Sentenza n. 246 del 2009

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 246

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Francesco                   AMIRANTEPresidente

-  Ugo                            DE SIERVO               Giudice

-  Paolo                          MADDALENA                   "

-  Alfio                           FINOCCHIARO                "

-  Alfonso                      QUARANTA                      "

-  Franco                        GALLO                              "

-  Luigi                           MAZZELLA                       "

-  Gaetano                      SILVESTRI                        "

-  Sabino                        CASSESE                           "

-  Maria Rita                  SAULLE                             "

-  Giuseppe                    TESAURO                          "

-  Paolo Maria               NAPOLITANO                  "

-  Giuseppe                    FRIGO                               "

-  Alessandro                 CRISCUOLO                     "

-  Paolo                          GROSSI                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 135, comma 2, 136, 141, comma 1, da 144 a 160, 166, commi 1 e 4, 170, comma 3, lettera i), 172, comma 2 e 176, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (mediante due ricorsi), Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata, con ricorsi notificati il 24 aprile, l’8, il 12, il 13, il 12-21 e il 12-27 giugno 2006, depositati in cancelleria il 27 aprile, il 10, il 14, il 15, il 16, il 17, il 20, il 21 ed il 23 giugno 2006, ed iscritti ai nn. 56, 68, 69, 70, 72, 73, 74, 75, 76, 78, 79 ed 80 del registro ricorsi 2006.

       Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF Italia), della s.p.a. Biomasse Italia ed altre società;

       udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Franco Gallo;

       uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Lucia Bora e Guido Meloni per la Regione Toscana, Luigi Manzi per la Regione Piemonte, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon per la Regione Liguria, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Gustavo Visentini per la Regione Marche, Alessandro Giadrossi per l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF Italia), e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 24 aprile 2006, depositato il 27 aprile successivo e iscritto al n. 56 del registro ricorsi del 2006, la Regione Emilia-Romagna ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e, tra queste, degli artt. 154 e 155.

1.1. – Il censurato art. 154 disciplina la «Tariffa del servizio idrico integrato», prevedendo, al comma 1, che essa ha natura di corrispettivo «ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga”». Il comma 2 stabilisce che «Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua». I successivi commi da 3 a 7 prevedono che: a) «Al fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresí riduzioni del canone nell’ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate. L’aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale»; b) «L’Autorità d’ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell’osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio»; c) nella modulazione della tariffa, che è applicata dai soggetti gestori, «sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito»; d) per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi, «sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali»; e) «l’eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro capite per residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini dell’organizzazione del servizio idrico integrato».

1.2. – L’art. 155 disciplina la «Tariffa del servizio di fognatura e depurazione», prevedendo, al comma 1, che: a) le relative quote sono «dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi» e che «il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell’articolo 154, a un fondo vincolato intestato all’Autorità d’ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l’attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d’ambito»; b) «la tariffa non è dovuta se l’utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell’Autorità d’ambito».

1.3. – La ricorrente censura il citato art. 154, sostenendo che esso prevede «poteri ministeriali sovraordinati a quelli delle regioni, in violazione della competenza legislativa propria spettante alle regioni a termini dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione», in quanto, nell’istituire e disciplinare la tariffa del servizio idrico quale «corrispettivo del servizio idrico integrato», attribuisce: a) al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, il compito di definire con decreto «le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua»; b) al «Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio» il compito di stabilire con decreto «i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica».

A detta della ricorrente, la disposizione víola: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali, esercitata nel caso di specie con la legge regionale 14 aprile 2004, n. 7 (Disposizioni in materia ambientale. Modifiche ed integrazioni a leggi regionali), la quale, secondo la ricorrente, diversamente dall’impugnata norma statale, incentiva un riparto delle risorse ambientali mirato alla sostenibilità dello sviluppo e si basa sulla qualità del servizio reso; b) l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché incide su un’entrata la cui disciplina ricade nell’àmbito della competenza regionale e, perciò, lede l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), i cui criteri stabiliscono: (c.1.) il rispetto delle attribuzioni regionali «come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» [art. 1, comma 8, alinea, della legge di delegazione]; (c.2.) lo «sviluppo e coordinamento, con l’invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l’introduzione e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996 del Consiglio, nonché il risparmio e l’efficienza energetica, e a rendere piú efficienti le azioni di tutela dell’ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali» [art. 1, comma 8, lettera d), della legge di delegazione]; d) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge n. 308 del 2004, per eccesso di delega, non prevedendo la fonte delegante «l’introduzione ex novo dell’imposta in questione»; e) l’art. 3 Cost. [non espressamente evocato], perché non è «coerente con l’evoluzione della stessa legislazione statale», omettendo di indicare, tra i criteri per la determinazione della tariffa, gli «obiettivi di miglioramento della produttività», criterio invece previsto dall’art. 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche).

1.4. – La stessa ricorrente denuncia, inoltre, il citato art. 155 «per le stesse ragioni».

1.5. – A sostegno delle questioni prospettate, la Regione osserva che la legge regionale n. 7 del 2004 ha introdotto in Emilia-Romagna un metodo di tariffazione partecipato ed innovativo, basato su meccanismi che incentivano il risparmio delle risorse ambientali. A detta della ricorrente, tale metodo tariffario regionale ovvia al piú evidente difetto del metodo tariffario nazionale – e cioè l’impossibilità di incentivare il risparmio idrico e la qualità del servizio – perché consente di promuovere l’efficienza senza incrementare il costo per l’utenza e di favorire i comportamenti virtuosi di risparmio e conservazione, includendo nella tariffa di riferimento strumenti di promozione della qualità del servizio e allineando la regolazione tariffaria agli indirizzi e obiettivi del Piano di tutela delle acque, in termini di risparmio. Inoltre, le norme regionali prevedono elementi di «calmierazione» tariffaria per i soggetti svantaggiati economicamente.

La ricorrente chiede, infine, la sospensione dell’esecuzione dei denunciati artt. 154 e 155, sul rilievo che essi si sostituiscono alla «disciplina regionale sulla tariffa relativa al servizio integrato ed alla gestione dei rifiuti dettata dalla legge regionale n. 7/2004, interrompendo la sperimentazione avviata e ingenerando incertezza rispetto agli oneri tributari da assolvere, con grave danno per la certezza dei rapporti giuridici e per i bilanci degli enti coinvolti».

1.6. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza delle censure e contestando, altresí, i presupposti della richiesta sospensione. Tuttavia, successivamente, è stata depositata la delibera del Consiglio dei ministri del 9 giugno 2006, con la quale il Governo ha deciso di «rinunciare all’intervento».

1.7. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.

1.8. – In prossimità della camera di consiglio fissata per la decisione sull’istanza di sospensione dell’esecuzione delle disposizioni censurate, la ricorrente ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto.

1.9. – Con ordinanza n. 245 del 2006, la Corte costituzionale ha dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza di sospensione dell’esecuzione delle disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006.

1.10. – In prossimità dell’udienza, la ricorrente Regione Emilia-Romagna ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto e precisando che le ragioni di doglianza nei confronti dei censurati artt. 154 e 155 permangono anche dopo l’abolizione dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti da parte del comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale).

1.11. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza anche l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

2. – Con ricorso notificato l’8 giugno 2006, depositato il 10 giugno successivo e iscritto al n. 68 del registro ricorsi del 2006, la Regione Calabria ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 135, comma 2, 136, 141, comma 1, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 176, comma 1.

2.1. – Il censurato art. 135, comma 2, prevede che «Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresí intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle capitanerie di porto, Guardia costiera, provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del presente decreto quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero».

Ad avviso della ricorrente, la quale non evoca alcuno specifico parametro costituzionale, detta disposizione víola le competenze regionali in materia di individuazione dei soggetti preposti ai compiti di polizia amministrativa, perché il precedente comma 1 il quale prevede che «In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli articoli 18 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità» − attribuisce alle Regioni la competenza ad accertare gli illeciti amministrativi e ad erogare le relative sanzioni.

La ricorrente lamenta, in particolare, che la norma censurata «cristallizza i compiti delle diverse forze di polizia, affidando il ruolo centrale a strutture facenti capo allo Stato e relegando ad un ruolo facoltativo e residuale il Corpo forestale, vale a dire quella che, in precedenza, era l’unica forza espressamente contemplata, sia pure come struttura "concorrente” con altre, che le regioni erano ovviamente chiamate a specificare», con la conseguenza «di avocare allo Stato una competenza già trasferita agli enti territoriali infra-statuali».

2.2. – L’art. 136 denunciato dispone che: a) «le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto sono versate all’entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici»; b) le Regioni ripartiscono «le somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento».

La ricorrente censura la norma, perché, nel disciplinare i proventi delle sanzioni amministrative, che costituiscono entrate regionali, pone un vincolo di destinazione delle somme a vantaggio delle «opere di risanamento e riduzione dell’inquinamento» dei corpi idrici e víola cosí l’art. 119 Cost., perché tale vincolo è illegittimo «come dimostrato dalla costante giurisprudenza» della Corte costituzionale.

2.3. – La Regione denuncia, inoltre, [senza che la disposizione risulti fra quelle elencate nella delibera a ricorrere] in riferimento al principio di leale collaborazione, l’art. 141, comma 1, il quale dispone, in apertura del Titolo I (Principi generali e competenze) della Sezione III (Gestione delle risorse idriche) del d.lgs. n. 152 del 2006, che «Oggetto delle disposizioni contenute nella presente sezione è la disciplina della gestione delle risorse idriche e del servizio idrico integrato per i profili che concernono la tutela dell’ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane», perché interviene in un settore in cui vi è concorrenza di competenze, senza che vi sia prevalenza di una materia sulle altre, ma non prevede un «coinvolgimento degli enti regionali che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini essenzialmente sul modello dell’intesa in senso forte».

Osserva la ricorrente che, nella disciplina della gestione delle risorse idriche si «realizza un complesso intreccio di interessi e competenze in cura a diversi livelli istituzionali» (Corte costituzionale, sentenza n. 412 del 1994) e che tale disciplina non è riconducibile: a) alla competenza legislativa esclusiva statale in tema di «tutela della concorrenza», perché ad essa sono ascrivibili i soli servizi pubblici locali «di rilevanza economica» (Corte costituzionale, sentenza n. 272 del 2004), tra i quali non rientrano i servizi idrici; b) alla competenza legislativa esclusiva statale in tema di «funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane», perché gli «ambiti territoriali ottimali» nei quali si svolge il servizio idrico integrato hanno una dimensione territoriale variabile, «tale da escludere che la gestione dei servizi in questione possa considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale».

Ad avviso della Regione, la disciplina in questione è, invece, riconducibile alle materie, di competenza legislativa concorrente o residuale regionale: a) del «governo del territorio», per l’evidente collegamento fra gestione del servizio e àmbito territoriale; b) della «tutela della salute», per le «ricadute che la tutela delle risorse idriche non può non avere sul diritto alla salute degli individui, anche inteso come diritto all’ambiente salubre»; c) dei «servizi pubblici locali», sulla scorta delle pronunce della Corte costituzionale n. 222 del 2005 e n. 26 del 2006».

2.4. – La Regione Calabria censura anche gli artt. 144, 145 e 146.

2.4.1. – La prima di tali norme, nel disciplinare «Tutela e uso delle risorse idriche», prevede che: a) «tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato» (comma 1); b) «le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» (comma 2); c) «la disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici» (comma 3); d) «gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità» (comma 4).

Il successivo art. 145 disciplina l’«Equilibrio del bilancio idrico», attribuendo all’Autorità di bacino competente il compito di definire ed aggiornare «periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l’equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell’area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi» e di pianificare l’economia idrica, in funzione degli usi cui sono destinate le risorse. Prevede, inoltre, che, nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti, «le derivazioni sono regolate in modo da garantire il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati».

L’art. 146, allo scopo di realizzare il risparmio idrico, prevede che le Regioni adottino «norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi» ed elenca le specifiche finalità da perseguire.

2.4.2. – La ricorrente impugna nel complesso le suddette disposizioni, affermando che esse, nel dettare «i principi generali alla luce dei quali porre in essere la gestione del demanio idrico», violano: a) l’art. 76 Cost., in combinato disposto con l’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004, perché tale legge «impone al legislatore il rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998» e l’art. 88, comma 1, lettera h), di tale decreto legislativo stabilisce che hanno rilievo nazionale i soli cómpiti relativi «ai criteri per la gestione del servizio idrico integrato», con l’ulteriore conseguenza della «impossibilità per lo Stato di dettagliare la normativa in materia, dovendosi limitare alla predisposizione di un quadro assolutamente generale nel quale le regioni (e, se del caso, gli enti locali) siano lasciati liberi di agire nel modo ritenuto piú consono alla tutela del proprio territorio ed al soddisfacimento delle esigenze della propria popolazione»; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali»; c) il principio di leale collaborazione, perché non prevedono «una partecipazione effettiva delle regioni alla determinazione dei loro contenuti»; d) l’art. 118 Cost., perché recano «disposizioni di minuto dettaglio, indiscutibilmente ultronee rispetto alla fissazione di standards di tutela uniformi, in contrasto, quindi, con i principi che reggono il riparto delle funzioni amministrative».

Quanto, in particolare, all’art. 146, comma 3, la stessa ricorrente afferma anche che esso – nell’attribuire al Ministro dell’ambiente la potestà regolamentare per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature – víola: a) in via principale, l’art. 117, sesto comma, Cost., perché prevede «un potere regolamentare in capo allo Stato in un settore non riconducibile ad una materia di competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma»; b) in via subordinata, il principio della leale collaborazione, per la «mancata previsione della necessità di un coinvolgimento dei rappresentanti degli enti regionali».

2.5. – La Regione denuncia, nel loro complesso, gli artt. da 147 a 158, affermando che essi, nel disciplinare la materia della gestione delle risorse idriche, violano il principio di leale cooperazione, perché, trattandosi di una materia nella quale vi è «intreccio di competenze trasversali, concorrenti e residuali», avrebbero dovuto essere adottati con «un coinvolgimento degli enti regionali che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini essenzialmente sul modello dell’intesa in senso forte».

2.6. – La ricorrente censura poi l’art. 148, il quale reca una dettagliata disciplina dell’«Autorità d’ambito territoriale ottimale», prevedendo che essa «è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all’articolo 143, comma 1» (comma 1). La disposizione prevede, inoltre, ai commi da 2 a 4, che: a) «le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d’ambito di cui al comma 1, cui è demandata l’organizzazione, l’affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato» (comma 2); b) «i bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente, e sono trasmessi all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni dall’adozione delle relative delibere» (comma 3); c) i costi di funzionamento «fanno carico agli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale» (comma 4). Prevede, infine, al comma 5 che: «Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune. Sulle gestioni di cui al presente comma l’Autorità d’ambito esercita funzioni di regolazione generale e di controllo. Con apposito contratto di servizio stipulato con l’Autorità d’ambito, previo accordo di programma, sono definiti criteri e modalità per l’eventuale partecipazione ad iniziative promosse dall’Autorità d’ambito medesima».

Ad avviso della Regione, la disposizione, che, «nel suo complesso», individua «nell’Autorità d’ambito la struttura cui è affidata la gestione delle risorse idriche», víola: a) l’art. 76 Cost., in combinato disposto con l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, perché tale legge «impone al legislatore il rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998» e l’art. 86, comma 1, di tale decreto legge stabilisce che «alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio», con la conseguenza che, con la disposizione denunciata, «lo Stato priva gli enti territoriali di poteri amministrativi loro attribuiti»; b) l’art. 117 Cost., perché «espropria le regioni di poteri legislativi», che, in base all’art. 86, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1998, sono di spettanza regionale; c) l’art. 118 Cost., perché «ipostatizza un certo assetto di competenze amministrative, senza tener conto delle peculiarità di ciascun territorio, peculiarità che soltanto in sede di legislazione regionale possono trovare adeguata rispondenza».

Inoltre – sempre per la Regione – i commi 3 e 5 del citato art. 148, nel disciplinare, rispettivamente, la pubblicazione e trasmissione dei bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, violano l’art. 117 Cost., «in ragione del contenuto di estremo dettaglio che essi recano», che incide sulle potestà legislative regionali, non attenendo alla tutela dell’ambiente in senso stretto, ma «a misure organizzative che le regioni devono poter calibrare in relazione alle peculiarità del proprio territorio».

2.7. – La ricorrente censura l’art. 149, il quale, al comma 1, attribuisce all’Autorità d’ambito il compito di predisporre e aggiornare il piano d’ambito, costituito dai seguenti atti, dettagliatamente definiti nei commi da 2 a 5: a) ricognizione delle infrastrutture; b) programma degli interventi; c) modello gestionale ed organizzativo; d) piano economico finanziario. Il comma 6 dello stesso articolo prevede che «Il piano d’ambito è trasmesso entro dieci giorni dalla delibera di approvazione alla regione competente, all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. L’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti può notificare all’Autorità d’ambito, entro novanta giorni decorrenti dal ricevimento del piano, i propri rilievi od osservazioni, dettando, ove necessario, prescrizioni concernenti: il programma degli interventi, con particolare riferimento all’adeguatezza degli investimenti programmati in relazione ai livelli minimi di servizio individuati quali obiettivi della gestione; il piano finanziario, con particolare riferimento alla capacità dell’evoluzione tariffaria di garantire l’equilibrio economico finanziario della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati».

A detta della stessa ricorrente: a) il comma 1 della disposizione, il quale prevede la predisposizione del piano d’ambito indicandone il contenuto, víola gli artt. 117 e 118 Cost., perché attribuisce illegittimamente allo Stato la disciplina dell’«esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli enti infra-statuali»; b) i successivi commi da 2 a 5 sono illegittimi, perché attuativi del comma 1; c) il comma 6 è illegittimo, perché, specificando la disciplina relativa alle fasi successive alla delibera di approvazione del piano d’àmbito, detta una «disciplina procedurale assai dettagliata».

2.8. – Oggetto di censura è anche il successivo art. 150, il quale prevede, ai commi 1 e 2, che «l’Autorità d’ambito […] delibera la forma di gestione fra quelle di cui all’articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267» e «aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia».

La ricorrente lamenta che la norma, nel disciplinare la forma di gestione del servizio e le procedure di affidamento dello stesso «basandosi essenzialmente sulla disciplina dell’art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000», víola l’art. 117 Cost., «sulla scorta delle affermazioni […] della sentenza n. 272 del 2004», perché: a) «dimostra chiaramente l’intento dilatatorio perseguito dal legislatore statale relativamente alle competenze di cui è titolare»; b) «l’esclusione di ogni rilievo della "tutela della concorrenza” nel settore che ci occupa configura, in effetti, come improponibile una recezione della normativa dal precitato art. 113».

2.9. – È censurato, poi, il l’art. 151, che prevede che i rapporti tra autorità d’ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato «sono regolati da convenzioni predisposte dall’Autorità d’ambito» e indica il contenuto delle convenzioni tipo e dei relativi disciplinari.

Ad avviso della Regione, la disposizione è illegittima perché «prosieguo logico e specificazione» dell’art. 150.

2.10. – È censurato l’art. 153, a norma del quale: a) «le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare»; b) le immobilizzazioni, le attività e le passività relative al servizio idrico integrato sono trasferite al soggetto gestore, «che subentra nei relativi obblighi; di tale trasferimento si tiene conto nella determinazione della tariffa, al fine di garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica».

La Regione lamenta che la disposizione è illegittima per le medesime ragioni esposte in relazione all’art. 150.

2.11. – La ricorrente denuncia anche l’art. 154, affermando che esso, nel disciplinare la tariffa del servizio idrico integrato «fissando i parametri in base ai quali essa deve essere concretamente determinata», si pone in contrasto con: a) gli artt. 117 e 118 Cost., come interpretati dalla sentenza n. 335 del 2005, perché «La determinazione della tariffa di un servizio rientra, evidentemente, negli aspetti di pura gestione dello stesso, e dunque non può non tradursi in una normativa di minuto dettaglio (sul presupposto – che si è qui fatto proprio, peraltro solo per ipotesi – che si versi un ambito materiale comunque riconducibile alla competenza trasversale dello Stato)»; b) l’art. 119 Cost., «in ragione della compressione che si viene a creare dell’autonomia di entrata costituzionalmente garantita a regioni ed enti locali».

In via subordinata, quanto ai commi 2 e 3 della disposizione, la Regione lamenta che essi violano: a) l’art. 117, sesto comma, Cost., perché prevedono poteri regolamentari che incidono su materie diverse da quelle di competenza esclusiva statale; b) in via ulteriormente subordinata, il principio di leale cooperazione, perché «i poteri regolamentari ivi contemplati non prevedono, nel loro esercizio, alcun coinvolgimento delle istanze rappresentative di regioni ed enti locali».

2.12. – È denunciato anche l’art. 155 per le medesime ragioni di cui al punto 2.11.

2.13. – La Regione impugna, inoltre, l’art.156, il quale dispone che la tariffa del servizio idrico integrato è riscossa dal gestore e regola le modalità della riscossione.

Per la ricorrente, la disposizione víola gli artt. 117 e 118 Cost., perché «si occupa della disciplina della riscossione della tariffa, incidendo dunque su un aspetto di ulteriore dettaglio rispetto a quanto previsto negli artt. 154 e 155».

2.14 – Sono censurati anche gli artt. 159 e 160.

2.14.1. – La prima di tali disposizioni istituisce e disciplina sul piano strutturale l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, in particolare disponendo che: a) «il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche istituito dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, assume la denominazione di Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, di seguito denominata "Autorità”, con il compito di assicurare l’osservanza, da parte di qualsiasi soggetto pubblico e privato, dei principi e delle disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto» (comma 1); b) sono organi dell’Autorità «il presidente, il comitato esecutivo ed il consiglio, che si articola in due sezioni denominate "Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e "Sezione per la vigilanza sui rifiuti”; ciascuna sezione è composta dal presidente dell’Autorità, dal coordinatore di sezione e da cinque componenti per la "Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e da sei componenti per la "Sezione per la vigilanza sui rifiuti”» (comma 2); c) «il comitato esecutivo è composto dal presidente dell’Autorità e dai coordinatori di sezione» (comma 2); d) «il consiglio dell’Autorità è composto da tredici membri e dal presidente, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri» (comma 2); e) «il presidente dell’Autorità e quattro componenti del consiglio, dei quali due con funzioni di coordinatore di sezione, sono nominati su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, due su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, due su proposta del Ministro per la funzione pubblica, uno su proposta del Ministro delle attività produttive relativamente alla "Sezione per la vigilanza sui rifiuti”, quattro su designazione della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome» (comma 2); f) il «Presidente dell’Autorità è il legale rappresentante, presiede il comitato esecutivo, il consiglio e le sezioni nelle quali esso si articola» (comma 3); g) il «comitato esecutivo è l’organo deliberante dell’Autorità» (comma 3); h) «l’organizzazione e il funzionamento, anche contabile, dell’Autorità sono disciplinati, in conformità alle disposizioni di cui alla parte terza e quarta del presente decreto, da un regolamento deliberato dal Consiglio dell’Autorità ed emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri» (comma 4).

2.14.2. – L’art. 160 dispone, al comma 1, che, nell’esercizio delle funzioni e dei compiti indicati al comma 1 dell’articolo 159, «l’Autorità vigila sulle risorse idriche e sui rifiuti e controlla il rispetto della disciplina vigente a tutela delle risorse e della salvaguardia ambientale esercitando i relativi poteri ad essa attribuiti dalla legge». I commi 2 e 3 dello stesso articolo 160 individuano nel dettaglio le singole attività svolte dall’Autorità, nonché gli strumenti sanzionatori e di controllo dei quali essa dispone.

2.14.3. – La ricorrente sostiene che i suddetti artt. 159 e 160, nell’istituire un’autorità di vigilanza e nel disciplinare i compiti e le funzioni dell’autorità medesima, violano: a) gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto: (a.1.) «escludono qualunque intervento regionale che incida su un ambito che incide indiscutibilmente sulle attribuzioni costituzionali alle regioni» e, perciò, adottano «una prospettiva tale per cui è lo Stato ad avere un monopolio sostanzialmente assoluto»; (a.2.) determinano illegittimamente «la concentrazione in capo allo Stato della funzione di vigilanza», mentre al riguardo «non può non prospettarsi una contiguità tra le competenze normative in tema di gestione e quelle in tema di vigilanza», come evidenziato dalle sentenze n. 106 e n. 63 del 2006; b) l’art. 118 Cost., sub specie del principio di sussidiarietà, perché non si può «negare che il livello regionale di governo è ampiamente nelle condizioni di assicurare lo svolgimento di questa funzione [e cioè della funzione di vigilanza], ed anzi – per la migliore conoscenza delle peculiarità del proprio territorio – lo è in misura certo maggiore rispetto ad una autorità centrale».

Quanto, in particolare, al comma 2 dell’art. 159, la stessa ricorrente sostiene che esso contrasta con: a) l’art. 76 Cost., in combinato disposto con l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 perché tale legge «impone al legislatore il rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998» e l’art. 88, comma 1, lettera h), di tale decreto legge prevedeva che «il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche era composto "da sette membri, nominati con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente”, con conseguente "arretramento”, nella disposizione impugnata, «della posizione assegnata ai rappresentanti regionali»; b) l’art. 118 Cost., perché «lede le prerogative costituzionali delle regioni»; c) il principio di leale collaborazione, perché «lede le prerogative costituzionali delle regioni».

Quanto, poi, al comma 4 dello stesso art. 159, la Regione afferma che esso víola: a) l’art. 117, sesto comma, Cost., perché «la disposizione si traduce nella attribuzione allo Stato di un potere regolamentare in un ambito diverso da quello per cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva»; b) il principio di leale collaborazione, per «il mancato coinvolgimento delle istanze rappresentative delle regioni nella approvazione di un regolamento che avrebbe importanti ricadute sulla gestione delle risorse idriche».

2.15. – La Regione denuncia, infine, l’art. 176, comma 1, il quale prevede che «Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione», in riferimento all’art. 117, comma 3, Cost., perché «l’autoqualificazione alla stregua di norme di principio è da ritenersi illegittima, nella misura in cui non tiene conto della riscontrabilità di (molte) disposizioni che, come in precedenza si è visto, intervengono, disciplinando aspetti eminentemente di dettaglio, su materie di competenza concorrente».

2.16. – In prossimità dell’udienza, la ricorrente Regione Calabria ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto.

3. – Con ricorso notificato tramite il servizio postale, consegnato all’ufficio postale il 12 giugno 2006, pervenuto al destinatario il 21 giugno 2006, depositato il 14 giugno 2006 e iscritto al n. 69 del registro ricorsi del 2006, la Regione Toscana ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 148, comma 5, 149, comma 6, 154, 155, 159, comma 2, 160, comma 2, lettere f) e g).

3.1. – La ricorrente censura l’art. 148, comma 5, in riferimento l’art. 117, quarto comma, Cost., perché, disciplinando l’adesione dei Comuni alla gestione unica del servizio idrico integrato, incide sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali».

Osserva la Regione che la Corte costituzionale ha operato una distinzione all’interno dei servizi pubblici locali tra quelli dotati di rilevanza economica e quelli che ne sono sprovvisti: mentre questi ultimi possono ricondursi alle materie di competenza residuale delle Regioni, per quelli a rilevanza economica lo Stato è legittimato a porre principi in virtú della sua competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza. La competenza statale si riferisce, però, solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi.

Ad avviso della ricorrente, la previsione di eventuali deroghe alla gestione unica del servizio idrico integrato per particolari enti territoriali ed in particolari circostanze, non concretizza una misura volta a tutelare la concorrenza, perché è strettamente connessa a «valutazioni sulle caratteristiche e sulle tipologie degli enti che insistono sul territorio nonché a valutazioni sull’opportunità ed economicità di gestioni separate che non possono che competere alle regioni».

3.2. – È poi censurato l’art. 149, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, perché esso, nello stabilire che il piano d’ambito è trasmesso alla Regione competente, all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e nel prevedere un potere di controllo da parte dell’Autorità di vigilanza, che «presenta una composizione fortemente sbilanciata a favore dei rappresentanti ministeriali», víola: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., incidendo, in parte, sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali»; b) l’art. 117, terzo comma, Cost., incidendo, in parte, sulla materia, di potestà legislativa concorrente regionale, del «governo del territorio», dettando disposizioni di dettaglio.

Sostiene la ricorrente che, poiché «il contenuto del Piano d’ambito consente di ricondurlo in parte alla materia dei servizi pubblici ed in parte alla materia del governo del territorio (basti pensare al programma delle manutenzioni e degli investimenti)», la competenza legislativa statale deve essere ritenuta limitata alla disciplina di stretta tutela della concorrenza e alla fissazione dei principi fondamentali.

3.3. – La Regione denuncia, inoltre, gli artt. 154 e 155, sul rilievo che essi, nel prevedere, nella sostanza, «poteri ministeriali sovraordinati a quelli delle regioni, in violazione delle competenze ad esse riconosciute dal titolo V della Costituzione» contrastano con: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali; b) l’art. 3 Cost., perché sono incoerenti «con l’evoluzione della stessa legislazione statale» ed omettono di indicare «tra i criteri per la determinazione della tariffa», gli «obiettivi di miglioramento della produttività», parametro invece previsto dall’art. 13 della legge n. 36 del 1994; c) l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché ledono l’«autonomia finanziaria e tributaria delle regioni, incidendo […] su un’entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale».

3.4. – È impugnato anche l’art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, sul rilievo che esso, nel disciplinare la composizione e le competenze dell’Autorità per la vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, prevede una composizione dell’organo «fortemente sbilanciata a favore della componente statale», pur essendo investito detto organo di funzioni che incidono su «una pletora di interessi riconducibili ora alla competenza statale (tutela della concorrenza, tutela dell’ambiente), ora alla competenza concorrente delle regioni (governo del territorio) ora alla competenza esclusiva regionale (disciplina del servizio pubblico economico)». Per la Regione, esso víola, perciò: a) gli artt. 117 e 118 Cost., «in via residuale e in via concorrente», perché «non riconosce adeguata rappresentatività agli interessi regionali»; b) il principio di leale collaborazione.

3.5. – La ricorrente denuncia, infine l’art. 160, comma 2, lettere f) e g), perché esso, nello stabilire che l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti «specifica i livelli generali di qualità riferiti ai servizi da prestare» e che i gestori devono adottare e rispettare una carta del servizio pubblico con indicazione di standard dei singoli servizi, si pone in contrasto con l’art. 117, quarto comma, Cost., incidendo sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali, esercitata nel caso di specie con le leggi regionali n. 81 del 2005, n. 26 del 1997 e n. 25 del 1998.

3.6. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando l’inammissibilità e l’infondatezza delle censure.

La difesa erariale rileva, in particolare che, contrariamente a quanto affermato dalla Regione: a) l’art. 148, comma 5, nel consentire che i piccoli Comuni di montagna gestiscano direttamente i servizi idrici, non attiene alla materia dei servizi pubblici locali, ma solo a quelle dell’ambiente e della tutela della concorrenza; b) l’art. 149, comma 6, fissa, nell’interesse generale, «un livello minimo di servizi idrici, determinato in maniera quanto piú possibile omogenea»; c) gli artt. 154 e 155 rispondono all’esigenza di fissare gli elementi di base delle tariffe in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale e lasciano alle Regioni «ampi spazi per le politiche locali di incentivazione e di aggravamento»; d) l’art. 159, comma 2, nel disciplinare l’organismo di vigilanza del settore della gestione delle risorse idriche come un’autorità indipendente, legittimamente stabilisce «quanto e come le regioni (principali attori nella gestione) debbano partecipare» a detto organismo; e) l’art. 160, comma 2, lettere f) e g), non invade la sfera di competenza della Regione, perché si limita a disciplinare «poteri generali di controllo nell’interesse generale dell’utenza».

3.7. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.

3.8. – In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle richieste già formulate.

La ricorrente afferma: a) di non avere piú interesse all’impugnazione dell’art. 148, comma 5, perché la norma è stata sostituita dall’art. 2, comma 14, del decreto legislativo n. 4 del 2008, il quale, tra le condizioni che legittimano la deroga alla gestione unica, prevede che vi sia il consenso dell’autorità d’àmbito competente, istituita dalla Regione; b) di non avere piú interesse all’impugnazione dell’art. 149, comma 6, perché tutti i riferimenti all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti sono stati soppressi dal comma 5 dell’art. 1, del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284; c) di avere ancora interesse all’impugnazione degli artt. 154 e 155, perché dette norme, pur essendo state modificate successivamente alla presentazione del ricorso, sono rimaste invariate nel loro nucleo essenziale, lesivo delle attribuzioni regionali; d) di non avere piú interesse all’impugnazione degli artt. 159, comma 2, e 160, comma 2, lettere f) e g), perché abrogati.

3.9. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

4. – Con ricorso notificato tramite il servizio postale, consegnato all’ufficio postale il 12 giugno 2006, pervenuto al destinatario il 27 giugno 2006, depositato il 15 giugno 2006 e iscritto al n. 70 del registro ricorsi del 2006, la Regione Piemonte ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 148, comma 5, 150, « in combinato disposto con l’art. 170, comma 3, lettera i)», e 176.

La Regione premette di avere dato attuazione alla disciplina della gestione delle risorse idriche contenuta nella legge n. 36 del 1994, con la legge regionale 20 gennaio 1997, n. 13 (Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali per l’organizzazione del servizio idrico integrato e disciplina delle forme e dei modi di cooperazione tra gli Enti Locali ai sensi della legge 5 gennaio 1994, n. 36 e successive modifiche ed integrazioni. Indirizzo e coordinamento dei soggetti istituzionali in materia di risorse idriche), attraverso un complesso processo di concertazione, che ha portato all’«individuazione di sei ambiti che rispondono alle seguenti caratteristiche: rispetto sostanziale delle infrastrutture e degli impianti esistenti, indipendentemente dalle singole realtà gestionali; dimensione sufficientemente ampia per l’applicazione di una tariffa di ambito idonea a compensare tutti i costi di gestione e di investimento senza essere eccessivamente onerosa; presenza all’interno di ogni ambito di situazioni differenziate, quali piccoli centri abitati e città di notevoli dimensioni, zone di montagna, collinari e di pianura, porzioni di territorio altamente dotate di infrastrutture ed aree poco attrezzate».

In particolare, la ricorrente riferisce che, con la citata legge reg. n. 13 del 1997: a) si è esclusa la possibilità «di ricorrere alle gestioni in economia, incompatibili con i criteri di efficienza, efficacia ed economicità posti dalla legge n. 36/1994 con specifico riferimento ai servizi idrici e con le norme dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 in materia di servizi pubblici locali»; b) si è previsto che la gestione del servizio idrico integrato possa essere affidata «anche ad una pluralità di soggetti, anziché ad un unico gestore, purché ciò risponda all’interesse generale dell’intero ambito territoriale ottimale ed a condizione che ciascuno dei soggetti individuati provveda, nella porzione di territorio servito, alla gestione unitaria del c.d. ciclo completo dell’acqua (captazione, adduzione e distribuzione, fognatura e depurazione)»; c) si è disposta «l’applicazione graduale della c.d. tariffa d’ambito, intesa quale corrispettivo del servizio idrico integrato pagato dall’utenza nell’intero ambito territoriale ottimale».

4.1. – La ricorrente censura l’art. 148, comma 5, in riferimento: a) all’art. 3 Cost., sub specie del principio di uguaglianza, perché detta disposizione «è totalmente avulsa dalla considerazione della forte differenziazione delle realtà territoriali ed amministrative nelle regioni italiane»; b) allo stesso art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché detta norma è «in patente contraddizione con lo stesso principio di organizzazione del servizio idrico in base all’individuazione di ambiti territoriali ottimali»; c) all’art. 76 Cost., perché «l’introdotta deroga al principio di unicità della gestione d’ambito esula dai principi dettati dalla legge di delega»; d) agli artt. 117 e 118 Cost., perché detta deroga «contrasta con il mantenimento del complessivo quadro istituzionale e dell’assetto organizzativo delle funzioni già stabilito», condizionando e limitando «le potestà regionali di organizzazione delle funzioni amministrative nel territorio e negli ambiti di competenza regionale quali quello della regolazione dei servizi pubblici locali, senza che sia ravvisabile alcuna razionale superiore diversa esigenza di carattere unitario ed anzi in evidente contrasto con gli stessi principi della disciplina del settore».

Rileva la Regione che «la previsione generalizzata di sottrazione dei comuni indicati dall’art. 148, comma 5 alla partecipazione agli ambiti territoriali ottimali, a meno che essi non vi prestino volontaria […] adesione, è totalmente avulsa dalla considerazione» delle caratteristiche del territorio regionale, perché, mentre «i territori montani piemontesi sono caratterizzati da superfici vaste su cui insistono piccoli centri abitati, solitamente poco attrezzati sotto il profilo infrastrutturale (soprattutto depurativo) a fronte di una presenza di risorsa idrica qualitativamente e quantitativamente rilevante», le zone di pianura, invece, sono «territori ad alta densità abitativa, dotati di infrastrutture idriche ma in condizioni quali-quantitative precarie» e le zone collinari hanno «peculiarità geomorfologiche e di antropizzazione rilevanti». La deroga al principio di unicità della gestione d’ambito introdotta dal legislatore statale, senza previsione neppure di un regime transitorio o di una clausola di salvezza dell’attuale «operatività degli ambiti territoriali ottimali e delle gestioni già esistenti, spezza improvvisamente un sistema che […] è strutturato, dimensionato e finanziariamente esposto per rispondere alle esigenze di gestione e infrastrutturazione unitaria dell’ambito territoriale ottimale».

In base a tali considerazioni, la ricorrente chiede la sospensione dell’esecuzione della disposizione censurata.

4.2. – È censurato, inoltre, l’art. 150, in combinato disposto con l’art. 170, comma 3, lettera i).

Tale ultima disposizione prevede che: «fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 150, comma 2, all’affidamento della concessione di gestione del servizio idrico integrato nonché all’affidamento a società miste continuano ad applicarsi il decreto ministeriale 22 novembre 2001, nonché le circolari del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del 6 dicembre 2004».

La Regione sostiene che detto combinato disposto, nel disciplinare la scelta della forma di gestione del servizio e le procedure di affidamento dello stesso, nonché il relativo regime transitorio, víola: a) gli artt. 117 e 118 Cost., perché illegittimamente determina una «attrazione completa nell’ambito di attività amministrativa ministeriale di tutta la disciplina relativa alla gestione del servizio considerato, consolidando nelle norme del decreto delegato precedenti atti ministeriali», senza che «a fronte di ciò si possano rinvenire peculiarità del servizio idrico integrato che giustifichino un simile intervento legislativo statale in deroga alla disciplina generale dei servizi pubblici locali»; b) l’art. 117, terzo comma, Cost., perché, non limitandosi a stabilire princípi fondamentali della materia, detta «misure di dettaglio», «con conseguente invasione delle competenze regionali in materia di regolazione del servizio idrico integrato».

4.3. – La ricorrente censura, infine, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 176, comma 1, il quale prevede – come visto – che «Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione», perché «le evidenziate violazioni dei precetti costituzionali ineriscono al sistema delle competenze ed a quello della pianificazione di settore, veri e propri cardini di tutto l’impianto normativo considerato» e, perciò, «anche disposizioni in sé e per sé non censurabili non possono risultare sottratte alle questioni sollevate, cosicché per tale ragione, oltre al rilievo inerente al metodo procedurale adottato, che riflette su tutte le disposizioni la violazione del principio di leale collaborazione, come evidenziato al I motivo, l’illegittimità costituzionale si estende all’intero complesso normativo di cui alla Parte III del d.lgs. n. 152/1999».

4.4. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato «inammissibile ed infondato» e riservandosi ulteriori deduzioni nel successivo atto difensivo.

4.5. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.

4.6. – Nel giudizio sono intervenute anche, costituendosi con unico atto, la s.p.a. Biomasse Italia, la s.r.l. Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET, la s.r.l. Ital Green Energy, la s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie Ambiente, chiedendo che la Corte costituzionale «dichiari l’inammissibilità e/o comunque l’infondatezza dell’epigrafato ricorso».

4.7. – Con successiva memoria la s.p.a. Biomasse Italia, la s.r.l. Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET, la s.r.l. Ital Green Energy, la s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie Ambiente hanno insistito nelle conclusioni formulate nell’atto di intervento «e, comunque per la dichiarazione di sopravvenuta improcedibilità, in parte qua, del ricorso».

4.8. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

5. – Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e iscritto al n. 72 del registro ricorsi del 2006, la Regione Umbria ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 148, comma 5, 149, comma 6, 153, comma 1, 154, 155, 160, 166, comma 4.

Sostiene la ricorrente che – contrariamente a quanto si legge nell’art. 141, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006 – le disposizioni censurate, che disciplinano il servizio idrico integrato, non si limitano a regolare i «profili che concernono la tutela dell’ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane». La Regione osserva che i titoli di competenza invocati dal legislatore statale non consistono in «normali materie», ma piuttosto in «materie trasversali», le quali, «se da un lato consentono un intervento statale con riferimento a qualunque materia, ivi comprese quelle riservate ex art. 117, comma 4, alla competenza esclusiva regionale, dall’altro, proprio per tale ragione, impongono che l’intervento statale sia limitato tassativamente alla disciplina di quanto è strettamente necessario al conseguimento della finalità culla clausola trasversale medesima è preordinata: pena, in caso contrario, il fin troppo evidente sostanziale svuotamento di qualunque prerogativa costituzionale delle regioni».

Quanto alla materia della «tutela dell’ambiente» – prosegue la Regione –, deve ritenersi che la competenza legislativa dello Stato sia limitata alle «determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale». Del pari, la tutela della concorrenza, in quanto «materia-funzione», caratterizzata da un’estensione non rigorosamente circoscritta e determinata, può giustificare interventi del legislatore statale che siano basati «sul criterio di proporzionalita-adeguatezza». La «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» è poi del tutto estranea rispetto all’oggetto delle disposizioni statali relative al servizio idrico, perché esse riguardano servizi di rilevanza economica. La materia relativa alle «funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane», infine, è anch’essa estranea all’àmbito delle norme censurate, perché «la gestione dei servizi pubblici locali non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale».

Osserva, in conclusione, la ricorrente che la disciplina del servizio idrico integrato deve essere ricondotta alla materia dei servizi pubblici locali, che – come affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 29 del 2006 – appartiene alla competenza residuale delle regioni.

5.1. – L’art. 148, comma 5, è censurato in quanto stabilisce – come visto – che l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, «a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune». La ricorrente sostiene che la disposizione si pone in contrasto con: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché, non trovando «fondamento nelle clausole trasversali pure evocate dal legislatore statale all’art. 141, primo comma», del medesimo decreto legislativo, incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali, cui è riconducibile «la decisione sugli ambiti concreti e sulle modalità gestionali ed organizzative del servizio»; b) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché comporta «necessariamente una riorganizzazione dell’intero servizio idrico incredibilmente irrazionale, complessa e difficoltosa, con conseguenti disservizi per tutti gli utenti e gravi diseconomie di gestione»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, l’art. 1, comma 1, della legge delega n. 308 del 2004, la quale, stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti, non permette l’introduzione nel decreto delegato di «una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 16/1994)», quale è quella in esame.

5.2. – La ricorrente censura anche l’art. 149, comma 6, per violazione: a) dell’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, della legge delega n. 308 del 2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione di «carattere innovativo»; (a.2.) stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione di funzioni amministrative all’Autorità di vigilanza «in contrasto con i disposti di cui al d.lgs. n. 112/1998», dal cui art. 88 «non si ricavano elementi in grado di includere le funzioni affidate all’Autorità di vigilanza fra i "compiti di rilievo nazionale” di cui l’articolo si occupa»; b) degli artt. 117, secondo e quarto comma, Cost., perché incide su «ambiti certamente estranei alle materie di cui all’art. 141, comma 1, d.lgs. n. 52/2006 (oltre che ovviamente alle altre materie di cui all’art. 117, secondo comma Cost.)» e, dunque, non corrisponde all’esercizio di potestà legislativa riferibile ad alcun titolo d’intervento statale; c) dell’art. 118, primo comma, Cost., in quanto: (c.1.) attribuisce all’Autorità di vigilanza «funzioni amministrative di controllo e prescrittive in assenza di reali motivi che ne giustifichino un’attrazione a livello statale»; (c.2.) lede le «potestà di controllo regionali, che nel caso della Regione Umbria sono già state disciplinate dall’art. 12 della legge regionale 5 dicembre 1997, n. 43»; d) in subordine, degli artt. 117 e 118 Cost., perché «un’attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi di controllo] ad opera dello Stato potrebbe essere consentita – ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non è nel presente caso) – previo reale coinvolgimento delle regioni nell’esercizio del potere».

5.3. – È poi oggetto di censura l’art. 153, comma 1, il quale stabilisce – come visto – che «Le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita […] al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri […]».

La Regione lamenta che la disposizione víola: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza «alcun collegamento con i titoli di competenza invocati dal legislatore statale all’art. 141, comma 1 del decreto […] impugnato» incide sulla «competenza esclusiva residuale delle regioni»; b) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, in quanto: (b.1.), «sancendo inderogabilmente la gratuità della concessione delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali determina un fin troppo evidente danno a carico delle finanze dei medesimi enti locali, privandoli di un introito certo che solo in misura parziale ed insufficiente è compensato dalla assunzione degli oneri connessi da parte dei gestori»; (b.2.) può essere interpretata nel senso che «abbia effetto anche in relazione agli affidamenti già in essere che prevedono la onerosità della concessione»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (c.2.) stabilendo che la fonte delegata non debba introdurre «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 1, comma 1), non permette un siffatto affidamento a titolo gratuito, che priva «gli enti locali di una fonte d’entrata già ampiamente acquisita» e, perciò, determina un maggior onere per la finanza pubblica.

5.4. – La Regione denuncia anche gli artt. 154 e 155, affermando che essi violano: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali; b) l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché incidono «su un’entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) vincola il legislatore delegato al «rispetto dei princípi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» (art.1, comma 8, alinea); (c.2.) stabilisce che il legislatore delegato debba conformarsi al criterio direttivo dello «sviluppo e coordinamento, con l’invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l’introduzione e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996 del Consiglio, nonché il risparmio e l’efficienza energetica, e a rendere piú efficienti le azioni di tutela dell’ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali» (art.1, comma 8, lettera d); (c.3.) non prevede «l’introduzione ex novo dell’imposta in questione».

5.5. – È denunciato autonomamente il comma 6 dell’art. 154, il quale stabilisce che «Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa […] per le aziende artigianali, commerciali e industriali», per contrasto con: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza trovare «fondamento legislativo nelle "materie” indicate nell’art. 141, comma 1» del medesimo decreto legislativo, incide sulla «potestà legislativa esclusiva regionale»; b) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la quale, stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «del tutto innovativa», quale è quella denunciata, dato che l’art. 13, comma 7, della legge n. 36 del 1994 «non prevede affatto maggiorazioni della tariffa a carico delle categorie testé indicate».

5.6. – La Regione censura, inoltre, l’art. 160, perché esso, nell’indicare «analiticamente i molti e penetranti poteri attribuiti all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche, organismo i cui componenti […] sono in massima parte espressione del livello di governo statale», víola: a) gli artt. 117, 118 e 76 Cost., quest’ultima disposizione costituzionale in combinato con l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, per le stesse ragioni di censura esposte in relazione all’art. 148, comma 5; b) gli artt. 76, 117 e 118 Cost., perché omette «qualunque riferimento ai poteri di pianificazione regionali che trovano concretizzazione nel "piano regolatore generale degli acquedotti” già previsto dall’art. 8, comma 4, della legge Galli (n. 36/1994) ed in seguito disciplinato a livello regionale dall’art. 12, comma 2, della legge regionale 5 dicembre 1997, n. 43».

5.7. – È, infine, impugnato l’art. 166, comma 4, perché esso, nello stabilire che «Il contributo di cui al comma 3 [e cioè il contributo che deve essere versato al consorzio da "chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l’uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura”] è determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento», si riferisce anche agli enti locali, le cui attribuzioni costituzionali ben possono essere tutelate dalla Regione. Quest’ultima sostiene, in particolare, che il comma denunciato víola: a) l’art. 119 Cost., perché, cosí interpretato, incide sull’autonomia finanziaria degli enti locali; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché, cosí interpretato, incide sulla competenza legislativa residuale regionale, nel caso di specie già esercitata dalla Regione con l’approvazione dell’art. 12 della legge n. 430 del 2004; c) degli artt. 3 e 41 Cost., perché determina «una illegittima compressione dell’autonomia negoziale (non importa qui se privata o pubblicistica) degli enti locali, che si vedono costretti a subire unilateralmente le decisioni di un soggetto quale il Consorzio di bonifica, non ad essi sovraordinato»; d) dell’art. 76 Cost., perché è una norma innovativa e «sprovvista di copertura nella legge n. 308/2004».

Riferisce, inoltre, la Regione di avere «già disciplinato la materia prevedendo l’intesa per la determinazione del contributo tra Consorzio di bonifica e AATO ex art. 12, l.r. n. 430/2004».

5.8. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.

5.9. – In prossimità dell’udienza, la Regione Umbria ha depositato memoria, in generale insistendo in quanto già richiesto. Precisa la ricorrente che la materia del contendere deve intendersi cessata quanto alle questioni relative agli artt. 149, comma 6, e 160 perché esse sono riferite ai poteri dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, abolita dal comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e mai entrata in funzione.

5.10. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza anche l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

6. – Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e iscritto al n. 73 del registro ricorsi del 2006, la Regione Emilia-Romagna ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 147, comma 2, lettera b), 150, commi 1 e 2, 159, 160, 166, comma 1, 172, comma 2, e 176, comma 1.

La ricorrente si riporta, in premessa, ai rilievi generali contenuti nel ricorso n. 56 del 2006 e, quanto al riparto delle competenze legislative nella disciplina del servizio idrico integrato, svolge argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla Regione Umbria con il ricorso n. 72 del 2006.

6.1. – È censurato l’art. 147, comma 2, lettera b), il quale prevede che le Regioni debbano rispettare, tra gli altri, il principio di «unitarietà della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni», nel caso in cui decidano di modificare «le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità».

La ricorrente lamenta che la disposizione víola: a) l’art. 76 Cost., per eccesso di delega, perché «introduce in un decreto delegato di mero «riordino, coordinamento e integrazione della materia (cfr. art. 1, comma 1, legge n. 308/2004) una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)», la quale al riguardo «aveva previsto il diverso criterio della unitarietà attraverso il superamento della frammentazione delle gestioni esistenti: ma non la rigida necessaria unicità della gestione»; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza trovare «fondamento in alcuna delle materie richiamate all’art. 141, comma 1» del medesimo decreto legislativo né in un diverso titolo di competenza costituzionale, incide sulla potestà legislativa residuale della Regione nella materia dei «servizi pubblici locali»; c) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché è «adottata senza tenere conto dei potenziali effetti negativi che essa è in grado di produrre», e cioè senza considerare «le particolari esigenze e le peculiarità delle singole realtà territoriali, le quali ben potrebbero invece consigliare – in casi particolari – una soluzione differente».

6.2. – La Regione denuncia anche l’art. 150, comma 1, per gli stessi motivi prospettati in relazione all’art. 147, comma 2, lettera b).

6.3. – È censurato, poi, il comma 2 dello stesso art. 150, il quale stabilisce – come visto – che l’aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato è effettuata dall’Autorità d’ambito – nel rispetto dei criteri di cui all’art. 113, comma 7, del d.lgs. n. 67 del 2000, – «secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia».

Per la ricorrente, la disposizione víola: a) l’art. 117, secondo e quarto comma, Cost., perché, riservando al livello statale la determinazione delle modalità e dei termini di aggiudicazione, lede i princípi di proporzionalità e di adeguatezza che connotano l’esercizio della potestà legislativa statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, Cost.) e, pertanto, opera un’illegittima compressione della competenza legislativa regionale; b) l’art. 117, sesto comma, Cost., perché demanda la disciplina delle modalità e dei termini dell’aggiudicazione ad un atto ministeriale che, al di là del nomen juris utilizzato, ha natura regolamentare ed interviene nella materia di potestà legislativa regionale dei «servizi pubblici locali»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (c.2.) disponendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione di funzioni amministrative all’Autorità d’ambito «in contrasto con i disposti di cui al d.lgs. n. 112/1998», «il cui art. 88 non riserva certo al livello di governo statale il compito di disciplinare le modalità ed i termini per l’aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato».

Rileva la ricorrente che la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2004, richiamando i principi di proporzionalità ed adeguatezza in tema di tutela della concorrenza, ha dichiarato l’incostituzionalità del secondo e del terzo periodo del comma 7 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, perché tali disposizioni, indicando nell’estremo dettaglio i criteri di aggiudicazione, vanno «al di là della pur doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara», realizzando una «illegittima compressione dell’autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza l’intervento legislativo statale». Tale orientamento – prosegue la ricorrente – si attaglia anche al caso di specie, con la conseguenza che trova applicazione il principio secondo cui «aspetti concorrenziali inerenti alla gara [...] appaiono sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione […] di una serie di standard – coerenti con quelli contenuti nella direttiva 2004/18/CE – nel cui rispetto la gara appunto deve essere indetta ed aggiudicata» e ogni previsione ulteriore costituisce una «palese compressione delle legittime facoltà delle Regioni».

6.4. – Gli artt. 159 e 160, che istituiscono e disciplinano l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, sono impugnati in riferimento: a) all’art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla materia, di potestà legislativa residuale delle Regioni, dei «pubblici servizi locali», stante altresí l’istituzione di una Autorità regionale di vigilanza in forza degli artt. 20 e 21 della legge reg. n. 25 del 1999; b) all’art. 118 Cost., perché stabiliscono «l’attribuzione di funzioni amministrative ad un organo statale in assenza di reali motivi che ne giustifichino un’attrazione a livello statale»; c) all’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, alla legge delega n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) non individua, quale oggetto della delega medesima, l’istituzione della predetta autorità; (c.2.) stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione a livello statale di funzioni amministrative in contrasto con l’art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998; d) agli artt. 117 e 118 Cost., perché «un’attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi di vigilanza] ad opera dello Stato potrebbe essere consentita – ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non è nel presente caso) – previo reale coinvolgimento delle regioni nell’esercizio del potere, in ossequio ai princípi indicati con la nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost.»; e) all’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché «costituiscono un organismo denominato "Autorità” pur in assenza dei caratteri di indipendenza, capacità tecnica e terzietà che dovrebbero caratterizzare le "Autorità”».

6.5. – La ricorrente censura anche l’art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale cosí dispone: «I consorzi di bonifica ed irrigazione, nell’ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive. L’Autorità di bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso tale termine, la domanda si intende accettata. Per tali usi i consorzi sono obbligati ai pagamento dei relativi canoni per le quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 36 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.».

Per la Regione, la norma víola: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché: (a.1.) incide sulle materie, di potestà legislativa residuale delle Regioni, dell’«agricoltura» e dei «lavori pubblici d’interesse regionale»; (a.2.) prevedendo «una forma di silenzio-assenso da parte dell’Autorità di bacino per l’utilizzo delle acque», illegittimamente disciplina «il procedimento [amministrativo] nelle materie regionali, come è reso evidente dallo stesso art. 29, commi 1 e 2, della legge statale n. 241 del 1990, legge generale sul procedimento amministrativo»; b) l’art. 118, primo comma, Cost., perché, prevedendo «l’affidamento della competenza decisionale ad un organo non appartenente alla regione», lede le competenze amministrative di detto ente territoriale, mancando: (b.1.) «una fondata ragione di attrazione a livello statale»; (b.2.) pur nel caso di attrazione in sussidiarietà, l’«imprescindibile concorso regionale come da sentenza 303/2003 Corte cost.»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, la quale: (c.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di [mero] riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (c.2.) disponendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite all’interno del decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione a livello statale di funzioni amministrative in contrasto con gli artt. 88 e 89 del d.lgs. n. 112 del 1998.

6.6. – La ricorrente censura, inoltre, l’art. 172, comma 2, il quale, in combinato con l’art. 147, comma 2, nel prevedere che «In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’Autorità d’ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza», si pone – a suo avviso – in contrasto con l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché, «venendo […] ad insistere in una realtà che – normata dalla legge Galli e dalle leggi regionali di settore – ammetteva invece anche la possibilità di piú gestioni all’interno del medesimo ambito», «nell’ipotesi di scadenze differenziate a seguito del termine di cui all’art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267/2000», realizza «la situazione paradossale della inapplicabilità della gestione unica, ovvero della lesione dei diritti dei gestori con scadenze differenziate».

6.7. – È censurato, infine, l’art. 176, comma 1, sul rilievo che esso violerebbe l’art. 117, comma 3, Cost., perché è «giurisprudenza costituzionale costante quella che nega la legittimità di un’autoqualificazione di disposizioni come "di principio” a prescindere dai loro concreti contenuti e dal rigoroso rispetto dei criteri di riparto di cui all’art. 117 Cost.» e, perciò, «la qualificazione "in blocco” di tutte le disposizioni di cui alla Parte Terza […] come "di principio”, appare in realtà del tutto arbitraria ed illegittima».

6.8. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.

6.9. – In prossimità dell’udienza, la Regione Emilia-Romagna ha depositato memoria, precisando che la materia del contendere deve intendersi cessata quanto alle questioni relative agli artt. 159 e 160, norme che disciplinano l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, abolita dal comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e mai entrata in funzione.

La ricorrente rileva, inoltre, di non avere piú interesse alle questioni relative agli artt. 147, comma 2, lettera b), 150, comma 1, 172, comma 2, perché tali norme richiedevano il requisito dell’unicità della gestione, sostituito, per effetto dell’art. 2, comma 13, da quello dell’unitarietà della gestione, già previsto – a suo avviso – dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale.

6.10. – Ha depositato memoria in prossimità dell’udienza anche l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

7. – Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 16 giugno 2006 e iscritto al n. 74 del registro ricorsi del 2006, la Regione Liguria ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 148, comma 5, 149, comma 6, e 154.

7.1. – Le questioni proposte dalla ricorrente sono analoghe a quelle proposte con il ricorso della Regione Umbria n. 72 del 2006 e sopra riportate ai punti 5.1., 5.2. e 5.4.

7.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.

7.3. – In prossimità dell’udienza, la Regione Liguria ha depositato memoria, precisando che la materia del contendere deve intendersi cessata quanto alle questioni relative all’art. 149, comma 6, perché esse sono riferite ai poteri dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, abolita dal comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e mai entrata in funzione.

7.4. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

8. – Con ricorso notificato il 12 giugno 2006, depositato il 17 giugno 2006 e iscritto al n. 75 del registro ricorsi del 2006, la Regione Abruzzo ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 154 e 155.

8.1. – Le questioni proposte dalla ricorrente sono analoghe a quelle proposte con il ricorso della Regione Emilia Romagna n. 56 del 2006 e sopra riportate ai punti 1.3. e 1.4.

La ricorrente chiede anche la sospensione dell’esecuzione delle disposizioni censurate.

8.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.

8.3. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

9. – Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 20 giugno 2006 e iscritto al n. 76 del registro ricorsi del 2006, la Regione Puglia ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 154 e 155.

9.1. – Ad avviso della ricorrente, le disposizioni censurate violano: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché – concernendo una materia che non può farsi rientrare tra quelle riservate alla potestà legislativa esclusiva statale, «dato che non attiene alla tutela dell’ambiente di cui alla lettera s) del comma 1, dell’art. 117 Cost., né al sistema tributario e contabile dello Stato, di cui alla lettera e) dello stesso comma» – incidono sulla competenza legislativa residuale regionale; b) l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché incidono su un «tributo di carattere locale», «la cui determinazione spetta alle autonomie territoriali»; c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge di delegazione n. 308 del 2004, «per contrasto […] con i principi direttivi» di quest’ultima.

La ricorrente chiede anche la sospensione dell’esecuzione delle disposizioni censurate, «in considerazione del rischio di un pregiudizio irreparabile all’interesse pubblico o di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti della popolazione regionale».

In particolare, tale pregiudizio deriva – a detta della Regione – dalla «previsione della soppressione delle Autorità di Bacino di cui alla legge n. 183/1989, prima ancora di provvedere all’istituzione delle nuove Autorità; dalla sovrapposizione di nuove funzioni statali a quelle già svolte dalle regioni, con conseguenze negative in termini di certezza del diritto e di efficienza dell’azione amministrativa».

9.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.

9.3. – In prossimità dell’udienza, la Regione Puglia ha depositato memoria, ribadendo le argomentazioni già svolte.

9.4. – Anche l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

10. – Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 21 giugno 2006 e iscritto al n. 78 del registro ricorsi del 2006, la Regione Campania ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 154 e 155.

10.1. – Le questioni proposte dalla ricorrente e aventi ad oggetto tali disposizioni sono analoghe a quelle proposte con il ricorso della Regione Emilia Romagna n. 56 del 2006 e sopra riportate ai punti 1.3 e 1.4.

10.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.

10.3. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la ricorrente ha ribadito quanto già richiesto nel ricorso.

10.4. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

11. – Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 21 giugno 2006 e iscritto al n. 79 del registro ricorsi del 2006, la Regione Marche ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 148, comma 5, 149, comma 6, 154, 155, 159, comma 2, 160, comma 2, lettere f) e g).

11.1. – L’art. 148, comma 5, è censurato in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., perché, non concretizzando «una misura volta a tutelare la concorrenza», incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali.

11.2. – L’art. 149, comma 6, è censurato in rifermento all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., perché «le finalità del controllo consentono di ricondurre l’attività in parte alla materia dei servizi pubblici, in parte alla materia del governo del territorio (programma degli investimenti)», entrambe di competenza regionale.

11.3. – La ricorrente impugna anche gli artt. 154 e 155, in riferimento: a) all’art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali; b) all’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché incidono «su un’entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale».

11.4. – È censurato, inoltre, l’art. 159, comma 2, perché esso – nel prevedere nella composizione dell’organo «una presenza minoritaria dei rappresentanti delle regioni (quattro membri nominati su designazione della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome) rispetto a quella riconosciuta ai vari Ministeri (nove membri piú il Presidente)», pur essendo detto organo investito, in forza dell’art. 160 del medesimo decreto legislativo, di «numerosi compiti, fortemente incisivi in materie di competenza regionale» – si pone in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., dando luogo ad «un’illegittima attribuzione in capo allo Stato di funzioni costituzionalmente garantite alle regioni in materia di servizi pubblici locali».

11.5. – La Regione denuncia, infine, le lettere f) e g) del comma 2 dell’art. 160, per violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., perché dette previsioni incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali.

11.6. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.

11.7. – In prossimità dell’udienza, la Regione Marche ha depositato memoria, modificando in parte le richieste già formulate, in conseguenza delle modifiche della normativa censurata successive alla presentazione del ricorso.

Quanto al censurato art. 148, comma 5, la ricorrente rileva che esso – che non ha subito significative modifiche ad opera del d.lgs. n. 116 del 2008, il quale ha dato attuazione alla direttiva 2006/7/CE sulla gestione delle acque di balneazione – è stato interamente sostituito dall’art. 2, comma 14, del d.lgs. n. 4 del 2008, il quale ha introdotto una disposizione del seguente tenore: «Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l’intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d’ambito competente». La ricorrente ritiene che tale modifica sostanziale della norma censurata soddisfi le sue pretese, perché il nuovo testo dell’art. 148, comma 5, non lede la competenza regionale in tema di servizi pubblici locali, limitandosi a stabilire solo un principio generale in tema di gestione e affidamento del servizio (la menzionata "facoltatività” dell’adesione all’ATO dei piccoli Comuni inclusi nel territorio delle Comunità montane, condizionata alla gestione dell’intero servizio idrico integrato), rimettendone oltretutto la concreta operatività al consenso dell’Autorità d’ambito. La Regione prosegue rilevando che, «per poter accedere ad una eventuale pronuncia di cessazione della materia del contendere, occorre considerare che la modifica innovativa sopravvenuta, pur non risultando formalmente efficace per il passato, presenta carattere sostanzialmente retroattivo, dal momento che qualunque Comune che avesse optato per la non adesione all’ATO in applicazione della norma qui censurata si troverebbe oggi sottoposto al nuovo regime e alle nuove condizioni previste dall’art. 148, comma 5, nel testo vigente». Per l’ipotesi in cui la Corte costituzionale non ritenesse realizzati i presupposti per la cessazione della materia del contendere, la stessa Regione insiste per l’accoglimento della questione, come già prospettata.

Quanto al censurato art. 149, comma 6, la ricorrente rileva che esso è stato «direttamente inciso» dal d.lgs. n. 284 del 2006, il cui art. 1, comma 5, ha espressamente disposto che «gli articoli 159, 160 e 207 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono abrogati ed il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e l’Osservatorio nazionale sui rifiuti sono ricostituiti ed esercitano le relative funzioni. Tutti i riferimenti all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti contenuti nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono soppressi». Ad avviso della Regione, «la "ricostituzione” e il rinvio alle "relative funzioni” del precedente Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche, già disciplinato dagli artt. 21 e seguenti della legge n. 36 del 1994, impone di considerare questa disciplina come lo ius superveniens da valutare al fine di accertare l’eventuale soddisfazione delle doglianze». In conseguenza di tale nuova disciplina, la ricorrente ritiene che la materia del contendere sia cessata, anche in considerazione del fatto che l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti prevista dall’art. 159 del d.lgs. n. 152 non è mai stata costituita. Tuttavia – rileva la ricorrente – successivamente al citato d.lgs. n. 284 del 2006, è intervenuto il d.lgs. n. 4 del 2008, il cui art. 2, comma 15, ha interamente sostituito l’art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, ridisciplinando il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e attribuendo nuovamente ad esso il potere di controllo sul piano d’ambito, addirittura in termini piú generici e, dunque, piú pervasivi di quanto non facesse la norma originaria. In base al testo vigente, il Comitato «verifica la corretta redazione del piano d’ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessità di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorità d’ambito e i gestori in particolare quando ciò sia richiesto dalle ragionevoli esigenze degli utenti» (cosí il nuovo art. 161, comma 4, lettera b). La Regione si duole del fatto che la nuova norma sopravvenuta si configura come modifica «sostanzialmente coincidente» con il contenuto normativo di quella impugnata, non solo nella parte in cui reintroduce il potere di controllo sul piano d’ambito, ma anche laddove prevede il piú generale potere di dettare «prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici del piano». Ricorrerebbero, pertanto, i presupposti che impongono alla Corte costituzionale di procedere al trasferimento della questione sulla nuova norma sopravvenuta, «in forza del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via d’azione».

Quanto alle censure relative agli artt. 154 e 155, la Regione ribadisce le argomentazioni già svolte nel ricorso, precisando, con riferimento all’impugnato comma 2 dell’art. 154, che esso è stato direttamente inciso dal d.lgs. n. 4 del 2008, il cui art. 2, comma 15, ha interamente sostituito l’art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, confermando il potere del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di "adottare” il metodo tariffario con proprio decreto «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» (art. 161, comma 4, lettera a, del d.lgs. n. 152 del 2006 nel testo attualmente vigente). In particolare, il fatto che il testo attualmente in vigore non faccia piú riferimento alla definizione diretta delle «componenti di costo della tariffa» da parte del Ministro, bensí alla sola definizione del «metodo tariffario», oltretutto con il parere della Conferenza Stato-Regioni, sarebbe, ad avviso della Regione, sufficiente a far ritenere cessata la materia del contendere, perché configura un intervento del legislatore statale limitato a quelle «disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali di "rilevanza economica”», che sole possono considerarsi legittime in forza della potestà legislativa dello Stato in materia di «tutela della concorrenza».

Quanto al denunciato art. 159, comma 2, la ricorrente rileva preliminarmente che detto articolo è stato abrogato dal comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e che l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, da esso disciplinata, non è mai entrata in funzione. Successivamente al citato d.lgs. n. 284 del 2006, è intervenuto il d.lgs. n. 4 del 2008, il cui art. 2, comma 15, ha interamente sostituito l’art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006 regolando ex novo il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche. Il nuovo comma 2 dell’art. 161 dispone che «il Comitato è composto, nel rispetto del principio dell’equilibrio di genere, da sette membri, nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare», dei quali tre sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome e quattro − di cui uno con funzioni di presidente individuato con il medesimo decreto − sono scelti tra persone particolarmente esperte in materia di tutela ed uso delle acque, sulla base di specifiche esperienze e conoscenze del settore. Per la ricorrente, dunque, la materia del contendere non è cessata, perché, dal punto di vista della composizione del Comitato, la normativa attualmente vigente si limita a riproporre quanto era già reperibile nel testo richiamato in vigore dalla modifica operata dal d.lgs. n. 284 del 2006, con il mantenimento di quella "predominanza” dei membri di origine statale che costituiva l’oggetto specifico della censura formulata dalla ricorrente medesima in relazione al testo originario dell’impugnato art. 159, comma 2. La Regione chiede, pertanto, che la questione avente ad oggetto tale ultima disposizione sia trasferita sulla disposizione attualmente vigente, e cioè sull’art. 161, comma 2, sul rilievo che l’ultima modifica si configura come «sostanzialmente coincidente» rispetto al contenuto normativo censurato in riferimento al testo originario, in quanto «un organismo composto in prevalenza da membri di origine statale può svolgere compiti molto incisivi sulle materie di competenza regionale senza adeguate forme di collaborazione con le Regioni».

In relazione al censurato art. 160, comma 2, lettere f) e g), che disciplinava i poteri dell’abolita Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, la ricorrente sostiene, invece, che la materia del contendere dovrebbe essere ritenuta cessata. Verrebbe in rilievo, anche in questo caso, il nuovo testo dell’art. 161, introdotto dall’art. 2, comma 15, del d.lgs. n. 4 del 2008, il quale − al comma 4 − prevede i compiti del vigente Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche. Tra tali compiti, non figura piú in alcun modo uno specifico controllo sull’adozione da parte dei gestori di una carta di servizio pubblico con indicazione di standard dei singoli servizi quale quello a suo tempo previsto dalla lettera g) dell’impugnato art. 160, comma 2. Si tratterebbe dunque di una modifica satisfattiva della doglianza formulata nel ricorso in relazione a tale lettera. Quanto all’altra norma censurata, contenuta nella lettera f) del comma 2 dell’art. 160, la ricorrente osserva che il nuovo art. 161, comma 4, lettera e), si limita ad attribuire al Comitato il compito di "definire” «i livelli minimi di qualità dei servizi da prestare, sentite le regioni, i gestori e le associazioni dei consumatori» e, cosí facendo, si limita ad individuare standard che − in questi termini − dovrebbero potersi ricondurre alla competenza statale in materia di "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, lasciando cosí alle Regioni il potere di determinare e specificare livelli di qualità ulteriori.

11.8. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

12. – Con ricorso notificato il 13 giugno 2006, depositato il 23 giugno 2006 e iscritto al n. 80 del registro ricorsi del 2006, la Regione Basilicata ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, tra queste, degli artt. 154 e 155.

12.1. – Quanto alla prima delle due disposizioni denunciate, la Regione sostiene che essa, nel prevedere, nella sostanza, poteri normativi dei Ministri «con rapporto di sovraordinazione rispetto agli enti regionali», víola a) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, «non avendo lo Stato la competenza a provvedere» in materia, incide sulla «competenza legislativa attribuita alle regioni» in materia di servizi pubblici locali, che è «residuale e perciò esclusiva»; b) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge delega n. 308 del 2004, i cui criteri stabiliscono il rispetto delle attribuzioni regionali «come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» (art. 1, comma 8, alinea della legge delega); c) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge n. 308 del 2004, per eccesso di delega, non prevedendo la fonte delegante «il potere di istituire nuove imposte».

12.2. – Quanto al censurato art. 155, la ricorrente afferma che esso si pone in contrasto con: a) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, «non avendo lo Stato la competenza a provvedere» in materia, incide sulla «competenza legislativa attribuita alle regioni» in materia di servizi pubblici locali, che è «residuale e perciò esclusiva»; b) l’art. 76 Cost. e, quale norma interposta, la legge n. 308 del 2004, per eccesso di delega, non prevedendo la fonte delegante «il potere di istituire nuove imposte».

12.3. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate.

12.4. – L’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.

Considerato in diritto

1. – I giudizi di legittimità costituzionale di cui in epigrafe sono stati promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorsi n. 56 e n. 73 del 2006), Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006), Puglia (ricorso n. 76 del 2006), Campania (ricorso n. 78 del 2006), Marche (ricorso n. 79 del 2006), Basilicata (ricorso n. 80 del 2006).

Le ricorrenti censurano gli artt. 135, 136, 141, da 144 a 160, 166, 170, 172, 176, ricompresi nella parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), avente ad oggetto la difesa del suolo, la tutela delle acque dall’inquinamento, la gestione delle risorse idriche: gli artt. 135 e 136 sono contenuti nel capo I del titolo V della sezione II e riguardano le sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico; gli artt. 141, da 144 a 160, 166, 170, rientrano nella sezione III ed hanno per oggetto la gestione delle risorse idriche; gli artt. 172 e 176, infine, appartengono alla sezione IV e recano norme transitorie e finali.

1.1. – Le questioni relative agli art. 135 e 136 sono promosse solo dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006).

1.1.1. – L’art. 135 – che, al comma 2, attribuisce al Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) le funzioni della «sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento» – è censurato per la lesione che arrecherebbe alle competenze regionali in materia di individuazione dei soggetti preposti ai compiti di polizia amministrativa.

1.1.2. – L’art. 136 stabilisce che «Le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto sono versate all’entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici» ed è denunciato in riferimento all’art. 119 Cost., perché porrebbe alla Regione un illegittimo vincolo di destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative.

1.2. – Le questioni relative agli artt. 141, da 144 a 160, 166 e 170 - i quali hanno per oggetto la gestione delle risorse idriche e rientrano, come visto, nella sezione III della parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 – sono proposte da diverse ricorrenti.

1.2.1. – Un primo gruppo di tali questioni è sollevato in riferimento all’art. 76 Cost., per eccesso di delega, sotto il profilo che le suddette disposizioni, nell’attuare la legge di delegazione 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), introdurrebbero norme innovative, in violazione dei princípi e criteri posti da detta legge di delegazione, la quale – al comma 1 dell’art. 1 – stabilisce, invece, che il decreto delegato deve limitarsi a «riordino, coordinamento e integrazione» della materia.

In particolare, le ricorrenti denunciano la violazione dei princípi sulla gestione delle risorse idriche fissati dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche). Sono censurati, sotto questo profilo: a) l’art. 147, comma 2, lettera b) – anche in combinato con l’art. 172, comma 2, del medesimo decreto legislativo –, secondo cui «Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare» del principio di unicità della gestione e, comunque, del superamento della frammentazione verticale delle gestioni (ricorso n. 73 del 2006); b) l’art. 148, comma 5, il quale stabilisce, in particolare che, «Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali […], l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune» (ricorsi n. 70, n. 72 e n. 74 del 2006); c) l’art. 149, comma 6, che dispone che il piano d’àmbito è trasmesso alla regione competente, all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ed attribuisce all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti il potere di svolgere rilievi e osservazioni su elementi essenziali del piano stesso (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); d) l’art. 150, commi 1 e 2, il quale prevede che l’autorità d’àmbito, nel rispetto del piano d’àmbito e del principio di unicità della gestione, delibera la forma di gestione e aggiudica la gestione stessa (ricorso n. 73 del 2006); e) l’art. 153, comma 1, secondo cui le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali sono affidate in concessione d’uso gratuita al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri (ricorso n. 72 del 2006); f) gli artt. 154 e 155, che istituiscono e disciplinano la tariffa del servizio idrico integrato (ricorsi n. 72 e n. 76 del 2006); g) gli artt. 159 e 160, i quali istituiscono l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e ne disciplinano i compiti e le funzioni (ricorsi n. 68 e n. 73 del 2006); h) l’art. 166, commi 1 e 4, i quali prevedono, rispettivamente, che i consorzi di bonifica ed irrigazione, previa domanda all’Autorità di bacino competente, «hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni» e che il contributo che, ai sensi del comma 3, deve essere versato al consorzio da «chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi» è «determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento» (ricorsi n. 72 e n. 73 del 2006).

1.2.2. – Un secondo gruppo di questioni è posto anch’esso in riferimento all’art. 76 Cost., per eccesso di delega, sotto il diverso profilo che le disposizioni censurate violerebbero il riparto di competenze amministrative fissato dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e, pertanto, si porrebbero in contrasto con la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale – al comma 8 dell’art. 1 – impone al legislatore delegato il rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal medesimo d.lgs. n. 112 del 1998.

Sono censurati, sotto questo profilo: a) gli articoli da 144 a 146, i quali contengono i princípi generali della gestione del demanio idrico (ricorso n. 68 del 2006); b) l’art. 148, che individua nell’autorità d’àmbito la struttura alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale «è trasferito l’esercizio delle competenze» spettanti agli enti locali «in materia di gestione delle risorse idriche» (ricorso n. 68 del 2006); c) l’art. 149, comma 6 (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); d) l’art. 150, commi 1 e 2 (ricorso n. 73 del 2006); e) l’art. 153, che disciplina le «Dotazioni dei soggetti gestori del servizio idrico integrato» (ricorso n. 72 del 2006); f) gli artt. 154 e 155, che sono censurati – sempre in riferimento all’art. 76 Cost. – anche perché introdurrebbero un nuovo tributo e violerebbero il diritto comunitario e il criterio direttivo dell’invarianza del gettito, posto dall’art. 1, comma 8, lettera d), della legge di delegazione (ricorsi n. 56, n. 72, n. 74, n. 75, n. 78 e n. 80 del 2006); g) gli artt. 159 e 160 (ricorsi n. 68, n. 72 e n. 73 del 2006); h) l’art. 166, comma 1 (ricorso n. 73 del 2006).

1.2.3. – Un terzo gruppo di questioni è promosso in relazione all’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.

Tali questioni hanno ad oggetto: a) l’art. 147, comma 2, lettera b), anche in combinato con l’art. 172, comma 2 (ricorso n. 73 del 2006); b) l’art. 148, comma 5, che è impugnato, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., anche sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza (ricorsi n. 70 e n. 72 del 2006); c) l’art. 150, comma 1 (ricorso n. 73 del 2006); d) l’art. 153, comma 1, il quale, in particolare, è censurato sia perché «sancendo inderogabilmente la gratuità della concessione delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali determina un […] danno a carico delle finanze dei medesimi enti locali, privandoli di un introito», sia perché può essere interpretato nel senso che «abbia effetto anche in relazione agli affidamenti già in essere che prevedono la onerosità della concessione» (ricorso n. 72 del 2006); e) gli artt. 154 e 155 (ricorsi n. 56, n. 69, n. 75 e n. 78 del 2006); f) gli artt. 159 e 160 (ricorso n. 73 del 2006).

1.2.4. – L’art. 166, comma 4, è censurato – con l’implicita evocazione a parametro degli artt. 3 e 41 Cost. – perché determina «una illegittima compressione dell’autonomia negoziale […] degli enti locali, che si vedono costretti a subire unilateralmente le decisioni di un soggetto quale il Consorzio di bonifica, non ad essi sovraordinato» (ricorso n. 72 del 2006).

1.2.5. – Un quinto gruppo di questioni è posto in relazione all’art. 117, quarto comma, Cost., sotto il profilo della lesione delle competenze legislative regionali e, in particolare, di quella residuale in materia di servizi pubblici locali. Al riguardo, le ricorrenti sostengono – per lo piú – che le disposizioni censurate non sono ascrivibili a materie di competenza legislativa statale, quali la tutela della concorrenza o la tutela dell’ambiente.

Rientrano in tale gruppo le questioni aventi ad oggetto: a) gli articoli da 144 a 146 (ricorso n. 68 del 2006); b) l’art. 147, comma 2, lettera b), anche in combinato con l’art. 172, comma 2 (ricorso n. 73 del 2006); c) l’art. 148, anche con specifico riferimento ai commi 3 e 5 (ricorsi n. 68, n. 69, n. 72, n. 74 e n. 79 del 2006); d) l’art. 149, comma 6 (ricorsi n. 69, n. 72, n. 74 e n. 79 del 2006); e) l’art. 150 (ricorsi n. 68, n. 70 e n. 73 del 2006); f) l’art. 151, recante «Rapporti tra autorità d’ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato» (ricorso n. 68 del 2006); g) l’art. 153 (ricorsi n. 68 e n. 72 del 2006); h) gli artt. 154 e 155 (ricorsi n. 56, n. 72 e n. 76 del 2006); i) gli artt. 159 e 160 (ricorsi n. 68, n. 69, n. 72, n. 73 e n. 79 del 2006); l) l’art. 166, anche in relazione alla sua incidenza su materie che le ricorrenti ritengono di potestà legislativa residuale regionale, quali l’«agricoltura» e i «lavori pubblici d’interesse regionale» (ricorso n. 73 del 2006).

1.2.6. – Con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., la Regione Toscana censura l’art. 149, comma 6, sostenendo che esso incide sulla materia, di potestà legislativa concorrente regionale, del «governo del territorio», dettando disposizioni di dettaglio (ricorso n. 69 del 2006).

1.2.7. – In alcuni ricorsi è evocato a parametro l’art. 117, sesto comma, Cost., sul rilievo che la normativa censurata attribuirebbe illegittimamente allo Stato la competenza ad emanare regolamenti in materie non riconducibili alla competenza legislativa esclusiva statale.

Le disposizioni impugnate in relazione a tale parametro sono: a) l’art. 146, comma 3, il quale prevede, in particolare, che «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio […] adotta un regolamento per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature» (ricorso n. 68 del 2006); b) l’art. 150, comma 2, il quale prevede, in particolare che, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia, sono fissati le modalità e i termini per l’aggiudicazione del servizio idrico integrato da parte dell’autorità d’àmbito (ricorso n. 73 del 2006); c) l’art. 154, commi 2 e 3 (ricorso n. 68 del 2006); d) l’art. 159, comma 4 (ricorso n. 68 del 2006).

1.2.8. – Un ottavo gruppo di questioni è quello riferito all’art. 118 Cost. (in alcuni casi evocato in combinato con l’art. 117 Cost.), per violazione delle competenze amministrative regionali, a séguito dell’allocazione di funzioni amministrative a livello statale senza che vi siano esigenze unitarie.

Sono censurati sotto tale profilo: a) gli artt. da 144 a 146 (ricorso n. 68 del 2006); b) l’art. 148 (ricorsi n. 68 e n. 70 del 2006); c) l’art. 149 (ricorsi n. 68, n. 72 e n. 74 del 2006); d) l’art. 150 (ricorso n. 70 del 2006); e) gli artt. 154, 155 e 156 (ricorso n. 68 del 2006); f) gli artt. 159 e 160 (ricorsi n. 68, n. 72 e n. 73 del 2006).

1.2.9. – In un nono gruppo di questioni è evocato a parametro il principio di leale collaborazione. Le ricorrenti lamentano il mancato coinvolgimento regionale nel procedimento legislativo o nell’esercizio delle funzioni amministrative attribuite al livello statale.

Le disposizioni censurate in riferimento a tale parametro sono: a) gli articoli da 144 a 146 (ricorso n. 68 del 2006); b) l’insieme degli articoli da 147 a 158 (ricorso n. 68 del 2006); c) l’art. 149, comma 6 (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); d) gli artt. 154 e 155 (ricorso n. 68 del 2006); e) gli artt. 159 e 160 (ricorsi n. 68, n. 69 e n. 73 del 2006); f) l’art. 166, comma 1 (ricorsi n. 72 e n. 73 del 2006).

1.2.10. – Con un decimo e ultimo gruppo di questioni relative alle disposizioni della sezione III, proposte in riferimento all’art. 119 Cost., si denuncia la lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali.

Rientrano in tale gruppo le questioni aventi ad oggetto: a) gli artt. 154 e 155 (ricorsi n. 56, n. 68, n. 69, n. 72, n. 74, n. 75, n. 76, n. 78 e n. 79 del 2006); b) l’art. 166, comma 4 (ricorso n. 72 del 2006).

1.3. – Sono denunciati, infine, gli artt. 172, comma 2, e 176, comma 1, contenuti nella sezione IV della parte terza, i quali recano norme transitorie e finali.

1.3.1. – L’art. 172, comma 2 – impugnato in combinato con l’art. 147, comma 2 –, prevede che «In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’Autorità d’ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza». La disposizione è censurata in riferimento all’art. 3 Cost. (ricorso n. 73 del 2006).

1.3.2. – L’art. 176, comma 1, dispone che «Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione». Esso è censurato in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. (ricorsi n. 68, n. 70 e n. 73 del 2006).

2. – L’esecuzione di alcune delle suddette disposizioni è stata oggetto di domanda cautelare da parte di alcune delle ricorrenti.

In particolare, la Regione Toscana ha chiesto la sospensione dell’esecuzione dell’art. 148, comma 5, mentre le Regioni Emilia-Romagna, Abruzzo e Puglia hanno chiesto la sospensione dell’esecuzione degli artt. 154 e 155.

Sulla richiesta avanzata dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 56), questa Corte si è già pronunciata con l’ordinanza n. 245 del 2006, dichiarando il non luogo a provvedere. Le richieste delle altre ricorrenti sono assorbite dalla pronuncia definitiva sui relativi ricorsi.

3. – Nei giudizi di cui ai ricorsi n. 56, n. 69, n. 70, n. 72, n. 73, n. 74, n. 75, n. 76, n. 78, n. 79 e n. 80 del 2006 è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus (WWF), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente. Nel giudizio di cui al ricorso n. 70 sono intervenute anche, costituendosi con unico atto, la s.p.a. Biomasse Italia, la s.r.l. Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET, la s.r.l. Ital Green Energy, la s.p.a. E.T.A. - Energie Tecnologie Ambiente.

Tali interventi sono stati dichiarati inammissibili con l’ordinanza allegata alla presente sentenza e pronunciata all’udienza del 5 maggio 2009, con cui è stato ribadito che il giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via di azione, si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte alla stessa Corte costituzionale in via incidentale (sentenze n. 405 del 2008 e n. 469 del 2005).

4. – La trattazione delle sopra indicate questioni di legittimità costituzionale viene qui separata da quella delle altre, promosse con i medesimi ricorsi, per le quali è opportuno procedere ad un esame distinto. I giudizi, cosí separati e delimitati nell’oggetto, vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi in considerazione della parziale identità delle norme censurate e delle questioni prospettate.

5. – Ciò premesso, si deve ora procedere all’esame analitico delle sollevate questioni, in relazione a ciascuna delle disposizioni oggetto di censura.

6. – L’art. 135, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce che: a) «ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.)»; b) in relazione a tali funzioni amministrative, «può altresí intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato». Tali disposizioni sono censurate dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006), per violazione delle competenze regionali in materia di individuazione dei soggetti preposti ai compiti di polizia amministrativa. Esse, in particolare, si porrebbero in contrasto con il comma 1 del medesimo art. 135, il quale attribuisce proprio alle Regioni la competenza ad accertare gli illeciti amministrativi e ad irrogare le relative sanzioni, prevedendo che, «In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli articoli 18 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità».

La questione non è fondata.

La ricorrente, pur non evocando espressamente alcun parametro costituzionale, intende evidentemente denunciare il contrasto fra la disposizione censurata e l’art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alla potestà legislativa residuale delle Regioni la materia della polizia amministrativa locale. Tuttavia, contrariamente a quanto dedotto dalla Regione, un tale contrasto non sussiste, perché la disposizione censurata non attiene alla suddetta evocata materia, ma si limita ad indicare il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) quale organo competente ad accertare le violazioni amministrative, senza privare delle loro competenze gli organi di polizia amministrativa locale.

7. – Il denunciato art. 136 prevede che: a) «Le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto sono versate all’entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici»; b) «Le regioni provvedono alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento». Tali disposizioni sono censurate dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006), perché pongono un illegittimo vincolo di destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative riscosse dalle Regioni, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale in materia di fondi vincolati.

La questione non è fondata.

È principio ripetutamente affermato da questa Corte che la disciplina delle sanzioni amministrative non costituisce una materia a sé, ma rientra nell’àmbito materiale cui le sanzioni stesse si riferiscono (ex multis, sentenze n. 384 del 2005 e n. 12 del 2004). Nel caso di specie, la regolamentazione della destinazione del gettito delle sanzioni è funzionale alla disciplina «delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza», e cioè alle sanzioni previste dal precedente art. 133, le quali si riferiscono a violazioni in materia di scarichi e di tutela della qualità dei corpi idrici, come tali ascrivibili alla materia della tutela dell’ambiente di competenza legislativa esclusiva dello Stato (come affermato da questa Corte con la sentenza n. 233 del 2009). Trattandosi di entrata statale, il potere di disporre l’immediata riassegnazione di tali somme ad individuate unità previsionali di base rientra nella competenza legislativa dello Stato. Il fatto che ciò avvenga attraverso il versamento delle somme «all’entrata del bilancio regionale» non significa che queste costituiscono "risorse autonome” delle Regioni alle quali non è apponibile un vincolo di destinazione. Il versamento all’entrata del bilancio regionale costituisce, infatti, una mera appostazione contabile, al fine di realizzare la destinazione al risanamento e alla riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici, cioè a finalità meramente ambientali. La circostanza che siano le Regioni a provvedere alla ripartizione delle somme fra gli interventi di prevenzione e di risanamento costituisce unicamente un’attribuzione di ulteriore autonomia alle Regioni stesse in una materia di esclusiva competenza legislativa statale. Non trova, perciò, applicazione, nella specie, la giurisprudenza costituzionale in materia di fondi vincolati, genericamente richiamata dalla ricorrente.

8. – La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) impugna l’art. 141, il quale prevede, in apertura del titolo I (Principi generali e competenze) della sezione III (Gestione delle risorse idriche), che «Oggetto delle disposizioni contenute nella presente sezione è la disciplina della gestione delle risorse idriche e del servizio idrico integrato per i profili che concernono la tutela dell’ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane».

Ad avviso della ricorrente, la disposizione víola il principio della leale collaborazione, perché omette di considerare le competenze legislative regionali nelle materie del «governo del territorio», della «tutela della salute» e dei «servizi pubblici locali» e perché non prevede un «coinvolgimento degli enti regionali che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini essenzialmente sul modello dell’intesa in senso forte».

La questione è inammissibile, perché il suddetto art. 141 non è preso in considerazione nella delibera di autorizzazione alla proposizione del ricorso. Trova, infatti, applicazione il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la deliberazione di autorizzazione alla proposizione del ricorso deve necessariamente indicare le specifiche disposizioni che si intendono impugnare (ex plurimis, sentenze n. 450, n. 398, n. 216 e n. 3 del 2006).

9. – La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura gli artt. da 144 a 146 del d.lgs. n. 152 del 2006, sul rilievo che essi, nel disciplinare la tutela e l’uso delle risorse idriche (art. 144), l’equilibrio del bilancio idrico (art. 145) e il risparmio idrico (art. 146), violano: a) l’art. 76 Cost., in combinato disposto con l’art. 1, comma 8, della legge di delegazione n. 308 del 2004, perché quest’ultima disposizione, nell’imporre al legislatore delegato il rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal decreto legislativo n. 112 del 1998 e, quindi, dall’art. 88, comma 1, lettera h), di tale decreto, assegna rilievo nazionale ai soli cómpiti relativi «ai criteri per la gestione del servizio idrico integrato», cioè ad un «quadro assolutamente generale nel quale le regioni (e, se del caso, gli enti locali) siano lasciati liberi di agire nel modo ritenuto piú consono alla tutela del proprio territorio ed al soddisfacimento delle esigenze della propria popolazione», mentre gli articoli denunciati introducono non solo criteri di gestione del servizio idrico, ma anche una disciplina di dettaglio; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché incidono sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali»; c) il principio della leale collaborazione, perché non è stata prevista alcuna «partecipazione effettiva delle regioni alla determinazione dei […] contenuti» degli articoli medesimi; d) l’art. 118 Cost., perché recano «disposizioni di minuto dettaglio, indiscutibilmente ultronee rispetto alla fissazione di standards di tutela uniformi, in contrasto, quindi, con i principi che reggono il riparto delle funzioni amministrative».

La stessa Regione Calabria impugna anche specificamente l’art. 146, comma 3, il quale stabilisce che «il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e il Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), adotta un regolamento per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature». La ricorrente afferma che tale disposizione víola: a) in via principale, l’art. 117, sesto comma, Cost., perché prevede «un potere regolamentare in capo allo Stato in un settore non riconducibile ad una materia di competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma»; b) in via subordinata, il principio della leale collaborazione, per la «mancata previsione della necessità di un coinvolgimento dei rappresentanti degli enti regionali».

Le questioni non sono fondate.

A prescindere da quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 225 del 2009 circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione, le norme denunciate rispettano comunque il riparto delle competenze stabilito da quest’ultima, perché, nel fissare «criteri per la gestione del servizio idrico integrato» (art. 88, comma 1, lettera h, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112), sono riconducibili a materie di competenza legislativa esclusiva statale. Infatti: a) l’art. 144, comma 1, nel prevedere che «Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato», disciplina il regime proprietario delle acque, che è sicuramente riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; b) i successivi commi dell’art. 144 attengono a materie riconducibili all’ordinamento civile e alla tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), perché disciplinano i criteri dell’uso delle acque, in relazione alla finalità di evitare sprechi, favorire il rinnovo delle risorse, garantire i diritti delle generazioni future e tutelare, tra l’altro, «la vivibilità dell’ambiente»; c) l’art. 145 è anch’esso riconducibile alla materia della tutela dell’ambiente, perché disciplina l’equilibrio del bilancio idrico, richiamando, al comma 1, i criteri e gli obiettivi di tutela di cui al precedente art. 144 e prevedendo, al comma 3, per i «bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti», la necessità di garantire «la vita negli alvei sottesi» e di «non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati»; d) l’art. 146 disciplina specificamente una materia senza dubbio riconducibile alla tutela dell’ambiente, quale il risparmio della risorsa idrica.

La rilevata riconducibilità delle norme censurate ai titoli di competenza legislativa esclusiva statale sopra indicati vale anche a far ritenere insussistente la lamentata violazione dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost. e del principio della leale collaborazione, perché esclude sia l’invocata competenza residuale regionale in materia di servizi pubblici locali (art. 117, quarto comma, Cost.) sia l’obbligo di prevedere strumenti di leale cooperazione con le Regioni, consentendo al legislatore statale di prevedere un potere regolamentare ministeriale (art. 117, sesto comma, Cost.).

Con riferimento, infine, alla dedotta violazione dell’art. 118 Cost., l’affermazione della ricorrente, secondo cui le norme censurate, in quanto di dettaglio, comportano violazione del riparto costituzionale delle funzioni amministrative, non è fondata, perché la disciplina in esame non attribuisce funzioni amministrative, ma, in attuazione della legge di delegazione, si limita a precisare – nell’àmbito delle sopra indicate competenze legislative esclusive dello Stato – i «criteri di gestione del servizio idrico», cui le Regioni e gli altri enti interessati devono attenersi, senza che abbia alcun rilievo la generalità o la specificità di detti criteri.

10. – La Regione Calabria censura gli articoli da 147 a 158, nel loro complesso. La ricorrente afferma che tali disposizioni, le quali disciplinano la materia della gestione delle risorse idriche, violerebbero il principio di leale cooperazione, perché, trattandosi di una materia nella quale vi è «intreccio di competenze trasversali, concorrenti e residuali», avrebbero dovuto essere adottate con «un coinvolgimento degli enti regionali che vada ben oltre il semplice parere, e che si incardini essenzialmente sul modello dell’intesa in senso forte».

La questione è inammissibile, perché generica. Il ricorso avrebbe dovuto, infatti, specificare per ciascuna norma in cosa consista il dedotto concorso di competenze e perché sia stato violato il principio di leale collaborazione.

11. – La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) censura l’art. 147, comma 2, lettera b), anche in combinato con il successivo art. 172, comma 2.

Sostiene la ricorrente che detta disposizione - nello stabilire che «Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare, dei seguenti princípi: […] b) unicità della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni» - víola: a) l’art. 76 Cost., per eccesso di delega, perché «introduce in un decreto delegato di mero "riordino, coordinamento e integrazione della materia” (cfr. art. 1, comma 1, legge n. 308/2004) una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)», la quale al riguardo «aveva previsto il diverso criterio della unitarietà attraverso il superamento della frammentazione delle gestioni esistenti: ma non la rigida necessaria unicità della gestione»; b) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, perché è stata «adottata senza tenere conto dei potenziali effetti negativi che essa è in grado di produrre», e cioè senza considerare «le particolari esigenze e le peculiarità delle singole realtà territoriali, le quali ben potrebbero invece consigliare – in casi particolari – una soluzione differente»; c) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza trovare «fondamento in alcuna delle materie richiamate all’art. 141, comma 1» del medesimo decreto legislativo né in un diverso titolo di competenza previsto dal secondo comma dell’art. 117 Cost., incide sulla potestà legislativa residuale della Regione nella materia dei «servizi pubblici locali».

Per tali questioni, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, infatti, la ricorrente afferma di non avere piú interesse alla decisione sulle questioni relative agli artt. 147, comma 2, lettera b), e 172, comma 2, perché il principio dell’unicità della gestione, previsto da tali disposizioni, è stato sostituito, per effetto dell’art. 2, comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello dell’unitarietà della gestione, già fissato, secondo la ricorrente, dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale. Trova applicazione, pertanto, l’orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio principale, quando la parte ricorrente, pur non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte resistente non è costituita - come nella specie - o non si oppone, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere (ex multis, ordinanze n. 418 del 2008 e n. 21 del 2004).

12. – La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura, sotto diversi profili, l’art. 148, che individua nell’autorità d’àmbito la struttura alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale «è trasferito l’esercizio delle competenze» spettanti agli enti locali «in materia di gestione delle risorse idriche».

12.1. – È evocato quale parametro di costituzionalità, in primo luogo, l’art. 76 Cost., in combinato disposto con l’art. 1, comma 8, della legge di delegazione n. 308 del 2004, sul rilievo che quest’ultimo impone al legislatore il rispetto delle attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal decreto legislativo n. 112 del 1998 e, in particolare, dall’art. 86, comma 1, di tale decreto, il quale stabilisce che «alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio». La disposizione denunciata sarebbe in contrasto con tale parametro, perché priverebbe «gli enti territoriali di poteri amministrativi loro attribuiti» dal d.lgs. n. 112 del 1998.

La questione non è fondata.

Infatti, a prescindere da quanto affermato nella sentenza di questa Corte n. 225 del 2009 circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione, la norma censurata non menoma la preesistente autonomia amministrativa degli enti locali, perché si limita a razionalizzarne le modalità di esercizio, attraverso l’imputazione delle loro originarie competenze in materia di gestione delle risorse idriche all’autorità d’àmbito alla quale essi obbligatoriamente partecipano.

Le autorità d’àmbito erano già previste dagli artt. 8 e 9 della legge n. 36 del 1994 e dagli articoli da 24 a 26-bis della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), che ne consentivano l’istituzione, da parte delle Regioni, con strutture e forme giuridiche diverse alle quali pure partecipavano necessariamente gli enti locali, come le convenzioni, i consorzi, le unioni di comuni, l’esercizio associato delle funzioni. Tali disposizioni sono state attuate dalla legislazione regionale mediante l’adozione di moduli organizzativi scelti tra quelli consentiti dalle disposizioni stesse, seppure diversamente denominati (agenzie, consorzi, autorità). La norma censurata razionalizza tale quadro normativo, superando la frammentazione della gestione del servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti competenze degli enti territoriali. In particolare, unifica le modalità di esercizio della gestione delle risorse idriche, prevedendo espressamente il trasferimento delle relative competenze dagli enti locali all’autorità d’àmbito; autorità della quale - come visto - gli enti locali necessariamente fanno parte. Tale razionalizzazione è, dunque, avvenuta - come richiesto dalla legge di delegazione - senza privare gli enti territoriali dei poteri amministrativi loro conferiti dal d.lgs. n. 112 del 1998.

12.2. – In secondo luogo, l’art. 148 è censurato – sempre dalla Regione Calabria – in riferimento all’art. 117 Cost., perché «espropria le regioni di poteri legislativi» che, ai sensi dell’art. 86, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1998, sono «chiaramente (sia pure implicitamente) […] di spettanza regionale».

La questione non è fondata.

Invero, i poteri legislativi esercitati dallo Stato con la norma censurata attengono all’esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e della tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), materie che hanno prevalenza su eventuali titoli competenziali regionali ed, in particolare, su quello dei servizi pubblici locali. La disposizione attiene, infatti, alla tutela della concorrenza, laddove prevede il superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche attraverso l’individuazione di un’unica Autorità d’àmbito, allo scopo (come meglio si vedrà al punto 17.4.) di consentire la razionalizzazione del mercato, con la determinazione della tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap, diretto a garantire la concorrenzialità e l’efficienza delle prestazioni. La stessa disposizione attiene anche alla tutela dell’ambiente, perché l’allocazione all’Autorità d’àmbito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della "biosfera” intesa «come "sistema” [...] nel suo aspetto dinamico» (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007).

12.3. – Sempre la Regione Calabria evoca a parametro, in terzo luogo, l’art. 118 Cost., sul rilievo che il censurato art. 148 «ipostatizza un certo assetto di competenze amministrative, senza tener conto delle peculiarità di ciascun territorio, peculiarità che soltanto in sede di legislazione regionale possono trovare adeguata rispondenza».

La questione non è fondata.

Per un evidente errore materiale, la ricorrente ha fatto riferimento all’art. 118 Cost., laddove, dal tenore della censura, risulta invece chiaramente che la stessa ricorrente lamenta la lesione delle proprie competenze legislative, sotto il profilo della spettanza ad essa della competenza ad allocare le funzioni amministrative in materia di gestione dei servizi idrici. La Regione intendeva, quindi, evocare a parametro l’art. 117 Cost. Cosí precisata la questione, valgono le considerazioni già svolte sopra sub 12.2., e cioè che lo Stato ha legittimamente esercitato una propria competenza legislativa esclusiva in tema di tutela della concorrenza e dell’ambiente.

12.4. – La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) impugna anche, specificamente, il comma 3 dell’art. 148, il quale stabilisce che «I bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente, e sono trasmessi all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni dall’adozione delle relative delibere», in riferimento all’art. 117 Cost., «in ragione del contenuto di estremo dettaglio» che esso reca e che incide sulle potestà legislative regionali, non attenendo alla tutela dell’ambiente in senso stretto, ma «a misure organizzative che le regioni devono poter calibrare in relazione alle peculiarità del proprio territorio».

12.4.1. – La questione non è fondata in relazione alla previsione dell’obbligo di trasmissione dei bilanci all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

Va preliminarmente rilevato che la censura non è piú riferibile alla trasmissione dei dati all’Autorità di vigilanza, perché quest’ultima - già prevista dagli artt. 159 e 160, abrogati dal comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 - è stata soppressa e non è mai entrata in funzione. Infatti – come risulta dal comunicato del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 26 giugno 2006 – il decreto del 2 maggio 2006, istitutivo di tale Autorità non è stato inviato alla Corte dei Conti per essere sottoposto al preventivo e necessario controllo e, quindi, non avendo ottenuto la registrazione prevista dalla legge, è rimasto inefficace.

Quanto, invece, all’obbligo di trasmissione dei bilanci al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, deve rilevarsi che lo Stato può fissare obblighi di trasmissione ai fini di eventuali controlli, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., che assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia del «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale regionale e locale» (sentenze n. 417 e n. 35 del 2005, n. 376 del 2003, secondo le quali obblighi di questo tipo devono essere ritenuti legittimi, perché «espressione di un coordinamento meramente informativo»).

12.4.2. – La questione è, invece, fondata, in relazione alla previsione dell’obbligo di affissione dei bilanci.

Si tratta, infatti, di una disciplina - peraltro di minuto dettaglio - che regola una specifica modalità di pubblicità, incidente sulla materia dei servizi pubblici locali, senza che possano essere invocati titoli competenziali statali quali la tutela della concorrenza o la tutela dell’ambiente. Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, nella parte in cui prevede che «I bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente».

12.5. – Il comma 5 dell’art. 148 è censurato, sotto diversi profili, dalle Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006).

La disposizione prevede che, «Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune. Sulle gestioni di cui al presente comma l’Autorità d’ambito esercita funzioni di regolazione generale e di controllo. Con apposito contratto di servizio stipulato con l’Autorità d’ambito, previo accordo di programma, sono definiti criteri e modalità per l’eventuale partecipazione ad iniziative promosse dall’Autorità d’ambito medesima».

12.5.1. – Le Regioni Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006) denunciano la disposizione in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., perché incide sulla materia, di potestà legislativa residuale regionale, dei «servizi pubblici locali» (ricorso n. 69 del 2006) e perché, non trovando «fondamento nelle clausole trasversali pure evocate dal legislatore statale all’art. 141, primo comma», del medesimo decreto legislativo e, in particolare, non concretizzando «una misura volta a tutelare la concorrenza», incide sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali, cui è riconducibile la decisione sugli àmbiti concreti e sulle modalità gestionali ed organizzative del servizio (ricorsi nn. 72, 74 e 79 del 2006).

La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) sostiene che la norma víola l’art. 117 Cost. per gli stessi motivi già indicati in relazione al comma 3 dello stesso art. 148, e cioè per il suo «contenuto di estremo dettaglio», incidente sulle potestà legislative regionali; essa, infatti, atterrebbe non alla tutela dell’ambiente in senso stretto, ma «a misure organizzative che le regioni devono poter calibrare in relazione alle peculiarità del proprio territorio».

Va preliminarmente rilevato che la Regione Marche – nella memoria depositata in prossimità dell’udienza - ha chiesto che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere. Essa riferisce che la norma censurata è stata sostituita dall’art. 2, comma 14, del d.lgs. n. 4 del 2008, secondo cui: «Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l’intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d’ambito competente». La ricorrente ritiene che tale modifica della norma censurata soddisfi le sue pretese, perché avrebbe carattere sostanzialmente retroattivo, dal momento che qualunque Comune della Regione Marche «che avesse optato per la non adesione all’ATO in applicazione della norma qui censurata si troverebbe oggi sottoposto al nuovo regime e alle nuove condizioni previste dall’art. 148, comma 5, nel testo vigente».

Va pertanto dichiarata la cessazione della materia del contendere, limitatamente alla questione sollevata dalla Regione Marche, perché, argomentando come sopra, la ricorrente ha sostanzialmente affermato sia che il nuovo regime non è lesivo del parametro costituzionale evocato, sia che la norma denunciata - a prescindere dalla sua "sostanziale retroattività” - non ha mai avuto applicazione nel territorio regionale.

Quanto alle questioni sollevate dalle altre ricorrenti in riferimento all’intero art. 117 Cost. o al suo quarto comma, queste devono essere esaminate nel merito e dichiarate non fondate.

La disposizione censurata, infatti, attiene alla tutela dell’ambiente, con prevalenza rispetto alla materia dei servizi pubblici locali, perché giustifica la possibilità di deroghe all’unicità della gestione del servizio sul piano soggettivo, in ragione dell’elemento tipicamente ambientale costituito dalla peculiarità idrica delle zone comprese nei territori delle comunità montane. Se infatti - come si è visto sopra - le modalità dell’organizzazione del servizio idrico, nelle loro linee generali, sono riconducibili alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientra in tale competenza anche stabilire le condizioni in presenza delle quali i Comuni minori appartenenti alle comunità montane possono non partecipare alla gestione unica del servizio idrico integrato, e cioè che la gestione del servizio sia operata direttamente da parte dell’amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico controllata dallo stesso Comune.

12.5.2. – Le Regioni Piemonte (ricorso n. 70 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) denunciano l’art. 148, comma 5, per contrasto con l’art. 76 Cost.

La Regione Piemonte lamenta che «l’introdotta deroga al principio di unicità della gestione d’ambito esula dai principi dettati dalla legge di delega», mentre le Regioni Umbria e Liguria evocano quale parametro interposto, l’art. 1, comma 1, della legge di delegazione n. 308 del 2004, il quale, stabilendo che «il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti, non permetterebbe l’introduzione nel decreto delegato di «una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)», quale è quella in esame.

Le questioni non sono fondate.

Le ricorrenti deducono il carattere innovativo della disposizione rispetto alla legge n. 36 del 1994 e, dunque, la violazione della legge di delegazione, perché quest’ultima non consentirebbe alcuna innovazione rispetto ai principi fondamentali desumibili dalla citata legge n. 36 del 1994, assunti dalla stessa legge di delegazione quali criteri direttivi. In particolare, la deroga introdotta dalla norma censurata al principio - desumibile dalla legge n. 36 del 1994 - dell’unicità della gestione, sarebbe una previsione del tutto nuova e, pertanto, illegittima.

In realtà, tanto il comma 5 dell’art. 148 quanto la legge n. 36 del 1994, richiamata dall’art. 8, comma 1, lettera b), della legge di delegazione, fissano il principio del «superamento della frammentazione delle gestioni», con la differenza che solo la disposizione censurata indica il criterio dell’«unicità della gestione», quale modalità preferenziale di attuazione di tale «superamento». La norma denunciata, quindi, costituisce attuazione del principio del «superamento della frammentazione delle gestioni» stabilito dalla legge n. 36 del 1994, che può realizzarsi, indifferentemente, sia con l’«unitarietà» delle gestioni, sia con l’«unicità» prevista dalla norma censurata. E ciò, a prescindere dalla considerazione che - anche a voler ritenere, con le ricorrenti, che la norma censurata abbia carattere innovativo - la delega legislativa avrebbe comunque consentito l’innovazione al fine della razionalizzazione della disciplina (sentenza n. 225 del 2009). Infatti, all’art. 1, comma 1, la delega prevede che il legislatore delegato provveda al «riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative […] anche mediante la redazione di testi unici»; e non pare dubbio che l’uso dei termini «riordino» e «integrazione» sia sufficiente a consentire interventi innovativi del legislatore, quali quelli censurati dalla ricorrente (principio desumibile anche dalle sentenze n. 308 del 2002, n. 198 del 1998, n. 4 del 1992).

12.5.3. – Le Regioni Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) e Umbria (ricorso n. 72 del 2006) censurano l’art. 148, comma 5, anche con riferimento all’art. 3 Cost.

In particolare, la prima delle due ricorrenti denuncia la violazione dell’art. 3 Cost., sub specie del principio di uguaglianza, perché la disposizione impugnata «è totalmente avulsa dalla considerazione della forte differenziazione delle realtà territoriali ed amministrative nelle regioni italiane». Entrambe le ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, rilevando che la norma censurata si pone in contraddizione con il principio di organizzazione del servizio idrico in base all’individuazione di àmbiti territoriali ottimali, creando, conseguentemente, disservizi e diseconomie di gestione.

Le questioni sono inammissibili.

Come questa Corte ha piú volte chiarito, le Regioni sono legittimate a denunciare la violazione di norme costituzionali non relative al riparto di competenze con lo Stato solo quando tale violazione comporti un’incidenza diretta o indiretta sulle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse (sentenze n. 270 e n. 50 del 2005, n. 287 e n. 286 del 2004; n. 303 del 2003). Nel caso di specie, le ricorrenti si limitano a lamentare la violazione dei princípi di uguaglianza e ragionevolezza senza dedurre l’incidenza di tale violazione sulle competenze regionali.

12.5.4. – La Regione Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) censura l’art. 148, comma 5, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., perché esso pone una deroga che «contrasta con il mantenimento del complessivo quadro istituzionale e dell’assetto organizzativo delle funzioni già stabilito», condizionando e limitando «le potestà regionali di organizzazione delle funzioni amministrative nel territorio e negli ambiti di competenza regionale quali quello della regolazione dei servizi pubblici locali, senza che sia ravvisabile alcuna razionale superiore diversa esigenza di carattere unitario ed anzi in evidente contrasto con gli stessi principi della disciplina del settore». In sostanza, la ricorrente censura la norma perché lederebbe la sua competenza legislativa residuale in materia di servizi pubblici locali (art. 117, quarto comma, Cost.), senza che sussistano le condizioni per l’attrazione in sussidiarietà della competenza legislativa in tale materia (art. 118 Cost.).

La questione non è fondata.

Non sussiste, infatti, l’invocata competenza regionale, ma - come si è visto - l’esclusiva competenza statale in materia di tutela dell’ambiente, con la conseguenza che il legislatore statale è legittimato ad allocare le competenze amministrative.

13. – Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006) censurano, sotto diversi profili, diversi commi dell’art. 149.

13.1. – Il comma 1 di detto articolo, il quale prevede la predisposizione e l’aggiornamento del piano d’àmbito da parte dell’autorità d’àmbito, è censurato dalla Regione Calabria in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., perché disciplina «l’esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli enti infra-statuali». La stessa ricorrente censura, in riferimento agli stessi parametri, anche i commi da 2 a 5 del medesimo articolo, la cui illegittimità costituzionale deriverebbe da quella del precedente comma 1.

Le questioni non sono fondate.

La ricorrente, che pure non specifica a quali «enti infra-statuali» si riferisce la censura relativa al comma 1 dell’art. 149, si duole, da un lato, dell’intervento legislativo dello Stato in mancanza di un titolo competenziale (art. 117 Cost.), dall’altro, dell’allocazione all’autorità d’àmbito delle funzioni amministrative di pianificazione (art. 118 Cost.), con la conseguenza dell’illegittimità costituzionale anche dei successivi commi da 2 a 5.

In relazione al primo parametro costituzionale evocato, si deve rilevare che l’attività pianificatoria disciplinata dal denunciato art. 149 deve essere ricondotta alla materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, perché è strettamente funzionale alla gestione unitaria del servizio e ha, perciò, lo scopo di consentire il concreto superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, al fine di inserire armonicamente tale gestione in un piú ampio quadro normativo diretto alla razionalizzazione del mercato del settore.

In relazione all’art. 118 Cost., secondo parametro costituzionale evocato, si deve rilevare che, data l’organizzazione del servizio in àmbiti territoriali ottimali gestiti ciascuno da un’autorità d’àmbito, il livello piú adeguato a cui allocare le funzioni amministrative di pianificazione è proprio quello dell’autorità d’àmbito medesima, cui partecipano obbligatoriamente i Comuni e le Province ai sensi dell’art. 148, comma 1, e non quello di non meglio identificati «enti infra-statuali».

All’insussistenza dell’illegittimità costituzionale del comma 1 consegue l’insussistenza della denunciata illegittimità derivata dei commi da 2 a 5.

13.2. – Il comma 6 dell’art. 149 è censurato dalle Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Marche (ricorso n. 79 del 2006).

La disposizione stabilisce che «Il piano d’ambito è trasmesso entro dieci giorni dalla delibera di approvazione alla regione competente, all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio» e che «L’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti può notificare all’Autorità d’ambito, entro novanta giorni decorrenti dal ricevimento del piano, i propri rilievi od osservazioni, dettando, ove necessario, prescrizioni concernenti: il programma degli interventi, con particolare riferimento all’adeguatezza degli investimenti programmati in relazione ai livelli minimi di servizio individuati quali obiettivi della gestione; il piano finanziario, con particolare riferimento alla capacità dell’evoluzione tariffaria di garantire l’equilibrio economico finanziario della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati».

Le ricorrenti sostengono che il menzionato comma 6 víola: a) l’art. 76 Cost. e, quale parametro interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione di «carattere innovativo»; (a.2.) stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali fissate dal decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione di funzioni amministrative all’Autorità di vigilanza «in contrasto con i disposti di cui al d.lgs. n. 112/1998», dal cui art. 88 «non si ricavano elementi in grado di includere le funzioni affidate all’Autorità di vigilanza fra i "compiti di rilievo nazionale” di cui l’articolo si occupa» (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); b) l’art. 117, secondo e quarto comma, Cost., perché prevede, nella sostanza, «un potere di controllo nei confronti della "Autorità d’ambito territoriale ottimale” affidato alla "Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti”, organismo i cui componenti, ex art. 159 dello stesso d.lgs. n. 152/2006, sono largamente espressione statale» e, pertanto, incide su «ambiti certamente estranei alle materie di cui all’art. 141, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 (oltre che ovviamente alle altre materie di cui all’art. 117, secondo comma Cost.)», con conseguente carenza di alcun titolo che legittimi l’intervento legislativo statale (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); c) l’art. 118, primo comma, Cost., in quanto: (c.1.) attribuisce all’Autorità di vigilanza «funzioni amministrative di controllo e prescrittive in assenza di reali motivi che ne giustifichino un’attrazione a livello statale»; (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); (c.2.) lede le «potestà di controllo regionali, che nel caso della Regione Umbria sono già state disciplinate dall’art. 12 della legge regionale 5 dicembre 1997, n. 43» (ricorso n. 72 del 2006); d) in subordine alle censure sub b) e c), gli artt. 117 e 118 Cost., perché «un’attrazione di tali potestà [e cioè dei poteri amministrativi di controllo] ad opera dello Stato potrebbe essere consentita – ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non è nel presente caso) – previo reale coinvolgimento delle regioni nell’esercizio del potere, in ossequio al principi indicati con la nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost.» (ricorsi n. 72 e n. 74 del 2006); e) l’art. 117, terzo comma, Cost., perché incide, in parte, sulla materia, di potestà legislativa concorrente regionale, del «governo del territorio», dettando disposizioni di dettaglio (ricorso n. 69 del 2006); f) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché prevede un potere di controllo da parte dell’Autorità di vigilanza, che «presenta una composizione fortemente sbilanciata a favore dei rappresentanti ministeriali» e pertanto incide, in parte, sulla materia dei «servizi pubblici locali», di potestà legislativa residuale regionale (ricorso n. 69 del 2006); g) gli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost., in quanto, se «le finalità del controllo consentono di ricondurre l’attività in parte alla materia dei servizi pubblici, in parte alla materia del governo del territorio (programma degli investimenti)», il controllo «previsto dalla disposizione in esame non appare giustificabile né in relazione alla materia dei servizi pubblici locali, (non venendo qui in rilievo, stante quanto esposto in relazione all’art. 148, comma 5 profili attinenti alla "tutela della concorrenza” né in relazione alla materia del "governo del territorio” dove lo Stato deve limitarsi a dettare i principi fondamentali)» (ricorso n. 79 del 2006); h) non precisati parametri costituzionali, perché prevede, nella sostanza, «un potere di controllo nei confronti della "Autorità d’ambito territoriale ottimale” affidato alla "Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti”, organismo i cui componenti, ex art. 159 dello stesso d.lgs. n. 152/2006, sono largamente espressione statale» e detta una «disciplina procedurale assai dettagliata» (ricorso n. 68 del 2006).

13.2.1. – Preliminarmente deve essere dichiarata cessata la materia del contendere in relazione alle questioni sopra indicate alle lettere a.2.), b), c), d), f), g), h), che si riferiscono in via esclusiva alle competenze dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, perché quest’ultima – come visto sopra sub 12.4.1. – è stata abolita dall’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 284 del 2006 e non è mai entrata in funzione.

A tale conclusione non può opporsi – come fa la ricorrente Regione Marche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza – che vi sarebbe il trasferimento delle promosse questioni sulla normativa attualmente vigente in materia, introdotta dal d.lgs. n. 4 del 2008, art. 2, comma 15, il quale, riformando l’art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha attribuito al Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche la competenza a verificare «la corretta redazione del piano d’ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessità di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorità d’ambito e i gestori in particolare quando ciò sia richiesto dalle ragionevoli esigenze degli utenti». Sussistono, infatti, rilevanti diversità tra l’Autorità e il Comitato, quanto a struttura, composizione e competenze. In particolare: quanto alla struttura, l’art. 159, comma 2, prevede che sono organi dell’Autorità il presidente, il comitato esecutivo ed il consiglio, che si articola in due sezioni denominate "Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e "Sezione per la vigilanza sui rifiuti”, mentre il nuovo art. 161 non prevede per il Comitato alcuna specifica suddivisione in organi; quanto alla composizione, l’Autorità ha quattordici membri, tutti nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, di cui dieci sono designati da ministri e quattro dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome (art. 159, comma 2), mentre il Comitato ha sette membri, tutti nominati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di cui tre sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome (nuovo art. 161, comma 2); quanto alle competenze, quelle dell’Autorità comprendono il settore delle risorse idriche e quello dei rifiuti (art. 160), mentre quelle del Comitato sono limitate al settore delle risorse idriche e sono diverse da quelle dell’Autorità anche in tale settore (nuovo art. 161, comma 4). Le evidenziate diversità escludono che il contenuto precettivo delle due disposizioni sia lo stesso e che possa trovare applicazione nel caso di specie il trasferimento sul nuovo testo normativo delle questioni promosse (sentenze n. 168 del 2008 e n. 533 del 2002).

13.2.2. – Delle questioni che residuano, quella sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.

Infatti, il presupposto delle ricorrenti è erroneo, perché, nel caso di specie, la legge di delega consente l’innovazione, nei limiti di quanto già osservato al punto 12.5.2.

13.2.3. – Con la questione sub e), si denuncia – come visto – l’art. 149, comma 6, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., perché inciderebbe, con disposizioni di dettaglio, sulla materia, di potestà legislativa concorrente, del «governo del territorio».

La censura è formulata in modo assai ampio, cosí da ricomprendere sia il profilo relativo all’Autorità di vigilanza, sia quello relativo alla trasmissione della delibera di approvazione del piano d’àmbito alla Regione e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

Quanto al primo profilo, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere, in forza di quanto osservato al punto 13.2.1.

Quanto al secondo profilo, la questione non è fondata, perché - analogamente a quanto visto al punto 12.4.1. - la trasmissione del piano d’àmbito alla Regione e al Ministero rientra fra i normali obblighi informativi, che possono legittimamente essere fissati dalla legge statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost.

14. – Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) censurano, sotto vari profili, diversi commi dell’art. 150.

14.1. – L’intero articolo è censurato dalla Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006), la quale lamenta che esso - nel disciplinare la forma di gestione del servizio e le procedure di affidamento dello stesso e, in particolare, nel rinviare a tal fine al disposto dell’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) - víola l’art. 117 Cost., perché si basa «essenzialmente sulla disciplina dell’art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000», con la duplice conseguenza che «dimostra chiaramente l’intento dilatatorio perseguito dal legislatore statale relativamente alle competenze di cui è titolare» e che l’esclusione di ogni rilievo della "tutela della concorrenza” nel settore che ci occupa configura […] come improponibile una recezione della normativa dal precitato art. 113».

La questione non è fondata.

La censura prospettata dalla ricorrente Regione Calabria è sostanzialmente diretta a negare la riconducibilità della norma alla materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

Tuttavia, al riguardo, va rilevato che il richiamo ai commi 5 e 7 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, effettuato dalla norma censurata, esprime la chiara volontà del legislatore di disciplinare aspetti generali attinenti alla tutela della concorrenza, quali la forma di gestione e le procedure di affidamento del servizio idrico integrato. In particolare, il comma 5 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede che «L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio: a) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte piú importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano». Il comma 7 dello stesso art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, a sua volta, prevede che «La gara di cui al comma 5 è indetta nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali. La gara è aggiudicata sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale. Tali elementi fanno parte integrante del contratto di servizio. Le previsioni di cui al presente comma devono considerarsi integrative delle discipline di settore».

Tali regole sono dirette ad assicurare la concorrenzialità nella gestione del servizio idrico integrato, disciplinando le modalità del suo conferimento e i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione medesima. In questo quadro, anche il superamento della frammentazione della gestione, perseguito attraverso l’affidamento unitario di quest’ultima in àmbiti territoriali ottimali, concorre alla piena realizzazione di tali finalità. La riconducibilità della norma censurata alla materia della tutela della concorrenza è, del resto, confermata dalla formulazione letterale del comma 1 dello stesso art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale prevede espressamente che le disposizioni che «disciplinano le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici locali», come quelle di cui ai commi 5 e 7 dello stesso articolo, «concernono la tutela della concorrenza […]» (come anche rilevato da questa Corte con la sentenza n. 272 del 2004).

14.2. – La Regione Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) censura l’art. 150, in combinato con l’art. 170, comma 3, lettera i), sostenendo che esso, nel disciplinare la scelta della forma di gestione del servizio e le procedure di affidamento dello stesso, nonché il relativo regime transitorio, víola: a) gli artt. 117 e 118 Cost., perché illegittimamente determina una «attrazione completa nell’ambito di attività amministrativa ministeriale di tutta la disciplina relativa alla gestione del servizio considerato, consolidando nelle norme del decreto delegato precedenti atti ministeriali», senza che «a fronte di ciò si possano rinvenire peculiarità del servizio idrico integrato che giustifichino un simile intervento legislativo statale in deroga alla disciplina generale dei servizi pubblici locali»; b) l’art. 117, terzo comma, Cost., perché, non limitandosi a stabilire princípi fondamentali della materia, detta «misure di dettaglio», «con conseguente invasione delle competenze regionali in materia di regolazione del servizio idrico integrato».

La questione sub a) è inammissibile, perché oscura.

Infatti, la ricorrente muove dalla generica e indimostrata premessa che la norma censurata abbia "consolidato” «precedenti atti ministeriali», senza spiegare in cosa consista tale "consolidazione” e quali siano tali atti ministeriali. Da ciò fa derivare, quale effetto, l’«attrazione completa nell’ambito di attività amministrativa ministeriale di tutta la disciplina relativa alla gestione del servizio», senza chiarire quale rapporto vi sia fra premessa e conseguenza. Da tale asserita «attrazione» fa derivare, poi, la lesione degli evocati parametri costituzionali, senza chiarirne le ragioni. E ciò, a prescindere dalla considerazione che la censura, ove interpretata nel senso che sia diretta a negare la riconducibilità della norma alla materia della tutela della concorrenza, sarebbe comunque infondata, perché - come si è visto sub 14.1. - il richiamo ai commi 5 e 7 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 effettuato dal legislatore esprime la sua volontà di disciplinare aspetti generali attinenti alla tutela della concorrenza, quali la forma di gestione e le procedure di affidamento del servizio idrico integrato.

La questione sub b) non è fondata.

La Regione lamenta che la norma censurata fissa una disciplina di dettaglio e non princípi fondamentali nella materia, che evidentemente ritiene di competenza legislativa concorrente, della «regolazione del servizio idrico integrato». Il presupposto su cui si basa la censura è erroneo, perché l’art. 117, terzo comma, Cost., il quale contiene l’elenco delle materie di competenza legislativa concorrente, non contempla la materia indicata dalla ricorrente.

14.3. – La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) impugna specificamente il comma 1 dell’art. 150, affermando che esso, nello stabilire che «L’Autorità d’ambito, nel rispetto del piano d’ambito e del principio di unicità della gestione per ciascun ambito, delibera la forma di gestione fra quelle di cui all’articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267», e perciò, nell’adottare il principio dell’unicità della gestione, víola: a) l’art. 76 Cost., per eccesso di delega; b) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza; c) l’art. 117, quarto comma, Cost. A sostegno delle questioni proposte, richiama le stesse ragioni fatte valere in relazione all’art. 147, comma 2, lettera b), per contestare l’introduzione da parte del legislatore delegato del principio di unicità della gestione del servizio idrico.

Riguardo a tali questioni, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, infatti, la ricorrente afferma di non avere piú interesse alle questioni relative alla previsione del principio dell’unicità della gestione, sostituito, per effetto dell’art. 2, comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello dell’unitarietà della gestione, già fissato, secondo la ricorrente, dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale. Trova applicazione, pertanto, l’orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio principale, quando la parte ricorrente, pur non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte resistente non è costituita - come nella specie - o non si oppone, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

14.4. – La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) censura l’art. 150, comma 2, il quale prevede che «L’Autorità d’ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia».

La ricorrente sostiene che la disposizione víola: a) l’art. 76 Cost. e, quale parametro interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (a.2.) stabilendo che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali fissate dal decreto legislativo n. 112 del 1998 (art. 1, comma 8), preclude l’attribuzione di funzioni amministrative all’Autorità d’àmbito in contrasto con l’art. 88 dello stesso d.lgs. n. 112 del 1998, il quale «non riserva […] al livello di governo statale il compito di disciplinare le modalità ed i termini per l’aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato»; b) l’art. 117, secondo e quarto comma, Cost., perché, riservando al livello statale la determinazione delle modalità e dei termini di aggiudicazione, lede i princípi di proporzionalità e di adeguatezza che connotano l’esercizio della potestà legislativa statale in materia di tutela della concorrenza e, pertanto, opera un’illegittima compressione della competenza legislativa regionale; c) l’art. 117, sesto comma, Cost. perché demanda la disciplina delle modalità e dei termini dell’aggiudicazione ad un atto ministeriale che, al di là del nomen juris utilizzato, ha natura regolamentare ed interviene nella materia di potestà legislativa regionale dei «servizi pubblici locali».

14.4.1. – La questione sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata - non è fondata.

Il presupposto interpretativo delle ricorrenti è, infatti, erroneo, perché – come già osservato ai punti 12.5.2. e 13.2.2. – la legge di delegazione consente, nel caso di specie, l’innovazione.

14.4.2. – A prescindere da quanto affermato nella sentenza di questa Corte n. 225 del 2009 circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione, deve rilevarsi che anche la questione sub a.2.) - con la quale si lamenta, sempre in riferimento all’art. 76 Cost., la violazione dell’art. 88 di tale decreto legislativo - non è fondata.

Infatti, l’art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998 non preclude che la legge statale attribuisca all’autorità d’àmbito le funzioni amministrative in tema di aggiudicazione. Infatti, detto articolo, al comma 1, lettera h), fa espressamente rientrare, fra i «compiti di rilievo nazionale» attribuiti allo Stato, quelli relativi «ai criteri per la gestione del servizio idrico integrato come definito dall’articolo 4 della legge 5 gennaio 1994, n. 36»; e non vi è dubbio che tra tali criteri rientri quello relativo all’aggiudicazione della gestione, che è un tipico strumento di tutela della concorrenza.

14.4.3. – È parimenti non fondata la questione sub b), con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 117, secondo e quarto comma, Cost., che la riserva a livello statale della determinazione delle modalità e dei termini di aggiudicazione víola i princípi di proporzionalità e di adeguatezza che connotano l’esercizio della potestà legislativa statale in materia di tutela della concorrenza e opera un’illegittima compressione della competenza legislativa regionale.

Infatti, l’aggiudicazione, essendo lo strumento attraverso il quale si realizza l’affidamento del servizio, rientra a pieno titolo - come si è visto ai punti 14.1. e 14.2. - nella materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale.

14.4.4. – La questione sub c) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost., che lo Stato non ha potestà regolamentare per la disciplina delle modalità e dei termini dell’aggiudicazione - è anch’essa non fondata.

Infatti, la disciplina dell’aggiudicazione rientra – come appena osservato – nella materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che quest’ultimo ha, nella specie, potestà regolamentare, proprio ai sensi dell’evocato parametro.

15. – La sola Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura l’art. 151 – recante la rubrica «Rapporti tra autorità d’ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato» – in riferimento all’art. 117 Cost., perché costituisce «prosieguo logico e specificazione» dell’art. 150 e quindi è illegittimo per effetto dell’illegittimità di tale ultima disposizione.

La questione non è fondata.

Infatti, la denunciata illegittimità non sussiste, perché essa deriverebbe – nella prospettazione della ricorrente – dall’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 150, che sono state, invece, rigettate.

16. – L’art. 153 è censurato dalle Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006) e Umbria (ricorso n. 72 del 2006), rispettivamente, nel suo complesso e nel comma 1.

La disposizione – la cui rubrica recita «Dotazioni dei soggetti gestori del servizio idrico integrato» – prevede che: a) «Le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare» (comma 1); b) «Le immobilizzazioni, le attività e le passività relative al servizio idrico integrato, ivi compresi gli oneri connessi all’ammortamento dei mutui oppure i mutui stessi, al netto degli eventuali contributi a fondo perduto in conto capitale, e/o in conto interessi, sono trasferiti al soggetto gestore, che subentra nei relativi obblighi. Di tale trasferimento si tiene conto nella determinazione della tariffa, al fine di garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica» (comma 2).

16.1. – La Regione Calabria sostiene che la disposizione víola l’art. 117 Cost. e richiama a sostegno della promossa questione le medesime ragioni fatte valere in relazione all’art. 150. L’illegittimità costituzionale della norma deriverebbe, cioè, dal fatto che essa si basa «essenzialmente sulla disciplina dell’art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000», con la duplice conseguenza che essa è indice dell’«intento dilatatorio perseguito dal legislatore statale relativamente alle competenze di cui è titolare» e che «l’esclusione di ogni rilievo della "tutela della concorrenza” nel settore che ci occupa configura […] come improponibile una recezione della normativa dal precitato art. 113».

La questione non è fondata.

La censura è sostanzialmente diretta a negare la riconducibilità del comma 1 dell’art. 153 alle materie di competenza legislativa esclusiva statale, di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. La disciplina della dotazione dei gestori del servizio idrico integrato recata dalla norma, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, è riconducibile in prevalenza alla competenza legislativa esclusiva statale. La disposizione censurata, infatti, nel riferirsi alle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali, che sono beni senza dubbio funzionali alla gestione del servizio idrico quale servizio pubblico locale, esclude in radice l’onerosità della concessione d’uso di tali infrastrutture al gestore del servizio ed incide, perciò, sulla tipologia contrattuale. Essa attiene, dunque, all’esercizio dell’autonomia negoziale in tema di concessioni-contratto e deve perciò essere ricondotta, secondo un criterio di prevalenza, alla materia dell’ordinamento civile, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e, quindi, all’esclusiva sfera di competenza legislativa dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 160 del 2009, n. 411 del 2008, n. 95 del 2007, n. 234 e n. 50 del 2005, n. 282 del 2004).

16.2. – La Regione Umbria (ricorso n. 72 del 2006) censura l’art. 153, comma 1, in riferimento: a) all’art. 76 Cost. e, quale parametro interposto, alla legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (a.2.) stabilendo che la fonte delegata non debba introdurre «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 1, comma 1), non permette un siffatto affidamento a titolo gratuito, che priva «gli enti locali di una fonte d’entrata già ampiamente acquisita» e, perciò, determina un maggior onere per la finanza pubblica; b) all’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, senza «alcun collegamento con i titoli di competenza invocati dal legislatore statale all’art. 141, comma 1», incide sulla «competenza esclusiva residuale delle regioni»; c) l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, in quanto: (c.1.), «sancendo inderogabilmente la gratuità della concessione delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali determina un fin troppo evidente danno a carico delle finanze dei medesimi enti locali, privandoli di un introito certo che solo in misura parziale ed insufficiente è compensato dalla assunzione degli oneri connessi da parte dei gestori»; (c.2.) può essere interpretata nel senso che «abbia effetto anche in relazione agli affidamenti già in essere che prevedono la onerosità della concessione».

16.2.1. – La questione sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata, sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.

Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo, perché – come già osservato ai punti 12.5.2., 13.2.2. e 14.4.1. – la legge di delegazione consente, nel caso di specie, l’innovazione.

16.2.2. – Con la questione sub a.2.), anch’essa proposta in riferimento all’art. 76 Cost., la ricorrente sostiene che l’affidamento a titolo gratuito delle infrastrutture idriche degli enti locali determinerebbe un maggiore onere per la finanza di detti enti, in contrasto con il criterio direttivo previsto dall’art. 1, comma 1, della legge di delegazione.

La questione non è fondata.

Il carattere generale e complessivo del criterio direttivo dell’invarianza degli oneri finanziari di cui all’art. 1, comma 1, della legge di delegazione n. 308 del 2004 implica una valutazione dell’incidenza finanziaria del servizio che sia complessiva e non - come sostiene la ricorrente - riferita al singolo atto concessorio. Conferma questa conclusione la circostanza che il successivo comma 2 dell’art. 153 – nel prevedere che al gestore sono trasferite tutte le passività del servizio idrico integrato, subentrandone nei relativi obblighi – impone che di tale trasferimento debba tenersi conto nella determinazione della tariffa, proprio «al fine di garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica», valutata nel suo complesso. La ricorrente avrebbe dovuto, perciò, specificare in che termini la gratuità prevista dalla disposizione censurata incida sull’onere finanziario complessivo del servizio idrico integrato in modo da determinare un effettivo maggiore onere per la finanza pubblica e non limitarsi ad affermare che detta gratuità determina di per sé un maggiore onere per la finanza pubblica.

16.2.3. – Anche la questione sub b) - proposta in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost. e diretta a negare la riconducibilità del comma 1 dell’art. 153 alle materie di competenza legislativa esclusiva statale - non è fondata.

Vale sul punto quanto già osservato sub 16.1., e cioè che la disciplina censurata è riconducibile in prevalenza alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

16.2.4. – La questione sub c.1.) - con la quale si deduce, in riferimento all’art. 3 Cost., l’irragionevolezza della concessione gratuita delle infrastrutture ai gestori del servizio idrico integrato - è del pari non fondata.

Essa presenta, infatti, evidenti profili di analogia con la questione sub a.2.), la quale riguarda la legittimità del maggior onere per la finanza pubblica dovuto alla gratuità della concessione, perché si basa sull’asserito irragionevole onere che subirebbero le finanze degli enti locali in conseguenza del venir meno dell’introito derivante dalle concessioni d’uso delle infrastrutture idriche. Vale, pertanto, anche in questo caso quanto già osservato al punto 16.2.2. circa il carattere generale e complessivo del criterio direttivo dell’invarianza degli oneri finanziari di cui all’art. 1, comma 1, della legge di delegazione n. 308 del 2004. Proprio tale carattere generale e complessivo esclude la lamentata irragionevolezza, perché tiene in debito conto – come visto – l’esigenza di garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica.

16.2.5. – La questione sub c.2.) - con cui si contesta, sempre in relazione all’art 3 Cost., la retroattività della gratuità della concessione rispetto agli affidamenti già in essere - è parimenti non fondata.

Infatti, la norma censurata fa riferimento, per la sua applicazione, al contenuto della convenzione e del disciplinare di affidamento al gestore del servizio idrico integrato e, dunque, si applica alle concessioni nuove o rinnovate e non a quelle già in essere; si applica cioè ai soli «nuovi affidamenti», regolati dal comma 2 dell’art. 172.

17. – Le ricorrenti, con l’esclusione della Regione Piemonte, censurano, sotto diversi profili, l’art. 154. Le questioni relative al complesso dell’art. 154 riguardano anche il successivo art. 155, con l’esclusione di quelle poste dalla Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e di quella posta, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Regione Basilicata (ricorso n. 80 del 2006) e riportata al punto 17.2.2.

Il denunciato art. 154 Cost., concernente la «Tariffa del servizio idrico integrato», per quanto qui interessa, dispone che: a) «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga”» (comma 1, primo periodo); b) «Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo» (comma 1, secondo periodo); c) «Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua» (comma 2); d) «Al fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresí riduzioni del canone nell’ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate.» (comma 3, primo periodo); e) «L’Autorità d’ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell’osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio» (comma 4); f) «La tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare.» (comma 5); g) «Nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali» (comma 6).

Nell’àmbito della tariffa del servizio idrico integrato, l’art. 155 disciplina, in particolare, la quota tariffaria riferita ai servizi di fognatura e depurazione.

17.1. – Preliminarmente, va rilevato che la Regione Marche (ricorso n. 79 del 2006) deduce la cessazione della materia del contendere limitatamente alle questioni relative al comma 2 dell’art. 154, il quale prevede che il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ha il compito di definire con decreto «le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua». La ricorrente sottolinea, al riguardo, che l’art. 2, comma 15, del d.lgs. n. 4 del 2008 ha modificato l’art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo che il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta il metodo tariffario con proprio decreto, «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» (art. 161, comma 4, lettera a, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo attualmente vigente).

Cosí argomentando, la Regione Marche sostanzialmente afferma di non avere subíto alcuna lesione dalla norma censurata. Va pertanto dichiarata la cessazione della materia del contendere limitatamente alle questioni sollevate dalla stessa Regione in relazione agli artt. 154 e 155, non risultando, del resto, che tali disposizioni siano state applicate.

17.2. – Gli artt. 154 e 155 sono impugnati da alcune delle ricorrenti in riferimento all’art. 76 Cost.

17.2.1. – In particolare, la Regione Puglia (ricorso n. 76 del 2006) sostiene che tali disposizioni violano l’indicato parametro «per contrasto […] con i principi direttivi della legge delega».

La questione è inammissibile, perché generica. La ricorrente non chiarisce, infatti, quali princípi della legge di delegazione siano violati.

17.2.2. – Sempre in riferimento all’art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del 2006); il solo art. 154 è invece censurato dalle Regioni Liguria (ricorso n. 74 del 2006) e Basilicata (ricorso n. 80 del 2006).

Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale, all’art. 1, comma 8, alinea, vincola il legislatore delegato al rispetto del riparto delle competenze amministrative fra Stato, Regioni ed enti locali «come definite ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112». In particolare, la lamentata violazione deriverebbe dal fatto che la norma denunciata, nel determinare la tariffa del servizio idrico integrato, interviene in materie appartenenti alla sfera di competenza amministrativa delle Regioni e degli enti locali.

La questione è inammissibile, perché le ricorrenti - nel limitarsi a riportare parti del testo dell’art. 1, comma 8, della legge di delegazione - non specificano quali siano, in concreto, le attribuzioni amministrative asseritamente lese. E ciò a prescindere da ogni considerazione circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione (su cui, sentenza n. 225 del 2009).

17.2.3. – Sempre con riferimento all’art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del 2006); il solo art. 154 è censurato dalla Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006).

Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale, all’art. 1, comma 8, lettera d), stabilisce che il legislatore delegato deve conformarsi al criterio direttivo dello «sviluppo e coordinamento, con l’invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilità ambientale, l’introduzione e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996 del Consiglio, nonché il risparmio e l’efficienza energetica, e a rendere piú efficienti le azioni di tutela dell’ambiente e di sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali».

La questione è inammissibile, perché generica.

Le ricorrenti, infatti, si limitano a riportare il contenuto del principio della legge di delega che assumono violato, senza chiarire né la ragione per cui un corrispettivo, quale la tariffa del servizio idrico integrato, possa essere ricondotto al novero degli incentivi o disincentivi finanziari o fiscali cui fa riferimento il principio stesso, né, conseguentemente, in quale modo la determinazione della tariffa ecceda tale principio.

17.2.4. – Ancora con riferimento all’art. 76 Cost., gli artt. 154 e 155 sono censurati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006), Campania (ricorso n. 78 del 2006) e Basilicata (ricorso n. 80 del 2006); il solo art. 154 è censurato dalla Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006).

Le ricorrenti evocano quale parametro interposto la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale non prevedrebbe «l’introduzione ex novo dell’imposta in questione», cioè della tariffa del servizio idrico integrato.

La questione non è fondata.

Le ricorrenti muovono dal presupposto interpretativo che la tariffa disciplinata dalle norme censurate sia un tributo e, in particolare, un’imposta. Tale presupposto è erroneo. Questa Corte, infatti, con la sentenza n. 335 del 2008, ha precisato che detta tariffa ha natura non tributaria, ma di «corrispettivo contrattuale», come, del resto, espressamente statuito dallo stesso comma 1 dell’art. 154. Il legislatore delegato, pertanto, non ha introdotto alcun tributo e, quindi, non ha ecceduto dall’oggetto della delega.

17.3. – Gli artt. 154 e 155 sono denunciati dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006) e Campania (ricorso n. 78 del 2006), in riferimento all’art. 3 Cost., perché non sarebbero coerenti con l’evoluzione della stessa legislazione statale, omettendo di indicare, tra i criteri per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, gli obiettivi di miglioramento della produttività, invece previsti dall’art. 13 della legge n. 36 del 1994.

La questione è inammissibile.

Come già osservato al punto 12.5.3., le Regioni sono legittimate a denunciare la violazione di norme costituzionali non relative al riparto di competenze con lo Stato solo quando tale violazione comporti un’incidenza diretta o indiretta sulle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse. Nel caso di specie, le ricorrenti si limitano a lamentare la violazione del principio di ragionevolezza da parte della norma censurata, senza dedurre l’incidenza di tale violazione sulle competenze regionali.

17.4. – L’incidenza degli artt. 154 e 155 sulle competenze legislative delle Regioni è oggetto delle censure formulate, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006), Abruzzo (ricorso n. 75 del 2006), Puglia (ricorso n. 76 del 2006), Campania (ricorso n. 78 del 2006) e Basilicata; la Regione Liguria (ricorso n. 74 del 2006) impugna il solo art. 154.

In particolare, si lamenta la violazione: a) degli artt. 117 e 118 Cost., come interpretati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2005, perché «la determinazione della tariffa di un servizio rientra, evidentemente, negli aspetti di pura gestione dello stesso, e dunque non può non tradursi in una normativa di minuto dettaglio (sul presupposto – che si è qui fatto proprio, peraltro solo per ipotesi – che si versi in un ambito materiale comunque riconducibile alla competenza trasversale dello Stato)» (ricorso n. 68 del 2006); b) dell’art. 117, quarto comma, Cost., perché le norme censurate prevedono «poteri ministeriali sovraordinati a quelli delle regioni» e, pertanto, incidono sulla competenza legislativa residuale regionale in materia di servizi pubblici locali (ricorsi nn. 56, 69, 72, 74 [censura riferita al solo art. 154], 75, 78, 80 del 2006); c) dell’art. 117, quarto comma, Cost., perché le norme denunciate – non attenendo né alla tutela dell’ambiente di cui alla lettera s) del primo comma, dell’art. 117 Cost., né al sistema tributario e contabile dello Stato, di cui alla lettera e) dello stesso comma – incidono sulla competenza legislativa residuale regionale (ricorso n. 76 del 2006); d) dell’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché le norme denunciate incidono su un’entrata la cui disciplina ricade nell’àmbito della competenza regionale e, perciò, ledono l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni (ricorsi nn. 56, 68, 69, 72, 74 [censura riferita al solo art. 154], 75, 78 del 2006).

Le questioni non sono fondate.

La dedotta violazione delle competenze regionali non sussiste, perché la disciplina degli artt. 154 e 155 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela dell’ambiente e alla tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Attraverso la determinazione della tariffa nell’àmbito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato, infatti, livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e «le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico) e 146 (Risparmio idrico). La finalità della tutela dell’ambiente viene, inoltre, in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare. Tra tali costi il legislatore ha, infatti, incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare «anche secondo il principio "chi inquina paga”» (art. 154, comma 2). I profili della tutela della concorrenza vengono poi in rilievo perché alla determinazione della tariffa provvede l’Autorità d’àmbito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e). Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante (sentenze nn. 335 e 51 del 2008).

17.5. – La Regione Puglia (ricorso n. 76 del 2006) censura gli artt. 154 e 155 in riferimento all’art. 119, primo e secondo comma, Cost., perché, disciplinando la tariffa del servizio idrico integrato, inciderebbero su un «tributo di carattere locale», «la cui determinazione spetta alle autonomie territoriali».

La questione non è fondata.

La ricorrente muove dal presupposto che la tariffa disciplinata dalle norme censurate sia un tributo. Tale presupposto è erroneo, perché – come visto al punto 17.2.4. – la tariffa ha natura di corrispettivo e non di tributo.

17.6. – La Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura, subordinatamente al mancato accoglimento delle censure riferite allo stesso art. 154 nel suo complesso, i commi 2 e 3 del medesimo articolo, sostenendo che essi violano: a) l’art. 117, sesto comma, Cost., perché prevedono poteri regolamentari che incidono su materie diverse da quelle di competenza esclusiva statale; b) in via ulteriormente subordinata, il principio di leale cooperazione, perché «i poteri regolamentari ivi contemplati non prevedono, nel loro esercizio, alcun coinvolgimento delle istanze rappresentative di regioni ed enti locali».

Le questioni non sono fondate.

La ricorrente lamenta, in sostanza, che lo Stato non ha potestà regolamentare per la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato. Come visto al punto 17.4., la disciplina contenuta nell’art. 154 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela della concorrenza e alla tutela dell’ambiente, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che quest’ultimo ha, nella specie, potestà regolamentare ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost., senza che vengano in rilievo esigenze di leale collaborazione.

17.7. – Oltre a censurare l’intero art. 154, la Regione Umbria (ricorso n. 72 del 2006) impugna specificamente il comma 6 di detto articolo, sul rilievo che esso, nello stabilire che, «Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa […] per le aziende artigianali, commerciali e industriali», víola: a) l’art. 76 Cost. e, quale parametro interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale, stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «del tutto innovativa», quale è quella denunciata, dato che l’art. 13, comma 7, della legge n. 36 del 1994 «non prevede affatto maggiorazioni della tariffa a carico delle categorie testè indicate»; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché, senza trovare «fondamento legislativo nelle "materie” indicate nell’art. 141, comma 1», del medesimo decreto legislativo, incide sulla potestà legislativa residuale regionale.

17.7.1. – La questione sub a) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata, sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.

Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo, perché – come già osservato ai punti 12.5.2., 13.2.2., 14.4.1 e 16.2.1. – la legge di delegazione consente, nel caso di specie, l’innovazione.

17.7.2. – Non è fondata neppure la questione sub b), con la quale si prospetta la lesione delle competenze legislative esclusive regionali.

Infatti, come già osservato al punto 17.4., la disciplina contenuta nell’art. 154 è ascrivibile, in prevalenza, alla tutela della concorrenza e alla tutela dell’ambiente, cioè a materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Non sussiste, pertanto, la lamentata lesione della sfera di competenza legislativa della Regione.

18. – La sola Regione Calabria (ricorso n. 68 del 2006) censura l’art. 156, il quale disciplina le modalità di riscossione della tariffa da parte del gestore del servizio idrico integrato. La ricorrente deduce che tale disposizione víola gli artt. 117 e 118 Cost., perché incide «su un aspetto di ulteriore dettaglio rispetto a quanto previsto negli artt. 154 e 155».

La questione non è fondata.

L’attività di riscossione della tariffa rappresenta, infatti, uno dei profili essenziali della disciplina di quest’ultima, che è a sua volta riconducibile alle materie della tutela della concorrenza e della tutela dell’ambiente, di esclusiva competenza legislativa statale.

19. – Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Toscana (ricorso n. 69 del 2006), Umbria (ricorso n. 72 del 2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) censurano agli artt. 159 e 160, i quali istituiscono e disciplinano l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.

19.1. – L’art. 159 è censurato: a) in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Calabria ed Emilia-Romagna; b) in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna; c) in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni Calabria, Emilia-Romagna e Marche; d) in riferimento al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria e Toscana.

Il comma 4 dell’art. 159 è specificamente censurato dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione.

L’art. 160 è censurato: a) in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna; b) in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna; c) in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni Calabria, Umbria ed Emilia-Romagna; d) in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalle Regioni Toscana e Marche.

19.2. – Deve essere dichiarata cessata la materia del contendere in relazione a tutte le questioni aventi ad oggetto gli artt. 159 e 160.

Infatti, dette disposizioni sono state abrogate dal comma 5 dell’art. 1 del d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e non hanno mai avuto applicazione perché l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, da esse disciplinata, non è mai entrata in funzione, come ricordato ai punti 12.4.1. e 13.2.1.

A tale conclusione non può opporsi – come fa la ricorrente Regione Marche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza – che le promosse questioni dovrebbero ritenersi trasferite  sull’art. 161, comma 2, attualmente vigente e introdotto dal comma 15 dell’art. 2  del d.lgs. n. 4 del 2008, il quale, riformando l’art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha attribuito al Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche la competenza a verificare «la corretta redazione del piano d’ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessità di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorità d’ambito e i gestori in particolare quando ciò sia richiesto dalle ragionevoli esigenze degli utenti». Infatti – come osservato al punto 13.2.1. – le diversità tra l’Autorità e il Comitato, quanto a composizione, struttura e competenze, escludono che il contenuto precettivo delle due disposizioni sia lo stesso e, di conseguenza, che possa trovare applicazione nel caso di specie il trasferimento sul nuovo testo normativo delle questioni promosse.

20. – Le Regioni Umbria (ricorso n. 72 del 2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) impugnano, rispettivamente, il comma 4 e il comma 1 dell’art. 166.

20.1. – L’art. 166, comma 1, stabilisce che: a) «I consorzi di bonifica ed irrigazione, nell’ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive» (primo periodo); b) «L’Autorità di bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso tale termine, la domanda si intende accettata» (secondo e terzo periodo); c) «Per tali usi i consorzi sono obbligati al pagamento dei relativi canoni per le quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 36 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775» (quarto periodo).

La Regione Emilia-Romagna ritiene che la disposizione víola: a) l’art. 76 Cost. e, quale parametro interposto, la legge di delegazione n. 308 del 2004, la quale: (a.1.) stabilendo che «Il Governo è delegato ad adottare […] uno o piú decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» previgenti (art. 1, comma 1), non permette l’introduzione nel decreto delegato di una disposizione «innovativa»; (a.2.) prevedendo, all’art. 1, comma 8, che la fonte delegata debba rispettare, tra l’altro, le attribuzioni regionali e degli enti locali stabilite dal d. lgs. n. 112 del 1998, preclude l’attribuzione a livello statale di funzioni amministrative in contrasto con gli artt. 88 e 89 del medesimo decreto legislativo; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, prevedendo «una forma di silenzio-assenso da parte dell’Autorità di bacino per l’utilizzo delle acque», incide sulle materie, di potestà legislativa residuale delle Regioni, dell’«agricoltura» e dei «lavori pubblici d’interesse regionale», illegittimamente disciplinando il procedimento amministrativo in tali materie, «come è reso evidente dallo stesso art. 29, commi 1 e 2, della legge statale n. 241 del 1990, legge generale sul procedimento amministrativo»; c) l’art. 118, primo comma, Cost., in quanto, prevedendo «l’affidamento della competenza decisionale ad un organo non appartenente alla regione», lede le competenze amministrative di detto ente territoriale, in difetto di «una fondata ragione di attrazione a livello statale» e, in ogni caso, dell’«imprescindibile concorso regionale come da sentenza 303/2003 Corte cost.».

20.1.1. – La questione sub a.1.) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.

Il presupposto della ricorrente è, infatti, erroneo, perché – come già osservato ai punti 12.5.2., 13.2.2., 14.4.1, 16.2.1. e 17.7.1. – la legge di delegazione consente, nel caso di specie, l’innovazione.

20.1.2. – La questione sub a.2.) è inammissibile, perché generica.

La ricorrente evoca a parametro l’art. 76 Cost., affermando che la norma denunciata víola la legge di delegazione, perché non rispetta le attribuzioni regionali e degli enti locali disciplinate dagli artt. 88 e 89 del d.lgs. n. 112 del 1998. Tali disposizioni hanno un contenuto eterogeneo, in quanto prevedono dettagliati elenchi di attribuzioni il cui rapporto con le attribuzioni dei consorzi di bonifica avrebbe dovuto essere chiarito e specificato dalla ricorrente. Quest’ultima, invece, non individua quali tra dette attribuzioni siano state violate, né chiarisce le ragioni dell’affermata violazione. Non individua, quindi, in modo sufficientemente specifico il denunciato eccesso di delega. E ciò a prescindere da ogni considerazione circa l’applicabilità del d.lgs. n. 112 del 1998 quale criterio direttivo della legge di delegazione (su cui, sentenza n. 225 del 2009).

20.1.3. – Con la questione sub b), la ricorrente lamenta, in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., che la norma censurata reca una disciplina del procedimento amministrativo in materie di competenza legislativa residuale regionale. In particolare, oggetto della doglianza è il fatto che l’eventuale «utilizzazione delle acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni» da parte dei consorzi di bonifica ed irrigazione sia sottoposta all’autorizzazione dell’Autorità di bacino, che non è un ente regionale.

La questione non è fondata.

L’autorizzazione dell’Autorità di bacino è connessa alla funzione di difesa del suolo svolta da tale ente (disciplinata dai precedenti artt. 62 e 63), perché è diretta a verificare che gli usi delle acque d’irrigazione regolati dalla norma censurata ne consentano l’effettiva restituzione e la successiva utilizzazione. Sotto tale profilo, l’intervento autorizzatorio dell’Autorità di bacino mira a garantire la realizzazione delle finalità, riconducibili alla tutela dell’ambiente ed espresse, in particolare, dall’art. 63, comma 5, lettere b) e c), della difesa del suolo, della lotta alla desertificazione, della tutela delle acque e gestione delle risorse idriche, del controllo sull’impatto delle attività umane sullo stato delle acque (sentenza n. 232 del 2009). La disposizione denunciata attiene, dunque, alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

20.1.4. – Con la questione sub c), la ricorrente lamenta, in riferimento all’art. 118, primo comma, Cost., che la norma censurata reca una disciplina del procedimento amministrativo in materie di competenza legislativa residuale regionale. In particolare, oggetto della doglianza è il fatto che l’eventuale «utilizzazione delle acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni» da parte dei consorzi di bonifica ed irrigazione sia sottoposta all’autorizzazione dell’Autorità di bacino, che non è un ente regionale.

La questione non è fondata.

Infatti, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 232 del 2009, le esigenze unitarie connesse alla rilevanza ambientale delle funzioni di difesa del suolo e tutela della risorsa idrica giustificano l’attribuzione della funzione autorizzatoria proprio all’Autorità di bacino, che è l’ente nel quale si concentrano le piú rilevanti competenze in materia.

20.2. – L’art. 166, comma 4, stabilisce che «Il contributo di cui al comma 3 [e cioè il contributo che deve essere versato al consorzio da "chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l’uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura”] è determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento».

La Regione Umbria sostiene che la disposizione víola: a) l’art. 76 Cost., perché «per le ragioni già sopra piú volte evidenziate», la disposizione è innovativa e «sprovvista di copertura nella legge n. 308/2004»; b) l’art. 117, quarto comma, Cost., perché, se interpretata «come riferentesi anche agli enti locali», le cui attribuzioni costituzionali ben possono essere tutelate dalla Regione, incide sulla competenza legislativa residuale regionale, che la stessa Regione Umbria afferma di avere già esercitato, nel caso di specie, «con l’approvazione dell’art. 12» della legge regionale 23 dicembre 2004, n. 30 (Norme in materia di bonifica); c) gli artt. 3 e 41 Cost., perché determina «una illegittima compressione dell’autonomia negoziale (non importa qui se privata o pubblicistica) degli enti locali, che si vedono costretti a subire unilateralmente le decisioni di un soggetto quale il Consorzio di bonifica, non ad essi sovraordinato»; d) l’art. 119 Cost., perché, se interpretata secondo quanto indicato al punto precedente, incide sull’autonomia finanziaria degli enti locali.

20.2.1. – La questione sub a) - con la quale si lamenta, in riferimento all’art. 76 Cost., il carattere innovativo della disposizione censurata sul presupposto che la legge di delegazione non consentirebbe innovazioni rispetto alla legislazione previgente - non è fondata.

In primo luogo va osservato che la disposizione censurata non è innovativa. Già la legge n. 36 del 1994 - i cui princípi fondamentali sono assunti dalla legge di delegazione (art. 1, comma 9, lettera b) quali criteri direttivi - prevedeva, all’art. 27, comma 3, un principio analogo a quello stabilito dalla norma censurata, e cioè che «Chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l’uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura, deve contribuire alle spese consortili in proporzione al beneficio ottenuto». In particolare, la norma censurata, nel tener fermo il suddetto principio, si limita a specificare che il contributo «è determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore».

In secondo luogo, comunque, il ricorso muove da un presupposto interpretativo erroneo, perché la legge di delegazione consente, nel caso di specie, l’innovazione, come già osservato, da ultimo, al punto 20.1.1.

20.2.2. – Con la questione sub b), la ricorrente afferma che la norma censurata, nell’attribuire al consorzio interessato la determinazione del contributo consortile in esame, víola la competenza legislativa residuale regionale a disciplinare gli enti locali e, dunque, l’art. 117, quarto comma, Cost.

Anche tale questione non è fondata.

La norma censurata integra, quanto alla determinazione dell’ammontare, la disciplina del contributo di cui al precedente comma 3, il quale stabilisce che, nel caso in cui un soggetto «non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione» utilizzi canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi (anche se depurati e compatibili con l’uso irriguo), provenienti da insediamenti di qualsiasi natura, resta «fermo» l’obbligo del «rispetto della disciplina della qualità delle acque», quale regolata dalla parte terza del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, e l’utilizzatore è tenuto, in proporzione alla portata di acqua scaricata, a contribuire alle spese sostenute dal consorzio. Tale normativa è diretta, oltre che a salvaguardare la qualità delle acque ed a garantire l’equilibrio idrico e ambientale del comprensorio consortile, anche e soprattutto ad acquisire un’entrata patrimoniale che consenta di far fronte alle spese consorziali necessarie per il perseguimento delle finalità di bonifica e di irrigazione cui sono istituzionalmente deputati i consorzi medesimi.

Dal combinato disposto dei citati commi 3 e 4, risulta una disciplina di tale entrata analoga, quanto a caratteristiche e finalità, a quella degli ordinari contributi consorziali previsti dagli artt. 864 ed 860 del codice civile. Tale speciale entrata, infatti, pur applicandosi a soggetti non associati ai consorzi - e cioè a soggetti passivi diversi da quelli obbligati al pagamento dei suddetti ordinari contributi -, è obbligatoriamente dovuta ex lege, senza che abbia rilevanza l’accordo tra parti, ed è diretta, al pari del contributo ordinario, ad attuare il concorso del soggetto passivo alle spese delle opere consortili, realizzate per finalità pubbliche. Tale prelievo rientra, dunque, nella nozione di tributo delineata dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008). Ne consegue che esso ha la medesima natura tributaria dei menzionati ordinari contributi consorziali (affermata, per questi ultimi, dal diritto vivente: ex plurimis, Cassazione, n. 27075 e n. 8751 del 2008, n. 14934 del 2005, n. 521 del 2002; sezioni unite, n. 2275 del 2008, n. 16404 del 2007, n. 10703 del 2005 e n. 2852 del 1992). In particolare, è un tributo statale, in quanto è istituito e disciplinato con legge dello Stato, il quale, attraverso la norma censurata, ben può affidarne la quantificazione alla determinazione discrezionale dei consorzi. La sua disciplina è, conseguentemente, riconducibile alla materia di competenza esclusiva statale del «sistema tributario […] dello Stato», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e non a quella evocata dalla ricorrente.

20.2.3. – Con la questione sub c), la ricorrente lamenta, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., che il contributo previsto dalla norma censurata - in quanto imposto obbligatoriamente anche agli enti locali territoriali non associati al consorzio, i quali utilizzino, per gli scarichi, impianti consortili - irragionevolmente sottrae alla libera contrattazione tra le parti (consorzio ed enti locali territoriali ad esso non associati) la determinazione dell’indennità dovuta al consorzio, cosí "comprimendo” indebitamente l’autonomia negoziale e, quindi, finanziaria degli enti locali utilizzatori degli impianti, a tali enti garantita dagli evocati parametri costituzionali.

La questione non è fondata.

Infatti, la ricorrente, nel formulare le suddette censure, muove dall’erronea implicita premessa che il contributo previsto dalla norma censurata costituisca una prestazione imposta non avente natura tributaria. L’erroneità di tale premessa discende dalle considerazioni sopra svolte in relazione alla precedente questione. Infatti, il contributo in esame ha natura assimilabile a quella del contributo ordinariamente dovuto dagli associati al consorzio e, pertanto, ha anch’esso natura di tributo, istituito e disciplinato dalla legge statale, con la conseguenza che il suo pagamento si impone a tutti gli utilizzatori degli impianti consortili, siano essi soggetti comuni od enti locali, senza che sussista alcuna «compressione dell’autonomia negoziale» degli enti locali stessi.

20.2.4. – Per le stesse ragioni appena esposte, non è fondata la questione sub d), con cui si deduce, in riferimento all’art. 119 Cost., che la disposizione impugnata, se interpretata come nella precedente censura sub b), incide illegittimamente sull’autonomia finanziaria degli enti locali.

Infatti, la natura tributaria statale del contributo in esame comporta che la disciplina di questo va ricondotta alla materia del «sistema tributario […] dello Stato», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., di competenza esclusiva statale, senza che possa determinarsi alcuna lesione dell’autonomia finanziaria degli enti locali.

21. – La Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) denuncia l’art. 172, comma 2, in combinato con l’art. 147, comma 2, sul rilievo che esso - nel prevedere che «In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’Autorità d’ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza» - víola l’art. 3 Cost., sub specie del principio di ragionevolezza, in quanto, «venendo […] ad insistere in una realtà che – normata dalla legge Galli e dalle leggi regionali di settore – ammetteva invece anche la possibilità di piú gestioni all’interno del medesimo ambito», «nell’ipotesi di scadenze differenziate a seguito del termine di cui all’art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267/2000», realizza «la situazione paradossale della inapplicabilità della gestione unica, ovvero della lesione dei diritti dei gestori con scadenze differenziate».

Deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, infatti, la ricorrente rileva di non avere piú interesse alle questioni relative agli artt. 147, comma 2, lettera b), e 172, comma 2, perché tali norme richiedevano il requisito dell’unicità della gestione, sostituito, per effetto dell’art. 2, comma 13, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, da quello dell’unitarietà della gestione, già previsto – a suo avviso – dalla legge n. 36 del 1994 e fatto proprio dalla legislazione regionale.

Come già osservato al punto 11, trova, pertanto, applicazione l’orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio principale, quando la parte ricorrente, pur non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte resistente non è costituita - come nel caso di specie - o non si oppone, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

22. – – Le Regioni Calabria (ricorso n. 68 del 2006), Piemonte (ricorso n. 70 del 2006) ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) denunciano l’art. 176, comma 1. Ad avviso delle ricorrenti, la disposizione - nello stabilire che «Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione» - víola l’art. 117, terzo comma, Cost., perché: a) la qualificazione di tutte le disposizioni di cui alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006 come "di principio” appare arbitraria ed illegittima, in quanto prescinde dai concreti contenuti delle disposizioni, ancorché di dettaglio in materie di competenza concorrente, nonché dal rispetto dei criteri di riparto delle competenze di cui all’art. 117 Cost. (ricorsi n. 68 e n. 73 del 2006); b) «il legislatore statale […] non si è limitato a dettare principi fondamentali, ma ha demandato alla propria normativa anche le misure di dettaglio». (ricorso n. 70 del 2006).

Le questioni sono inammissibili, perché generiche.

Infatti, con la questione sub a), si lamenta che il legislatore statale avrebbe illegittimamente qualificato come princípi norme di dettaglio, senza specificare quali siano tali norme di dettaglio; con la questione sub b), si sostiene che il legislatore ha illegittimamente adottato norme di dettaglio, senza specificare, anche in questo caso, quali siano tali norme.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) dalle Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che «I bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente»;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 135, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 136 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 119 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 141, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 144, 145 e 146 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76, 117, quarto comma, e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli da 147 a 158 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 147, comma 2, lettera b), anche in combinato con l’art. 172, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Emilia Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118, Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede l’obbligo di trasmissione dei «bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni», promossa, in riferimento all’art. 117 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 3 Cost., dalle Regioni Piemonte e Umbria, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Piemonte, Umbria e Liguria, in riferimento all’art. 117 Cost., dalle Regioni Calabria e Piemonte, in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalle Regioni Toscana, Umbria e Liguria, in riferimento all’art. 118 Cost., dalla Regione Piemonte, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 149, commi da 1 a 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 149, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., per la parte riferita alle competenze dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, dalle Regioni Umbria e Liguria, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni Umbria e Liguria, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., per la parte riferita alle competenze dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, dalle Regioni Toscana e Marche, in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalle Regioni Toscana e Marche, in riferimento a non precisati parametri costituzionali, dalla Regione Calabria, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 149, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., per la parte non riferita alle competenze dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, dalle Regioni Umbria e Liguria, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., per la parte non riferita alle competenze dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, dalla Regione Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 117 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 150, in combinato con l’art. 170, comma 3, lettera i), del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 150, in combinato con l’art. 170, comma 3, lettera i), del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 150, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76 e 117, secondo, quarto e sesto comma, Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 151 e 153 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 117 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 3 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna  (ricorso n. 56 del 2006), Toscana, Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui ai punti 17.2.2. e 17.2.3. del Considerato in diritto, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria, Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 17.2.4. del Considerato in diritto, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Umbria, Abruzzo, Campania e Basilicata, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Calabria e, in riferimento all’art. 119, primo e secondo comma, Cost., dalla Regione Puglia, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’artt. 117, quarto comma, Cost. dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Toscana, Umbria, Abruzzo, Puglia, Campania e Basilicata, in riferimento all’art. 119, primo e secondo comma, Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 56 del 2006), Calabria, Toscana, Umbria, Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 17.2.2. del Considerato in diritto, promossa, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Regione Basilicata, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui ai punti 17.2.2. e 17.2.3. del Considerato in diritto, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate la questione di legittimità costituzionale dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 17.2.4. del Considerato in diritto, promossa, in riferimento all’art. 76 Cost., e le questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 154, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 154, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76 e 117, quarto comma, Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 156 del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 159 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Calabria ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni Calabria, Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006) e Marche, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria e Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 159, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 160 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalle Regioni Calabria, Umbria ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 20.1.2. del Considerato in diritto, promossa, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate la questione di legittimità costituzionale dell’art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al punto 20.1.1. del Considerato in diritto, promossa, in riferimento all’art. 76 Cost., e le questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 166, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost. dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 166, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 41, 76, 117, quarto comma, e 119 Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 172, comma 2, in combinato con l’art. 147, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 176, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dalle Regioni Calabria, Piemonte ed Emilia-Romagna (ricorso n. 73 del 2006), con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.

 

Allegato:

ordinanza letta all’udienza del 5 maggio 2009

ORDINANZA

Considerato che il presente giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via di azione, è configurato come svolgentesi esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, in quanto avente ad oggetto questioni di competenza normativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (sentenze nn. 405 del 2008 e 469 del 2005).

per questi motivi

la corte costituzionale

dichiara inammissibile l’intervento spiegato nei giudizi indicati in epigrafe dalla Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature – ONLUS e da Biomasse Italia S.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l., Ital Green Energy S.r.l. ed E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a.

F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente