Sentenza n. 122 del 2020

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SENTENZA N. 122

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, promosso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Palermo, nel procedimento penale a carico di M. C. e M. P., con ordinanza del 6 settembre 2019, iscritta al n. 203 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito il Giudice relatore Giuliano Amato nella camera di consiglio del 20 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a);

 

deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza del 6 settembre 2019 (reg. ord. n. 203 del 2019), emessa in sede di interrogatorio ex art. 294 del codice di procedura penale di C. M. e P. M., ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26.

 

1.1.– La disposizione censurata prevede, in relazione all’erogazione del reddito di cittadinanza, che «[n]ei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché del condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3, l’erogazione del beneficio di cui all’articolo 1 è sospesa».

 

2.– Secondo il giudice rimettente, dall’uso della congiunzione «nonché» per collegare i due periodi discenderebbe che l’erogazione del reddito o della pensione di cittadinanza debba essere sospesa nei confronti del richiedente o del beneficiario il quale sia destinatario di una misura cautelare di qualsiasi tipo e per qualsiasi reato che ne consenta l’applicazione, oppure di una sentenza di condanna, anche non definitiva, per taluno dei delitti indicati all’art. 7, comma 3, del medesimo d.l. n. 4 del 2019, come convertito (cioè quelli di cui ai precedenti commi 1 e 2 e quelli previsti dagli artt. 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422 e 640-bis del codice penale, nonché dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni indicate dal predetto art. 416-bis, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo).

 

Siffatta interpretazione sarebbe avvalorata dal dossier del Servizio studi della Camera dei deputati sul testo normativo, ove si chiarisce che l’art. 7-ter del d.l. n. 4 del 2019, introdotto nel corso dell’esame della legge di conversione alla Camera, disciplina la sospensione dell’erogazione del reddito o della pensione di cittadinanza a seguito di specifici provvedimenti dell’autorità giudiziaria penale, in particolare quando il beneficiario o il richiedente siano destinatari di una misura cautelare personale oppure quando siano condannati, con sentenza non definitiva, per uno dei delitti di cui all’art. 7, comma 3, dello stesso decreto.

 

In conseguenza di ciò, la disposizione oggetto di censura sarebbe illogica e irragionevole, in contrasto, quindi, con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che la sospensione dell’erogazione del reddito di cittadinanza sia disposta nei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, per i soli delitti indicati all’art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito.

 

2.1.– In punto di rilevanza il giudice a quo asserisce che la questione sarebbe indubbiamente rilevante, atteso che nei confronti di C. M. e P. M. dovrebbe essere sospesa l’erogazione del reddito di cittadinanza, essendo stata applicata agli stessi una misura cautelare personale, sebbene per reati non inseriti nel novero di cui al predetto art. 7, comma 3.

 

2.2.– Nel merito, il rimettente sottolinea che, interpretando letteralmente la norma, si arriverebbe al paradossale risultato di dover sospendere l’erogazione del reddito o della pensione di cittadinanza nei confronti del destinatario di un provvedimento cautelare per un reato diverso da quelli di cui al citato comma 3 dell’art. 7, mentre un soggetto che per il medesimo reato sia stato condannato con sentenza non definitiva non riceverebbe il provvedimento di sospensione. Conseguenza illogica, tenuto conto che per l’applicazione di una misura cautelare sono sufficienti «gravi indizi di colpevolezza», dunque un quantum probatorio di minor pregnanza rispetto a quello fissato per addivenire a una sentenza, anche non definitiva, di condanna, per la quale l’imputato deve risultare «colpevole del reato contestato al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533 cod. proc. pen.).

 

La Corte di cassazione, aggiunge il rimettente, ha più volte precisato che, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. devono intendersi «tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo “in nuce” tutti o alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e, tuttavia, consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, per mezzo della futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza» (così Cassazione penale, sezione terza, sentenza 11 gennaio 2019, n. 17527; sezione seconda, sentenza 8 luglio 2013, n. 28865).

 

Ulteriore conclusione irrazionale e paradossale sarebbe data dal fatto che, nei confronti di un soggetto sottoposto a misura cautelare per un reato diverso da quelli indicati dal citato art. 7, comma 3, debba essere sospesa l’erogazione del reddito o della pensione di cittadinanza, mentre ove il medesimo soggetto venga successivamente condannato in via definitiva per il medesimo reato, venendo a cessare la misura cautelare, dovrebbe essere revocata la sospensione, con conseguente ripresa dell’erogazione del beneficio.

 

2.3.– A detta del rimettente, in conclusione, sarebbe maggiormente conforme al principio di ragionevolezza e uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. prevedere la sospensione dell’erogazione del reddito o della pensione cittadinanza nei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale solo per i delitti indicati all’art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito.

 

3.– Con atto depositato il 10 dicembre 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.

 

3.1.– Premette la difesa statale che il reddito di cittadinanza è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, di una serie di requisiti elencati nell’art. 2 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito. Tra questi requisiti di accesso, il comma l, lettera c-bis), dello stesso art. 2 prevede, per il richiedente, «la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3». Ai sensi del successivo art. 7-ter, laddove successivamente intervengano le predette misure cautelari, tale erogazione è sospesa.

 

3.2.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato il tenore letterale delle citate disposizioni legittimerebbe l’interpretazione del giudice rimettente. Tuttavia, da ciò non si ravviserebbero profili d’irragionevolezza, poiché verrebbero in rilievo situazioni diverse, che giustificherebbero un differente trattamento normativo.

 

L’applicazione di misure cautelari personali, infatti, benché fondata sul riconoscimento di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato o dell’imputato, e, quindi, su un compendio probatorio inferiore rispetto a quello necessario ai fini della pronuncia di una sentenza di condanna, presuppone la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. Proprio la ricorrenza di tali esigenze, indicative di situazioni di pericolo che la misura applicata sarebbe destinata a fronteggiare, giustificherebbe la scelta normativa di sospendere il beneficio anche quando detta misura riguardi delitti non rientranti nel catalogo di cui all’art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito. Viceversa, ove non siano ravvisabili esigenze tali da legittimare l’applicazione della misura cautelare personale e non ci sia, quindi, alcuna situazione di pericolo concreto e attuale, la sospensione del beneficio sarebbe giustificata solo in presenza di una sentenza di condanna non definitiva per i più gravi delitti di cui all’art. 7, comma 3.

 

In altri termini, la misura sospensiva sarebbe legittimata dalla ricorrenza di situazioni di pericolo concreto e attuale, che indurrebbero a diffidare del richiedente o beneficiario, oppure dalla particolare tipologia di delitti per i quali egli sia stato ritenuto colpevole in primo grado. Tali delitti, il cui catalogo è stato discrezionalmente individuato dal legislatore, sarebbero di maggiore gravità, o perché connessi al fraudolento conseguimento di erogazioni pubbliche (tra cui rientrerebbe il reddito di cittadinanza), o perché espressione di maggiore riprovevolezza e allarme sociale. Nella maggioranza dei casi si tratterebbe, tra l’altro, di fattispecie che comportano, in caso di condanna, la sanzione accessoria della revoca degli eventuali ammortizzatori sociali a favore del condannato, ai sensi dell’art. 2, comma 58, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita).

 

La disposizione censurata non sarebbe quindi irragionevole, laddove, con riferimento a reati non compresi nel catalogo di cui all’art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, prevede la sospensione del beneficio a seguito dell’applicazione di misure cautelari personali nei confronti del richiedente o beneficiario e non la prevede, invece, a seguito della intervenuta condanna di tali soggetti. In quest’ultimo caso, infatti, la sospensione del beneficio non si giustificherebbe, né in ragione dell’esigenza di fronteggiare situazioni di pericolo concreto e attuale connesse alla condotta del richiedente o beneficiario, né in ragione della tipologia di reato per il quale sia intervenuta condanna, trattandosi di reato che non concerne erogazioni pubbliche, né appartiene al novero di delitti che, per la loro gravità, sono tali da determinare maggiore allarme sociale.

 

L’ulteriore profilo evidenziato dal giudice a quo – secondo cui la sospensione del beneficio disposta a seguito dell’applicazione della misura cautelare personale per reati non compresi nell’art. 7, comma 3, sarebbe destinata a cessare, con conseguente ripresa dell’erogazione, laddove sopraggiunga una sentenza di condanna definitiva per tali reati, atteso il venir meno del vincolo cautelare in fase di esecuzione della pena – concernerebbe, più specificamente, a ben vedere, la disposizione di cui all’art. 7, comma 3, nella parte in cui prevede la revoca del beneficio, con efficacia retroattiva, solo in caso di condanna definitiva per reati compresi nell’elencazione ivi contenuta. Tale disposizione, nondimeno, esulerebbe dalla questione di legittimità costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza del 6 settembre 2019, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26.

 

2.– Secondo il giudice a quo la disposizione censurata – la quale stabilisce, in relazione all’erogazione del reddito di cittadinanza, che «[n]ei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché del condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3, l’erogazione del beneficio di cui all’articolo 1 è sospesa» – sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la sospensione venga disposta, in caso di applicazione di una misura cautelare personale, solo per i delitti indicati all’art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito.

 

2.1.– La disposizione censurata, in particolare, sarebbe illogica e irragionevole, determinando il paradossale risultato secondo cui, nei confronti di un soggetto cui è stata applicata una misura cautelare per un reato che non rientra tra quelli indicati dal suddetto art. 7, comma 3, debba essere sospesa l’erogazione del reddito o della pensione di cittadinanza, mentre un soggetto che per il medesimo reato sia stato condannato con sentenza non definitiva non sarebbe destinatario del provvedimento di sospensione. Conseguenza illogica, tenuto conto che per l’applicazione di una misura cautelare sono sufficienti i «gravi indizi di colpevolezza», mentre per una sentenza di condanna l’imputato deve risultare «colpevole del reato contestato al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533 del codice di procedura penale).

 

2.2.– Ulteriore conclusione irrazionale e paradossale deriverebbe dal fatto che, nei confronti del soggetto a cui sia stata sospesa l’erogazione del reddito di cittadinanza in virtù dell’applicazione di una misura cautelare personale per un reato diverso da quelli indicati dal citato art. 7, comma 3, la stessa sospensione potrà essere revocata qualora il medesimo soggetto venga successivamente condannato in via definitiva per il reato in questione.

 

3.– La questione non è fondata.

 

3.1.– L’art. 2 del d.l. n. 4 del 2019, nella sua versione originaria, individuava i requisiti reddituali e personali per beneficiare del reddito di cittadinanza, che devono essere posseduti, sia alla presentazione della domanda da parte del richiedente, sia per tutta la durata dell’erogazione del beneficio. Il successivo art. 7, comma 3, invece, prevedeva le misure nei confronti di chi benefici del reddito di cittadinanza senza averne i requisiti. Così, tra le altre misure, era stabilita la revoca del beneficio (disposta dall’Istituto nazionale di previdenza sociale, da qui: INPS) – con efficacia retroattiva e obbligo alla restituzione di quanto indebitamente percepito – nel caso di condanna in via definitiva (o di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti) per i reati di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. 7 (attinenti alle false dichiarazioni o alle omesse comunicazioni concernenti i requisiti per ottenere e mantenere il reddito di cittadinanza), nonché per quello previsto dall’art. 640-bis del codice penale (ossia il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), con l’ulteriore effetto di non poter più richiedere il beneficio prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna.

 

In sede di conversione del d.l. n. 4 del 2019 sono intervenute rilevanti modifiche a tali disposizioni.

 

In primo luogo, è stata inserita la lettera c-bis) nell’art. 2, comma 1, che ha aggiunto, tra i requisiti necessari a ottenere il reddito di cittadinanza, la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per i delitti indicati dall’art. 7, comma 3.

 

In secondo luogo, tra siffatti delitti sono stati inclusi anche quelli di cui agli artt. 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 cod. pen, nonché quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di cui allo stesso articolo. Si tratta di reati ritenuti di particolare allarme sociale, concernenti fattispecie di terrorismo ed eversione e di stampo mafioso, già individuati dall’art. 2, comma 58, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) quale causa di revoca, in caso di condanna, degli ammortizzatori sociali, comunque denominati in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare (come l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili).

 

La legge di conversione, infine, ha aggiunto al testo del decreto-legge l’art. 7-ter, oggetto di censura, che ha introdotto la fattispecie della sospensione del reddito di cittadinanza nei confronti del beneficiario o del richiedente a cui venga applicata una misura cautelare personale, nonché del condannato con sentenza non definitiva per uno dei reati di cui al predetto art. 7, comma 3. La sospensione, inoltre, si applica anche nei confronti del beneficiario o del richiedente dichiarato latitante ai sensi dell’art. 296 cod. proc. pen. o che si sia sottratto volontariamente all’esecuzione della pena. A differenza della revoca, la sospensione non ha effetto retroattivo ed è adottata dal giudice che ha disposto la misura cautelare o ha emesso la sentenza di condanna non definitiva o ha dichiarato la latitanza, ovvero dal giudice dell’esecuzione, su richiesta del pubblico ministero che ha emesso l’ordine di esecuzione di cui all’art. 656 cod. proc. pen., al quale il condannato si sia volontariamente sottratto. Il provvedimento di sospensione è poi comunicato all’INPS, che deve disporre la temporanea cessazione dell’erogazione del reddito di cittadinanza. La sospensione può a sua volta essere revocata dall’autorità giudiziaria che l’ha disposta, quando vengano meno le condizioni che l’avevano determinata, con la conseguenza che l’interessato potrà presentare domanda all’ente previdenziale per il ripristino dell’erogazione, che non ha però effetto retroattivo (non prevedendosi, pertanto, la corresponsione differita degli importi maturati durante il periodo di sospensione).

 

3.2.– Ricostruito così il quadro normativo appare corretta l’interpretazione del giudice a quo, condivisa anche dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la sospensione del reddito di cittadinanza consegue all’applicazione di una misura cautelare personale per qualsiasi tipologia di reato. Più difficilmente percorribile, sia per ragioni lessicali, sia alla luce dei lavori parlamentari (in particolare del dossier del Servizio studi della Camera dei deputati) e della prassi applicativa, risulterebbe, invece, il differente percorso argomentativo, pure implicitamente ipotizzato dal rimettente, secondo cui le misure cautelari personali che comportano la sospensione del reddito di cittadinanza sono solo quelle disposte per i reati di cui all’art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito.

 

Ciò precisato, il provvedimento di sospensione del reddito di cittadinanza, nel caso di sopravvenuta misura cautelare personale a carico del richiedente o del beneficiario, appare trasparentemente collegato alla circostanza che la mancata soggezione a tali misure, così come l’assenza di una condanna per taluni specifici reati (intervenuta nei dieci anni antecedenti), costituiscano due requisiti essenziali per l’ottenimento del reddito di cittadinanza.

 

Si tratta di particolari requisiti (si vedano, tra le più recenti, le sentenze n. 248 del 2019, n. 161 del 2018 e n. 276 del 2016), per l’ottenimento di un beneficio economico rispetto al quale, tra l’altro, l’interessato non può vantare alcun diritto precostituito in assenza della legge di cui è parte la disposizione censurata (sul punto si veda la sentenza n. 248 del 2019).

 

Con particolare riferimento alla mancata sottoposizione a misure cautelari personali, alla base della scelta legislativa vi è una valutazione evidentemente diversa da quella relativa alla mancanza di condanne definitive (infra-decennali) per reati concernenti il fraudolento conseguimento di erogazioni pubbliche o qualificati di particolare allarme sociale. Tale valutazione, infatti, si fonda su un giudizio sulla pericolosità del soggetto insita nell’applicazione della misura cautelare. Le condanne, invece, sono ritenute dal legislatore ostative alla concessione o al mantenimento del beneficio solo quando concernono peculiari tipologie di reato, in parte sovrapponibili a quelle che già erano e sono causa di revoca degli ammortizzatori sociali.

 

Ai sensi dell’art. 2 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, al pari di qualsiasi altro requisito necessario a ottenere il reddito di cittadinanza, l’assenza di misure cautelari personali deve sussistere non solo al momento della domanda, ma anche per tutta la durata dell’erogazione del beneficio. Dunque, ove tali misure sopravvengano successivamente alla concessione dello stesso, interviene il provvedimento di sospensione.

 

È certo vero che il soggetto a cui sia stato sospeso il reddito di cittadinanza in virtù dell’applicazione di una misura cautelare personale – per un reato diverso da quelli di cui all’art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito – potrà tornare, invariate le altre condizioni, a beneficiare dello stesso reddito in caso di condanna per il medesimo reato. Tale conseguenza, tuttavia, sebbene opinabile, appare coerente con il contesto normativo disegnato dal legislatore, poiché con la cessazione della misura cautelare cessa anche quel pericolo concreto e attuale che legittima la sospensione e il soggetto interessato riacquista nuovamente lo specifico requisito per richiedere il reddito di cittadinanza.

 

3.3.– Il provvedimento di sospensione, pertanto, altro non è che la conseguenza del venir meno di un requisito necessario alla concessione del beneficio e rientra per ciò stesso tra i casi in cui la giurisprudenza costituzionale riconosce la legittimità di sospensione, revoca o decadenza, anche attraverso meccanismi automatici (si vedano le sentenze n. 161 del 2018, n. 276 del 2016, n. 2 del 1999, n. 226 del 1997 e n. 297 del 1993); automatismi che, tra l’altro, non sono nel caso di specie oggetto di specifica censura (sul punto, da ultimo, sentenze n. 24 del 2020 e n. 22 del 2018).

 

Accogliendo il petitum del rimettente si arriverebbe alla soluzione, questa sì irrazionale, in forza della quale il sopravvenire di una misura cautelare personale per un reato diverso da quelli di cui all’art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, situazione che è pur sempre una condizione ostativa alla concessione del reddito di cittadinanza, resterebbe del tutto priva di conseguenze.

 

La disposizione censurata, in conclusione, risulta espressione di una scelta discrezionale del legislatore nel determinare i destinatari di un beneficio economico (ex multis, sentenza n. 194 del 2017), che può essere ed è stata discussa, ma non si presenta affetta da quella irrazionalità «manifesta e irrefutabile» che richiederebbe la declaratoria d’illegittimità costituzionale (tra le tante, sentenze n. 86 del 2017 e n. 46 del 1993). Il che trova ulteriore conferma nel fatto che l’irragionevole disparità lamentata dal giudice a quo potrebbe comunque risolversi anche estendendo alla condanna per qualsiasi reato la mancata concessione e/o la revoca del beneficio; la qual cosa dimostra altresì che la soluzione proposta dal rimettente riflette in realtà una scelta rientrante fra quelle spettanti alla discrezionalità legislativa (tra le tante, si vedano le sentenze n. 222 del 2018, n. 194 del 2017, n. 223 del 2015, n. 214 del 2014, n. 134, n. 120 e n. 36 del 2012).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, sollevata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Palermo, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Giuliano AMATO, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2020.