei centri storici (permesso eventualmente sostituibile con la "super SCIA”, ex art. 23, comma 01, lettera a, dello stesso testo unico)» (sentenza n. 2 del 2021, punto 17.3. del Considerato in diritto).

Con particolare riguardo ai locali accessori e alle pertinenze, anche collocati in piani seminterrati, la disposizione impugnata disciplina i mutamenti della destinazione d’uso senza opere, che si traducono in «forme di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare comportanti il passaggio ad una diversa categoria funzionale», tra quelle indicate dallo stesso legislatore regionale: residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale, autorimesse e rimessaggi, servizi (art. 13, comma 1, della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, richiamato dal successivo art. 13-bis della medesima legge regionale, a sua volta richiamato dall’impugnato art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019).

Nel prevedere la segnalazione certificata d’inizio attività, la normativa in esame si allinea all’art. 10, comma 2, t.u. edilizia, che, in via generale, consente alle Regioni di determinare quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili, o di loro parti, richiedano il permesso di costruire e quali siano sottoposti alla mera SCIA.

Dalla normativa statale di principio, la disciplina regionale, tuttavia, si discosta, nella parte in cui, in virtù della sua formulazione generale e onnicomprensiva, ritiene sufficiente la SCIA ordinaria anche per i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili posti nei centri storici, in contrasto con le esigenze di più incisiva tutela che presiedono a tale normativa.

Questa Corte ha affermato di recente che la disciplina del testo unico dell’edilizia, interpretata alla luce della giurisprudenza amministrativa e di legittimità, «impone il permesso di costruire per i mutamenti di destinazione d’uso nei centri storici anche in assenza di opere» (sentenza n. 2 del 2021, punto 2.3.1. del Considerato in diritto).

Dall’art. 10, comma 1, lettera c), t.u. edilizia si può desumere, difatti, che il legislatore statale considera con particolare rigore, assoggettandoli al preventivo rilascio del permesso di costruire, gli interventi idonei a determinare un mutamento di destinazione d’uso nelle zone territoriali omogenee A di cui all’art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, recante «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765».

Si tratta delle «parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi». La peculiarità di tali zone territoriali omogenee e dunque le più gravi ripercussioni dei mutamenti di destinazioni d’uso sull’armonico sviluppo urbanistico impongono una più energica tutela, vanificata da una normativa che ritiene sufficiente la SCIA ordinaria e prevede soltanto controlli successivi.

3.4.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella parte in cui subordina gli interventi consistenti nel mero mutamento di destinazione d’uso senza opere alla segnalazione certificata d’inizio attività/SCIA di cui all’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, anche con riguardo agli immobili posti nelle zone territoriali omogenee A, di cui all’art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968.

4.– Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

4.1.– La disposizione in esame consente il riutilizzo per i fini di legge di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili non utilizzati, anche diroccati, in deroga alla disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali.

4.2.– Il ricorrente argomenta che tale disposizione contrasta con l’art. 117, terzo comma, Cost. e con il principio fondamentale, espresso dall’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, che sottopone a rigorose condizioni il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali.

Tale permesso potrebbe essere rilasciato soltanto «per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490», recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352», e nel rispetto «delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia» (art. 14, comma 1, t.u. edilizia).

Per gli interventi di ristrutturazione edilizia attuati in aree industriali dismesse, potrebbe essere rilasciato il permesso di costruire in deroga alle destinazioni d’uso solo previa deliberazione del Consiglio comunale e a condizione che non vi sia un aumento della superficie coperta (art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia). Nel caso degli insediamenti commerciali, il legislatore impone l’osservanza dell’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che riconduce a un «principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali».

Il ricorrente evidenzia che la deroga sarebbe subordinata al «rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza» e riguarderebbe i soli «limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi» e, nei casi degli interventi di ristrutturazione edilizia, le destinazioni d’uso. Non potrebbero essere derogati i limiti di densità edilizia, di altezza degli edifici e di distanza tra i fabbricati, sanciti, rispettivamente, dagli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444 del 1968 (art. 14, comma 2, t.u. edilizia).

Il legislatore regionale avrebbe dettato una diversa disciplina, «più lasca e più permissiva», e regolerebbe i titoli abilitativi in modo difforme dalla normativa statale, «che non può ammettere per sua natura differenziazioni territoriali».

4.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio impugna, inoltre, sempre in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella versione modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.

4.3.1.– La disposizione citata ha escluso la possibilità di derogare alla «disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana di cui al Capo II della legge della Regione Liguria 29 novembre 2018, n. 23 (Disposizioni per la rigenerazione urbana e il recupero del territorio agricolo)».

4.3.2.– Lo ius superveniens non varrebbe, tuttavia, a porre rimedio ai vizi di illegittimità costituzionale censurati con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020 e alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto «con i princìpi fondamentali dettati dallo Stato nella materia del governo del territorio».

4.4.– In primo luogo, occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla parte resistente.

4.4.1.– Secondo la difesa della Regione Liguria, le questioni sarebbero inammissibili, in quanto non sarebbe pertinente il richiamo all’istituto del permesso di costruire in deroga.

4.4.2.– L’eccezione non è fondata.

Il motivo di ricorso è avvalorato da un’argomentazione sufficiente a superare il vaglio di ammissibilità. Se sia o meno appropriato il riferimento al permesso di costruire in deroga, è profilo che attiene al merito delle questioni.

Non vi sono, dunque, ostacoli all’esame del merito.

4.5.– Le questioni, promosse con riguardo all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella introdotta dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, oggi vigente, non sono fondate, nei termini di séguito indicati.

4.5.1.– Le censure si appuntano sulla deroga ai vigenti strumenti e piani urbanistici comunali, deroga che l’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020 ha inteso delimitare, escludendo dal suo campo applicativo la disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana.

Nella prospettiva del ricorrente, tale deroga, pur così circoscritta, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e, in particolare, con i princìpi fondamentali espressi nella materia del governo del territorio dall’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.

La normativa interposta è stata modificata dall’art. 10 del d.l. n. 76 del 2020, come convertito.

Con riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia, l’art. 14, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione introdotta dall’art. 10, comma 1, lettera f), numero 1), del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, ammette la richiesta di permesso di costruire previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesti l’interesse pubblico e circoscrive quest’ultimo «alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento». Nel caso di insediamenti commerciali, permane la necessità di rispettare le disposizioni dell’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito.

Quanto all’art. 14, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, che definisce l’ampiezza della deroga, l’art. 10, comma 1, lettera f), numero 2), del d.l. n. 76 del 2020 puntualizza che la deroga può riguardare le destinazioni d’uso, sempre che tali destinazioni siano ammissibili.

Le richiamate modificazioni della normativa interposta non mutano i termini delle questioni, che si incentrano sull’inosservanza dei presupposti di legittimità del permesso di costruire in deroga.

4.5.2.– La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che il regime dei titoli abilitativi per le categorie dei vari interventi edilizi costituisce principio fondamentale della materia di legislazione concorrente «governo del territorio» e vincola così la legislazione regionale di dettaglio (fra le molte, sentenze n. 54 del 2021, punto 4.1. del Considerato in diritto, n. 2 del 2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto, e n. 68 del 2018, punto 10.1. del Considerato in diritto).

La disciplina impugnata, tuttavia, non ha introdotto una deroga non consentita al regime statale dei titoli abilitativi e non ha delineato – come nella fattispecie scrutinata da questa Corte nella sentenza n. 282 del 2016 ­– una peculiare tipologia di permesso di costruire in deroga, svincolata dal preventivo vaglio del Consiglio comunale e volta a legittimare qualsiasi difformità.

La disposizione in esame ha il fine precipuo di definire il campo di applicazione degli interventi di riutilizzo dei locali accessori e delle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e degli immobili non utilizzati, anche diruti, e concerne i profili eminentemente urbanistici degli interventi, senza alterare il regime dei titoli abilitativi.

Le deroghe alla pianificazione comunale devono essere inquadrate nella finalità sottesa alla disciplina impugnata, che si prefigge di «incentivare il riuso del patrimonio edilizio esistente e ridurre il consumo di suolo, incentivare l’inserimento di funzioni per lo sviluppo economico dei territori montani, di retro-costa e urbani interni, nonché favorire l’installazione di impianti tecnologici di contenimento dei consumi energetici e delle emissioni in atmosfera» (art. 1, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019). Tale finalità fonda e al tempo stesso delimita la deroga prevista e impone di intenderla in modo coerente con gli obiettivi perseguiti dal legislatore ligure, senza estenderne la portata ad aspetti estranei all’intervento riformatore, come quelli concernenti la disciplina dei titoli abilitativi.

È in tale contesto che la legge regionale, «fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali» (sentenza n. 245 del 2018, punto 9.1. del Considerato in diritto e, nello stesso senso, sentenza n. 179 del 2019, punto 12.4. del Considerato in diritto), statuisce una deroga alla pianificazione comunale, senza stravolgere il regime dei titoli abilitativi, che si sostanzia in un principio fondamentale nella materia «governo del territorio».

Prospettata con riguardo al contrasto con la disciplina del permesso di costruire in deroga, la censura si rivela dunque non fondata, nei termini sopra indicati.

5.– Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020 sono impugnati gli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

5.1.– L’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 è impugnato in quanto, nel disciplinare gli interventi di riutilizzo di vani accessori, pertinenze, immobili non utilizzati, non sancisce alcuna clausola di salvaguardia «a favore del Codice dei beni culturali e del paesaggio».

Quanto all’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, le censure vertono sul fatto che tale disciplina affidi soltanto ai Comuni, in relazione a specifiche esigenze di tutela paesaggistica e soltanto nelle fattispecie tassativamente indicate (il riutilizzo per l’uso residenziale di locali accessori e pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati e contigui alla strada pubblica), «la limitazione dell’ambito di applicazione della disciplina introdotta dalla stessa legge, senza parimenti escludere dall’ambito applicativo della legge i beni sottoposti a tutela ai sensi della Parte II [del codice] dei beni culturali e del paesaggio».

5.2.– Le censure muovono dal presupposto che le leggi regionali impugnate, nel promuovere gli interventi di riutilizzo di un gran numero di «fabbricati, anche vetusti, disseminati su tutto il territorio regionale», riguardino anche gli «immobili di interesse culturale e paesaggistico, sottoposti a tutela ai sensi della Parte II e della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».

Sarebbe consentito, in particolare, il generale riutilizzo di «immobili potenzialmente, per la loro vetustà, di interesse culturale» e «di immobili, anche sottoposti a vincolo paesaggistico», senza la «previa introduzione di un’apposita disciplina d’uso […] elaborata d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi degli articoli 135, comma 1, e 143, comma 2, del Codice di settore».

Ne deriverebbe il «sostanziale svuotamento della funzione propria del piano paesaggistico», chiamato a dettare, per ogni area tutelata, «i criteri di gestione del vincolo» e a individuare le «trasformazioni compatibili» e «quelle vietate». Sarebbe compromessa, inoltre, l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, peraltro oggetto di un obbligo di elaborazione congiunta con riferimento ai beni vincolati.

Alla luce di tali premesse, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), poiché sarebbe lesa «la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio», rispetto alla quale «le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte».

La disciplina impugnata, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 9 Cost., che sancisce «il principio fondamentale della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione» e «pone la tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto», in quanto gli interventi che incentiva arrecherebbero un «potenziale pregiudizio ai beni tutelati».

5.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri censura la disciplina dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.

5.3.1.– Lo ius superveniens ha sancito l’inderogabilità della disciplina regionale relativa agli ambiti di rigenerazione urbana.

5.3.2.– Pur modificata in senso restrittivo, la disposizione impugnata presenterebbe i medesimi vizi di incostituzionalità già denunciati con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020.

Essa violerebbe gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riservano rispettivamente allo Stato la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico e la connessa potestà legislativa esclusiva.

5.4.– Occorre esaminare, in via prioritaria, la questione di legittimità costituzionale relativa alla violazione del riparto di competenze tra Stato e Regioni, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Con riguardo sia all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, oggi vigente, sia all’art. 4, commi 1 e 2, della medesima legge regionale, la questione non è fondata, nei termini di séguito indicati.

5.4.1.– Il ricorrente ritiene che entrambe le disposizioni impugnate deroghino alle previsioni di tutela delineate dal d.lgs. n. 42 del 2004 in tema di beni culturali e paesaggistici.

Gli interventi di riutilizzo incentivati dal legislatore regionale riguarderebbero – senza eccezioni di sorta – anche immobili di interesse culturale e paesaggistico e così vanificherebbero, in particolare, l’impronta unitaria della relativa pianificazione e il vincolo della elaborazione congiunta del Piano paesaggistico tra lo Stato e le Regioni.

La violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» è dedotta sotto questo specifico profilo ed è avvalorata dal puntuale richiamo alla "normativa interposta” del Codice di settore in tema di beni culturali (artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 42 del 2004) e di beni paesaggistici (artt. 135, 143 e 145 del medesimo decreto legislativo).

5.4.2.– Questa Corte, anche di recente, ha ribadito che «[a]ffinché sia preservato il valore unitario e prevalente della tutela paesaggistica (sul quale, fra le molte, sentenze n. 11 del 2016, n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014), deve […] essere salvaguardata la complessiva efficacia del Piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali (sentenza n. 182 del 2006)» (sentenza n. 74 del 2021, punto 3.2.2. del Considerato in diritto).

5.4.3.– Il ricorrente muove dall’assunto che l’omesso richiamo delle previsioni di tutela del codice di settore equivalga a una deroga, con la conseguente violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato.

A tale assunto si contrappongono argomenti di ordine testuale e sistematico.

5.4.3.1.– Il legislatore regionale ha inteso derogare ex professo alla sola disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali e a quella fissata dal vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale.

A fronte di un’indicazione espressa, che circoscrive l’ambito applicativo delle deroghe, non si può attribuire al mancato richiamo delle prescrizioni del codice di settore la portata di una deroga indiscriminata, che esula dalle specifiche finalità della normativa regionale e contraddice la forza imperativa della disciplina statale, ribadita anche dal legislatore ligure con riguardo ai beni culturali (art. 34 della legge della Regione Liguria 31 ottobre 2006, n. 33, recante «Testo unico in materia di cultura») e a quelli paesaggistici (art. 1, comma 2, della legge della Regione Liguria 6 giugno 2014, n. 13, recante «Testo unico della normativa regionale in materia di paesaggio»).

Alla luce di tali elementi, il silenzio del legislatore regionale non consente di affermare, come fa il ricorrente, che vi sia una deroga generalizzata.

5.4.3.2.– Gli interventi edilizi di recupero di locali accessori, pertinenze e immobili non utilizzati devono essere realizzati nel rispetto delle prescrizioni sui beni culturali e dei vincoli posti dal Piano paesaggistico in corso di elaborazione. Tale disciplina mantiene intatta la sua forza precettiva, in difetto di esplicite indicazioni di segno contrario, tanto più necessarie in ragione di fondamentali esigenze di certezza e del rango primario degli interessi coinvolti.

La normativa regionale, pertanto, deve essere interpretata in termini compatibili con il dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell’ambiente e del paesaggio, come questa Corte ha affermato anche di recente con riguardo a una disciplina veneta finalizzata al recupero dei sottotetti (sentenza n. 54 del 2021, punto 3.2. del Considerato in diritto).

Così intesa, la disciplina impugnata non pregiudica l’unitarietà e la vincolatività della pianificazione paesaggistica, né mette a repentaglio l’obbligatorietà dell’elaborazione congiunta del Piano paesaggistico.

5.4.4.– Le medesime considerazioni privano di fondamento anche le censure relative all’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, che attribuisce ai Comuni il potere di individuare, entro la data del 30 aprile 2020, «limitatamente al riutilizzo di locali contigui alla strada pubblica» parti del territorio escluse dall’applicazione della normativa sul recupero di locali accessori e pertinenze, in funzione di «specifiche esigenze di tutela paesaggistica o igienico-sanitaria e nel rispetto della disciplina dei piani di bacino e dei piani dei parchi» o anche in presenza di «fenomeni di risalita della falda».

Tale normativa non demanda ai Comuni il potere di individuare i beni oggetto di tutela, in un contesto di deroga generalizzata alle previsioni del d.lgs. n. 42 del 2004, sia con riguardo ai beni culturali, sia con riguardo ai beni paesaggistici. La forza cogente di tali disposizioni rimane intatta e i Comuni – in un’ottica di più elevata tutela e in relazione a esigenze specifiche, tassativamente indicate e connesse agli interessi affidati alla cura degli enti territoriali – possono individuare porzioni del territorio in cui la legge in esame non trova applicazione.

Per le medesime ragioni, non risulta violato l’art. 9 Cost.

5.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 è invece fondata per violazione dell’art. 9 Cost. con riferimento a un ulteriore e autonomo precetto contenuto nella disposizione impugnata, che deroga «alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge regionale 22 agosto 1984, n. 39 (Disciplina dei piani territoriali di coordinamento) e successive modificazioni e integrazioni».

5.5.1.– L’art. 9 Cost. sancisce il principio fondamentale della tutela del paesaggio, che assurge a valore primario e assoluto e investe i contenuti ambientali e culturali connessi alla «morfologia del territorio», dunque all’«ambiente nel suo aspetto visivo» (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1. del Considerato in diritto).

La disposizione impugnata entra in conflitto con tale principio fondamentale, nella parte in cui consente la realizzazione degli interventi di riutilizzo di locali accessori e pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili non utilizzati, anche diruti, in deroga alla disciplina del Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale.

5.5.2.– Per la disamina del merito della questione, è necessario inquadrare tale piano nell’evoluzione normativa che ha caratterizzato la pianificazione regionale con riguardo alla tutela dell’ambiente e del paesaggio.

In base alla legge reg. Liguria n. 39 del 1984, la Regione provvede alla «formazione di piani territoriali di coordinamento in coerenza con gli indirizzi della programmazione regionale e di un quadro unitario di pianificazione», allo scopo di disciplinare, coordinare e orientare le attività di trasformazione del territorio, considerate nel loro complesso o con riguardo a specifici settori di intervento (art. 1).

I piani territoriali di coordinamento provvedono a indicare anche i termini di destinazione d’uso, l’organizzazione spaziale dei sistemi insediativi e infrastrutturali nonché gli interventi a protezione dell’ambiente in relazione alla potenzialità d’uso delle risorse territoriali e ai loro valori storico-culturali (art. 2, primo comma).

Tra i possibili contenuti dei piani territoriali di coordinamento, il legislatore regionale enumera: «a) l’individuazione e/o il coordinamento dei più rilevanti interventi infrastrutturali; b) la definizione dei sistemi delle attrezzature per servizi di livello sovracomunali e degli impianti speciali, sotto il profilo della loro organizzazione territoriale ed eventualmente della localizzazione; c) la disciplina dei modi e delle forme di utilizzazione del patrimonio ambientale nelle sue diverse espressioni insediativa, ecologica, naturalistica, paesistica, archeologica e storico-artistica, ai fini della sua conoscenza sistematica, valorizzazione e tutela; d) l’indicazione degli interventi preordinati alla difesa del suolo nonché alla salvaguardia ed utilizzazione delle risorse idriche, con particolare riguardo alle opere di sistemazione idraulica, idraulico-forestale ed idraulico-agraria; e) la definizione degli assetti costieri nei diversi rapporti strutturali e funzionali corrispettivi territori retrostanti; f) l’indicazione in termini qualitativi e quantitativi delle direttrici di sviluppo residenziale, produttivo, commerciale, turistico ed agricolo; g) l’individuazione di zone idonee anche sotto il profilo dell’impatto ambientale alla concentrazione di insediamenti produttivi, entro le quali delimitare le aree ad esso destinate, nonché l’indicazione del relativo dimensionamento» (art. 2, secondo comma, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984).

Il Piano territoriale di coordinamento, per l’ambito territoriale e per i settori di intervento ai quali si riferisce, costituisce, tra l’altro, sede di coordinamento «dei piani relativi alla tutela diretta dell’ambiente, quali il piano di risanamento delle acque di cui all’articolo 4 della legge 10 giugno 1976, n. 319 e il piano di risanamento per il miglioramento della qualità dell’aria adottato in conseguenza del provvedimento di cui all’articolo 4, ultimo comma della legge 23 dicembre 1978, n. 833» (art. 3, primo comma, lettera c, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984).

I piani territoriali di coordinamento sono sovraordinati agli strumenti urbanistici comunali (art. 5, primo comma, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984).

Il Piano territoriale di coordinamento paesistico coniuga le funzioni di disciplina urbanistica con quelle di tutela dei valori paesistici ed ambientali ed è riconducibile, pertanto, alla categoria dei piani tematici, che adempiono a una funzione più complessa di quella di coordinamento dell’assetto urbanistico regionale, caratteristica dei piani territoriali.

Tale piano incide non solo sulla regolamentazione urbanistica di ordine generale, con efficacia vincolante verso i Comuni, ma può contenere, altresì, la puntuale indicazione di vincoli e prescrizioni volti alla tutela del paesaggio e dell’ambiente e provvisti di forza cogente anche verso i privati proprietari. La molteplicità degli interessi coinvolti dalla pianificazione si riflette nella complessità delle funzioni, che non si esauriscono nel vincolo di direttiva verso il Comune (Consiglio di Stato, sezione quarta, decisione 26 settembre 2001, n. 5038).

Nella legislazione ligure il sistema della pianificazione paesaggistica ha registrato un’evoluzione continua, culminata nella transizione, non ancora compiuta, verso il Piano paesaggistico.

L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Liguria 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale) definisce le funzioni della pianificazione territoriale di livello regionale, deputata a fornire «il quadro generale di riferimento per le scelte pianificatorie ai diversi livelli relativamente alle componenti paesistica, ambientale, insediativa ed infrastrutturale, in coerenza con gli obiettivi ed i contenuti della programmazione economica-sociale regionale».

L’art. 3, comma 2, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella formulazione modificata dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Liguria 18 novembre 2016, n. 29, recante «Prime disposizioni in materia urbanistica e di attività edilizia in attuazione della legge regionale 16 febbraio 2016, n. 1 (Legge sulla crescita)», individua gli strumenti della pianificazione territoriale regionale nel Piano territoriale regionale (PTR) e nel Piano paesaggistico.

L’art. 3, comma 3-bis, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, aggiunto dall’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016 e poi modificato dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Liguria 7 agosto 2018, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale) e altre disposizioni di adeguamento in materia di governo del territorio», attribuisce al Piano paesaggistico «i contenuti e gli effetti previsti negli articoli 135, 143 e 145 del d.lgs. n. 42/2004 e successive modificazioni e integrazioni» e ne stabilisce la predisposizione «con modalità di elaborazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali e secondo le procedure previste dall’articolo 14-bis».

L’art. 68, comma 1, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 regola la fase transitoria e dispone che, fino all’approvazione del Piano paesaggistico, operino le previsioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico approvato con deliberazione del Consiglio regionale del 26 febbraio 1990, n. 6, «limitatamente all’assetto insediativo del livello locale, con le relative norme di attuazione in quanto applicabili».

Nella memoria di costituzione depositata nel giudizio introdotto dal ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, la Regione Liguria evidenzia che il Piano territoriale di coordinamento paesistico rappresenta «l’atto di pianificazione preordinato alla tutela paesaggistica» nelle more dell’approvazione del Piano paesaggistico, che è «in corso di elaborazione congiunta».

5.5.3.– Il ricorrente argomenta che l’impugnato art. 3 «mantiene salva solo una parte del PTRC regionale» e pone l’accento sul fatto che – nell’attesa dell’approvazione del Piano paesaggistico, in corso di elaborazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali – una deroga strutturata in termini generali possa recare pregiudizio ai valori tutelati dall’art. 9 Cost.

Tali argomenti colgono nel segno.

La disposizione impugnata sancisce una deroga di particolare ampiezza al Piano territoriale di coordinamento paesistico, preordinato a tutelare il paesaggio e l’ambiente e destinato a trovare applicazione – come la stessa difesa regionale riconosce – fino all’approvazione definitiva del Piano paesaggistico.

A fronte di una deroga di tale latitudine, che peraltro si affianca alla deroga alla pianificazione comunale, non esclude l’illegittimità costituzionale il fatto che sia inderogabile la sola «disciplina dell’Assetto Insediativo di Livello Locale del Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale relativamente ai regimi normativi "PU” (parchi urbani) e "ANI-CE” (aree non insediate – conservazione)». Si tratta di un aspetto di dettaglio, che non attenua la portata lesiva della deroga disposta in via generale dalla normativa regionale.

Neppure si può ritenere sufficiente che sia fatta salva la disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana o che l’art. 1 della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 escluda dall’ambito applicativo della disciplina gli edifici rurali di valore testimoniale (comma 4) e prescriva l’osservanza dei vigenti piani di bacino e dei piani dei parchi (comma 5).

Non basta a tutelare i valori affermati dall’art. 9 Cost. l’attribuzione ai Comuni del potere di individuare le aree escluse dall’ambito applicativo della nuova disciplina regionale (art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019).

Nelle more dell’approvazione del Piano paesaggistico e per un arco temporale che non è possibile predeterminare con certezza, il legislatore regionale deroga alle previsioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico, che si ispira al medesimo metodo della pianificazione, in quanto funzionale alla salvaguardia più ampia ed efficace dell’ambiente e del paesaggio e dei molteplici interessi di risalto costituzionale che convergono nella tutela riconosciuta dall’art. 9 Cost.

Proprio la mancanza di un Piano paesaggistico avrebbe imposto in modo più stringente la salvaguardia delle prescrizioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico, caratterizzato da un’analoga vocazione di tutela, riconosciuta dal legislatore ligure (art. 68 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997) e dalle difese della stessa parte resistente.

La deroga censurata, nel consentire singoli e frammentari interventi di riutilizzo al di fuori del contesto delineato dal Piano territoriale di coordinamento paesistico, collide con il valore primario del paesaggio e dell’ambiente e frustra le esigenze di tutela organica e unitaria, immanenti al sistema, pur variamente declinato, della pianificazione.

5.5.4.– Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 9 Cost., dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nel testo originario e in quello modificato dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, nella parte in cui dispone che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati, anche diruti, sia ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge reg. Liguria n. 39 del 1984.

6.– Con il quarto motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020, è impugnato, in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., l’art. 3, commi 2, secondo periodo, e 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

6.1.– L’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge regionale citata stabilisce che l’altezza interna dei locali destinati alla permanenza di persone non possa essere inferiore a 2,40 metri.

Quanto all’art. 3, comma 3, prevede che il rispetto dei parametri di aeroilluminazione e dell’altezza minima interna sia assicurato anche mediante opere edilizie che interessano i prospetti del fabbricato oppure mediante l’installazione di impianti e di attrezzature tecnologiche.

6.2.– Il ricorrente lamenta che tali disposizioni contrastino con quanto prescrive il decreto ministeriale 5 luglio 1975 (Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione) con riguardo alle altezze minime interne (art. 1) e ai requisiti di aeroilluminazione (art. 5).

Il citato decreto ministeriale fissa in 2,70 metri l’altezza minima interna utile dei locali destinati ad abitazione e consente di ridurre tale altezza a 2,40 metri «per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli». Operano regole peculiari per i Comuni montani posti al di sopra dei mille metri sul livello del mare e per gli edifici situati nell’ambito delle comunità montane, sottoposti a interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie.

La disciplina delle altezze minime dei locali di abitazione è stata integrata dal decreto interministeriale 26 giugno 2015 (Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici), che, all’Allegato 1, punto 2.3. «Prescrizioni», numero 4, consente di derogarle fino a un massimo di dieci centimetri, nel caso di installazione di impianti termici dotati di pannelli radianti a pavimento o a soffitto e nel caso di intervento di isolamento dall’interno.

Quanto ai requisiti di aeroilluminazione, è l’art. 5 del d.m. 5 luglio 1975 a imporre per tutti i locali degli alloggi, a eccezione di quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli, una «illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso», e a regolare l’ampiezza della finestra e la superficie finestrata apribile.

Il ricorrente sostiene che le disposizioni riguardanti l’altezza minima e i requisiti di aeroilluminazione, pur contenute in una fonte regolamentare, rappresentino diretta attuazione degli artt. 218, 344 e 345 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) e si configurino come «limiti invalicabili nel rilascio dell’abitabilità», proprio perché sono improntate a finalità di «tutela della salute e sicurezza degli ambienti».

Poste tali premesse, il ricorrente ravvisa la violazione dell’art. 32 Cost., «per contrasto con i parametri interposti rappresentati dalle citate disposizioni del D.M. 5 luglio 1975» e dell’art. 117, terzo comma, Cost., sul presupposto che le disposizioni impugnate travalichino «il limite dei principi fondamentali dettati dallo Stato a tutela della salute e del governo del territorio».

6.3.– Occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla Regione Liguria.

6.3.1.– Ad avviso della parte resistente, le questioni sarebbero inammissibili.

La normativa statale invocata dalla parte ricorrente non sarebbe idonea, in quanto contenuta in una fonte regolamentare, «a supportare la dedotta violazione dell’assetto delle competenze legislative come delineato dalla Costituzione».

Né si potrebbe sostenere che le previsioni regolamentari rappresentino diretta attuazione degli artt. 218, 344 e 345 del r.d. n. 1265 del 1934.

Quanto agli artt. 218 e 344 del r.d. n. 1265 del 1934, essi si limiterebbero, rispettivamente, a individuare le materie dei regolamenti di igiene e sanità e a disciplinare la procedura per l’approvazione di tali regolamenti.

L’art. 345 del r.d. n. 1265 del 1934, d’altro canto, pur imponendo la conformità dei regolamenti citati alle disposizioni ministeriali, attribuirebbe a tali disposizioni il rango di «mere istruzioni di massima», inidonee, in quanto tali, a enunciare «principi fondamentali, inderogabili da parte delle Regioni nell’esercizio della potestà legislativa concorrente».

Peraltro, le disposizioni regolamentari potrebbero vincolare le Regioni, soltanto quando siano dettate dallo Stato nelle materie in cui lo stesso è titolare di competenza legislativa esclusiva.

Il vaglio di conformità all’art. 32 Cost. potrebbe riguardare soltanto la normativa in concreto adottata dal legislatore regionale.

Inammissibile sarebbe l’impugnazione dell’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 30 del 2019, in quanto carente di ogni supporto argomentativo in merito ai profili di contrasto con i parametri costituzionali invocati.

6.3.2.– Le eccezioni preliminari non meritano di essere accolte.

6.3.2.1.– Questa Corte ha affermato di recente, nel respingere analoga eccezione di inammissibilità (sentenza n. 54 del 2021, punto 2.1. del Considerato in diritto), che gli atti statali di normazione secondaria possono vincolare la normativa regionale di dettaglio nelle materie di competenza legislativa concorrente, quando definiscano e specifichino, in un ambito contraddistinto da un rilevante coefficiente tecnico, il precetto posto dalla normativa primaria e formino così una unità inscindibile con le previsioni di tale normativa.

Le prescrizioni del d.m. 5 luglio 1975, come integrate dal d.m. 26 giugno 2015 con specifico riguardo alle altezze interne, presentano una evidente natura tecnica. Adottate previo parere del Consiglio superiore di sanità, esse fanno corpo unico con quanto sancisce l’art. 218 del r.d. n. 1265 del 1934, che demanda al Ministro competente il potere di emanare «le istruzioni di massima», affinché i «regolamenti locali di igiene e sanità» assicurino, tra l’altro, «che nelle abitazioni: a) non vi sia difetto di aria e di luce».

Legate da un nesso evidente alla normativa primaria e chiamate a specificarne sul versante tecnico i precetti generali, le previsioni contenute nella fonte regolamentare sono idonee a esprimere princìpi fondamentali, vincolanti per la normativa di dettaglio adottata dalla Regione Liguria.

6.3.2.2.– Sorretta da adeguata motivazione, e pertanto ammissibile, è anche la censura di violazione dell’art. 32 Cost. Il ricorrente argomenta che la normativa regolamentare mira a salvaguardare la salubrità e l’abitabilità degli ambienti ed è dunque inscindibilmente connessa con l’attuazione dell’art. 32 Cost.

6.3.2.3.– Ammissibile è anche il motivo di ricorso riguardante l’art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, previsione che si correla all’impugnato art. 3, comma 2, della medesima legge regionale e disciplina le modalità con le quali si può assicurare il rispetto dei parametri di aeroilluminazione e di altezza minima interna.

Dal punto di vista del ricorrente, tali parametri si discosterebbero dalle prescrizioni della normativa statale e, pertanto, anche la normativa sulle modalità utili ad assicurarne il rispetto sarebbe affetta dai medesimi vizi di illegittimità costituzionale.

6.4.– La questione, promossa con riguardo all’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, è fondata.

6.4.1.– Le previsioni in tema di altezze interne degli edifici, dettate dal d.m. 5 luglio 1975, si prefiggono di salvaguardare le condizioni di abitabilità e di agibilità degli edifici e rappresentano diretta attuazione delle prescrizioni stabilite dal r.d. n. 1265 del 1934, fonte normativa di rango primario (Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 23 dicembre 2020, n. 8289). La norma secondaria attua e specifica l’imperativo contenuto nella norma primaria e ne definisce il contenuto minimo inderogabile, dal quale la verifica dell’abitabilità non può prescindere (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 26 marzo 2021, n. 2575).

L’inderogabilità dei requisiti di altezza minima, ribadita da questa Corte (sentenza n. 256 del 1996) nello scrutinio della disciplina del condono (art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, recante «Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie»), risponde a esigenze di tutela della salubrità degli ambienti e della salute delle persone che vi dimorano.

Le prescrizioni riguardanti l’altezza interna degli edifici, al pari dei parametri di aeroilluminazione, perseguono l’essenziale finalità di conformare l’attività edilizia e, in tale ambito, apprestano misure volte anche a garantire il diritto alla salute nel contesto dell’abitazione, spazio di importanza vitale nell’esistenza di ogni persona. Tali prescrizioni si configurano, pertanto, come princìpi fondamentali nella materia «governo del territorio», vincolanti per la legislazione regionale di dettaglio.

6.4.2.– Nel fissare requisiti di altezza interna inferiori a quelli prescritti dalla fonte statale, la normativa regionale si pone in contrasto con il richiamato principio fondamentale.

6.4.2.1.– Non serve invocare – come fa la parte resistente – la circostanza che altre leggi regionali che hanno fissato requisiti analoghi non siano state impugnate. Tale circostanza è ininfluente e non offre argomenti decisivi a sostegno dell’infondatezza delle questioni promosse.

6.4.2.2.– Non inducono a diverse conclusioni le affermazioni della sentenza di questa Corte n. 245 del 2018, richiamata a più riprese dalla Regione Liguria negli scritti difensivi.

Tale pronuncia non ha analizzato il tema della compatibilità delle previsioni della legge della Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni) con la normativa inderogabile posta dal d.m. 5 luglio 1975.

La legge abruzzese, finalizzata a promuovere il recupero di vani e locali accessori e di vani e locali seminterrati, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e del contenimento del consumo di suolo, è stata scrutinata da questa Corte in riferimento a diversi profili, attinenti, in particolare, alla normativa di principio del testo unico dell’edilizia, che assegna ai Comuni la disciplina dell’attività edilizia (art. 2), attribuisce ai Comuni la potestà pianificatoria urbanistica (artt. 4 e 7) e individua l’attività edilizia realizzabile in assenza degli strumenti urbanistici (art. 9).

6.4.2.3.– Quanto alla sentenza di questa Corte n. 54 del 2021, menzionata dalla difesa regionale nel corso della discussione all’udienza pubblica, essa si confronta espressamente con le prescrizioni del d.m. 5 luglio 1975, per affermarne l’inapplicabilità alla speciale normativa in tema di sottotetti.

La pronuncia ricordata, tuttavia, non collima con la fattispecie oggi sottoposta al vaglio di questa Corte.

La ratio decidendi della sentenza citata si fonda sulla «peculiare morfologia» dei sottotetti e non può essere estesa all’eterogenea categoria degli immobili disciplinati dalla disposizione impugnata. Quest’ultima include locali accessori e pertinenze e, per tale vasta gamma di immobili, che non risultano accomunati da caratteristiche e morfologie peculiari, di per sé incompatibili per la loro conformazione con l’osservanza integrale dei limiti di altezza interna, non può che imporsi la forza cogente delle disposizioni invocate come parametro interposto.

Dettate a salvaguardia della salubrità degli ambienti e della salute di chi li abita e calibrate anche sulla specificità dei diversi locali abitativi e del contesto in cui sorgono, tali disposizioni rispondono a scelte statali, che non possono essere vanificate dalla disciplina regionale di dettaglio.

6.4.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

Restano assorbite le censure di violazione degli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo evocato con riferimento al contrasto con i princìpi fondamentali nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute».

6.4.4.– Non sono, per contro, fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

6.4.4.1.– Quanto all’altezza minima interna, la previsione che impone di assicurarne il rispetto anche con opere edilizie che possono interessare i prospetti del fabbricato o mediante l’installazione di impianti e attrezzature tecnologiche deve ora essere letta alla luce dell’appena pronunciata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

I requisiti di altezza interna sono ora quelli imposti dalla normativa statale, illegittimamente derogati dalla disciplina regionale dichiarata costituzionalmente illegittima. Pertanto, non si ravvisa il denunciato contrasto e la questione non è fondata.

6.4.4.2.– Anche la questione concernente i parametri di aeroilluminazione non è fondata.

Il legislatore regionale non deroga all’art. 5 del d.m. 5 luglio 1975. Tale previsione, richiamata dal ricorrente, impone per tutti i locali degli alloggi una illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso e detta anche una disciplina di dettaglio sull’ampiezza delle finestre e sul fattore luce diurna da garantire.

Non sussiste, pertanto, il contrasto con la normativa statale di principio che il ricorrente ha censurato.

Da tali rilievi discende la non fondatezza delle questioni promosse.

7.– Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente impugna, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, poi censurato, con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, nella formulazione modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.

7.1.– Nell’originaria formulazione la disposizione impugnata stabilisce che la legge regionale si applichi «agli immobili esistenti o per la cui costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento richiesto alla data di approvazione della delibera del Consiglio comunale di cui al comma 1».

Si tratta della delibera con cui il Consiglio comunale, «limitatamente al riutilizzo di locali contigui alla strada pubblica», può individuare «parti del proprio territorio nelle quali non trovano applicazione le disposizioni» della legge in esame, riguardanti il «riutilizzo per l’uso residenziale dei locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati», e può altresì determinare «specifici ambiti del territorio comunale nei quali, in presenza di fenomeni di risalita della falda, è esclusa la possibilità di riutilizzo dei locali accessori e delle pertinenze di un fabbricato collocate in piani seminterrati».

Le previsioni della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 si applicano agli immobili realizzati successivamente, decorsi cinque anni dall’ultimazione dei lavori.

7.2.– Il motivo di ricorso verte sull’asserita applicazione retroattiva delle deroghe previste dalla legge regionale «ad immobili per la cui costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento».

Ad avviso del ricorrente, il «carattere innovativo, con efficacia retroattiva» della previsione censurata «potrebbe rendere legittime condotte che, non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento), lo divengono per effetto dell’intervento successivo del legislatore». Si determinerebbe così la «regolarizzazione ex post di opere che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento».

La previsione retroattiva dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 sarebbe sprovvista di «un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza» e lederebbe in maniera arbitraria «l’affidamento che la collettività ripone nella sicurezza giuridica», meritevole di particolare tutela «[n]ella specifica materia urbanistica».

Alla luce di tali rilievi, il ricorrente prospetta il contrasto con il principio di ragionevolezza enunciato dall’art. 3 Cost.

7.3.– Il medesimo contrasto è denunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, con riguardo all’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.

La disposizione impugnata, nella versione oggi vigente, prevede l’applicazione della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 «ai locali, alle pertinenze e agli immobili, come definiti all’articolo 1, esistenti alla data della sua entrata in vigore o per la cui costruzione sia stato conseguito il titolo abilitativo edilizio prima della data di approvazione della deliberazione del Consiglio comunale di cui al comma 1».

Le modifiche apportate dalla legge reg. Liguria n. 1 del 2020 hanno soppresso il richiamo all’approvazione del programma integrato di intervento.

7.4.– Il ricorrente evidenzia che l’eliminazione del richiamo al programma integrato di intervento non sana i vizi di illegittimità costituzionale dedotti con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020.

Difatti, la portata derogatoria della disciplina sarebbe pur sempre «estesa con valenza retroattiva agli immobili già abilitati» e sacrificherebbe in modo arbitrario l’affidamento «dei controinteressati che si sono determinati sulla base dell’assetto normativo previgente».

7.5.– Le questioni, promosse con riguardo alla versione originaria e a quella oggi vigente dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, possono essere esaminate in una prospettiva unitaria, poiché identiche sono le argomentazioni addotte dal ricorrente e dalla Regione Liguria e identiche sono le censure.

7.6.– Occorre, in primo luogo, esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla Regione Liguria.

7.6.1.– Con riguardo all’originaria formulazione dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, impugnata con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, la parte resistente ha eccepito l’improcedibilità delle censure. La disposizione sarebbe stata tempestivamente modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020 e, pertanto, si potrebbe escludere, con ogni verosimiglianza, che nel frattempo essa abbia ricevuto concreta applicazione.

Da tali considerazioni si potrebbe evincere, nella prospettiva della parte resistente, il sopravvenuto venir meno dell’interesse al ricorso.

7.6.2.– L’eccezione non può essere accolta.

L’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nell’originaria versione, che includeva anche il richiamo al programma integrato di intervento, è entrato in vigore il 15 gennaio 2020. La legge regionale, difatti, è stata pubblicata il 31 dicembre 2019 sul Bollettino Ufficiale della Regione, n. 19, parte prima, e, in difetto di disposizioni di segno diverso, è entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione, in base alle previsioni dell’art. 49, comma 2, della legge statutaria 3 maggio 2005, n. 1, recante «Statuto della Regione Liguria».

Quanto alla legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che ha modificato la disposizione previgente e ha abrogato la previsione riguardante il programma integrato di intervento, è stata pubblicata il 12 febbraio 2020 sul Bollettino Ufficiale della Regione, n. 1, parte prima, ed è dunque entrata in vigore il 27 febbraio 2020, quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione.

La vigenza della norma per un apprezzabile arco di tempo – dal 15 gennaio 2020 al 27 febbraio 2020 – non avvalora la sua mancata applicazione. Peraltro, nel regolare l’ambito di applicazione della nuova normativa, le previsioni impugnate producono effetti immediati e la parte resistente non ha allegato elementi circostanziati a sostegno della mancata applicazione nel periodo, non trascurabile, di vigenza.

Né tale sopravvenuta carenza di interesse si può desumere in maniera univoca dal contegno della parte ricorrente, che ha mostrato di coltivare l’impugnazione anche con riguardo all’originaria formulazione dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

7.6.3.– Con riguardo alla vigente formulazione della disposizione impugnata, la parte resistente ha eccepito l’inammissibilità in ragione della genericità delle argomentazioni svolte nel ricorso.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, in particolare, si sarebbe limitato a escludere la natura satisfattiva delle innovazioni e a configurare una lesione dell’affidamento, senza offrire, tuttavia, argomenti persuasivi.

7.6.4.– Neppure tale eccezione può essere accolta.

Il ricorrente ha osservato che le sopravvenienze non hanno inciso sul nucleo precettivo della disposizione impugnata e non hanno posto rimedio al vulnus denunciato, che non risiede nell’inclusione del programma integrato di intervento, ma nella paventata regolarizzazione di abusi preesistenti.

Quanto alla lesione dell’affidamento, la parte ricorrente ha mostrato di evincerla dalla natura retroattiva della disposizione e ha svolto – anche a tale riguardo – un’argomentazione adeguata, che consente di cogliere il senso delle censure.

I rilievi del ricorso non presentano, pertanto, le lacune segnalate dalla difesa regionale a sostegno dell’eccezione di inammissibilità.

7.7.– Le questioni promosse con riguardo all’originaria e all’odierna formulazione della disposizione impugnata non sono fondate.

7.7.1.– Le censure di irragionevolezza, per arbitraria lesione di un affidamento meritevole di tutela, si incentrano sulla premessa che la disposizione impugnata, con la sua valenza retroattiva, regolarizzi gli abusi preesistenti.

7.7.2.– Tale regolarizzazione deve essere esclusa, alla luce del dato letterale della normativa impugnata e delle finalità che la ispirano.

7.7.2.1.– Nel promuovere il riutilizzo – per vari scopi – di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili, anche diruti, non utilizzati da almeno cinque anni, la legge reg. Liguria n. 30 del 2019 pone come requisito imprescindibile la legittima realizzazione o la regolare legittimazione alla data di entrata in vigore della legge (art. 1, comma 3, della legge regionale citata, per i locali accessori e le pertinenze, e comma 4, per gli immobili non utilizzati).

Il legislatore regionale estende, inoltre, le misure di incentivo anche agli immobili per la cui costruzione sia stato già conseguito il titolo abilitativo edilizio – o, nella versione previgente, sia stato approvato il programma integrato di intervento – prima della delibera del Consiglio comunale che individua le aree escluse, per esigenze di particolare tutela, dall’applicazione della legge.

Gli interventi disciplinati dal legislatore regionale riguardano dunque immobili legittimamente assentiti o comunque immobili per i quali si è positivamente concluso il vaglio dell’amministrazione che conduce al rilascio del titolo abilitativo o alla conclusione del programma integrato di intervento.

Alla luce del suo inequivocabile tenore letterale la disposizione impugnata non si risolve, quindi, nella regolarizzazione degli abusi già perpetrati.

7.7.2.2.– Tale asserita regolarizzazione è contraddetta anche dalla considerazione delle finalità perseguite dalla normativa in esame.

Essa si prefigge, all’art. 1, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, di promuovere gli interventi di riutilizzo, «con l’obiettivo di incentivare il riuso del patrimonio edilizio esistente e ridurre il consumo di suolo» e, secondo i princìpi generali (art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile), dispone per l’avvenire e si applica dunque alle opere ancora da realizzare.

Esula dalla finalità di una disciplina così congegnata la regolarizzazione di preesistenti condotte abusive, che non potrebbero essere ricondotte – da un punto di vista sia semantico sia finalistico – agli interventi di riutilizzo che il legislatore regionale intende favorire con misure mirate (negli stessi termini, per una fattispecie e per censure in gran parte analoghe, sentenza n. 118 del 2021, punto 3.2.1. del Considerato in diritto).

7.7.3.– La fattispecie sottoposta all’odierno scrutinio di costituzionalità non può essere assimilata, pertanto, a quella esaminata nella sentenza n. 73 del 2017, che il ricorrente richiama a fondamento delle censure.

Con la pronuncia indicata, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Basilicata 4 marzo 2016, n. 5 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2016), che, dietro lo schermo dell’interpretazione autentica, avevano legittimato retroattivamente interventi difformi dagli strumenti urbanistici vigenti al momento della loro realizzazione, in contrasto con il principio della doppia conformità.

Alle stesse conclusioni questa Corte è giunta nella sentenza n. 70 del 2020, con riguardo all’art. 2 della legge della Regione Puglia 17 dicembre 2018, n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)».

Anche in tale ipotesi la previsione impugnata, nel dichiarato intento di fornire l’interpretazione autentica della disciplina previgente, presentava nondimeno una portata innovativa, tale da rendere irragionevolmente legittime, in virtù della sua efficacia retroattiva, condotte che tali non erano allorché erano state attuate. Per questa via, il legislatore regionale aveva introdotto in maniera surrettizia una sanatoria, in contrasto con il principio fondamentale della doppia conformità.

La disposizione impugnata nell’odierno giudizio, per contro, si applica agli interventi di riutilizzo successivi alla sua entrata in vigore, a condizione che riguardino immobili legittimamente realizzati o che sia stata vagliata la conformità alla normativa edilizia, con il rilascio del titolo abilitativo o l’approvazione del programma integrato di intervento.

Essa delimita in senso restrittivo i presupposti degli interventi di riutilizzo che intende promuovere, senza introdurre alcuna sanatoria extra ordinem delle irregolarità preesistenti.

8.– Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri censura, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), l’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che ha sostituito l’art. 12, comma 2, della legge della Regione Liguria 5 aprile 2012, n. 10 (Disciplina per l’esercizio delle attività produttive e riordino dello sportello unico).

8.1.– In virtù della disposizione impugnata, gli interventi di ristrutturazione edilizia, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia, finalizzati all’ampliamento degli «insediamenti produttivi esistenti destinati ad attività artigianali, industriali, agricole ed agrituristiche, ad alberghi tradizionali, a strutture turistico ricettive e ad attività socio-assistenziali e commerciali, con esclusione delle grandi strutture di vendita», non possono essere cumulati con «gli ampliamenti consentiti dagli strumenti urbanistici comunali entro soglie percentuali predeterminate» e possono essere realizzati, mediante il procedimento unico disciplinato dall’art. 10 della legge reg. Liguria n. 10 del 2012, «anche in deroga alla disciplina dei piani urbanistici e territoriali vigenti e/o operanti in salvaguardia».

La legge regionale fa salvo in ogni caso «il rispetto della dotazione dei parcheggi pertinenziali previsti dalla disciplina urbanistico comunale, nonché della dotazione di opere di urbanizzazione primaria e/o secondaria per il soddisfacimento degli standard urbanistici necessari».

8.2.– Il ricorrente assume che «la deroga generalizzata agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, anche se operanti in salvaguardia», in mancanza di «prescrizioni che impongano comunque il rispetto delle norme contenute nella Parte II del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, o in ogni caso del piano paesaggistico sovraordinato», invada «la sfera di potestà legislativa dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, come esercitata con gli articoli 20 e 21 del Codice di settore, e con le norme dello stesso Codice che impongono la pianificazione congiunta (artt. 135, 143 e 145)».

In violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la disciplina regionale in esame incentiverebbe «l’ampliamento generalizzato dei complessi immobiliari in deroga agli strumenti pianificatori», senza salvaguardare l’applicazione della normativa statale riguardante i beni sottoposti a tutela.

La disposizione impugnata finirebbe così per «svuotare la funzione propria del piano paesaggistico», chiamato a «dettare, per ciascuna area tutelata, le prescrizioni del caso, le trasformazioni compatibili e quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni», e infrangerebbe l’obbligo di pianificazione congiunta tra Stato e Regioni.

Sarebbe violato anche l’art. 9 Cost., «che attribuisce allo Stato la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico».

8.3.– La Regione Liguria ha eccepito, in linea preliminare, l’inammissibilità delle questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.

8.3.1.– La disposizione impugnata non avrebbe innovato la disciplina degli interventi di ampliamento, già dettata dall’art. 12 della legge reg. Liguria n. 10 del 2012.

La previsione che il ricorrente reputa lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato e dell’art. 9 Cost. sarebbe dunque «in vigore dal 2012» e non sarebbe stata introdotta dalla legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che avrebbe soltanto raccordato la normativa previgente con il nuovo procedimento unico. Questi rilievi indurrebbero a ritenere la questione inammissibile.

8.3.2.– L’eccezione deve essere disattesa.

Nell’adeguare la disciplina dell’ampliamento degli insediamenti produttivi al procedimento autorizzatorio unico regionale (art. 10 della legge reg. Liguria n. 10 del 2012), la legislazione ligure conferma la deroga agli strumenti urbanistici, già contemplata dalla normativa previgente.

Tale circostanza, tuttavia, non preclude l’esame del merito, in quanto nei giudizi in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza e – nella prospettiva del ricorrente – la disposizione oggi sottoposta al vaglio di questa Corte reitera la lesione insita nella disciplina anteriore (fra le molte, sentenze n. 25 del 2021, punto 17 del Considerato in diritto, e n. 106 del 2020, punto 2.1. del Considerato in diritto).

Sussiste, pertanto, l’interesse a ricorrere contro una disciplina che riproduce l’originario contenuto lesivo in un sistema peraltro contraddistinto da un nuovo e peculiare procedimento autorizzatorio.

8.4.– Le questioni, promosse nei confronti dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, possono essere scrutinate nel merito.

Esse non sono fondate, nei termini di séguito precisati.

8.4.1.– Il ricorrente muove dall’assunto che la disposizione impugnata, nel derogare in via generale agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, non imponga il rispetto delle prescrizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e così consenta l’ampliamento anche di complessi immobiliari sottoposti a vincolo. Una disciplina così congegnata svilirebbe il ruolo essenziale del Piano paesaggistico, frutto di una elaborazione congiunta tra lo Stato e le Regioni.

8.4.2.– La disposizione impugnata ben può essere, tuttavia, interpretata in termini compatibili col dettato costituzionale.

8.4.2.1.– La deroga prevista dal novellato art. 12, comma 2, della legge reg. Liguria n. 10 del 2012 è circoscritta alla pianificazione urbanistica e, peraltro, anche in tale ambito, non ha un’estensione indeterminata, come si evince dalle indicazioni del comma 1, che valgono a delimitarne l’ampiezza. È prescritto, in termini generali, il rispetto della «destinazione d’uso prevista dalla pianificazione urbanistica comunale» (lettera b), e delle «distanze minime dalle costruzioni esistenti stabilite dalla strumentazione urbanistica comunale o dalla vigente legislazione in materia» (lettera d).

Alla luce del dato testuale, la deroga censurata non investe la disciplina di tutela prevista nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

Il fatto che tale disciplina, provvista di valenza generale e di autonoma forza precettiva, non sia richiamata, non comporta una deroga implicita, per le ragioni già illustrate nei punti 5.4.3.1. e 5.4.3.2. nello scrutinio dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

8.4.2.2.– Anche il contesto complessivo, in cui la disposizione impugnata si colloca, avvalora tali conclusioni.

In una prospettiva di più efficace tutela, il legislatore regionale si è premurato di salvaguardare anche la «conformità con la disciplina del Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico», deputato a svolgere la funzione di pianificazione del paesaggio nelle more dell’approvazione del Piano paesaggistico (art. 12, comma 1, lettera e, della legge reg. Liguria n. 10 del 2012).

Nella fattispecie ora sottoposta allo scrutinio di questa Corte non si ravvisa quella deroga alle prescrizioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico, che è a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.

La legge regionale citata ha dettato ulteriori previsioni di dettaglio, allo scopo di preservare i valori ambientali e paesaggistici. A tali finalità si ispirano, in particolare, la salvaguardia delle alberature di pregio presenti nell’area di intervento (lettera f), la messa a dimora di alberature di alto fusto «negli ampliamenti degli insediamenti industriali ed artigianali, lungo i confini a contatto con insediamenti a destinazione d’uso diversa da quella produttiva» (lettera g), l’obbligo di assicurare «un armonico inserimento rispetto alla costruzione esistente» per gli ampliamenti degli alberghi tradizionali, delle strutture turistico ricettive e delle strutture socio-assistenziali (lettera h), l’obbligo di rispettare «le tipologie edilizie degli edifici esistenti» con riguardo agli ampliamenti degli edifici adibiti alle attività di agriturismo (lettera i).

8.4.3.– La disciplina regionale, intesa alla luce di tutte le previsioni in cui si articola, non si risolve nell’indistinta approvazione degli interventi di ampliamento di beni vincolati, in contrasto con i princìpi enunciati dall’art. 9 Cost., e non entra in conflitto con il Piano paesaggistico e con le regole che presiedono alla sua elaborazione congiunta, nel quadro della competenza legislativa esclusiva statale sancita dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Nei termini indicati, pertanto, la questione non è fondata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge della Regione Liguria 24 dicembre 2019, n. 30 (Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati), nella parte in cui, con riguardo ai locali accessori e alle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, subordina gli interventi consistenti nel mero mutamento di destinazione d’uso senza opere alla segnalazione certificata d’inizio attività di cui all’art. 13-bis della legge della Regione Liguria 6 giugno 2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia), anche con riguardo agli immobili posti nelle zone territoriali omogenee A di cui all’art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, recante «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 2, della legge della Regione Liguria 6 febbraio 2020, n. 1 (Adeguamento della legislazione regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del territorio), nella parte in cui dispone che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati, anche diruti, sia ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge della Regione Liguria 22 agosto 1984, n. 39 (Disciplina dei piani territoriali di coordinamento);

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019;

4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui al reg. ric. n. 35 e n. 41 del 2020;

5) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui al reg. ric. n. 35 e n. 41 del 2020;

6) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020;

8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui al reg. ric. n. 35 e n. 41 del 2020;

9) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2021.