Sentenza n. 36 del 1993

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SENTENZA N. 36

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione:

 

- del regio decreto 9 agosto 1943, n. 718, recante "Mutamento della denominazione del Ministero delle corporazioni";

 

- del decreto luogotenenziale 23 febbraio 1946, n. 223, recante "Riordinamento dei servizi del Ministero dell'industria e del commercio";

 

- della legge 26 settembre 1966, n. 792, recante "Mutamento della denominazione del Ministero dell'industria e del commercio, degli Uffici provinciali e delle Camere di commercio, industria e agricoltura", iscritto al n. 54 del Registro Referendum.

 

Vista l'ordinanza del 15 dicembre 1992 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

 

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1993 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

 

udito l'avvocato Mario Bertolissi per i delegati dei Consigli regionali del Veneto e della Basilicata.

 

Ritenuto in fatto

 

1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare presentata il 22 gennaio 1992 dai Consigli regionali delle regioni Umbria, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Marche, Basilicata, Toscana, Emilia Romagna e Veneto, concernente l'abrogazione del regio decreto 9 agosto 1943, n.718 (Mutamento della denominazione del Ministero delle corporazioni), del decreto luogotenenziale 23 febbraio 1946, n. 223 (Riordinamento dei servizi del Ministero dell'industria e del commercio) e della legge 26 settembre 1966, n. 792 (Mutamento della denominazione del Ministero dell'industria e del commercio, degli Uffici provinciali e delle Camere di commercio, industria e agricoltura).

 

2. Con ordinanza in data 15 dicembre 1992, l'Ufficio centrale per il referendum, verificata la regolarità della richiesta abrogativa, l'ha dichiarata legittima.

 

3. Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 1993 per le conseguenti deliberazioni, dandone regolare comunicazione.

 

4. In data 8 gennaio 1993 è stata depositata una memoria da parte del difensore dei Consigli regionali del Veneto e della Basilicata.

 

Nella camera di consiglio del 13 gennaio 1993, è stato udito, per i Consigli regionali promotori del referendum, l'avvocato Mario Bertolissi.

 

Considerato in diritto

 

La richiesta di referendum popolare investe tre testi normativi:

 

- il regio decreto 9 agosto 1943, n. 718, recante < Mutamento della denominazione del Ministero delle corporazioni;

 

- il decreto luogotenenziale 23 febbraio 1946, n. 223, recante < Riordinamento dei servizi del Ministero dell'industria e del commercio;

 

- la legge 26 settembre 1966, n. 792, recante < Mutamento della denominazione del Ministero dell'industria e del commercio, degli Uffici provinciali e delle Camere di commercio, industria e agricoltura.

 

Il primo ed il terzo testo riguardano esclusivamente la denominazione, il secondo, invece, attiene agli aspetti organizzativi ed alle articolazioni dell'apparato ministeriale.

 

2. Il regio decreto 2 luglio 1926, n. 1131, raccoglieva una parte dell'organizzazione del Ministero dell'economia nazionale, istituito con il regio decreto 5 luglio 1923, n. 1439, e il regio decreto 27 settembre 1929, n. 1663, ripartiva i servizi, già di competenza del Ministero dell'economia nazionale, fra il Ministero dell'agricoltura e delle foreste ed il Ministero delle corporazioni. In particolare, l'articolo 3 del regio decreto n. 1131 stabiliva che tutti gli organi consultivi, deliberanti ed esecutivi del Ministero dell'economia nazionale passassero alle dipendenze del Ministero dell'agricoltura e delle foreste e del Ministero delle corporazioni, a seconda che avessero per oggetto la materia deferita alla competenza dell'uno o dell'altro ministero, che era indicata dagli articoli precedenti del medesimo regio decreto.

 

Un primo mutamento nella denominazione del ministero si ha, dunque, nell'agosto 1943, quando il Ministero delle corporazioni viene chiamato Ministero dell'industria, del commercio e del lavoro (che successivamente, con il decreto luogotenenziale del 21 giugno 1945, n.377, sarà ripartito in due Ministeri: il Ministero dell'industria e commercio e il Ministero del lavoro e previdenza sociale).

 

Pochi anni dopo, nel febbraio del 1946, con il citato decreto luogotenenziale n. 223 si provvederà alla riorganizzazione dell'intera struttura preposta al governo dell'industria e commercio attraverso la creazione di quattro direzioni generali (del personale e degli affari generali, dell'industria e delle miniere, dell'artigianato e delle piccole industrie, del commercio interno e dei consumi industriali), di un ispettorato (quello delle assicurazioni private) e di due uffici centrali (studi e ricerche, legislativo).

 

Con la legge 26 settembre 1966, n. 792, la denominazione del Ministero veniva ulteriormente mutata in quella, attualmente in vigore, di Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato e, contestualmente, veniva cambiata anche la denominazione dei relativi Uffici provinciali nonchè quella delle Camere di commercio, industria e agricoltura, chiamati rispettivamente Uffici provinciali dell'industria, del commercio e dell'artigianato e Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

 

3. In realtà, il processo di trasformazione del Ministero dell'industria è stato più complesso di quello ricavabile dall'analisi congiunta dei tre testi normativi indicati nel quesito referendario: oggi la sua struttura organizzativa è assai diversa da quella rappresentata dal decreto luogotenenziale n. 223 del 1946.

 

Non solo la direzione generale del personale e degli affari generali è stata ridefinita (dalla legge 7 giugno 1951, n. 434) come direzione generale degli affari generali; non solo la direzione generale dell'artigianato e delle piccole industrie è stata soppressa dall'articolo 9, n. 1, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 617, ma l'ispettorato delle assicurazioni private è stato trasformato in direzione generale dall'articolo 28 della legge 12 agosto 1982, n. 576 (e successivamente riorganizzato con il d.P.R. 4 marzo 1983, n.315) ed è stata creata la nuova direzione generale delle fonti di energia e delle industrie di base con la legge 15 dicembre 1960, n. 1483.

 

Senza dire che la direzione generale dell'industria e delle miniere è stata sdoppiata in conseguenza delle leggi 4 gennaio 1951, n. 2, e 7 giugno 1951, n 434. Essa, infatti, solo parzialmente vive attraverso le due direzioni generali nate dalla sua scissione, quella delle miniere (che non corrisponde più soltanto alle vecchie competenze minerarie dell'originaria direzione generale) e quella della produzione industriale che è stata riorganizzata sulla base della previsione dell'articolo 39 della legge 5 ottobre 1991, n. 317.

 

Ne consegue che la sola direzione generale del commercio interno e dei consumi industriali è rimasta pressochè immutata (sebbene sia stata privata della materia fieristica, in favore delle regioni, dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) e, con essa, l'ufficio studi e ricerche e l'ufficio legislativo.

 

4. É evidente, allora, che il complesso organizzatorio che risponde al nome di Ministero dell'industria, commercio ed artigianato, e che certamente si articola in una pluralità di organi e uffici, non essendo più quello raffigurato nel decreto luogotenenziale n. 223 del 1946, oggetto del quesito referendario, verrebbe ad essere soltanto parzialmente mutilato da un eventuale esito referendario positivo, ma non di certo soppresso.

 

Nè ad un siffatto esito si potrebbe pervenire abrogando le due altre disposizioni che dettano modifiche al nome dell'apparato ministeriale, in quanto il contenuto precettivo di quelle disposizioni si risolve esclusivamente nell'imposizione della nuova e diversa denominazione del dicastero, e non in altro.

 

L'abrogazione delle vigenti denominazioni contenute nella legge n. 792 del 1966 non eliminerebbe, dunque, l'assetto organizzatorio che si è formato successivamente all'anno 1946, che è il solo tenuto presente dai Consigli regionali promotori dell'iniziativa referendaria.

 

Ne risulta una evidente mancanza di chiarezza del quesito e dell'intera operazione referendaria: l' abrogazione delle norme sottoposte a referendum sarebbe incoerente e contraddittoria con la permanenza di altre alle prime strettamente connesse (si veda sul punto la sentenza n. 29 del 1981).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione:

 

- del regio decreto 9 agosto 1943, n. 718 (Mutamento della denominazione del Ministero delle corporazioni);

 

- del decreto luogotenenziale 23 febbraio 1946, n. 223 (Riordinamento dei servizi del Ministero dell'industria e del commercio);

 

- della legge 26 settembre 1966, n. 792 (Mutamento della denominazione del Ministero dell'industria e del commercio, degli Uffici provinciali e delle Camere di commercio, industria e agricoltura);

 

richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del 15 dicembre 1992, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/01/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 03/02/93.