Sentenza n. 318 del 1995

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SENTENZA N. 318

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 53 e 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), dell'art. 11 della legge 23 settembre 1920, n. 1365, di convalida e modifica del regio decreto- legge 19 ottobre 1969 (recte: 19 ottobre 1919), n. 2060 (che istituisce con sede in Bari un Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'acquedotto pugliese, fissandone l'ordinamento) e dell'art. 11 (recte: 1) della legge 13 dicembre 1928, n. 3233 (Modifiche alle norme di riscossione delle entrate a favore dell'Ente autonomo per l'Acquedotto pugliese), promosso con ordinanza emessa il 12 agosto 1994 dal Pretore di Lecce nel procedimento civile vertente tra il Con dominio "D'Amore" e l'Ente autonomo acquedotto pugliese, iscritta al n. 606 del registro ordinanze 1994 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1994; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 1995 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ordinanza (R.O. n. 606 del 1994) emessa il 12 agosto 1994 -- nel corso di un giudizio nel quale taluni utenti domandavano, in via d'urgenza, la sospensione dei ruoli esattoriali relativi ai canoni richiesti dall'Ente autonomo acquedotto pugliese, dei quali veniva contestata l'entità -- il Pretore di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale "degli artt. 53 e 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ed ove occorra, dell'art. 11 della legge 23 settembre 1920, n. 1365, di convalida e modifica del regio decreto-legge 19 ottobre 1969 (recte: 19 ottobre 1919), n. 2060 e dell'art. 11 (recte: 1) della legge 13 dicembre 1928, n. 3233, laddove impediscono il ricorso all'Autorità giudiziaria ordinaria per richiedere la sospensione del pagamento di entrate di natura non tributaria".

2.-- Premette il giudice remittente che l'art. 11 della legge 23 settembre 1920, n. 1365 e successive modificazioni autorizza l'Ente autonomo acquedotto pugliese a riscuotere coattivamente le proprie entrate, avvalendosi della procedura di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che, all'art. 54, espressamente esclude la possibilità di proporre le opposizioni previste dagli artt. da 615 a 618 del codice di procedura civile. Di qui un temporaneo difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria, la quale potrebbe essere adita, in materia di riscossione dei canoni, solo dopo l'eventuale compimento dell'esecuzione esattoriale o dopo l'avvenuto pagamento delle cartelle esattoriali, e quindi solo con domanda di risarcimento del danno, volta a con testare a posteriori la legittimità della pretesa dell'Ente. L'eventuale sospensione dei ruoli può essere disposta, difatti, in sede amministrativa, solo dall'Intendente di finanza (art. 53 del d.P.R. n. 602 del 1973), mentre non è proponibile l'opposizione dinanzi all'Autorità giudiziaria ordinaria anche quando l'esattore faccia valere entrate di natura non tributaria, come accade nel caso di specie, avendo i rapporti relativi alla gestione delle forniture dell'acqua natura privatistica. Ad avviso del remittente il divieto, fatto all'Autorità giudiziaria, di sospendere l'esecuzione dei ruoli anche in materia di entrate non tributarie, a differenza di quanto è per l'utente possibile ottenere nel caso di altri servizi pubblici, erogati dall'ENEL, dalla SIP o dalle aziende di distribuzione del metano, contrasterebbe con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. Nè una tale disciplina potrebbe essere giustificata dalla superiore finalità di assicurare comunque le entrate dello Stato, in quanto, non trattandosi di entrate di natura tributaria, la posizione dell'utente sarebbe ingiustamente sacrificata.

Considerato in diritto

1.-- Con l'ordinanza in epigrafe il Pretore di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 53 e 54 del d.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973, ed "ove occorra" dell'art. 11 della legge n. 1365 del 23 settembre 1920, di convalida e modifica del regio decreto- legge n. 2060 del 19 ottobre 1969 (recte: 19 ottobre 1919), nonchè dell'art. 11 (recte: art. 1) della legge n. 3233 del 13 dicembre 1928. Secondo il giudice remittente, le disposizioni censurate, impedendo all'Autorità giudiziaria ordinaria di disporre la sospensione dei ruoli esattoriali per entrate di natura non tributaria, contrasterebbero con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.

2.-- Va premesso che la questione sottoposta al vaglio della Corte concerne la riscossione delle entrate dell'Ente autonomo dell'acquedotto pugliese; materia a suo tempo disciplinata dalla legge 23 settembre 1920, n. 1365, di conversione del regio decreto-legge 19 ottobre 1919, n. 2060, relativo all'istituzione di detto Ente, che stabilì, all'art. 11, l'affidamento agli esattori comunali della riscossione di tutte le entrate dell'Ente medesimo. Successivamente, l'art. 1 della legge 13 dicembre 1928, n. 3233, in sostituzione della precedente disciplina, precisò che la riscossione sarebbe stata fatta dagli esattori comunali ovvero da un esattore unico, in base a ruoli resi esecutori, con tutte le modalità e secondo le norme in vigore per la riscossione delle imposte dirette (art. 11), disponendo, al tempo stesso, che gli utenti fossero tenuti al pagamento delle somme comprese nei ruoli, nonostante qualsiasi reclamo e contestazione, salvo i rimborsi dovuti a contestazione definita (art. 11-bis). In base al rinvio come sopra disposto, trova, perciò, attualmente applicazione nella materia di cui trattasi la procedura di esazione delle entrate disciplinata dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Tale decreto, il cui contenuto, come è noto, ha formato più di recente oggetto di modifiche ed innovazioni ad opera del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, dispone, all'art. 23, che i ruoli siano resi esecutori con il visto dell'Intendente di finanza, prevedendo, nel contempo, due ipotesi di sospensione dei ruoli: quella contemplata dall'art. 39, secondo il quale, in caso di ricorso contro il ruolo innanzi alle Commissioni tributarie ai sensi dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, l'Intendente di finanza, sentito l'Ufficio delle imposte, ha facoltà, con provvedimento motivato, di disporre in tutto o in parte, la sospensione fino alla decisione della Commissione di primo grado; e quella regolata dagli artt. 53 e 54, i quali, nell'ambito della disciplina della riscossione coattiva, consentono, del pari, all'Intendente, in sede di ricorso contro gli atti esecutivi dell'esattore (oggi, peraltro, sostituito dal concessionario ai sensi del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43), di sospendere la procedura, escludendo, nel contempo, le opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi oggetto degli articoli da 615 a 618 del codice di procedura civile.

3.-- Così richiamato, nelle sue linee generali, l'ordinamento della riscossione tributaria, va rilevato che, nel caso di specie, il Pretore di Lecce -- adito da taluni utenti i quali contestavano, come si desume dall'ordinanza, i criteri segui ti dall'Ente autonomo acquedotto pugliese per il calcolo delle somme richieste e, quindi, in definitiva il fondamento stesso della pretesa avanzata dall'ente erogatore del servizio -- ritiene che la sopra rammentata disciplina osti alla concessione da parte sua, in via d'urgenza, di un provvedimento di sospensione dei ruoli esattoriali, con assegnazione nel contempo di un termine per iniziare il giudizio di merito, nonostante che si tratti di entrate di natura non tributaria.

4.-- Come già precisato, in premessa, l'ordinanza solleva questione di legittimità costituzionale delle disposizioni contenute negli artt. 53 e 54 del predetto d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e "ove occorra" dell'art. 11 della legge n. 1365 del 23 settembre 1920, di convalida e modifica del regio decreto- legge n. 2060 del 19 ottobre 1919 nonchè dell'art. 11 della legge n. 3233 del 13 dicembre 1928. A prescindere dalle indicazioni contenute nell'ordinanza di rimessione, la Corte ritiene, anche sulla base della motivazione dell'ordinanza stessa, che la questione sia da riferire nei suoi più esatti termini all'art. 1 della legge n. 3233 del 13 dicembre 1928 nella parte in cui richiamando la normativa sulla "riscossione delle imposte dirette" e rendendo, perciò, applicabili gli artt. 53 e 54 del d.P.R. n. 602 del 1973, non consente all'Autorità giudiziaria ordinaria di sospendere la riscossione di entrate di natura non tributaria. La questione è fondata. Questa Corte ha avuto, più volte, occasione di soffermarsi, in passato, sulla regolamentazione contenuta nel citato d.P.R., rilevando come, per effetto di essa, non sia consentito, nè al giudice tributario nè al giudice ordinario, di disporre la sospensione dell'esazione dei tributi, trattandosi di potere attribuito, invece, all'Intendente di finanza, nel presupposto evidentemente accolto dal legislatore che tale organo possa, meglio di ogni altro, valutare comparativamente la posizione del contribuente e l'interesse dello Stato alla riscossione, nel quadro dell'andamento complessivo dell'attività tributaria. Al tempo stesso, la giurisprudenza costituzionale ha escluso, in relazione al delineato ordinamento della riscossione esattoriale, che la potestà cautelare del giudice costituisca una componente essenziale della tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 della Costituzione, la quale non per questo può ritenersi priva di effettività, dal momento che essa si realizza con la pronunzia del giudice adito, alla quale la pubblica amministrazione, se soccombente, è tenuta a dare esecuzione mediante la pronta restituzione della somma riscossa e non dovuta (sentenza n. 63 del 1982). La conseguenza è che, nel caso di entrate non tributarie riscosse secondo la procedura esattoriale, il debitore, mentre è legittimato a proporre un'azione di accertamento negativo della pretesa dell'ente creditore, non può, invece, invocare, innanzi al giudice, la tutela cautelare.

5.-- Nel presente caso, tuttavia, il giudice remittente lamenta l'incisione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, sotto lo specifico profilo della disparità di trattamento che la disposizione denunciata determinerebbe, rispetto agli altri servizi pubblici (ENEL, SIP, azienda di distribuzione del metano), nel precludere all'Autorità giudiziaria ordinaria di disporre la sospensione della riscossione anche quando si tratti di entrate di natura privatistica. A ciò si aggiunge, nella prospettazione dell'ordinanza, la mancanza nella specie della giustificazione rappresentata dalla superiore finalità di assicurare comunque le entrate dello Stato, sicchè, non trattandosi di entrate di natura tributaria, la posizione dell'utente sarebbe ingiustamente sacrificata.

6.-- La Corte ritiene che la norma in questione sia costituzionalmente illegittima, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, anzitutto, sotto il profilo della disparità di trattamento che, dal punto di vista della difesa giurisdizionale - - alla cui maggiore intensità concorre comunque anche la tutela cautelare -- l'utente subisce rispetto alle controversie concernenti gli altri servizi non ricompresi nel sistema di riscossione esattoriale. Sotto altro aspetto e venendo così all'altro profilo prospettato dall'ordinanza, e cioè a quello della mancanza di giustificazione della disposizione censurata, alla luce degli interessi che mira a tutelare, si deve osservare che, come già altre volte questa Corte ha avuto occasione di affermare (sentenza n. 284 del 1974), l'esclusione del potere di sospensione cautelare, nell'ambito del sistema della tutela giurisdizionale, per considerarsi legittima, deve pur sempre risultare ispirata a motivi di ragionevolezza. Occorre considerare che la riscossione delle entrate non tributarie dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese, pur essendo inserita nel regime di cui al d.P.R. n. 602 del 1973, ne mutua solo in parte le regole, giacchè le entrate di cui trattasi non si giovano del sistema di gradualità della realizzazione del credito, previsto per le imposte dall'art. 15 dello stesso d.P.R.; norma secondo la quale le imposte corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi sono iscritte a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per un terzo dell'imposta corrispondente all'imponibile o al maggiore imponibile accertato. Ove il contribuente abbia prodotto ricorso esse sono iscritte fino alla concorrenza della metà dopo la decisione della Commissione di primo grado; di due terzi, dopo quella della Commissione di secondo grado e dell'intero, dopo la pronuncia della Commissione centrale ovvero della Corte d'appello. Inoltre, in base all'art. 40 del d.P.R. medesimo, quando l'imposta iscrivibile a ruolo a seguito della decisione della Commissione tributaria sia inferiore a quella già iscritta ai sensi dell'art. 15, il rimborso deve essere disposto dall'ufficio entro 60 giorni dal ricevimento della decisione. In conclusione, appare chiaro, dal sistema accolto dal legislatore, che, nel caso di contestazione giudiziaria, la riscossione coattiva delle imposte avviene in maniera graduale in relazione all'andamento del processo, sicchè la esecutorietà risulta ope legis graduata con riferimento alla probabilità di fondamento della pretesa tributaria, rilevabile in base alle decisioni che intervengono nei vari gradi di giudizio. Ciò che evidenzia ancora di più il discriminatorio regime al quale risulta assoggettata la riscossione delle entrate di natura non tributaria quando l'utente avanzi contestazioni circa la esistenza o l'entità del credito, atte a legittimare un'azione di accertamento negativo. Per dette riscossioni infatti neppure è prevista quella "graduazione" della esecutività che, come si è accennato, nell'ambito della disciplina positiva della riscossione delle stesse entrate tributarie bilancia la mancata previsione di misure cautelari giurisdizionali. Aggiungasi che, nella recente riforma della materia del contenzioso tributario, sia pure non ancora operante (art. 80, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546), è contemplato, contestualmente all'abrogazione dell'art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973, il potere del giudice tributario di sospendere l'esecuzione dell'atto, quando da questo possa derivare un danno grave ed irreparabile al contribuente (artt. 47 e 71 del predetto decreto legislativo). A seguito dell'accoglimento della questione nei sensi sopra illustrati, resta assorbito ogni altro profilo, e segnatamente quello della dedotta violazione dell'art. 113 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 13 dicembre 1928, n. 3233 (Modifiche alle norme di riscossione delle entrate a favore dell'Ente autonomo per l'Acquedotto pugliese), nella parte in cui, richiamando le norme in vigore per la riscossione delle imposte dirette, impedisce -- nell'ipotesi in cui l'utente contesti l'esistenza o l'entità del credito -- all'Autorità giudiziaria ordinaria di sospendere l'esecuzione dei ruoli esattoriali relativi ad entrate di natura non tributaria;

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 luglio 1995.