Sentenza n. 57 del 2022

SENTENZA N. 57

ANNO 2022

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 274, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale) e successive modificazioni e integrazioni, limitatamente alle parole: «o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni.», giudizio iscritto al n. 174 del registro referendum.

Vista l’ordinanza del 29 novembre 2021 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022 il Giudice relatore Stefano Petitti;

uditi gli avvocati Sonia Sau per la Regione autonoma della Sardegna e Giovanni Guzzetta per i Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte;

deliberato nella camera di consiglio del 16 febbraio 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 29 novembre 2021, depositata il giorno successivo, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e successive modificazioni, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum abrogativo, promossa dai Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte, sul seguente quesito: «Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale) risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 274, comma 1, lett. c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni.”?».

2.– L’Ufficio centrale ha attribuito al quesito così proposto la seguente denominazione: «Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lett. c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale».

3.– Ricevuta la comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, il Presidente della Corte costituzionale ha fissato, per la conseguente trattazione e deliberazione, la camera di consiglio del 15 febbraio 2022, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

4.– I Consigli regionali proponenti hanno depositato memoria l’11 febbraio 2022, concludendo affinché questa Corte dichiari ammissibile il quesito.

A loro avviso, la disposizione incisa dalla richiesta referendaria non rientra in alcuna delle categorie che l’art. 75, secondo comma, della Costituzione indica come precluse alla deliberazione popolare, né il quesito si presenta privo dei necessari caratteri di omogeneità, atteso che la sua formulazione «garantisce pienamente l’autenticità e la genuinità della manifestazione di volontà del corpo elettorale».

Non vi sarebbe, infine, alcun ostacolo all’ammissibilità neanche alla luce del limite costituito dalle disposizioni a carattere costituzionalmente vincolato, considerato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (è evocata la sentenza n. 64 del 1970), la disciplina delle misure cautelari è rimessa alla più ampia discrezionalità del legislatore.

5.– Ha depositato memoria l’11 febbraio 2022 anche la Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo Presidente pro tempore, chiedendo che il referendum sia dichiarato ammissibile.

Considerato in diritto

1.– Il presente giudizio ha ad oggetto l’ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo dichiarata legittima con ordinanza del 29 novembre 2021 dell’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Tale richiesta, promossa dai Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte, ha ad oggetto l’abrogazione dell’ultimo inciso del primo periodo e dell’intero secondo periodo dell’art. 274, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale) e successive modificazioni e integrazioni, ossia limitatamente alle parole: «o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni».

In esito al procedimento svoltosi di fronte all’Ufficio centrale per il referendum, al quesito abrogativo è stato attribuito il presente titolo: «Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lett. c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale».

2.– In via preliminare, si deve rilevare che, nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022, questa Corte ha consentito l’illustrazione orale delle memorie depositate dai proponenti della richiesta referendaria ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e, ancora prima, ha disposto l’ammissione degli scritti presentati da soggetti diversi da quelli indicati dalla disposizione ora richiamata e tuttavia interessati alla decisione sull’ammissibilità della richiesta di referendum, come contributi contenenti argomentazioni ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte (ex plurimis: sentenze n. 10 del 2020, n. 5 del 2015, n. 13 del 2012, n. 28, n. 27, n. 26, n. 25 e n. 24 del 2011).

Tale ammissione, che deve essere qui confermata, non si traduce però in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento – che, comunque, «deve tenersi, e concludersi, secondo una scansione temporale definita» (sentenza n. 31 del 2000) – e di illustrare le relative tesi in camera di consiglio, ma comporta solo la facoltà della Corte, ove lo ritenga opportuno, di consentire brevi integrazioni orali degli scritti, come è appunto avvenuto nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022, prima che i soggetti di cui al citato art. 33 abbiano illustrato le rispettive posizioni.

3.– La disposizione investita dalla richiesta di referendum abrogativo concorre a definire le esigenze cautelari che operano, congiuntamente ai «gravi indizi di colpevolezza» di cui all’art. 273 cod. proc. pen., quali condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali di cui al Titolo I del Libro IV del codice di procedura penale. Essa, in particolare, individua al primo periodo l’esigenza cautelare consistente nel pericolo che la persona sottoposta alle indagini o l’imputato «commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede».

All’ultimo inciso di tale previsione, che è quello su cui si appunta la richiesta referendaria in esame, è poi connesso il periodo immediatamente successivo, anch’esso ricompreso nel quesito referendario, che delimita le soglie di pena dei delitti oggetto della specifica prognosi di recidiva in vista dell’applicazione delle sole misure cautelari custodiali e, in via di ulteriore specificazione, della custodia cautelare in carcere. Tale disposizione, introdotta dall’art. 3, comma 2, della legge 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa) e successivamente rimodulata, stabilisce oggi, a seguito delle modifiche da ultimo apportate con l’art. 2 della legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità), che, in caso di pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte a carico dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini soltanto se si tratta di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti, di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 (Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici).

Nessun limite di pena correlato ai delitti di cui si teme la reiterazione è quindi previsto per l’applicazione delle misure cautelari coercitive non custodiali e per le misure interdittive, per le quali valgono pertanto le condizioni di applicabilità ordinarie, rispettivamente previste dagli artt. 280 e 287 cod. proc. pen. Questi ultimi stabiliscono, in linea generale, che le misure cautelari personali, tanto coercitive quanto interdittive, possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni.

3.1.– Nell’ambito delle esigenze cautelari disciplinate dall’art. 274, comma 1, cod. proc. pen., quella prevista dalla lettera c) si correla nel suo complesso alle «esigenze di tutela della collettività» che già il legislatore delegante aveva tenuto distinte dalle restanti ragioni giustificatrici di misure cautelari, costituite dalle «inderogabili esigenze attinenti alle indagini e per il tempo strettamente necessario» ovvero dalla circostanza che «la persona si è data alla fuga o vi è concreto pericolo di fuga» (art. 2, numero 59, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, recante «Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale»).

Tali ragioni, tradottesi rispettivamente nelle lettere a) e b) del medesimo art. 274, comma 1, cod. proc. pen., costituiscono pertanto la tipizzazione delle esigenze «strettamente inerenti al processo» che questa Corte, a partire dalla sentenza n. 64 del 1970, ha costantemente individuato quale ambito proprio di operatività delle misure cautelari nel processo penale.

L’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. ha un fondamento in parte diverso, che va rinvenuto in finalità di prevenzione esterne al processo, da ricondursi – come detto – a «esigenze di tutela della collettività», locuzione che il legislatore delegante del 1987 ha ripreso (secondo quanto emerge dalla «Relazione governativa al testo definitivo del codice di procedura penale») dalla sentenza n. 1 del 1980 di questa Corte, in cui il perimetro di tale nozione veniva riferito al pericolo di commissione di reati contrassegnati da «uso d’armi o di altri mezzi di violenza contro le persone, riferibilità ad organizzazioni criminali comuni o politiche, direzione lesiva verso le condizioni di base della sicurezza collettiva o dell’ordine democratico».

Peraltro, nella medesima sentenza, già si dava conto del fatto che esigenze di prevenzione potessero porsi a fondamento di misure cautelari, come del resto questa Corte aveva rilevato a partire dalla richiamata sentenza n. 64 del 1970, allorché aveva stabilito che non si potesse «escludere che la legge possa (entro i limiti, non insindacabili, di ragionevolezza) presumere che la persona accusata di reato particolarmente grave e colpita da sufficienti indizi di colpevolezza, sia in condizione di porre in pericolo quei beni a tutela dei quali la detenzione preventiva viene predisposta».

A fianco, pertanto, delle fattispecie evocate nella sentenza n. 1 del 1980, contrassegnate da un’intrinseca gravità e tradottesi, nel testo vigente dell’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., nel pericolo di commissione di «gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata», il legislatore delegato ha previsto l’esigenza cautelare connessa al pericolo che l’imputato o la persona sottoposta alle indagini commetta un delitto «della stessa specie di quello per cui si procede». Solo a partire dal 1995, come si è detto, tale prognosi di recidiva specifica è assistita da una condizione attinente alla gravità dei reati di cui si teme la reiterazione, ma unicamente ai fini dell’applicazione di una misura custodiale o, in termini ancora più stringenti, della custodia cautelare in carcere.

4.– Il quesito referendario, che investe unicamente l’esigenza cautelare consistente nel pericolo di commissione di delitti della stessa specie, è ammissibile.

5.– Non sussiste, innanzi tutto, alcuna preclusione derivante dalla potenziale interferenza tra la disposizione interessata dal quesito stesso e uno degli ambiti di cui all’art. 75, secondo comma, Cost., siano essi intesi alla luce di un’interpretazione letterale, ovvero sulla base di un’interpretazione logico-sistematica, così da far rientrare in tale categoria anche «le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall’art. 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa» (secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978).

5.1.– Nessun dubbio può aversi con riguardo alle leggi tributarie e di bilancio o a quelle di amnistia e di indulto. Né esistono obblighi internazionali che impongano l’adozione di misure di restrizione, per qualsivoglia reato, fondate sull’esigenza cautelare di cui si chiede l’abrogazione.

In particolare, appare evidente l’assenza di qualsiasi interferenza dell’eventuale abrogazione dell’esigenza cautelare in questione col complesso di disposizioni attinenti all’esecuzione delle richieste di mandato d’arresto europeo. L’art. 9, comma 5, della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), infatti, esclude espressamente che, per l’adozione delle misure cautelari coercitive finalizzate all’esecuzione del mandato d’arresto ad opera del Presidente della Corte d’appello, possa venire in rilievo l’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.

6.– Neppure sussistono ostacoli all’ammissibilità con riguardo alle modalità di formulazione del quesito referendario, così come ricavabili anch’esse dall’interpretazione logico-sistematica della Costituzione (sentenze n. 174 del 2011, n. 137 del 1993, n. 48 del 1981 e n. 70 del 1978) e identificate nei requisiti della «omogeneità, chiarezza e semplicità, completezza, coerenza, idoneità a conseguire il fine perseguito, rispetto della natura ablativa dell’operazione referendaria» (sentenza n. 17 del 2016).

6.1.– Preliminare rispetto a tale scrutinio è l’accertamento intorno alla «evidenza del fine intrinseco all’atto abrogativo» (sentenza n. 47 del 1991), anche tenuto conto del fatto che la richiesta referendaria è atto privo di motivazione, sicché il quesito va interpretato «esclusivamente in base alla sua formulazione ed all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento» (ex multis, sentenza n. 25 del 2011 e, da ultimo, sentenza n. 51 del 2022). Solo mediante questo accertamento obiettivo, infatti, è possibile verificare, conformemente ai caratteri del giudizio di ammissibilità e senza che «possano venire in rilievo profili di illegittimità costituzionale della legge oggetto della richiesta referendaria o della normativa di risulta» (sentenza n. 13 del 2012), se dalle disposizioni di cui si propone l’abrogazione si possa trarre con chiarezza una «matrice razionalmente unitaria» (sentenze n. 25 del 1981 e n. 16 del 1978), vale a dire «un criterio ispiratore fondamentalmente comune o un principio, la cui eliminazione o permanenza viene fatta dipendere dalla risposta del corpo elettorale» (sentenza n. 17 del 2016).

Nel caso di specie, il quesito referendario, benché si avvalga della tecnica del ritaglio, investe un frammento normativo dotato di un autonomo contenuto precettivo, consistente nella previsione per cui il giudice può rinvenire una specifica esigenza cautelare nel pericolo che l’imputato o la persona sottoposta alle indagini commetta un delitto della stessa specie di quello per cui si procede. In questo modo, non può dubitarsi che un’obiettiva ratio sorregga la specifica operazione referendaria, consistente nell’eliminazione dell’esigenza cautelare fondata sul pericolo derivante da una prognosi di recidiva specifica, e nella conseguente finalità di limitare l’operatività dell’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. al solo pericolo di commissione di gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata. Alla previsione che potrebbe residuare dall’eventuale abrogazione referendaria, poi, si correlerebbe, senza frizioni sistematiche, quello che costituisce effettivamente l’ultimo inciso della previsione in parola, secondo cui «[l]e situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede».

6.2.– Alla luce di quanto appena illustrato, si deve pertanto ritenere che il quesito referendario, in quanto privo di quei connotati di manipolatività idonei a denotare un carattere «surrettiziamente propositivo» dell’alternativa posta al corpo elettorale (sentenze n. 10 del 2020, n. 13 del 2012, n. 26 del 2011 e n. 33 del 2000), tende in realtà «a un esito netto e lineare, in ragione della propria natura meramente ablativa, concretandosi le conseguenze abrogative in una situazione esattamente contraria a quella prevista dalle norme oggetto del referendum e facilmente percepibile dal corpo elettorale» (sentenza n. 13 del 1995).

Se tanto pare sufficiente a riscontrare i sopra menzionati requisiti dell’omogeneità, della chiarezza e semplicità del quesito, della sua idoneità a conseguire il fine perseguito e del rispetto della natura ablativa dell’operazione referendaria, lo stesso è a dirsi per ciò che concerne la completezza e la coerenza dell’abrogazione sottoposta al giudizio del corpo elettorale.

A partire dalla sentenza n. 27 del 1981, infatti, questa Corte ha ritenuto che un quesito referendario sia privo, nel suo complesso, del carattere dell’omogeneità laddove esso non sia assistito dai caratteri di una necessaria autosufficienza dell’atto abrogativo, come nel caso in cui vengano lasciate intatte disposizioni idonee a garantire la perdurante operatività di interi plessi normativi di cui si chiedeva l’eliminazione ad opera del voto popolare (sentenze n. 35 del 2000, n. 30 del 1997 e n. 36 del 1993).

Nel caso di specie, nonostante la centralità della disposizione oggetto della richiesta abrogativa nella disciplina codicistica riguardante le misure cautelari, il quesito che si intende sottoporre al corpo elettorale non ha mancato di includere alcuna disposizione funzionalmente collegata a quella di cui si chiede l’abrogazione, sicché non vengono minate né la sua coerenza, né la sua completezza.

Richiami testuali all’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. nel suo complesso figurano, innanzi tutto, nell’art. 275, comma 1-bis (in tema di misure cautelari applicate contestualmente alla sentenza di condanna) e nell’art. 300, comma 5, cod. proc. pen. (in tema di applicazione di misure cautelari al soggetto condannato per lo stesso fatto a seguito di proscioglimento o di sentenza di non luogo a procedere). In nessun modo, tuttavia, è possibile ritenere che il quesito incida sull’operatività di tali previsioni, che continuerebbero ad applicarsi, ma riferendosi al contenuto dell’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. che residuerebbe dall’eventuale abrogazione referendaria.

Allo stesso esito si deve poi addivenire con riguardo a quanto stabilito dall’art. 391, comma 5, secondo periodo, cod. proc. pen., che consente al giudice, in sede di convalida dell’arresto facoltativo, di applicare una misura coercitiva nei confronti del soggetto arrestato «per uno dei delitti indicati nell’articolo 381, comma 2, cod. proc. pen., ovvero per uno dei delitti per i quali l’arresto è consentito anche fuori dei casi di flagranza», «anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280».

Si tratta, come ritenuto da questa Corte da ultimo nella sentenza n. 137 del 2020, di un meccanismo di portata derogatoria rispetto agli ordinari presupposti applicativi delle misure cautelari coercitive, che tuttavia – ai fini che in questa sede interessano – vedrebbe garantita la sua operatività anche in esito all’eventuale realizzarsi dell’operazione referendaria, in quanto la deroga in esso contenuta continuerebbe a valere unicamente rispetto alle soglie di pena fissate dall’art. 280 cod. proc. pen. Peraltro, nulla impedirebbe al legislatore di intervenire sulla disciplina di risulta, fermo restando medio tempore il «compito dell’interprete [di] apprezzare le conseguenze che, dall’eventuale esito positivo della consultazione, potranno derivare sulla normativa di contorno non inclusa nel quesito» (sentenza n. 22 del 1997).

7.– Non vi sono, infine, ragioni ostative all’ammissibilità del quesito derivanti dalla natura costituzionalmente necessaria della disposizione di cui si chiede l’abrogazione con referendum.

Sin dalla sentenza n. 16 del 1978, tale ordine di limitazioni è stato individuato alla luce della necessità di preservare l’esistenza di «valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di là della lettera dell’art. 75 secondo comma Cost.». Una delle categorie in cui si articolava tale limite consisteva, in particolare, nei «referendum aventi per oggetto disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)». Più in particolare, questa Corte aveva chiarito allora, e costantemente ha ribadito nei decenni successivi, che tale categoria non si riferisce a «tutte le leggi ordinarie comunque costitutive od attuative di istituti, di organi, di procedure, di principi stabiliti o previsti dalla Costituzione», ma solo a quelle «che non possono venir modificate o rese inefficaci, senza che ne risultino lese le corrispondenti disposizioni costituzionali».

Successivamente, anche alla luce della «naturale difficoltà a distinguere in concreto le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato da quelle semplicemente riferibili a norme e principi costituzionali» (sentenza n. 45 del 2005), questa Corte ha individuato il proprium di tale categoria nel fatto che «la legge ordinaria da abrogare incorpori determinati principi o disposti costituzionali, riproducendone i contenuti o concretandoli nel solo modo costituzionalmente consentito» (sentenza n. 26 del 1981).

Con la sentenza n. 27 del 1987 sono state conseguentemente individuate due distinte ipotesi al cui metro valutare la riferibilità della disposizione oggetto di referendum a un contenuto costituzionalmente necessitato: «[i]nnanzitutto le leggi ordinarie che contengono l’unica necessaria disciplina attuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest’ultima (cfr. sentenze n. 16/1978 e n. 26/1981); in secondo luogo, le leggi ordinarie, la cui eliminazione ad opera del referendum priverebbe totalmente di efficacia un principio o un organo costituzionale “la cui esistenza è invece voluta e garantita dalla Costituzione (cfr. sentenza n. 25 del 1981)”».

Parallelamente, questa Corte ha individuato, nel novero delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, «anche la categoria delle leggi ordinarie la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione» (sentenza n. 35 del 1997).

7.1.– La disposizione incisa dalla richiesta di referendum in esame non presenta alcuno dei caratteri in cui si è articolata, nella giurisprudenza di questa Corte, la categoria delle leggi a contenuto costituzionalmente necessario o vincolato.

Essa non mostra, infatti, alcun rapporto di necessaria implicazione con una disposizione o un principio costituzionali suscettibili di veder menomata la loro portata in caso di abrogazione referendaria, né, a maggior ragione, può ritenersi che essa costituisca l’unica modalità costituzionalmente compatibile di inveramento di un principio o di un disposto costituzionale. Anzi, essa deve contemperarsi con il principio stabilito dall’art. 27, secondo comma, Cost., in base al quale «[l]’ imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».

Del resto, questa Corte ha costantemente ribadito che lo strumento penale costituisce «un’extrema ratio, cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per l’assenza o l’inadeguatezza di altri mezzi di tutela» (sentenza n. 8 del 2022), considerato che «[l]e esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono […] nella (eventuale) tutela penale, ben potendo invece essere soddisfatte con diverse forme di precetti e di sanzioni» (sentenza n. 447 del 1998; nello stesso senso, sentenza n. 317 del 1996). Principio, questo, che non può non riverberarsi anche sulle misure cautelari personali, soprattutto quelle privative della libertà personale, approntate dal legislatore in vista del conseguimento delle finalità proprie del processo penale e per fronteggiare imprescindibili esigenze di tutela della collettività ancor prima dell’accertamento della responsabilità penale (sentenza n. 22 del 2022), alle quali ultime si riferisce specificamente la disposizione della quale si chiede la parziale abrogazione per via referendaria. Esigenze, giova sottolineare, a presidio delle quali resterebbe, in ogni caso, il frammento dell’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., non interessato dal quesito referendario, che continuerebbe a consentire di ravvisare un’esigenza cautelare nel pericolo di compimento di «gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata».

8.– Non ostandovi, pertanto, alcuna ragione di ordine costituzionale, la richiesta di referendum deve essere dichiarata ammissibile.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 274, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale) e successive modificazioni e integrazioni, limitatamente alle parole: «o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni», richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 29 novembre 2021 dall’Ufficio centrale per il referendum.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 febbraio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2022