Sentenza n. 260 del 2006

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 260

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                   MARINI                                Presidente

- Franco                      BILE                                        Giudice     

- Giovanni Maria        FLICK                                          “

- Francesco                 AMIRANTE                                 “

- Ugo                          DE SIERVO                                 “

- Romano                    VACCARELLA                          “

- Paolo                        MADDALENA                            “

- Alfio                         FINOCCHIARO                          “

- Alfonso                    QUARANTA                               “

- Franco                      GALLO                                        “

- Luigi                         MAZZELLA                                “

- Gaetano                    SILVESTRI                                  “

- Sabino                      CASSESE                                     “

- Maria Rita                SAULLE                                      “

- Giuseppe                  TESAURO                                   “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 6 marzo 2001, relativa all’insindacabilità delle opinioni espresse dall’onorevole Filippo Mancuso nei confronti del dottor Giancarlo Caselli, promosso dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma con ricorso notificato il 20 maggio 2003 depositato in cancelleria il 6 giugno successivo ed iscritto al n. 21 del registro conflitti 2003.

            Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

            udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2006 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

            udito l’avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un procedimento penale per diffamazione aggravata a mezzo stampa a carico del deputato Filippo Mancuso, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con “ordinanza-ricorso” del 7 novembre 2001, pervenuta a questa Corte il 19 novembre 2001, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione adottata nella seduta del 6 marzo 2001 (documento IV-quater n. 179), con la quale la Camera, accogliendo la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha dichiarato l’insindacabilità delle dichiarazioni rilasciate dal deputato Mancuso, che sono poste all’origine di tale procedimento penale.

Il giudice ricorrente premette che tali dichiarazioni sono state rilasciate dall’imputato nel corso di un’intervista radiofonica del 31 luglio 1997, durante la quale il deputato Mancuso, interrogandosi sulle “differenze” intercorrenti tra il pluripregiudicato Giovanni Brusca ed il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dott. Giancarlo Caselli, si era espresso, rivolgendosi al giornalista, nei seguenti termini: «Ma lei tra Brusca e Caselli e tra i Brusca e i Caselli vede differenze? È già provato che parte della magistratura di Palermo è criminale. Vi sono a Palermo criminali vestiti da giudice. Questo è più sconvolgente ancora. Molte inchieste di Palermo sono inchieste criminali e sono condotte da criminali vestiti da giudici, oltre che dissennati».

Su querela del dott. Caselli, il PM ha esercitato l’azione penale avverso il deputato Mancuso.

La Camera dei deputati, con la deliberazione del 6 marzo 2001, ha, tuttavia, ritenuto coperte dalla guarentigia di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, tali dichiarazioni, giacché il deputato Mancuso, esprimendole, si sarebbe «inserito nella perdurante polemica politica nel nostro paese inerente ai rapporti tra potere legislativo e potere giudiziario e al modo di procedere della magistratura».

Il giudice, premessi ampi richiami alla giurisprudenza di questa Corte, ritiene che così operando la Camera abbia violato la sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita all’Autorità giudiziaria dagli artt. 101, primo e secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione e chiede, pertanto, che l’atto sia annullato, con declaratoria di non spettanza del potere esercitato dalla Camera stessa.

Infatti, a giudizio del ricorrente, né nella delibera, né nella relazione della Giunta «si individua un collegamento tra le espressioni contestate al deputato come diffamatorie e la sua attività parlamentare».

In particolare, non sono menzionati atti parlamentari posti in essere dal deputato, mentre viene menzionato il fatto, stimato dal giudice privo di rilievo, che l’on. Mancuso ha ricoperto in passato la carica di Ministro di grazia e giustizia.

Il giudice aggiunge che neppure i documenti prodotti in giudizio dalla difesa del deputato Mancuso dimostrerebbero la sussistenza del necessario nesso funzionale.

In particolare, le dichiarazioni oggetto di imputazione non sarebbero «riproduttive di contenuti storici già espressi nelle sedi istituzionali» anteriormente al fatto di reato contestato.

Il giudice prende in considerazione, sotto tale riguardo, un primo intervento dell’imputato in Commissione parlamentare del 5 febbraio 1997, evidenziando che esso si esaurirebbe in una “eccezione procedurale”, ed un secondo intervento del 18 febbraio 1997, svolto nella medesima sede.

In quest’ultima occasione, il deputato Mancuso, osserva il giudice, ebbe ad esprimere «un apprezzamento di disvalore» nei confronti del dott. Caselli, poiché questi avrebbe pubblicamente manifestato benevolenza nei riguardi del pregiudicato Salvatore Cancemi, al quale, al termine di un suo trasferimento, si era rivolto con le seguenti parole: «Come sta? Ha viaggiato bene? Ha bisogno di niente?».

Tuttavia, il giudice ritiene che tale episodio evidenzi una censura, da parte del deputato Mancuso, circa una supposta condotta priva del «necessario distacco nei confronti di soggetti comunque implicati in gravi fatti criminali», ma che esso sia privo di «sostanziale corrispondenza» con le frasi oggetto del giudizio, che equivalgono, invece, ad un «giudizio di equivalenza tra un soggetto, il Brusca, appartenente alla mafia, ed il magistrato Caselli».

2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza di questa Corte n. 154 del 2003, depositata il 9 maggio 2003.

Il Tribunale di Roma ha provveduto a notificare tale ordinanza ed il ricorso introduttivo alla Camera dei deputati il 20 maggio 2003, e li ha poi depositati il successivo 6 giugno.

3. – Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, eccependo l’inammissibilità e improcedibilità del ricorso – senza, peraltro, esplicitare alcun argomento a supporto di tali eccezioni – e sostenendo, nel merito, l’infondatezza dello stesso, con conseguente necessità di riconoscere la spettanza alla Camera del potere di dichiarare l’insindacabilità delle dichiarazioni rilasciate dal deputato Mancuso.

La Camera osserva, anzitutto, che l’on. Mancuso, avendo ricoperto la carica di Ministro di grazia e giustizia e di vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia, ha espresso convincimenti maturati «nell’esercizio delle funzioni istituzionali da lui assolte».

In particolare, sussisterebbe tra le dichiarazioni oggetto di imputazioni e l’intervento in Commissione parlamentare del 18 febbraio 1997, già ricordato dal giudice ricorrente, «piena coincidenza», posto che in quest’ultima occasione il deputato Mancuso avrebbe specificamente ipotizzato la rilevanza penale della condotta attribuita al dott. Caselli nei confronti di Cancemi.

Vi sarebbe per tale ragione una «sostanziale corrispondenza di significati» idonea a far ritenere sussistente il nesso funzionale, posto che non sarebbe necessaria, a tale scopo, la «identità testuale» delle espressioni.

Parimenti richiamabile, secondo la difesa della Camera, sarebbe l’interpellanza n. 2/252 del 21 ottobre 1996, sottoscritta dal deputato Mancuso, con cui si sono ipotizzate «irregolarità e illegalità compiute dalla procura della Repubblica di Palermo», in ragione della supposta violazione del segreto d’ufficio e dell’inserimento agli atti di un procedimento penale di dichiarazioni «non rilevanti ai fini penali», con l’ipotetico obiettivo, da parte della Procura di Palermo, di «lanciare sospetti infamanti nei confronti di parlamentari della Repubblica e di un movimento politico».

La Camera invoca, altresì, numerosi atti parlamentari successivi alle dichiarazioni ritenute insindacabili, affermando che essi possano essere ugualmente utilizzati per la verifica del nesso funzionale, a prescindere da tale circostanza cronologica e dal fatto che parte di essi non provenga direttamente dal deputato Mancuso, che ne ha sottoscritti solo alcuni.

Tali atti conterrebbero «dure critiche nei confronti della Procura di Palermo» e sarebbero perciò in corrispondenza funzionale con le dichiarazioni giudicate insindacabili.

4. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Camera dei deputati ha depositato memoria, insistendo affinché il ricorso sia dichiarato in rito improcedibile o inammissibile, o comunque infondato nel merito, e ribadendo a sostegno di tali conclusioni le argomentazioni precedentemente svolte.

Considerato in diritto

1. – Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma nega che spetti alla Camera dei deputati deliberare, nella seduta del 6 marzo 2001 (documento IV-quater, n. 179), che i fatti per i quali era in corso il procedimento penale nei confronti del deputato Filippo Mancuso, al quale era stato contestato il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa in danno del dott. Giancarlo Caselli, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, riguardavano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle funzioni parlamentari e pertanto insindacabili ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione.

In particolare, era contestato al deputato Mancuso di avere offeso la reputazione del dott. Caselli dichiarando, in un’intervista radiofonica concessa il 31 luglio 1997, che tra quest’ultimo e il pluripregiudicato Giovanni Brusca non vi sarebbero state “differenze”, e che «parte della magistratura di Palermo è criminale», sicché molte inchieste ivi svolte sarebbero «condotte da criminali vestiti da giudici, oltre che dissennati».

Il giudice ricorrente ritiene insussistenti i presupposti dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, mancando il nesso funzionale con alcun atto parlamentare del deputato Mancuso avente ad oggetto i fatti di cui alle dichiarazioni oggetto del giudizio.

2. – Deve, preliminarmente, essere ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte nell’ordinanza n. 154 del 2003.

3. – Nel merito, il ricorso è fondato.

Spetta a questa Corte valutare se le dichiarazioni rese dal deputato Mancuso, di cui la Camera dei deputati ha dichiarato l’insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, siano legate da nesso funzionale con le attività svolte dall’interessato nella sua qualità di membro della Camera, ed in particolare se esse siano «sostanzialmente riproduttive di un’opinione espressa in sede parlamentare» (v., tra le molte, le sentenze n. 28 del 2005 e numeri 11 e 10 del 2000).

In tale indagine, non assumono rilievo né gli atti attribuibili ad altri parlamentari (v. sentenze numeri 193, 164 e 146 del 2005 e n. 347 del 2004), né quelli posti in essere dal deputato Mancuso in data posteriore alle dichiarazioni oggetto del presente giudizio (sentenze numeri 223, 164, 146 e 28 del 2005; numeri 347 e 246 del 2004; n. 521 del 2002 e n. 289 del 1998).

Pertanto, la verifica circa la sostanziale identità di contenuti tra attività parlamentare e dichiarazioni oggetto di declaratoria di insindacabilità deve essere circoscritta ai soli atti parlamentari che verranno presi in considerazione. Va, infatti, ribadito – nonostante le contrarie deduzioni della difesa della Camera circa l’invocabilità di atti posteriori alle dichiarazioni, ovvero formulate da altri membri delle Camere – che, in linea di principio, il “contesto politico” o comunque l’inerenza a temi di rilievo generale dibattuti in Parlamento, entro cui tali dichiarazioni si possano collocare, non vale in sé a connotarle quali espressive della funzione. Infatti, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni, non siano il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall’insindacabilità), esse sono una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dalla Costituzione.

In applicazione di tale premessa, questa Corte non può, anzitutto, che escludere la ricorrenza di qualsivoglia nesso funzionale tra dichiarazioni intese a caratterizzare il complessivo operato della Procura della Repubblica di Palermo, ed in particolare del suo Procuratore, in termini espressivi di modalità “criminali” e di stampo mafioso, ed atti parlamentari riferibili al deputato Mancuso, con cui sono poste in luce vicende asseritamente significative, per usare l’espressione della Camera, della «perdurante polemica […] tra potere legislativo e potere giudiziario», attribuibili ad altro ufficio giudiziario, ossia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano (interrogazione del 24 luglio 1997; interrogazione del 21 novembre 1996; interrogazione del 7 novembre 1996).

In secondo luogo, l’interrogazione del 16 ottobre 1996 si limita a segnalare pretesi abusi nel ricorso alle intercettazioni telefoniche da parte di numerose Procure della Repubblica, tra cui quella di Palermo, mentre l’interpellanza del 21 ottobre 1996 sollecita un’ispezione ministeriale presso la Procura di Palermo, con riguardo ad uno specifico episodio di pretesa violazione del segreto d’ufficio; si tratta di atti che non investono in termini generali la conduzione della Procura palermitana, ma isolano peculiari fattispecie ritenute degne di indagine, la cui eventuale sussistenza in nessun modo potrebbe condurre alla affermazione che il Procuratore della Repubblica sia un criminale, dedito intenzionalmente a violare la legge con metodo mafioso, nel corso della propria attività di indagine.

Infine, l’intervento del 18 febbraio 1997 in Commissione parlamentare costituisce per il deputato Mancuso l’occasione per chiedere chiarimenti sulla eventuale pendenza di procedimenti penali a carico di «magistrati del distretto di Palermo» e su un episodio, riportato dalla stampa, che avrebbe evidenziato un’asserita indebita cortesia di modi del dott. Caselli nei confronti del pregiudicato Cancemi. Si tratta con ogni evidenza di profili per niente sovrapponibili alla conclusione che il Procuratore della Repubblica sia dedito a delinquere, con modalità mafiose, nell’esercizio delle proprie funzioni.

4. – In assenza di ulteriori atti parlamentari con cui porre a raffronto le dichiarazioni in questione, ne discende che l’impugnata delibera di insindacabilità ha violato l’art. 68, primo comma, della Costituzione, ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente, e pertanto deve essere annullata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati deliberare che i fatti per i quali era in corso procedimento penale nei confronti del deputato Filippo Mancuso, di cui al ricorso in epigrafe, riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione;

annulla per l’effetto la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 6 marzo 2001 (documento IV-quater n. 179).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2006.