ORDINANZA N. 225
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA
”
- Daria de PRETIS
”
- Nicolò ZANON
”
- Augusto Antonio BARBERA
”
- Giulio PROSPERETTI
”
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato sorto a seguito della sentenza della Corte dei conti, sezione II
giurisdizionale centrale d’appello, 19 dicembre 2016, n. 1354, della nota della
Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti 22 marzo 2017, n. prot.
0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P, e della sentenza della Corte dei conti,
sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894,
promosso dal Presidente della Repubblica, con ricorso depositato in cancelleria
il 20 aprile 2017 ed iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello
Stato 2017, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2017 il
Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 20 aprile 2017
(iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2017), il
Presidente della Repubblica ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello
Stato nei confronti della Corte dei conti, in riferimento alla sentenza della
Corte dei conti, sezione II giurisdizionale centrale d’appello, 19 dicembre
2016, n. 1354, trasmessa dalla Procura regionale per il Lazio della Corte dei
conti con nota 22 marzo 2017, n. prot. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P, nonché
in riferimento alla sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894, e di ogni altro atto
presupposto, connesso o collegato;
che – espone in fatto il ricorrente – in
seguito ad alcuni accertamenti interni sulla gestione della tenuta
presidenziale di Castelporziano, il Segretariato
Generale della Presidenza della Repubblica aveva appurato ammanchi,
verificatisi tra il 2002 e il 2008, e di conseguenza aveva informato l’autorità
giudiziaria, sicché era stato avviato un procedimento penale, poi conclusosi
con la condanna definitiva di uno dei dipendenti coinvolti e con l’applicazione
della pena su richiesta delle parti ad un altro dipendente;
che, inoltre, la Presidenza della
Repubblica aveva adito il Tribunale civile di Roma, dal quale aveva ottenuto la
condanna dei dipendenti G. G. e A. D., in solido tra loro, al pagamento di euro
4.631.691,96, nonché di ulteriori euro 100.000,00 a titolo di risarcimento del
danno all’immagine, oltre accessori;
che, in relazione agli stessi fatti, la
Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti avviava un’istruttoria nei
confronti di alcuni dipendenti nei confronti dei quali la Presidenza della
Repubblica aveva agito in sede civile e, in seguito a ciò, la Corte dei conti,
sezione giurisdizionale per il Lazio, con la citata sentenza n. 894 del 2012,
condannava un dipendente al pagamento di euro 954.222,00 e un altro al
pagamento di euro 477.000,00;
che contro questa sentenza il Presidente
della Repubblica ha proposto ricorso per regolamento di giurisdizione (ai sensi
degli artt. 41, comma 2, e 368 cod. proc. civ.), dichiarato inammissibile dalle
Sezioni unite della Corte di cassazione, con ordinanza 20 novembre 2013, n.
26035, nella quale peraltro si osservava che il ricorrente, sulla scorta dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 129 del
1981, avrebbe comunque potuto contestare la giurisdizione del giudice
contabile in sede di conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte
costituzionale;
che, intanto, a tutela delle proprie
ragioni creditorie, la Presidenza della Repubblica provvedeva ad adottare, nei
confronti dei dipendenti interessati, atti di fermo amministrativo, sequestro,
pignoramento e iscrizione di ipoteca;
che la sentenza della Corte dei conti,
sezione giurisdizionale per il Lazio, n. 894 del 2012 è stata appellata da uno
dei condannati in primo grado e dal Procuratore Generale e, con la citata
sentenza n. 1354 del 2016, la Corte dei conti, sezione II giurisdizionale
centrale d’appello, ha respinto la prima impugnazione e accolto parzialmente la
seconda, confermando la propria giurisdizione, condannando il dipendente G. G.
(già ritenuto responsabile in primo grado) al pagamento in favore della
Presidenza della Repubblica di euro 4.631.691,96 (come in sede civile) e
condannando altresì P. D.P. (assolto in sede civile e penale) al pagamento,
sempre in favore della Presidenza della Repubblica, di euro 550.000,00, in
solido con G. G. limitatamente a questa somma;
che – osserva in rito il ricorrente –
con le sentenze suddette la Corte dei conti ha mostrato di ritenersi
legittimata «ad agire in giudizio nell’interesse del Segretariato generale
della Presidenza della Repubblica», in contrasto con la sentenza della
Corte costituzionale n. 129 del 1981, «senza essere stata in proposito
compulsata dalla Presidenza della Repubblica», con conseguente lesione della
sfera di autonomia della stessa Presidenza;
che il ricorrente sottolinea come le
attribuzioni presidenziali, poiché discendono da norme costituzionali, non
siano disponibili, né rispetto ad esse sia configurabile acquiescenza,
analogamente a quanto affermato in materia di conflitto tra enti e a maggior
ragione per l’assenza, nel conflitto tra poteri, di termini di decadenza;
che il ricorso sarebbe ammissibile sia
dal punto di vista soggettivo, poiché è pacifica la legittimazione del
Presidente della Repubblica a sollevare conflitto tra poteri, sia dal punto di
vista oggettivo, poiché non è censurato un mero error in iudicando, ma si chiede una delimitazione della sfera di
attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;
che – nel merito – il ricorrente si
duole del fatto che la Corte dei conti abbia ritenuto la propria
«giurisdizione», assimilando impropriamente la Presidenza della Repubblica ad
un’amministrazione pubblica e, così, da un lato, esorbitando dai poteri di cui
all’art. 103, secondo comma, della Costituzione e, dall’altro, invadendo la
competenza del Presidente della Repubblica attribuita dall’art. 84, terzo
comma, Cost., «in evidente contrasto con una chiara consuetudine
costituzionale», la cui esistenza è stata rilevata nella citata sentenza n. 129 del
1981;
che il ricorrente contesta gli argomenti
con cui, nella censurata sentenza n. 1354 del 2016 della Corte dei conti,
sezione II giurisdizionale centrale d’appello, è affermata la giurisdizione di
responsabilità del giudice contabile ed evidenzia come la stessa sentenza abbia
altresì sostenuto che l’azione di responsabilità amministrativa può
legittimamente coesistere con l’ordinaria azione civile, fermo restando che il
conseguimento del medesimo bene della vita con una delle due azioni determina
una preclusione per l’altra;
che, peraltro, osserva il ricorrente,
nel caso in esame il giudizio contabile è approdato a esiti diversi rispetto al
giudizio civile, giacché nel primo non è stato preso in considerazione il danno
all’immagine e, inoltre, la solidarietà fra i due soggetti condannati è stata
limitata alla somma di euro 550.000,00;
che, dunque, l’azione civile, intrapresa
dalla Presidenza della Repubblica, si è dimostrata maggiormente idonea a
garantire il ristoro di tutti i danni subiti, mentre la pretesa coesistenza fra
tale azione e il giudizio per danno erariale accentua l’interferenza con le
attribuzioni presidenziali, dato che, dopo la conclusione del secondo grado di
giudizio dinanzi alla Corte dei conti, sarebbe «sostanzialmente precluso»
l’ulteriore corso del giudizio civile pendente in appello;
che il rischio di un «potenziale
conflitto tra ‘giudicati’» sarebbe accresciuto dal rilievo che la condanna
della Corte dei conti è rivolta nei confronti di soggetti solo in parte
coincidenti con quelli ritenuti responsabili dal Tribunale civile;
che, secondo il ricorrente, l’azione di
responsabilità per danno erariale è riferibile solo ai «dipendenti delle
pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165», e degli altri enti e organismi puntualmente
indicati (art. 51, comma 7, del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174,
recante «Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20
della legge 7 agosto 2015, n. 124»), ma non a coloro che svolgono attività
lavorativa funzionale alle attribuzioni presidenziali, come risulterebbe anche
dalla più volte citata sentenza della
Corte costituzionale n. 129 del 1981, erroneamente ritenuta dalla Corte dei
conti valevole solo per i giudizi di conto;
che la conseguente menomazione delle
attribuzioni presidenziali sarebbe accresciuta dalla nota del 22 marzo 2017 con
la quale la Procura regionale per il Lazio della stessa Corte dei conti, oltre
a trasmettere, per l’esecuzione, la sentenza d’appello, citando l’art. 212 del
Codice di giustizia contabile, ha “invitato” la Presidenza della Repubblica a
“seguire” una «Circolare dell’Ufficio Monitoraggio sentenze di condanna della
Procura Regionale per il Lazio» (peraltro non depositata fra i documenti
allegati al ricorso);
che, ad avviso del ricorrente, «[r]isulta davvero aberrante anche solo ipotizzare che un
ufficio della Corte dei conti possa monitorare
l’attività dell’apparato funzionale all’esercizio delle attribuzioni del
Presidente della Repubblica»;
che, richiamato l’art. 84, terzo comma,
Cost., e l’art. 1 della legge 9 agosto 1948, n. 1077 (Determinazione
dell’assegno e della dotazione del Presidente della Repubblica e istituzione
del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica), il Presidente
della Repubblica rivendica l’esclusività della propria prerogativa di assumere
determinazioni con riguardo ai beni ricompresi, per legge, nella propria
dotazione e alle somme annue assegnategli, precisando che non si tratterebbe,
in questo caso, di riconoscere o meno istanze di autodichia, bensì, come
rilevato dalle stesse Sezioni unite della Corte di cassazione, di escludere in
radice interferenze nel libero, indipendente e autonomo esercizio delle
funzioni presidenziali;
che, in riferimento agli artt. 100,
secondo e terzo comma, 103 e 113 Cost., il ricorrente osserva che da essi non è
evincibile alcuna funzione della Corte dei conti relativa alla dotazione
presidenziale, per la quale nessun organo diverso dal Capo dello Stato potrebbe
assumere determinazioni, pena l’impossibilità per il Presidente stesso di
assolvere alle proprie funzioni, connotate da un livello di massima sicurezza e
segretezza;
che, in particolare, come osservato
nella sentenza
n. 129 del 1981, rientra nelle attribuzioni degli organi costituzionali non
solo la produzione di norme sull’assetto e sul funzionamento dei propri
apparati serventi, ma anche la concreta adozione delle misure atte ad
assicurare l’osservanza di tali norme, nonché, in via esclusiva, «l’attivazione
dei corrispondenti rimedi, amministrativi od anche giurisdizionali»;
che, a norma degli artt. 1, 3, comma 1,
4 e 9 della legge n. 1077 del 1948, spetta al Presidente della Repubblica
stabilire, con proprio decreto, lo stato giuridico ed economico del personale
addetto alla Presidenza, il quale comprenderebbe anche il regime di
responsabilità di tale personale, giacché ogni riflesso, anche negativo, sulla
dotazione concerne esclusivamente la Presidenza e l’esercizio delle sue
funzioni, sicché è «precipuo ma anche esclusivo interesse del Presidente della
Repubblica» procedere al recupero di quanto eventualmente indebitamente
sottratto alla dotazione;
che, a sostegno delle proprie
conclusioni, il ricorrente propone un’articolata ricostruzione della
giurisprudenza costituzionale, con particolare riguardo alle attribuzioni della
Corte dei conti, le quali si arresterebbero dinanzi alle attività di organi,
quali il Capo dello Stato o le due Camere del Parlamento, situati in una
posizione di vertice nell’ordinamento e di assoluta indipendenza, e ciò anche
in virtù della consuetudine, integrativa delle norme costituzionali scritte, la
quale limita la giurisdizione della Corte dei conti (e, dunque, la capacità
espansiva conferita dall’art. 103 Cost. a tale giurisdizione) a fronte
dell’autonomia organizzativa e contabile degli stessi organi supremi, per
ragioni storiche e di salvaguardia della loro piena autonomia;
che tali conclusioni, raggiunte dalla
giurisprudenza costituzionale in ordine ai giudizi di conto, varrebbero anche
per i giudizi di responsabilità, anzitutto per l’unitarietà delle funzioni
giurisdizionali in materia di contabilità pubblica attribuite alla Corte dei
conti, e poi anche perché, diversamente dalle amministrazioni pubbliche, gli
organi costituzionali non sono soggetti ad alcun controllo preventivo, il cui
esito positivo possa valere come esenzione dalla colpa grave ai fini della
responsabilità amministrativa (art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n.
20, recante «Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte
dei conti»), sicché sarebbe incongruo sottoporre un organo alla sola
responsabilità amministrativo-contabile, quando esso non è e non può essere
sottoposto a controllo;
che ciò sarebbe corroborato, infine,
dalla distinzione teorizzata dalla giurisprudenza costituzionale tra la condizione
di autonomia degli organi costituzionali, da un lato, e, dall’altro, quella di
altre assemblee rappresentative, quali i Consigli regionali; dall’esclusione
del Parlamento e del Presidente della Repubblica dalle nuove forme di controllo
introdotte dall’art. 1 del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni
urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché
ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012),
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; dal
carattere solo tendenzialmente generale riconosciuto, nella giurisprudenza
costituzionale, alla giurisdizione della Corte dei conti, rimessa alla
discrezionalità del legislatore specie in materia di responsabilità amministrativa;
che il ricorrente chiede altresì «che
venga assentita la tutela cautelare», mediante esercizio da parte della Corte
costituzionale dei poteri di sospensione di cui agli artt. 35 e 40 della legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), sul presupposto che tali poteri siano applicabili per analogia
ai conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, «in caso di atto non
legislativo immediatamente lesivo delle attribuzioni dell’organo costituzionale
che, in mancanza, risulterebbero menomate», anche a garanzia dell’effettività
del diritto alla tutela giurisdizionale;
che, in conclusione, il ricorrente chiede «che, previa tutela cautelare, venga
dichiarato il difetto di potere della Corte dei Conti ad esercitare la
giurisdizione contabile nei confronti della Presidenza della Repubblica per
violazione degli artt. 103, comma secondo, e 84, comma terzo, Cost. nonché per
contrasto con la evidenziata consuetudine costituzionale, e conseguentemente
che venga annullata la sentenza indicata in epigrafe, unitamente ad ogni altro
atto presupposto o comunque connesso».
Considerato che, con ricorso depositato il 20 aprile 2017
(iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2017), il
Presidente della Repubblica ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri
dello Stato nei confronti della Corte dei conti, in relazione alla sentenza
della Corte dei conti, sezione II giurisdizionale centrale d’appello, 19
dicembre 2016, n. 1354, trasmessa dalla Procura regionale per il Lazio della
Corte dei conti con nota 22 marzo 2017, n. prot.
0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P, nonché alla sentenza della Corte dei conti,
sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894, e ad
ogni altro atto presupposto, connesso o collegato;
che, in particolare, il Presidente della
Repubblica domanda che questa Corte, previa concessione della tutela cautelare,
dichiari che non spettava alla Corte dei conti esercitare, con gli atti di cui
sopra, la giurisdizione sulla responsabilità amministrativa nei confronti di
dipendenti della Presidenza della Repubblica, in quanto così facendo la Corte
dei conti avrebbe ecceduto dalle proprie attribuzioni di cui all’art. 103,
secondo comma, della Costituzione, interferito con le attribuzioni
presidenziali di cui all’art. 84, terzo comma, Cost. e altresì violato la
consuetudine costituzionale che riserva alla Presidenza della Repubblica
l’esclusiva disponibilità dei rimedi, anche giurisdizionali, atti a garantire
la corretta amministrazione della propria dotazione ed esclude la stessa
Presidenza dalla giurisdizione non solo di conto, come già affermato nella sentenza n. 129 del
1981, ma anche di responsabilità della Corte dei conti;
che, contestualmente, il Presidente
della Repubblica domanda l’annullamento degli atti in relazione ai quali è
sollevato il conflitto;
che, in questa fase del giudizio, a
norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la
Corte è chiamata a svolgere, senza contraddittorio, una delibazione preliminare
e interlocutoria di ammissibilità del ricorso, concernente l’esistenza della
materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, con
riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi indicati dal primo comma dello
stesso art. 37, impregiudicata ogni ulteriore determinazione, anche in
relazione alla stessa ammissibilità del ricorso (ex plurimis, ordinanze n. 166
del 2016 e n.
218 del 2012);
che dal ricorso si ricavano le ragioni
del conflitto e le norme costituzionali che regolano la materia, come
prescritto dall’art. 24 delle vigenti norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale;
che sono pacifiche la natura di potere
dello Stato del Presidente della Repubblica e, di conseguenza, la sua
legittimazione ad avvalersi dello strumento del conflitto a tutela delle
proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis, ordinanza n. 138
del 2015 e sentenza
n. 1 del 2013), e ciò anche in relazione ai compiti, serventi rispetto alle
predette attribuzioni, svolti dal Segretariato generale della Presidenza e dal
personale ad esso addetto, come ritenuto nella sentenza n. 129 del
1981;
che, come riconosciuto nella stessa
sentenza (ma si vedano anche, fra l’altro, le ordinanze n. 261 e n. 166 del 2016),
va riconosciuta la legittimazione a essere parte del conflitto in capo alle due
sezioni (sezione II giurisdizionale centrale d’appello e sezione
giurisdizionale regionale per il Lazio) della Corte dei conti, poiché, anche
nell’ambito contabile, quello giurisdizionale è un potere diffuso;
che anche sotto il profilo oggettivo,
per quanto riguarda le decisioni con cui le due sezioni della Corte dei conti
hanno affermato la propria giurisdizione, il ricorso è ammissibile, in quanto
il ricorrente non chiede che tali decisioni siano riesaminate, ma lamenta il
superamento, per mezzo di esse, dei limiti che la giurisdizione contabile di cui
all’art. 103 Cost. incontra nell’ordinamento a garanzia delle attribuzioni
costituzionali del Presidente della Repubblica, analogamente a quanto già
rilevato, in relazione ai giudizi di conto, nella più volte citata sentenza n. 129 del
1981 (si veda anche, mutatis mutandis, da
ultimo, la sentenza
n. 52 del 2016);
che il conflitto deve ritenersi
sollevato anche in relazione alla nota della Procura regionale per il Lazio
della Corte dei conti del 22 marzo 2017, giacché, in relazione a tale nota,
nella motivazione del ricorso è lamentata una specifica progressione della
lesione delle attribuzioni presidenziali, per la pretesa della Procura
regionale, espressa attraverso la nota stessa, di «monitorare l’attività dell’apparato funzionale all’esercizio delle
attribuzioni del Presidente della Repubblica» nell’esecuzione della sentenza
contestualmente trasmessa;
che questa Corte ha già riconosciuto la
legittimazione a essere parti di conflitti di attribuzione in capo alle Procure
regionali della Corte dei conti, in quanto anch’esse sono organi
giurisdizionali «competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri
cui appartengono» (ordinanze n. 261 del 2016
e n. 196 del 1996)
e, in questa fase del giudizio, tale conclusione può essere confermata anche in
relazione ai poteri di vigilanza e indirizzo assegnati alle Procure regionali
dagli artt. 213 e seguenti del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174
(Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge
7 agosto 2015, n. 124) con riguardo all’esecuzione delle sentenze di condanna,
per garantirne l’effettività;
che la richiesta di tutela cautelare
pone, anzitutto, l’interrogativo se questa Corte possa disporre la sospensione
dell’atto impugnato nel giudizio sui conflitti di attribuzione tra poteri dello
Stato (ordinanze
n. 137 del 2000 e n. 171 del 1997);
che a tale interrogativo va data
risposta affermativa, nei sensi di seguito precisati;
che la disponibilità di misure cautelari
assolve alla necessità che il provvedimento finale del giudice intervenga re adhuc integra
e consenta la soddisfazione dell’interesse protetto (sentenze n. 8 del
1982 e n. 284
del 1974), sicché la tutela cautelare è strumentale all’effettività della
tutela giurisdizionale e, pur potendo venire variamente configurata e modulata
(sentenza n. 281
del 2010), essa è necessaria e deve essere effettiva, come questa Corte ha
rilevato in molteplici occasioni (si vedano ad esempio, oltre a quelle già
citate, le sentenze n. 236 del 2010,
n. 437 e n. 318 del 1995,
n. 253 del 1994,
n. 190 del 1985);
che ai medesimi principi, del resto,
risulta ispirato lo stesso sistema della giustizia costituzionale, sia pure con
le particolarità che lo connotano, anche in relazione alle singole tipologie
processuali in cui si articola;
che, infatti, nei giudizi di legittimità
costituzionale in via principale trova applicazione l’art. 35 della legge n. 87
del 1953, come sostituito dall’art. 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n.
131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), mentre nei giudizi di legittimità
costituzionale in via incidentale la tutela cautelare può essere concessa dal
giudice a quo (fra le molte, sentenza n. 274 del
2014);
che, nei conflitti di attribuzione tra
enti, l’esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto può essere
sospesa, in pendenza del giudizio, per gravi ragioni, con ordinanza motivata,
ai sensi dell’art. 40 della legge n. 87 del 1953 (e dell’art. 26 delle vigenti
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale);
che, infine, a norma dell’art. 22 della
legge n. 87 del 1953, nel procedimento davanti a questa Corte si osservano, a
titolo integrativo, in quanto applicabili, anche le norme relative al processo
amministrativo, anch’esso conformato ai principi di cui sopra;
che anche nei conflitti tra poteri dello
Stato può porsi la necessità di assicurare in tempi brevi una protezione
interinale alle attribuzioni della parte ricorrente sicché, per le ragioni che
precedono, il citato art. 40 della legge n. 87 del 1953 deve ritenersi
analogicamente applicabile anche a questi giudizi;
che, tanto premesso in linea generale,
allo stato, nel presente giudizio, non sussistono però i presupposti per
l’accoglimento della domanda cautelare, nei termini in cui è formulata nel
ricorso, per l’assorbente rilievo che né in esso, né nel decreto con cui si è
deciso di sollevare il conflitto, si motiva in ordine al verificarsi o
all’imminenza di pregiudizi gravi, specifici e concreti per l’autonomia del
Segretariato generale della Presidenza della Repubblica (anche con riguardo a
ipotetiche interferenze nelle iniziative, peraltro descritte solo
genericamente, per il recupero del danno subito), non potendosi ritenere
sufficiente, in questa prospettiva, il mero invio della citata nota della
Procura regionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) respinge
l’istanza presentata dal Presidente della Repubblica per la sospensione
dell’esecuzione degli atti indicati in epigrafe;
2) dichiara
ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il ricorso
per conflitto di attribuzione proposto dal Presidente della Repubblica nei
confronti della sezione giurisdizionale regionale per il Lazio e della sezione
II giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti, nonché della
Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio, con il ricorso indicato
in epigrafe;
3) dispone:
a) che la cancelleria della Corte
costituzionale dia immediata comunicazione della presente ordinanza al
Presidente della Repubblica;
b) che il ricorso e la presente
ordinanza siano notificati, a cura del ricorrente, alla sezione giurisdizionale
regionale per il Lazio e alla sezione II giurisdizionale centrale d’appello
della Corte dei conti, nonché alla Procura regionale della Corte dei conti per
il Lazio, in persona del Procuratore regionale, entro il termine di sessanta
giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente
depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa
Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 24, comma 3, delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 27 settembre 2017.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Marta
CARTABIA, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 25 ottobre 2017.