Sentenza n. 392 del 2006

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SENTENZA N. 392

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                                                BILE                             Presidente 

- Giovanni Maria                                  FLICK                            Giudice

- Francesco                                            AMIRANTE                          "

- Ugo                                                    DE SIERVO                          "

- Romano                                              VACCARELLA                    "

- Paolo                                                  MADDALENA                     "

- Alfio                                                   FINOCCHIARO                   "

- Alfonso                                              QUARANTA                        "

- Luigi                                                   MAZZELLA                         "

- Gaetano                                              SILVESTRI                           "

- Sabino                                                CASSESE                              "

- Maria Rita                                          SAULLE                                "

- Giuseppe                                            TESAURO                             "

- Paolo Maria                                       NAPOLITANO                     "

ha pronunciato la seguente                                                         

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 7 ottobre 2003 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, comma primo, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Andrea Padalino, promosso con ricorso della Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, notificato il 15 novembre 2004, depositato in cancelleria il 24 novembre 2004 ed iscritto al n. 25 del registro conflitti 2004.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2006 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

udito l’avvocato LauraRainaldi per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Con ricorso depositato il 12 dicembre 2003, la Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, nel corso di un procedimento instaurato nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi dal dott. Andrea Padalino, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, adottata il 7 ottobre 2003 (doc. IV-quater, n. 26), secondo la quale le dichiarazioni oggetto del predetto procedimento civile concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità delle opinioni stesse a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il Giudice ricorrente premette che il giudizio è stato promosso dal dott. Andrea Padalino, magistrato in Milano, per ottenere il risarcimento dei danni che afferma subìti a seguito della trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani” del 15 ottobre 1994 condotta dal deputato Vittorio Sgarbi, durante la quale quest’ultimo avrebbe pronunciato espressioni ritenute “lesive dell’onore” del suddetto magistrato, “denigratorie e integranti il reato di diffamazione”, dopo un precedente, analogo episodio verificatosi il 4 agosto 1994. Lamentava, in particolare, l’attore che il deputato Sgarbi, prendendo lo spunto dalla citazione per danni notificatagli in riferimento alla precedente trasmissione del 4 agosto 1994, lo aveva accusato di abusare del suo potere e, facendo anche apprezzamenti sulla sua faccia, ribadiva quanto già espresso circa l’asserita inadeguatezza del “ragazzo” Padalino a svolgere la funzione di giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano.

Espone la Corte d’appello ricorrente che il deputato Sgarbi è stato condannato dal Tribunale di Milano, con sentenza 17 settembre-12 ottobre 2000, al risarcimento del danno e che, in pendenza del giudizio di appello, la Camera dei deputati, nella seduta del 7 ottobre 2003, ha deliberato che i fatti oggetto del procedimento riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

La ritenuta insindacabilità delle opinioni espresse, secondo il parere della Giunta per le autorizzazioni fatto proprio dall’Assemblea, sta nel fatto che l’intento del deputato Sgarbi non sarebbe stato quello di diffamare la persona del magistrato Padalino, «quanto piuttosto quello di sensibilizzare l’opinione pubblica circa le distorsioni dell’attuale sistema penale, nell’ambito del quale può verificarsi la circostanza che il giudice per le indagini preliminari può doversi trovare a decidere in poco tempo, in relazione ad indagini di particolare complessità, finendo, spesso senza sua colpa, con l’appiattirsi sulle posizioni della pubblica accusa e dunque non svolgendo pienamente quel ruolo di terzietà che pure il codice di procedura penale astrattamente gli assegna».

Ad avviso della Corte d’appello ricorrente, la deliberazione della Camera dei deputati sarebbe lesiva delle proprie attribuzioni, mancando il nesso funzionale tra le opinioni espresse dal deputato Sgarbi e l’attività parlamentare.

Riferisce il Giudice ricorrente che il deputato Sgarbi, nella trasmissione del 15 ottobre 1994, ha affermato tra l’altro: «La Procura di Milano è presidiata da questo giovinetto, guardatene bene la faccia, ditemi se uno con la faccia come questa può, serenamente e avendo tutto il peso di centinaia di arresti da firmare, non lasciarsi prendere la mano e può veramente in poche ore, lui, rivedere quello che ha fatto il pubblico ministero, se con una faccia come questa voi credete che la giustizia possa essere salva».

Ciò premesso, secondo la Corte d’appello, «quello che senza possibilità di dubbio pone il monologo dell’on. Sgarbi fuori dai limiti del legittimo esercizio della funzione parlamentare e determina l’abuso del diritto è l’assoluta gratuità delle espressioni usate, non pertinenti al tema in discussione e, in particolare, il ricorso al c.d. argumentum ad hominem, ossia l’attacco personale inteso a screditare e denigrare l’avversario ponendo l’accento su una pretesa indegnità o inadeguatezza personale piuttosto che sul merito dei suoi atti. E, per di più, coinvolgendone anche l’aspetto fisico con i già accennati giudizi sulla faccia del Padalino. Inoltre questa dissertazione fisionomica (che costituisce, come risulta dalla trascrizione agli atti, una larga parte dell’intero intervento dello Sgarbi alla trasmissione del 15 ottobre 1994) si segnala anche per la pesante trivialità e volgarità del linguaggio (… uno ha la faccia di m…, di c… o di s…, etc.) che non consente di assimilare le espressioni usate a una manifestazione di opinioni perché qui il discorso deborda nel campo dell’ingiuria o del mero dileggio».

In definitiva, ad avviso del Giudice ricorrente, nella specie mancherebbe qualsiasi corrispondenza formale e sostanziale con l’attività parlamentare, per cui le espressioni usate non potrebbero essere coperte dall’immunità ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, senza che a diversa conclusione possa indurre il disposto dell’art. 3 della legge 21 giugno 2003, n. 140. In particolare, ad avviso della Corte d’appello, anche secondo quest’ultima norma l’insindacabilità non può comunque estendersi a manifestazioni che non sono di pensiero ma costituiscono gratuiti insulti e pura denigrazione e si risolvono in una immotivata lesione dei diritti personalissimi altrui (quali l’onore e la reputazione), poiché, in tal caso, è evidente la rottura del collegamento tra la condotta del parlamentare e la funzione espletata.

2. ¾ Con ordinanza n. 314 del 2004, depositata il 21 ottobre 2004, la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto proposto dalla Corte d’appello di Milano, seconda sezione civile.

L’ordinanza di ammissibilità, unitamente all’atto introduttivo del giudizio, è stata notificata il 15 novembre 2004. Il conseguente deposito è stato effettuato il 24 novembre 2004.

3. ¾ Nel giudizio si è costituita la Camera dei deputati, depositando documenti e svolgendo deduzioni, a conclusione delle quali ha chiesto che la Corte dichiari il conflitto inammissibile, e in subordine rigetti il ricorso per infondatezza, dichiarando che spettava alla Camera dei deputati affermare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi, secondo quando deliberato dall’Assemblea nella seduta del 7 ottobre 2003.

3.1. ¾ Il ricorso sarebbe inammissibile, perché del tutto carente di motivazione in relazione alla riconducibilità o meno delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi alla sua funzione di parlamentare.

Premesso che la valutazione effettuata dall’autorità giudiziaria sulla ricorrenza del nesso funzionale rappresenta un elemento la cui sussistenza è fondamentale affinché il giudizio su conflitto di attribuzione possa validamente radicarsi e che, ove una tale valutazione non vi sia, il ricorso deve ritenersi inammissibile perché carente di quella esposizione sommaria delle ragioni del conflitto, richiesta dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, la Camera ritiene che nella specie tale valutazione sarebbe stata del tutto omessa. In nessuna parte del ricorso, infatti, la Corte d’appello si soffermerebbe a dimostrare i motivi sostanziali – ovvero riguardanti la vicenda concreta che costituiva lo sfondo delle richiamate opinioni – per cui le affermazioni del deputato Sgarbi non si sarebbero dovute ritenere rientranti nella funzione di parlamentare e, di conseguenza, nell’area di insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione. In particolare, non sarebbero fatti riferimenti alla vicenda giudiziaria collegata alla custodia cautelare di ventuno militari della Guardia di finanza, che il giudice per le indagini preliminari dott. Padalino aveva disposto in breve tempo su richiesta del pubblico ministero; non si effettuerebbe alcun, seppur sommario, esame sulla pertinenza di tali vicende al dibattito politico-istituzionale e sarebbe del tutto omessa la ricostruzione degli antefatti delle vicende che, in seguito, sono state oggetto delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi.

Inoltre, il ricorso della Corte d’appello, per sostenere la non riconducibilità delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi alla sua funzione di parlamentare, farebbe esclusivo riferimento al linguaggio asseritamente offensivo e denigratorio usato dal parlamentare. In particolare, ad avviso della Corte d’appello, ogni motivazione sul nesso funzionale rimarrebbe assorbita dal preteso carattere oltraggioso e diffamatorio delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi, elemento di per sé solo idoneo, secondo la Corte ricorrente, ad impedire una loro riconducibilità alle funzioni proprie dell’attività parlamentare.

A questo riguardo, la difesa della Camera ritiene di dover, preliminarmente, ridimensionare il contenuto delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani” del 15 ottobre 1994, osservando che quelli che sembrano talvolta “eccessi verbali” non sarebbero rivolti direttamente nei confronti del dott. Padalino. Le affermazioni fatte dal deputato Sgarbi andrebbero riconnesse alle vicende, di grande rilevanza politica nel dibattito sia all’interno che all’esterno del Parlamento, legate alle inchieste giudiziarie milanesi sulla presunta corruzione di alcuni componenti della Guardia di finanza da parte dei vertici della Fininvest s.p.a. al fine di ottenere informazioni riservate sui procedimenti penali in corso. Tale elemento varrebbe, quindi, ad escludere la natura esclusivamente privata delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi, ed a ricondurle in un contesto politico-parlamentare che vede alcuni parlamentari – e tra questi il deputato Sgarbi – particolarmente attivi nel prendere posizione su taluni presunti abusi legati all’azione della magistratura inquirente e giudicante. Sottolinea ancora la difesa della Camera che è nel corso della prima trasmissione televisiva del 4 agosto 1994 che il deputato Sgarbi entra nel merito di quella che egli ritiene l’inadeguatezza del dott. Padalino a farsi carico in poco tempo di una serie assai nutrita di provvedimenti di convalida, facendo leva sull’argomento fisionomico al fine di sottolineare – con un evidente intento paradossale – la giovane età del giudice per le indagini preliminari. Nel corso della trasmissione del 15 ottobre 1994, invece, la serie di richiami fisionomici si rivelerebbe evidentemente finalizzata a delimitare la portata delle precedenti affermazioni: contrariamente a quello che ritiene la Corte d’appello, infatti, le stesse espressioni volgari richiamate nel ricorso non si riferirebbero al dott. Padalino.

Ad avviso della Camera, il modo (sarcastico, provocatorio, al limite anche offensivo) con cui una certa opinione è stata espressa non può in alcun modo rappresentare di per sé solo motivo di esclusione dell’insindacabilità parlamentare. Il giudice, posto di fronte ad una deliberazione assembleare con cui vengono ritenute insindacabili opinioni sia pure svolte con toni non commendevoli da parte di un parlamentare, sarebbe tenuto ad entrare nel merito della riconducibilità oggettiva di quelle affermazioni alla funzione parlamentare; laddove l’arrestarsi a mettere in evidenza il carattere denigratorio di un’opinione (evidentemente ritenendo questo elemento sufficiente a dimostrare la rottura del nesso funzionale) equivarrebbe a non evidenziare in maniera corretta la causa petendi del conflitto e, di conseguenza, a non consentire alla Corte di esercitare il suo ruolo di giudice della spettanza di un’attribuzione costituzionalmente disciplinata. Nella specie la Corte d’appello avrebbe ritenuto assorbente il modo in cui le opinioni sono state espresse rispetto al loro contenuto oggettivo, limitandosi – incongruamente – a far leva soltanto sul primo dato al fine di cercare di dimostrare la non inerenza delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi al disposto dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Solo l’assenza di un fumus di inerenza alla funzione parlamentare dispenserebbe, in ipotesi, l’autorità giudiziaria da una motivazione sulla riconducibilità in concreto delle opinioni espresse dal parlamentare a quanto prevede la norma costituzionale. Se tale circostanza non sussiste, perché, come nella specie, queste fanno parte di una polemica politica, non si potrebbe ritenere che il ricorrente sia esentato dalla motivazione sul punto della inerenza, posto che, se lo fosse, la Corte costituzionale non sarebbe in grado di assolvere al suo ruolo di giudice del conflitto.

Il ricorso della Corte d’appello sarebbe, pertanto, inammissibile per difetto assoluto di motivazione.

3.2. ¾ Nel merito, la difesa della Camera ritiene che le affermazioni rese dal deputato Sgarbi nel corso della trasmissione “Sgarbi quotidiani” del 15 ottobre 1994 rappresentino la divulgazione all’esterno di un’opinione già espressa nell’esercizio di funzioni parlamentari, e come tale insindacabile.

La Camera – premesso che l’essere state quelle affermazioni rese nel corso di una trasmissione televisiva, di cui il deputato è conduttore, di per sé non esclude la garanzia dell’insindacabilità – osserva che occorre distinguere, quanto all’iscrizione delle dichiarazioni effettuate extra moenia nell’ambito dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, tra le espressioni del parlamentare attinenti alla politica in senso lato ed indifferenziato e quelle che invece attengono propriamente alla politica parlamentare, solo queste ultime essendo identificabili quale espressione di attività parlamentare coperte dalla insindacabilità; osserva, ancora, che per stabilire la sussistenza del nesso funzionale è necessario e sufficiente che vi sia, non già identità, ma corrispondenza sostanziale di contenuti, da valutarsi secondo criteri di ragionevolezza e non formalistici, tra le opinioni espresse in sede parlamentare e quelle che il parlamentare ha reso all’esterno.

Secondo la difesa della Camera, i fatti cui le opinioni del deputato Sgarbi si riferivano erano già stati sottoposti all’esame della Camera, costituendo oggetto di numerosi atti parlamentari, presentati, nel corso del tempo, anche da altri parlamentari.

La Camera ribadisce che il contenuto specifico delle dichiarazioni in discussione – al di là degli eccessi verbali connessi alla forma polemica e paradossale adottata dal deputato Sgarbi (censurata dalla relazione della Giunta per le autorizzazioni) – riguarda in generale le indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Milano sulle “tangenti” che si sospettava fossero state erogate dalla Fininvest ad appartenenti alla Guardia di finanza, allo scopo di “ammorbidire” le loro verifiche sulle società da questa controllate e, in particolare, una serie di provvedimenti di custodia cautelare in carcere a carico di alcuni militari della Guardia di finanza emessi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, dott. Andrea Padalino.

In tale contesto andrebbero valutate le richiamate opinioni espresse dal deputato Sgarbi: lo stesso riferimento alla presunta inadeguatezza del dott. Padalino determinata dalla sua giovane età non potrebbe, infatti, essere letto prescindendo dalla temperie politica in cui la vicenda complessiva, che vedeva coinvolto l’allora Presidente del Consiglio dei ministri, si andava inserendo.

A ritenere diversamente, restringendo il contenuto proprio delle dichiarazioni del deputato Sgarbi alla sola vicenda degli “appunti fisionomici” concernenti il dott. Padalino, si assoggetterebbe ad una visione estremamente riduttiva l’esercizio del diritto di critica e la polemica parlamentare del suddetto parlamentare e di altri suoi colleghi; e, soprattutto, si rischierebbe di tradire l’ispirazione più profonda che caratterizza la giurisprudenza costituzionale sul tema, secondo la quale la sussistenza del nesso funzionale deve essere apprezzata secondo criteri di ragionevolezza e non formalistici, valutando se le opinioni rese extra moenia dal parlamentare e le dichiarazioni o affermazioni fatte nell’esercizio di funzioni parlamentari siano contrassegnate da una corrispondenza sostanziale di contenuti.

Nella memoria si citano: l’interrogazione a risposta orale presentata alla Camera dal deputato Sgarbi nella seduta n. 45 del 1° agosto 1994 (n. atto: 3/00190), nella quale, dopo aver richiamato l’arresto del colonnello della Guardia di finanza Giuliano Montanari e altri provvedimenti di custodia cautelare a carico di altri militari della Guardia di finanza coinvolti nello scandalo delle “tangenti Fininvest”, si chiede al Ministro competente se non ci si debbano «porre inquietanti interrogativi sull’inchiesta “Mani pulite”, nel suo complesso, per l’innegabile alto grado di inquinamento ambientale che la sta ormai caratterizzando»; l’interrogazione a risposta orale presentata alla Camera dal deputato Sgarbi nella medesima seduta del 1° agosto 1994 (n. atto: 3/00189), nella quale, dopo avere richiamato il caso accaduto a Milano di un provvedimento di arresto nella medesima vicenda, si stigmatizzava un modo di procedere che evocherebbe “altre epoche e altri modelli di giudici inquisitori”, chiedendo pertanto al Ministro competente di assumere iniziative idonee a scongiurare simili anomalie; l’interrogazione a risposta orale presentata alla Camera dal deputato Sgarbi lo stesso giorno (n. atto: 3/00191), dove, premesso un esplicito riferimento all’operato dei magistrati di Milano nelle medesime vicende legate alle indagini sulle presunte “tangenti” ricevute dalla Guardia di finanza, veniva criticata l’indifferenza manifestata dagli stessi nei confronti della sorte degli indagati e delle loro condizioni fisiche e psicologiche, e si faceva riferimento al contenuto della “lettera-testamento” di un indagato contenente una dura critica nei confronti dei medesimi giudici.

La sussistenza del nesso funzionale sarebbe, poi, ulteriormente confermata da altri atti parlamentari riguardanti le medesime vicende e presentati prima della trasmissione televisiva del 15 ottobre 2004 da altri parlamentari: l’interrogazione a risposta scritta presentata il 22 settembre 1994 al Senato (seduta n. 52; n. atto: 4/01476) dal senatore Girolamo Tripodi (primo firmatario); l’interrogazione a risposta orale presentata nella seduta n. 29 del 7 luglio 1994 dal deputato Dorigo (n. atto: 3/00128); l’interpellanza presentata nella seduta n. 45 del 1° agosto 1994 dal deputato Della Valle (n. atto: 2/00156); l’interrogazione a risposta orale presentata nella seduta n. 50 dell’11 agosto 1994 (n. atto: 3/00204) dal deputato Alessandra Bonsanti; l’interrogazione a risposta scritta presentata nella seduta n. 92 del 5 dicembre 1996 dal deputato Tabladini (n. atto: 4/03252); l’interrogazione a risposta orale presentata nella seduta n. 355 del 15 maggio 1998 dal deputato Maiolo (n. atto: 3/02367).

Ad avviso della difesa della Camera, pertanto, le opinioni espresse dal deputato Sgarbi nella trasmissione televisiva del 15 ottobre 1994 sarebbero legate da nesso funzionale con dichiarazioni rese nell’esercizio di funzioni parlamentari, sia dal deputato Sgarbi che da altri parlamentari, precedentemente alla detta trasmissione. Né dovrebbero essere confusi con la sostanza delle opinioni manifestate dal deputato Sgarbi nell’ambito della propria attività parlamentare e divulgate nell’attività televisiva, quelli che sono invece i toni, gli accenti ed anche gli eccessi degli argomenti utilizzati dal deputato nel corso della trasmissione televisiva. Questi ultimi, diversi certamente da quelli che sono o che si immaginano appropriati al dibattito parlamentare, sarebbero peraltro del tutto sintomatici di quella profonda trasformazione della comunicazione politica nella società contemporanea, di cui la Corte ha preso atto nella propria giurisprudenza (sentenze n. 11, n. 320 e n. 321 del 2000). Quella trasformazione, ad avviso della Camera, non è, né può essere, soltanto trasformazione od ampliamento delle sedi del discorso politico, ma è anche, se non di più, trasformazione dei modi della comunicazione: modi sui quali proprio la natura del mezzo, con tutte le sue caratteristiche d’insieme, incide inevitabilmente.

4. ¾ In prossimità dell’udienza, la Camera dei deputati ha depositato una memoria illustrativa.

Nella memoria si ribadisce l’eccezione di inammissibilità del conflitto per difetto di motivazione del ricorso che lo ha sollevato sulla asserita non riconducibilità delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi allo svolgimento della sua funzione parlamentare.

Nel merito, la difesa della Camera sottolinea come le opinioni oggetto del giudizio civile dinanzi alla Corte d’appello riflettono le medesime posizioni espresse dal deputato in sede parlamentare, trattandosi, in tutti i casi, di valutazioni fortemente critiche – condotte talora anche attraverso attacchi personali e con toni accesamente polemici – rispetto all’inchiesta “Mani pulite” e ai metodi utilizzati dai magistrati coinvolti, con puntuale riferimento alle condizioni fisiche e psicologiche degli indagati e ad un uso che si riteneva troppo disinvolto delle misure cautelari.

Sarebbe, pertanto, pienamente corretta la valutazione operata dalla Camera che ha dichiarato l’insindacabilità ex art. 68, primo comma, Cost.

Considerato in diritto

1. ¾ La Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, ha sollevato –  con ricorso depositato il 12 dicembre 2003 – conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, adottata dall’Assemblea il 7 ottobre 2003 (documento IV-quater, n. 26), con la quale è stato dichiarato, in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni, che le dichiarazioni oggetto del predetto procedimento civile concernono opinioni espresse dal deputato Sgarbi nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Ad avviso della Corte d’appello, la Camera dei deputati avrebbe fatto non corretta applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost., qualificando come esercizio della funzione parlamentare le dichiarazioni, per le quali è in corso il procedimento civile, rese dal deputato Sgarbi nella trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani” del 15 ottobre 1994. Riferisce la Corte d’appello ricorrente che, nel corso di quella trasmissione televisiva, il deputato Sgarbi, riferendosi al dott. Andrea Padalino, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, avrebbe detto che «la Procura di Milano è presidiata da questo giovinetto, guardatene bene la faccia, ditemi se uno con la faccia come questa può, serenamente e avendo tutto il peso di centinaia di arresti da firmare, non lasciarsi prendere la mano e può veramente in poche ore, lui, rivedere quello che ha fatto il pubblico ministero, se con una faccia come questa voi credete che la giustizia possa essere salva». Riferisce ancora l’autorità giudiziaria ricorrente che questa dissertazione fisionomica risulta accompagnata da espressioni volgari e di pesante trivialità.

Secondo la Corte d’appello, immotivatamente sarebbe stato ritenuto sussistente il collegamento funzionale di tali affermazioni con l’attività parlamentare del deputato Sgarbi, considerato che l’insindacabilità non potrebbe comunque estendersi a manifestazioni che non sono di pensiero ma costituiscono gratuiti insulti e pura denigrazione e si risolvono in una immotivata lesione dei diritti personalissimi altrui (quali l’onore e la reputazione).

Di qui la proposizione del conflitto di attribuzione avverso la delibera di insindacabilità del 7 ottobre 2003, che sarebbe stata adottata in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 68, primo comma, Cost., con conseguente lesione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria.

            2. ¾ Deve, preliminarmente, essere ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 314 del 2004.

Non può essere accolta in proposito l’eccezione, avanzata dalla difesa della Camera dei deputati, basata sul rilievo che l’atto introduttivo del presente giudizio difetterebbe di motivazione in ordine alla asserita non riconducibilità delle opinioni espresse dal parlamentare allo svolgimento della sua funzione.

Invero, l’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale prescrive che il ricorso contenga «l’esposizione sommaria delle ragioni del conflitto e l’indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia». Entrambe le prescrizioni sono soddisfatte dall’atto introduttivo, in cui non solo vengono riportate le dichiarazioni rese dal parlamentare in relazione alle quali è pendente procedimento civile dinanzi alla Corte d’appello, ma  sono anche esposte le ragioni di fatto e di diritto che inducono la ricorrente a ritenere non invocabile, nel caso di specie, l’art. 68, primo comma, della Costituzione, e a denunciare la lesione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria.

3. ¾ Nel merito, il ricorso è fondato.

Va qui ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, per l’esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare (nella specie, nel corso di un programma televisivo, quale “opinionista” conduttore della trasmissione) e l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento, è necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell’esercizio di attività parlamentare (cfr., tra le più recenti, sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 164, n. 176 e n. 193 del 2005, n. 249, n. 258, n. 260, n. 317 e n. 335 del 2006). Tale nesso richiede una corrispondenza sostanziale di contenuto fra attività parlamentare e dichiarazioni, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche (sentenze n. 508 del 2002, n. 235 del 2005 e n. 331 del 2006).

Nel caso in esame, neppure nella delibera di insindacabilità e nella proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere è possibile rinvenire un riferimento ad atti tipici del parlamentare. In proposito, la proposta della Giunta, cui rinvia la delibera di insindacabilità, si limita ad osservare che l’intendimento del deputato Sgarbi «non era quello di diffamare la persona del magistrato interessato quanto piuttosto quello di sensibilizzare l’opinione pubblica circa le possibili distorsioni dell’attuale rito penale, nell’ambito del quale può verificarsi la circostanza che il giudice per le indagini preliminari può doversi trovare a decidere in poco tempo in relazione ad indagini di particolare complessità, finendo, spesso senza sua colpa, con l’appiattirsi sulle posizioni della pubblica accusa e dunque non svolgendo pienamente quel ruolo di terzietà che pure il codice di procedura penale astrattamente gli assegna».

A tale proposito, si deve ribadire che il “contesto politico” o comunque l’inerenza a temi di rilievo generale dibattuti in Parlamento, entro cui tali dichiarazioni si possano collocare, non vale in sé a connotarle quali espressive della funzione, ove esse, mancando di costituire la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni, siano non già il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall’insindacabilità), ma una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dalla Costituzione (sentenza n. 51 del 2002).

Neppure gli atti di sindacato ispettivo, evocati e prodotti dalla difesa della Camera, provenienti dal parlamentare (gli unici che possono qui essere presi in considerazione, non potendo un deputato giovarsi, ai fini della insindacabilità di sue dichiarazioni, dell’attività parlamentare posta in essere da altri deputati o senatori: cfr. sentenza n. 249 del 2006), evidenziano profili di sostanziale corrispondenza rispetto alle espressioni che formano oggetto del giudizio civile dinanzi alla Corte d’appello ricorrente.

Tali atti tipici, infatti, riguardano le indagini relative all’inchiesta “Mani pulite” – in particolare, le indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Milano su presunte “tangenti” a componenti della Guardia di finanza –, e censurano i metodi utilizzati dai magistrati di Milano, anche in riferimento alle condizioni fisiche e psicologiche degli indagati, e l’uso ritenuto troppo disinvolto delle misure cautelari.

Viceversa, le espressioni extra moenia del parlamentare contengono soltanto valutazioni fisionomiche sul magistrato.

Tali dichiarazioni sono dunque prive di un intimo raccordo, contenutistico e funzionale, con l’esercizio delle funzioni parlamentari, le quali sole legittimano e giustificano, sul piano costituzionale, la garanzia della insindacabilità.

4. ¾ Deve dunque concludersi che la Camera dei deputati, nel votare per la insindacabilità delle dichiarazioni di cui qui si tratta, ha violato l’art. 68, primo comma, della Costituzione, e leso in tal modo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente.

La deliberazione di insindacabilità deve essere, pertanto, annullata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dal deputato Vittorio Sgarbi, oggetto del procedimento civile pendente davanti alla Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

            annulla, di conseguenza, la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 7 ottobre 2003 (documento IV-quater, n. 26).

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2006.

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2006.