Sentenza n. 27 del 2011

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 27

ANNO 2011

 

 

Commento alla decisione di

 

Roberto Pinardi

Ancora sulla “completezza” delle richieste referendarie

 

nella Rubrica “Studi e Commenti” di Consulta OnLine

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Ugo                             DE SIERVO                                    Presidente

-           Paolo                           MADDALENA                                 Giudice

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                     "

-           Alfonso                       QUARANTA                                           "

-           Franco                         GALLO                                                    "

-           Luigi                            MAZZELLA                                            "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             "

-           Sabino                         CASSESE                                                "

-           Giuseppe                     TESAURO                                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

-           Paolo                           GROSSI                                                   "

-           Giorgio                        LATTANZI                                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione: a) dell’art. 23-bis, comma 10, lettera d), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle parole «, nonché in materia di acqua»; b) dell’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle parole «di cui all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008,», nonché alle parole «nel rispetto dei princípi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio,»; giudizio iscritto al n. 152 del registro referendum.

Vista l’ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata il successivo 7 dicembre, con la quale l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato conforme a legge la richiesta referendaria;

udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino per l’Associazione Nazionale Fra gli Industriali Degli Acquedotti – ANFIDA; Tommaso Edoardo Frosini e Giovanni Pitruzzella per l’Associazione Comitato contro i referendum per la statalizzazione dell’acqua – AcquaLiberAtutti; Tommaso Edoardo Frosini per l’Associazione «Fare Ambiente»; Alessandro Pace per i presentatori Antonio Di Pietro, Gianluca De Filio, Vincenzo Maruccio e Benedetta Parenti; Antonio Tallarida, avvocato dello Stato, per il Governo.

Ritenuto in fatto

1. − L’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, con ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata il successivo 7 dicembre, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 9 aprile 2010, serie generale, n. 82), promossa da diciotto cittadini italiani, sul seguente quesito:

«Volete voi che sia abrogato l’art. 23-bis, comma 10, lettera d), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive (recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”), limitatamente alle seguenti parole: “, nonché in materia di acqua” e l’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive (recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”), limitatamente alle parole: “di cui all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008,” nonché alle parole: “nel rispetto dei princípi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio,”?».

2. − L’Ufficio centrale ha attribuito al quesito il n. 4 ed il seguente titolo: «Norme limitatrici della gestione pubblica del servizio idrico. Abrogazione parziale».

3. − Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 12 gennaio 2011, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352. La richiesta di referendum è stata iscritta nel relativo registro al n. 152.

4. – Con memoria depositata il 27 dicembre 2010, quattro dei presentatori della richiesta di referendum abrogativo hanno avanzato istanza affinché detta richiesta venga dichiarata ammissibile. A sostegno dell’istanza – dopo aver osservato che l’estensione al servizio idrico integrato dell’obbligo di adottare le modalità di gestione previste dai commi 2 e 3 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 è imputabile esclusivamente alle disposizioni oggetto di referendum – deducono che il quesito referendario: a) non si pone in contrasto con alcuna norma comunitaria, perché (a.1.) all’assentimento in concessione della gestione del servizio idrico non è applicabile né la direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici di servizi né la direttiva 2004/17/CE sulle procedure d’appalto riguardante, tra l’altro, gli enti erogatori di acqua e perché (a.2.) la normativa cosiddetta “di risulta” (cioè l’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali», nelle parti richiamate dall’art. 150 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale») non solo non víola le norme fondamentali del Trattato che istituisce la Comunità europea, in tema di divieto di discriminazione in base alla nazionalità, di divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e di divieto di restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità (norme fondamentali applicabili all’affidatario della concessione del servizio idrico, secondo la sentenza della Corte di giustizia europea 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress), ma anzi, da un lato, viene incontro ad una esplicita presa di posizione del Parlamento europeo, il quale ha deliberato che, «essendo l’acqua un bene comune dell’umanità, la gestione delle risorse idriche non debba essere assoggettata alle norme del mercato interno» (punto 5 della Risoluzione dell’11 marzo 2004, inerente alla «Strategia per il mercato interno – Priorità 2003-2006») e, dall’altro, è in linea con il disposto dell’art. 17 della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno, per il quale l’art. 16 della stessa direttiva, in tema di libera prestazione dei servizi, non si applica «ai servizi di interesse economico generale forniti in un altro Stato membro, fra cui […] i servizi di distribuzione e fornitura idriche e i servizi di gestione delle acque reflue»; b) risponde al requisito dell’omogeneità, perché è diretto all’abrogazione delle norme che, nel prevedere la possibilità di affidare la gestione del servizio idrico integrato solo ai soggetti indicati nei commi 2 e 3 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (cioè: 1.– imprenditori o società in qualunque forma costituite, individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei princípi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei princípi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei princípi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità; 2.– società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei suddetti princípi, le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento; 3.– società a capitale interamente pubblico, partecipate dall’ente locale, che abbiano i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta in house e, comunque, nel rispetto dei princípi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano, ove ricorrano situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettano un efficace e utile ricorso al mercato), vietano di affidare detta gestione ai soggetti indicati nell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, come richiamato dall’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 (cioè: 1.– società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; 2.– società partecipate esclusivamente e direttamente da Comuni o altri enti locali compresi nell’àmbito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, a condizione che tali enti locali titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano; 3.– società solo parzialmente partecipate dai suddetti enti locali, nelle quali il socio privato venga scelto, prima dell’affidamento, attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche); c) è chiaro, univoco e puntuale, perché ha l’obiettivo di abrogare soltanto le norme che escludono la gestione pubblica del servizio idrico integrato e di ripristinare, con efficacia ex nunc, la precedente disciplina di affidamento della gestione di detto servizio (in particolare, i commi 2 e 3 dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006).

5. − Con memoria depositata il 7 gennaio 2011, si è costituito il Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha avanzato istanza affinché – previa audizione in camera di consiglio − venga dichiarato inammissibile il referendum n. 152 (quesito n. 4). A sostegno di tale istanza, il Governo – dopo aver premesso che la Corte costituzionale, secondo la sua giurisprudenza, è chiamata a valutare separatamente l’ammissibilità di ciascuna singola richiesta referendaria (sentenza n. 26 del 1981) − deduce che: a) la normativa oggetto del quesito, pur non costituendo una applicazione necessitata della normativa comunitaria (come precisato nella sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale), è comunque comunitariamente necessaria, perché – una volta esclusa la possibilità della gestione diretta dei servizi pubblici locali di rilevanza economica da parte dell’ente locale, per effetto degli artt. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e 14 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, non oggetto di referendum − è necessario che sussista (anche per il settore del servizio idrico) una disciplina nazionale applicativa degli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione del 25 marzo 1957, tale da integrare una delle diverse discipline possibili della materia, rispettose dell’art. 117, primo comma, Cost.; b) il referendum è inammissibile (come tutti quelli aventi ad oggetto leggi costituzionalmente necessarie, secondo quanto sottolineato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 26 del 1981), perché l’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 non comporterebbe (per comune consenso e come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 31 del 2000) la reviviscenza della normativa precedentemente abrogata (nella specie, dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, «peraltro di dubbia compatibilità comunitaria») e, pertanto, provocherebbe un grave vuoto normativo in un settore delicatissimo, senza che sia assicurato alcun «livello minimo di tutela legislativa» (come richiesto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 2005), cosí da rendere l’Italia inadempiente agli obblighi derivanti dai Trattati europei (Corte costituzionale, sentenza n. 81 del 2000); c) il quesito è privo dei requisiti «di semplicità, di univocità, di completezza» richiesti dalla giurisprudenza costituzionale per l’ammissibilità del referendum (sentenze n. 16 del 1978 e n. 27 del 1981), sia perché la prima parte della sua formulazione (avente ad oggetto il solo comma 10 dell’art. 23-bis) non impedirebbe l’applicazione degli altri commi dell’art. 23-bis, rendendo cosí inutile sul punto il referendum, sia perché la sua seconda parte (avente ad oggetto il comma 1-ter dell’art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009) ha finalità manipolative, «piegando il testo di legge ad assumere un significato che è l’esatto opposto rispetto a quello originario», sia perché, infine, la permanenza nell’ordinamento di altre disposizioni sul servizio idrico (in particolare, sulla rilevanza economica del servizio, sull’affidamento mediante gara e sulla remuneratività della tariffa, ai sensi degli artt. 150 e 154 del codice dell’ambiente) creerebbe una contraddizione di disciplina tra tali disposizioni e quelle di cui, invece, si chiede l’abrogazione.

6. – Hanno depositato memorie, sollecitando la dichiarazione di inammissibilità del referendum, i seguenti soggetti: l’Associazione «Fare Ambiente», l’Associazione Comitato contro i referendum per la statalizzazione dell’acqua – AcquaLiberAtutti e l’Associazione Nazionale Fra gli Industriali Degli Acquedotti – ANFIDA.

7. – Nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 sono stati ascoltati i difensori: a) dell’Associazione Nazionale Fra gli Industriali Degli Acquedotti – ANFIDA; b) dell’Associazione Comitato contro i referendum per la statalizzazione dell’acqua – AcquaLiberAtutti; c) dell’Associazione «Fare Ambiente»; d) dei suddetti quattro presentatori della richiesta di referendum abrogativo che avevano depositato memoria; e) del Governo.

Considerato in diritto

1. – La Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo popolare: a) dell’art. 23-bis, comma 10, lettera d), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle parole «, nonché in materia di acqua»; b) dell’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle parole «di cui all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008,», nonché alle parole «nel rispetto dei princípi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio,».

2. – In via preliminare, va dichiarata la ricevibilità delle memorie depositate da soggetti diversi – e tuttavia interessati alla decisione – rispetto ai presentatori della richiesta referendaria e dal Governo. Secondo la piú recenti pronunce di questa Corte, infatti, i suddetti scritti difensivi debbono intendersi come contributi contenenti argomentazioni potenzialmente rilevanti ai fini della decisione (sentenze n. 15, n. 16 e n. 17 del 2008; n. 45, n. 46, n. 47 , n. 48 e n. 49 del 2005. Tale ricevibilità, però, non si traduce nel diritto dei medesimi soggetti di partecipare al procedimento e di illustrare in camera di consiglio le proprie deduzioni, ma comporta solo la facoltà per la Corte (ove questa lo ritenga opportuno) di consentire brevi integrazioni orali degli scritti – come è avvenuto nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 – prima che i soggetti di cui all’art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (presentatori della richiesta e Governo) illustrino oralmente le proprie posizioni e, comunque, nel rispetto dei tempi richiesti dalla speditezza del procedimento.

3. – Il quesito referendario n. 4 è diretto ad escludere: a) che il Governo adotti regolamenti di delegificazione al fine di armonizzare la normativa generale dettata dall’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, da un lato, e la normativa di settore relativa all’acqua, dall’altro; b) che nell’affidamento della gestione del servizio idrico integrato si applichino i princípi di autonomia gestionale del soggetto gestore; della piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche; della riserva esclusiva alle istituzioni pubbliche del governo di dette risorse. Altri aspetti della disciplina della gestione del servizio idrico integrato costituiscono oggetto dei quesiti n. 2 e n. 3, mentre la disciplina generale delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico integrato) costituisce oggetto del quesito n. 1.

In proposito, deve essere ribadito che questa Corte, in sede di giudizio di ammissibilità, deve valutare separatamente ciascun quesito referendario dichiarato legittimo dall’Ufficio centrale per il referendum, anche nel caso in cui (come nella specie) sia stata dichiarata legittima una pluralità di quesiti attinenti alla stessa materia (servizi pubblici locali di rilevanza economica). Il potere attribuito dalla legge all’Ufficio centrale (e non alla Corte costituzionale) di «concentrare» le richieste referendarie «che rivelano uniformità od analogia di materia» e di stabilire la denominazione di ciascuna richiesta (eventualmente già oggetto di “concentrazione”), nonché la possibilità che le varie richieste presentate perseguano obiettivi diversi (anche opposti) evidenziano che la Corte costituzionale deve valutare ciascun quesito indipendentemente dagli altri e, in particolare, dagli effetti che l’esito degli altri referendum potrebbe avere sulla cosiddetta normativa di risulta. In altri termini, esula dall’esame della Corte ogni valutazione circa la complessiva coerenza dei diversi quesiti incidenti sulla stessa materia e, quindi, non ha alcun rilievo neppure l’eventualità che essi siano stati proposti (in tutto o in parte) dai medesimi promotori. Ne consegue che ciascun quesito deve essere esaminato separatamente dagli altri.

Il quesito n. 4 è inammissibile.

4. − Oggetto dell’abrogazione referendaria di cui al suddetto quesito n. 4 sono due diverse disposizioni: a) una parte della lettera d) del comma 10 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008; b) una parte del comma 1-ter, dell’art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009.

Piú precisamente, si chiede l’abrogazione, in primo luogo, della lettera d) del comma 10 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 («Il Governo […] adotta uno o piú regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: […] d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;»), limitatamente alle parole: «, nonché in materia di acqua». In tal modo, all’esito dell’abrogazione referendaria, residuerebbero i seguenti enunciati dell’alinea del comma 10 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e della lettera d) dello stesso comma 10: «Il Governo […] adotta uno o piú regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: […] d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas;».

In secondo luogo (e contestualmente) si chiede l’abrogazione del comma 1-ter dell’art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 («Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei princípi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio»), limitatamente alle parole «di cui all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008,» nonché alle parole «nel rispetto dei princípi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio,». In tal modo, all’esito dell’abrogazione referendaria, residuerebbe il seguente enunciato del comma 1-ter dell’art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009: «Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato devono avvenire in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio».

Il quesito referendario è privo degli indispensabili requisiti di chiarezza e di univocità richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini dell’ammissibilità.

Al riguardo, deve osservarsi che il quadro normativo in cui si inserisce la richiesta referendaria è costituito dalla disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta nell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (specie nei commi 1, 2 e 3). Tale disciplina risponde alla ratio di favorire la gestione dei suddetti servizi da parte di soggetti scelti a séguito di gara ad evidenza pubblica e, a tal fine, limita i casi di affidamento diretto della gestione. In particolare, il citato art. 23-bis consente la gestione in house (cioè una peculiare forma di gestione diretta del servizio da parte dell’ente pubblico, affidata senza gara pubblica) solo ove ricorrano situazioni del tutto eccezionali, che «non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato». In forza del comma 1 di tale articolo, la suddetta disciplina si applica «a tutti i servizi pubblici locali» − e, quindi, anche al servizio idrico integrato, come precisato anche da questa Corte nelle sentenze n. 325 del 2010 e n. 246 del 2009 −, prevalendo sulle «discipline di settore […] incompatibili», salvo quelle relative ai quattro cosiddetti “settori esclusi” (distribuzione di gas naturale; distribuzione di energia elettrica; gestione delle farmacie comunali; trasporto ferroviario regionale).

La richiesta di abrogazione referendaria non ha ad oggetto l’indicata complessiva disciplina delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico integrato), ma solo frammenti di disposizioni non idonei ad incidere in modo significativo su di essa.

Ne consegue che l’abrogazione delle parole «, nonché in materia di acqua», contenute nel menzionato comma 10, lettera d), di tale articolo, avrebbe il solo effetto di far venire meno la possibilità per il Governo di armonizzare la disciplina generale dell’affidamento della gestione del servizio idrico integrato (non toccata dal quesito) con la disciplina di settore dello stesso servizio. Tale effetto è intrinsecamente contraddittorio e rende obiettivamente oscuro il quesito, in quanto questo appare contemporaneamente diretto, da un lato, a rispettare l’intervenuta riforma generale dell’affidamento della gestione del servizio pubblico locale di rilevanza economica (anche idrico) e, dall’altro, ad impedire l’armonizzazione della disciplina del settore idrico con quella generale.

Inoltre, mentre la suddetta abrogazione di parte del comma 10, lettera d), dell’art. 23-bis sembra vòlta ad ostacolare, in qualche misura, l’armonica applicazione al servizio idrico della normativa generale concernente l’affidamento mediante gara pubblica della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, l’abrogazione del sopra indicato frammento del comma 1-ter dell’art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009, per un verso, sembra diretta a produrre l’opposto effetto di favorire l’ente pubblico locale, in quanto non piú tenuto ad applicare il principio di autonomia del soggetto gestore del servizio idrico, e, per altro verso, pare avere l’intento di indebolire la posizione dell’ente locale, sembrando voler escludere, per il servizio idrico integrato, l’operatività dei princípi della piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, nonché della riserva esclusiva alle istituzioni pubbliche del governo di tali risorse.

Sul punto, deve essere ricordato che la richiesta referendaria è atto privo di motivazione e, pertanto, l’intento dei sottoscrittori del referendum va desunto non dalle dichiarazioni eventualmente rese dai promotori (dichiarazioni, oltretutto, aventi spesso un contenuto diverso in sede di campagna per la raccolta delle sottoscrizioni, rispetto a quello delle difese scritte od orali espresse in sede di giudizio di ammissibilità), ma esclusivamente dalla finalità «incorporata nel quesito», cioè dalla finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua formulazione ed all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento. Sono dunque irrilevanti, o comunque non decisive, le eventuali dichiarazioni rese dai promotori (ex plurimis, sentenze n. 16 e n. 15 del 2008, n. 37 del 2000, n. 17 del 1997). Ne deriva che l’eterogeneità e la frammentarietà delle disposizioni di cui si chiede l’abrogazione, in una con la sottolineata intrinseca incertezza e contraddittorietà dell’intento referendario, rendono il quesito n. 4 obiettivamente privo di univocità e di chiarezza e, quindi, inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare – dichiarata legittima, con ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata il successivo 7 dicembre, dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione e rubricata con il n. 4 – per l’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, delle seguenti disposizioni: a) dell’art. 23-bis, comma 10, lettera d), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive; b) dell’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2011.